sabato 7 gennaio 2012

SUNRISE - CAPITOLO N. 13

Capitolo n. 13 - sunrise


Kevin si stava tormentando le mani, seduto davanti al pc, da almeno dieci minuti.
Aveva accompagnato Lula a scuola, affidandolo ad un insegnante che non aveva mai visto, ma che il bimbo conosceva bene, un certo Gabriel, molto simpatico ed affabile.
Geffen era sparito anche in quel pomeriggio, senza dare molte spiegazioni.
Kevin compose il numero di Jared, attivando una video chiamata, per poi sentirsi un vero idiota, quando lui rispose, con alle spalle Colin, che dava un biberon ai gemelli.
“Ciao Kevin, come stai?” – gli chiese sorridente Leto.
Lui ebbe un’esitazione, ma poi sforzò una naturalezza, che non ingannò il suo interlocutore.
“Bene e … e voi?”
“Indaffarati come vedi …” – replicò perplesso, mentre Farrell lo salutava.
“Jared scusami …”
“Ma di cosa? Hai bisogno, sei alla clinica?”
“No … no, sono qui … a casa … sono un imbecille, poi ti spiegherò, adesso non ho tempo … ciao.”
“Kevin ehi …?” – ma aveva già riattaccato.

Un respiro profondo, poi chiese a Vassily di aiutarlo.
A seguito dei drammatici fatti di Coleman e per sicurezza, sui loro mezzi era stato installato un impianto satellitare, completo di localizzatore.
Era un congegno complesso da disattivare e poi non avrebbe avuto senso farlo, visto che serviva per ritrovare sia Glam che Kevin, nel caso di pericolo.
Fu semplice ed immediato conoscere l’indirizzo dov’era parcheggiata la Ferrari dell’avvocato.
Un recapito sconosciuto a Kevin, che sull’hummer decise di raggiungerlo immediatamente.
Poteva trattarsi di un ufficio, invece era un bel palazzo residenziale.
Due file di campanelli, molti senza nome, ma quei pochi che stava scorrendo nervoso, non gli dicevano niente.
Un fattorino si avvicinò alla seconda colonna, suonandone uno.
Kevin ascoltò due voci, che invece gli erano assai familiari.
“Consegna per miss Berger.” – disse il ragazzo, che Kevin ricollegò ad un ristorante take away, al quale si rivolgeva spesso Glam.
Una donna gli disse di salire ed al suo tono allegro, si mescolarono poche parole di un uomo – “Accidenti che velocità … per fortuna, ho una fame.”
Kevin sentì che quel cemento pavimentato nei colori del mattone e del beige, stava per aprirsi e divorarlo, ma con un riflesso condizionato, impedì al cancelletto di chiudersi e seguì quel giovane, troppo distratto dall’i-pod per rendersi conto di lui.


“Che succede Jared?”
“Non lo so … Kevin era strano … mi sembrava turbato.”
“Lo sai che sta attraversando un periodo particolare.”
“Sì Colin, me ne rendo conto, però vorrei saperne di più.”
Il cantante dei Mars ebbe la netta sensazione che Kevin stesse cercando Glam, pensando fosse in sua compagnia ed aveva ragione ovviamente.
Quella circostanza assumeva parecchi significati, per i quali anche Jared iniziò a preoccuparsi.


