sabato 29 luglio 2017

NAKAMA - CAPITOLO N. 95

Capitolo n. 95 – nakama



Graham sfogliò velocemente la cartella di Philip, un’ultima volta, prima di entrare nella sala preparazione, per i chirurghi, come lui e Mikkelsen: privata ed esclusiva.

Mads era già arrivato, puntuale, come al solito: gli dava le spalle, appoggiato ai lavabi, la testa china.

Will sorrise, posando velocemente quei fogli su di un ripiano viola, pronto ad affiancarlo, non solo nella sterilizzazione, ma, specialmente, in quell’operazione, non affatto semplice.

C’era in gioco la vita di un ragazzino.
C’era molto da perdere e ogni rischio preso, poteva trascinarli anche verso un fallimento amaro e inatteso.

“Tesoro sei già qui, molto assorto vedo” – Graham scherzò, premendo il distributore di sapone liquido.

Il compagno prese un lungo respiro, tossendo poi, senza guardarlo; non ancora.

“Ehi Mads, ti senti bene?”
Adesso era Will, pienamente concentrato su di lui e allarmato da quel silenzio, rimescolato ad un fetore di alcol.

“Mads …?” – la sua voce, esterrefatta, divenne un soffio.
Quindi un’esclamazione – “Mads hai bevuto?!”

Com’era possibile?
                           
“Co cosa?”

Graham lo afferrò per le spalle, iroso e disperato.

“Che ti è preso, come hai potuto ridurti così?”

Lo stupore stava prevaricando la rabbia ed era solo un preludio, alla delusione, che ne sarebbe seguita.

“Quel … quel Philip” – una risatina biascicata, accompagnò la sua spiegazione assurda, ma non del tutto – “… quel Philip, mi ha ricordato un periodo, mi ha … Mi ha risvegliato delle emozioni, che credevo di avere rimosso, capisci?”

“Come puoi farmi questo?” – la frase risuonò supplichevole, in quell’ambiente a tinta verde tenue.

“Scusami Will” – e cominciò a piangere, appoggiando la fronte madida, sulla spalla sinistra dell’altro, che finì per abbracciarlo, senza convinzione.

“Calmati … Vieni, proviamo con una doccia fredda, ok?”

La sua iniziativa, non ebbe molto successo.

“Mi scoppia il cervello” – singhiozzò tremante il luminare, accasciandosi, mentre si massaggiava, inutilmente, la nuca.

“Dio alzati! Non puoi mollarmi, Philip non può aspettare! Il suo tempo è quasi scaduto!”

Le rimostranze di Graham, caddero nel vuoto, anche se Mads si rimise in piedi, seppure incerto e confuso.

“Opererai tu: ne sei capace Will: io ti assisterò come posso”

“E cosa diremo alla tua equipe, miseria schifosa!?”




“L’ultimo giorno dell’anno e noi siamo qui, a passeggiare tra le rovine della End House” – Jared rise, un passo avanti a Geffen, entrambi le mani in tasca, gli occhi di Glam piantati tra le scapole dell’ex, troppo magro, per i suoi gusti.

Erano al terzo piano dell’ala nord, ancora in ristrutturazione, dopo il sisma.

“Colin è al lavoro?” – chiese il legale, per nulla interessato alle sorti dell’irlandese.

“Sì, il film è quasi finito, penso riceverà dei premi, la trama è davvero interessante” – Leto prese fiato, voltandosi, per fissarlo, colpevole e bellissimo, per essere ancora così importante ai sensi del suo interlocutore, rapito dai suoi zaffiri cangianti.

Da ogni sua espressione, dal suo corpo esile, che gli parlava di continuo.

“Allora sarà un anno migliore, il prossimo, Jay” – un sorriso tirato, senza trovare le parole giuste, per lui, che ne aveva sempre una vincente, in chiusura delle sue arringhe.

Ma non con Jared.

“Con Denny hai chiarito?” – chiese brusco l’artista, quasi a volersi togliere un peso dallo stomaco e dal cuore.

“Chiarito cosa?”

“La vostra situazione, è” – deglutì amaro – “è chiaro, no?”

“Qui di chiaro c’è solo un fatto, sai Jared?”

“E cioè?”

Geffen sorrise, stanco – “No, non importa, discorsi appassiti, il vento o chissà cosa, se li è portati via”

“Le nostre vite altrove, ecco cosa se li è portati via, Glam, non è difficile capirlo: forse tu dovresti provarci sul serio con Denny, è una brava persona, le sue gemelle ti adorano”

“Una brava persona? Quando sposò Tomo non credo tu ne avessi così tanta stima, per quanto Shannon ne soffrì o sbaglio?” – rise senza convinzione; voleva andarsene, troncare il discorso, dimenticare Jared, una volta per tutte, come buon proposito di Capodanno, che mai si sarebbe avverato.

