mercoledì 28 gennaio 2015

LIFE - CAPITOLO N. 86

Capitolo n. 86 – life



Le spalle larghe di Geffen, in quell’attimo apparvero un po’ ricurve, come se oppresse, da un qualcosa di invisibile, alla vista di Downey, che gli andò vicino, mentre l’altro se ne stava in piedi, appoggiato ad una penisola, in una sorta di angolo bar del jet.

Glam stava bevendo una tonica, divorato da un’arsura inconsueta.
Per la tensione, per l’amarezza.

Robert appoggiò i palmi gelidi, tra le scapole del suo ormai ex.

Geffen inspirò a fondo.

“Ora è … E’ troppo presto, per parlarne, scusami tesoro”

Continuava a chiamarlo in quel modo, come se si ostinasse a tenerlo un po’ di più, nella propria vita disordinata e burrascosa.

“No, scusami tu Glam, però io ne ho bisogno, di guardarti negli occhi e”

Geffen si voltò di netto, con impeto tipico della sua indole caparbia ed un po’ spavalda.

“Non è necessario Robert, perché io sapevo che un giorno, le nostre reciproche debolezze ci avrebbero diviso, anche se non volevo crederci, sai?” – e gli raccolse il viso arrossato, tra le dita tiepide.

“Io, in compenso, non ho creduto abbastanza a te … Ed è solo stato questo il mio, il nostro problema, perché ti amo così tanto Glam” – ed iniziò a piangere, con dignità.

Quella che Geffen adorava, in lui.

Lo abbracciò, facendolo sentire unico al mondo.
Ancora una volta.

“Se ti ho lasciato un dubbio, su Jared, posso dirti che ti sbagli, anche se lui, per me, è ancora importante … Jude, però, è la tua vita” – e lo fissò, incastrando poi i rispettivi profili, un altro gesto che gli sarebbe mancato da morire – “… Volevo invecchiare insieme a te, Robert, semplicemente questo”

Le lacrime di Downey divennero cocenti.
Gli mancò l’aria, così la terra sotto ai piedi ed era buffo, lì, a chilometri sopra l’oceano, avvertire quella sensazione di vuoto incolmabile.

Doveva decidere se riempirlo o meno, il proprio vuoto esistenziale, con i sentimenti, che mai aveva smesso di provare per Law: questo il passo successivo, a quegli istanti così terribili, a quella fine, di un legame, dove aveva conosciuto rispetto e considerazione, da parte di un uomo difficile da domare e comprendere, quale era Glam Geffen.

Senza più rimpianti.
Senza più rimorsi.




Rossi siglò l’ennesimo modulo, dopo avere consegnato la provetta, custodita in una scatoletta viola.

Kurt era già al telefono con la madre surrogato, quasi un’amica per lui, anche se la donna mai aveva voluto incontrare Martin, a parte la richiesta di una foto, l’anno precedente.

David scrutava il consorte, la sua gioia nel prendere quegli accordi definitivi e proporre, come da contratto, una vacanza nei mari del sud oppure in Scandinavia.

Una di quelle crociere, tra i fiordi, che l’agente avrebbe voluto fare insieme alla sua famiglia, prima o poi.

Il tempo sembrava dilatare i contorni di quei sogni, come a renderli più deboli, nella mente di Rossi, piuttosto che in quella di Kurt, ancora vivido nelle proprie aspettative.

Dave, per la prima volta, si sentì smarrito: forse non avrebbe mai visto abbastanza di quel figlio, non come avrebbe voluto almeno.
I calcoli mentali, sulla sua età, erano incontrovertibili.

Certo era in salute e faceva il possibile per essere piacente ed attivo, però …
Quanti  però, agitavano ora il suo cuore, generoso e partecipe.




Law prese un lungo respiro.

La domanda di Kitsch era stata chiara e diretta.

“E’ finita, vero Jude?”

Il giovane lo stava fissando da almeno tre, pesantissimi, minuti.

Seduti ad un caffè del centro, un bistrot francese, appena aperto tra i locali ed i negozi più chic di Londra, i due stavano attirando l’attenzione, anche se i rispettivi toni erano pacati, ma i loro volti raccontavano un’altra storia.

“Taylor vorrei andarmene da qui, poi parleremo con calma” – propose l’inglese, ma inutilmente.

“Parlare con calma?! Di cosa, di come me la state facendo alle spalle, tu e Robert?!” – ruggì a mezza voce, le iridi lucide.

“Noi non abbiamo fatto nulla”

“Non ancora, cazzo!!” – e si alzò, dando uno strattone al tavolino, tanto da fare cadere bicchieri ed un vassoio di tramezzini.

L’idea era quella di prendere un aperitivo, prima di incontrarsi con Jared e Colin per la cena, senza sapere a che ora Glam e Downey sarebbero atterrati.

“Taylor, mio Dio smettila!” – quasi lo implorò, afferrandogli un polso, ormai faccia a faccia con lui.