Era un appostamento quasi banale.
Nella rientranza di quel vasto pianerottolo, dove piante lussureggianti erano state posizionate davanti ad una vetrata circolare: Kevin attese lì che il garzone sparisse nuovamente in ascensore, lasciandogli campo libero.
Attese un paio di minuti, provando a riordinare le idee, ma non serviva: una furia cieca stava per impadronirsi del suo animo stanco e svilito: quello sarebbe stato l’ennesimo affronto alla sua dignità consumatasi in tanti anni al fianco di quell’uomo, che lo aveva di certo amato generosamente, ma ad un prezzo divenuto insostenibile.
I suoi passi sembravano macigni scaraventati su quel pavimento e quando Sveva riaprì la blindata, pensando che il tipo del locale avesse scordato qualcosa, rimase stupita di fronte a Kevin, che appoggiò il palmo sinistro sul rivestimento lavorato di quella barriera inutile, aggiungendo un sonoro calcio, per impedirle di richiudere.
Geffen spuntò dal living in accappatoio, con due bicchieri vuoti nella mano sinistra e non disse niente.
Kevin richiuse con vigore, rivolgendosi poi ad entrambi.
“Dio che schifo … che schifo assurdo Glam!”
“Kevin ascolta …”
“TACI!!”
Sveva si mise in mezzo, ma lui la scagliò in un angolo e con una brutalità amplificata da mille sensazioni, si avventò su Geffen, che fece la stessa fine.
“Difenditi almeno BASTARDO!!!”
Iniziò a colpirlo, con pugni, schiaffi e poi con un grande vaso, in pieno petto, infine calci, che gli fecero sputare sangue ed un ulteriore colpo con il tacco delle proprie scarpe, sul palmo dove si erano frantumati i flute per lo champagne, provocandogli di certo una frattura da come si lamentava.
La donna tentò di bloccare Kevin per il busto, ma lui, ormai inferocito, l’afferrò per le spalle, piegandola in ginocchio di fronte a sé: “TU!! Tu non sai cosa potrei farti lurida puttana!! Prega soltanto che io non arrivi dove potrei, se vuoi vivere!!” – e con un estremo spintone la gettò sul corpo esanime di Glam.
“Prenditi cura di questo stronzo e CREPA INSIEME A LUI!!” – le urlò, per poi allontanarsi da quel campo di battaglia senza vincitori.
Arrivò correndo al fuoristrada, ingranando la retro e puntando alla Ferrari parcheggiata dal lato opposto del viale privato e deserto.
La centrò in pieno, facendola capottare sulla piazzola retrostante, demolendola completamente, dopo averla spinta contro la balaustra, oltre la quale si vedeva l’oceano.
Una volta raggiunto il parcheggio di un supermercato, Kevin abbandonò il veicolo, denunciandone il furto e tornando alla Joy’s house con un taxi, dopo essersi ripulito nei bagni di quel centro commerciale, dove vomitò anche il cuore, per la delusione disperata in cui era precipitato a causa di Geffen, ancora una volta.


“Ho quasi finito Glam … è una micro lesione, si salderà da sola, sono più complessi i punti.”
“Grazie Scott …” – mormorò, confuso dal sedativo.
“Che razza di incidente hai avuto …? La Ferrari è demolita?”
“Sì … ma non importa …”
“Devo chiamare Kevin? Chi è quella signora qui fuori?”
“Lascia stare … è complicato e … potresti smetterla con le domande?” – chiese iniziando a piangere sommessamente.
“Glam … cosa cazzo hai combinato?”
“Voglio mio figlio … Lula …”


“Andiamo dal nonno stasera cucciolo, cosa ne pensi?”
“Sììì!! Papake, ma viene anche papà, vero?”
“No, mi dispiace, ma ha del lavoro arretrato da sbrigare, così mi ha detto.”
“Ok … che peccato! Posso giocare con Xavier?”
“Certo che puoi tesoro mio …” – disse parcheggiando nel parco della villa di Antonio, che lo stava aspettando in ansia nella biblioteca, dopo le spiegazioni che Kevin gli diede via cellulare.



Jared e Colin furono i primi a saperlo, direttamente da Meliti.
Erano incerti sul da fare, ma volevano stare accanto a Kevin.
“Andiamo da Antonio od aspettiamo qui, Jay?”
“Co-cosa? … io volevo …”
“Sapere come sta Glam?” – disse smarrito.
“No … non so più niente, com’è possibile Colin che gli abbia fatto tanto male?”
“Vorrei saperlo anch’io … credimi.” – e lo strinse forse, cullandolo ed unendosi alla sua amara commozione.


“Ho chiesto un favore ad un amico: Sveva Berger da domani mattina non metterà più piede nell’istituto di Lula.”
“Grazie nonno … lui non deve subire traumi, poi frequenta le lezioni con Josh e … è giusto così, ti ringrazio …” – mormorò sconfortato.
“Questa è un’inezia: adesso cosa pensi di fare?”
“Ho … ho detto a Vassily di cambiare i codici di entrata da noi e … di non farlo entrare, ma …”
“Kevin dovete chiarirvi, per Lula, non puoi escluderlo così dalla vita del piccolo, ne morirebbero sia lui che Glam.” – disse affranto.
“Non lo perdonerò più … non …” – ed iniziò a singhiozzare, crollando ai piedi di Meliti, seduto in poltrona, mentre lui era rimasto in piedi sino a quell’istante.
Il vecchio gli accarezzò i capelli, per poi abbracciarlo.
Arrivarono Jared e Colin, unendosi a quel sostegno peraltro inconsistente per Kevin, che desiderava solo morire e dissolversi, per sempre.






KEVIN

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