“Acqua passata”

“Già, un po’ per tutti Jay” – e si voltò, per andarsene davvero.

“Dove vai, scusa?” – domandò quasi con apprensione il cantante, avanzando deciso, verso quella schiena ampia e solida, come nulla dentro di loro.

E fuori.

Un crepitio e il pavimento si aprì, sotto ai piedi di Leto, come una voragine, inattesa quanto pericolosa.

Geffen stava tornando a guardarlo, perché non sarebbe stato giusto, lasciarlo lì in quel modo, dopo quel bacio in ospedale, dopo il tutto e il niente, che si era incancrenito, tra loro, ormai.

E fu un attimo.
Di quelli, in cui Glam sapeva diventare efficace e risolutivo: con un gesto rapido e di forza, riuscì ad afferrare Jared per il polso destro, rischiando di finire di sotto insieme a lui.

“Jay!!”

“Non lasciarmi, non”

“Non ti lascio maledizione!” – ringhiò in affanno, tirandolo su, accogliendolo poi sul petto, insieme al suo stupore, alla sua disperazione.

“Glam …”

“Io non ti lascerò mai” – mormorò sconvolto, tenendolo a sé.

“Glam spostiamoci, ti cerco dell’acqua, sei paonazzo”

“Basterà questa” – lo interruppe, sedendosi sul pavimento e prendendo una pasticca dalla tasca dei pantaloni – “… me le ha prescritte Scott, in caso di stress eccessivi”

Leto rise nervoso, inginocchiandosi, ancora impaurito – “E io lo sono, per te, da sempre, vero?” – provò persino a scherzare.

Geffen gli passò il pollice destro sulla fronte e poi sugli zigomi – “… Tu sei la mia benedetta dannazione Jay … Ma la vita sarebbe così noiosa, senza di te, accidenti …”




Graham si sistemò la mascherina, senza guardarlo.

“Il professor Mikkelsen coadiuverà ogni nostro passaggio” – disse Will, puntando lo staff di Mads, muto e nascosto dalla stessa barriera verdognola, in stoffa sterile – “ma non interverrà direttamente, perché oggi non si sente bene: ci sono obiezioni?”

Nessuno ne sollevò, anche se l’imbarazzo, tra i presenti, era palpabile.

“Ok, andiamo” – e si diressero in sala operatoria, dove Philip era già stato sedato e preparato.

La porzione di pelle, lasciata scoperta e illuminata da lampade apposite, fremeva leggermente ad ogni pulsazione del giovane.

“Buio” – sembrò sentenziare la voce roca di Mikkelsen e ogni sguardo si orientò sul punto, dove Graham avrebbe fatto la prima incisione.

Mads disse il meno possibile, sino al momento cruciale, in cui la sua tecnica, attraverso Will, avrebbe risolto.

Se non fosse stato per un imprevedibile intoppo.

“La malformazione è al contrario, come abbiamo fatto a non rendercene conto, dannazione!”

Su quella frase di Graham, tutti si bloccarono, attoniti e in attesa di nuove disposizioni.

Per risolvere, per uscirne vivi.

Mikkelsen inspirò greve, strizzando le palpebre, mentre Will stava esitando: gli strappò quindi il bisturi elettronico e, con un gesto deciso, affondò in quella cavità palpitante e ostica, prossima ad una deleteria fibrillazione.

“Aspirare, qui e qui, sudore, cazzo svegliatevi!” – ruggì, destando i colleghi da quell’impasse cruciale, mentre la storica collaboratrice Jasmine, gli tamponò, svelta, la fronte gocciolante.

La pressione e il battito di Philip, si stabilizzarono, dopo un picco malevolo.

Morgan jr, era salvo.




La sua telefonata allarmò a tale punto Scott, da farlo scapicollare in moto, in mezzo al traffico delle feste, sino alla villa sulla spiaggia di Paul, senza perdere un minuto di tempo.

Tempo.

Rovia non ne aveva avuto mai abbastanza, per riprendersi la propria vita, né accanto a Reedus e tanto meno con Pinkman.

Norman, che teneva le mani di JD Morgan, seduto davanti a lui, nella saletta di attesa della Foster, in un mutismo reciproco, causa la troppa ansia, per le sorti di Phil.

Jesse, a sua volta, si dedicava amorevole, alle esigenze di White, ancora costretto sulla sedia a rotelle, ma per poco, Hiddleston glielo aveva assicurato.

Walter avrebbe ripreso a camminare antro la metà di gennaio, Tom ne era certo, grazie alla caparbietà di un paziente, che non aspettava altro che potere tallonare quella creatura fatta di sbagli e carezze, di nome Jesse Pinkman.

Tanto amore, del quale Rovia non sapeva neppure i dettagli, come nel caso di Norman e JD, innamorati e perduti, in un rapporto simbiotico e, per certi versi, inspiegabile.

Lui, Paul, non se lo sarebbe potuto spiegare mai, in effetti.

“Quante ne hai prese, cazzo!?” – esclamò il medico, in crisi di ossigeno, per la corsa e la tensione.

“Lasciami in pace” – il rantolo di Rovia, gli scivolò dalle labbra, insieme ad un po’ di saliva, per la nausea, dovuta all’ingestione di alcuni barbiturici.

Erano di sua madre, Paul li conservava, per uno sbafo di rossetto sull’etichetta, che lei aveva lasciato, trafficando con il tubetto, in plastica avorio, a scritte azzurro cupo.

Come il domani, che Rovia avrebbe preferito non vedere affatto.

“Devo farti vomitare, avanti andiamo! Dov’è il bagno?”

Nessuno risposta.
Un paio di schiaffi e Paul riprese i sensi, giusto il tempo di svuotarsi, inginocchiato davanti alla tazza del cesso, come quando era un tossico, come quando divideva la cella con JD Morgan e si sniffava anche la colla, rubata al reparto falegnameria dal suo coinquilino, violento e pretenzioso, di avere il suo corpo e la sua anima buia.

Sarebbe stato così semplice farsi ammazzare da lui o da qualche balordo del braccio K: perché non lo aveva fatto, ora si domandava mentalmente, riverso contro le maioliche, a scacchi bianchi e neri, quanto i suoi giorni.




Graham portò buone notizie.
Norman e JD si abbracciarono forte.

“Possiamo vederlo?” – chiese il tenente, senza preoccuparsi di quanto potesse pensare Will, su di loro.

Ufficialmente, Morgan era stato condotto lì dal poliziotto, per seguire l’esito dell’intervento, prima di tornare in carcere, essendosi costituito.

La versione di Reedus, adesso, faceva acqua da tutte le parti, ma l’amore assoluto di Mads, era distratto da un’angoscia, che salvò i due, ma unicamente da lui.

Geffen, a pochi passi da loro, era livido, per quanto appena scoperto.

Era una conferma, del resto; i suoi sospetti, come quelli di Vas, risultarono più che fondati, ormai.

“Voi state insieme … Io non ci posso credere!” – esordì furioso, oltrepassando Will.

“Glam … Ascolta, ti posso spiegare” – Norman provò a difendersi, tanto ormai non poteva più sfuggirgli.
“Spiegare cosa?!? Sapete perché sono tornato?! Non solo per avere notizie di Philip, ma, soprattutto, perché Scott sta portando qui Paul, mezzo morto!”

“Ma cosa stai dicendo …?” – si intromise JD, stranito e, all’apparenza, turbato.

“Ha tentato il suicidio, con delle pasticche, se non fosse stato per Scott sarebbe spacciato!”

“Glam calmati” – Graham si frappose tra loro.

“Ma come faccio a calmarmi! Ti rendi conto di quello che sta accadendo, Will?!? Della carognata, che entrambi, hanno fatto subire a Paul?! E lui neppure lo sa, ci scommetto, vero Reedus?!” – e lo prese per il bavero della maglia, sbattendolo contro al muro.

Morgan non rimase fermo a guardare e, se non fosse stato per Vas, si sarebbero fatti tutti molto male.




Mikkelsen controllò l’orologio, appeso in cucina, per l’ennesima volta, poi ebbe un sobbalzo, appena percepì i passi di Graham nel salone.

Si precipitò da lui, ma Will era già salito al piano di sopra, dirigendosi nella loro stanza.

Mads esitò oltre la porta, quindi decise di affrontarlo, vedendo l’altro aprire un trolley sulla cassapanca centrale, piena zeppa di cibo per cani.

I randagi di Graham, dormivano tranquilli in mansarda: ormai anche il più anziano, si era abituato alle loro allegre scorribande per casa.

Una casa enorme, che, a breve, il più giovane avrebbe lasciato, evidentemente.

“Do dove stai andando amore?” – il nervosismo, che lo stava corrodendo, lo fece persino balbettare.

“Non farmi domande idiote!” – sbottò acre, con una durezza inaudita.

“Will”

Graham si bloccò, puntandolo severo.

“Hai rovinato tutto, Mads, tutto!”

“Lo so, ma tu non puoi liquidarmi in questa maniera, senza darmi un minimo di sostegno, di comprensione, come farei io!”

“E come ho fatto io, da quando stiamo insieme, ma vedo che te ne sei dimenticato!”

Si fronteggiarono, esausti, come soldati della stessa guerra, ma su barricate opposte.

E così distanti, ora.

“Will, forse hai ...” – il suo accenno di frase, fu smorzato da una carezza dell’altro – “Scusami Mads, non volevo alzare la voce”

“Will”

“Ma non riesco a rimanere, non ci riesco … Perdonami.”

“Will …”