I camerieri stavano sistemando quel casino ed alcuni degli avventori non esitarono a documentare ogni dettaglio di quella scenata in piena regola.

“Andiamocene, maledizione!” – imprecò Law, trascinando via il compagno o ciò che ne rimaneva.

Appena fuori, gli sbuffi di neve ed il gelo, li investirono impietosi, come quella situazione imbarazzante.

Il pianto di Kitsch, si cristallizzò sui suoi zigomi, frementi di rabbia e delusione.

“Mi hai usato, nell’attesa di lui, almeno ammettilo, bastardo!!”

Altri flash e per poco Law non sferrò un pugno ad un tizio, che si era fermato sugli scalini di un pub adiacente, per immortalare la loro lite, ormai ingestibile.

Farrell stava sopraggiungendo in lontananza.
Era da solo.

Riuscì a malapena ad intravedere Taylor salire su di un taxi ed allontanarsi, mentre Jude inveiva contro quegli sciacalli, trattenuto da un buttafuori.

Colin gli chiese di lasciarlo andare e l’energumeno gli diede retta.

“Ma che diavolo stai facendo Jude??!”

“Hai l’auto?”

“Sì, dietro l’angolo, su vieni, andiamocene!”


https://www.youtube.com/watch?v=z1rYmzQ8C9Q



Le coordinate erano esatte: Geffen le ricontrollò un paio di volte, guardandosi intorno.

L’indirizzo era quello di una scuola, un istituto elementare, con annesso asilo e nido per l’infanzia: l’avvocato lesse la targa, affissa ad una delle due colonne in mattoni, ai lati del cancello in ferro battuto nero, oltre il quale c’era un bel giardino imbiancato, dove un abete secolare era stato decorato da una miriade di luci e fiocchi argentati, domandandosi come mai Jared lo avesse voluto incontrare lì.

Si alzò meglio il bavero del giaccone, provando un brivido lungo la spina dorsale, poi il suono di una campanella lo fece sobbalzare.

Era l’ultimo giorno di lezione.
Geffen se ne rese conto osservando l’entusiasmo degli scolari, che si precipitarono all’aperto, correndo in parte verso i genitori, appena scesi dalle macchine ed in parte verso quel candore, per giocare ed imbastire pupazzi, tra risa, voci e schiamazzi divertenti.

L’uomo sorrise, pensando che a Los Angeles, nessuno avrebbe mai assistito ad uno spettacolo del genere.
Solo pioggia, temporali violenti, praticamente tempeste.

E lui era abituato ad attraversarle, anche se stava diventando sempre più faticoso farlo.


“Glam …”

La voce di Leto lo riportò alla realtà, a quell’atmosfera natalizia ed ad un contesto, così caro ad entrambi.

Una scena, che sembrò ripetersi, come per incanto.
O per semplice volere del cantante.

I piccoli divennero un fiume, i cui rivoli passarono loro in mezzo, ai lati, sino alle rispettive destinazioni.

“Ciao Jay …”

Geffen aveva capito.

“E’ da molto che sei qui?” – domandò emozionato ed incurante di quanto li circondasse ormai.

“Ci sono sempre stato …”

Leto deglutì a vuoto.
Era bellissimo.

“Sì, lo so Glam …”

Quel nome, i suoi turchesi, il respiro di Geffen erano come un mantra, uno spicchio di sole il suo sorriso, anche se ora sembrava così triste, anche se glielo stava regalando ugualmente, così la sua espressione innamorata.

La sua mano sinistra uscì dalla tasca, sino alle gote del leader dei Mars.

“Sai tutto di me, di noi … Anche che abbiamo messo troppe cose, troppe persone, in mezzo a noi Jay, vero?”

“Glam io …”


“Jared!”

Leto si girò di colpo, accorgendosi di Colin, poco distante, che stava tenendo una bimba in braccio, per pochi secondi, dopo di che l’irlandese la passò alla madre, che lo aveva riconosciuto e lo stava ringraziando per avere sollevato la figlia, appena caduta sul marciapiede, per il sottile strato di ghiaccio.

Gli zaffiri di Jared tornarono nella direzione di Geffen, ma lui non c’era più.

“Jay, ti stavo cercando … Dai vieni, ti porto in un posto, siamo in ritardo” – e lo baciò, quasi percependo le sue pulsazioni a fior di labbra.

“Cole, ma come …?” – mormorò sbigottito.

La neve aumentò ed i loro passi divennero una corsa, verso una chiesetta.

Oltre il portone intarsiato, c’era una minuscola navata, decorata da decine di corbeille di rose bianche e centinaia di candele accese un po’ ovunque.

“Solo tu ed io, Jay … Ed il pastore, ovviamente” – Farrell rise composto – “… Te lo avevo promesso”

Leto annuì, confuso, seguendolo verso l’altare.

Colin indicò le fedi, appoggiate sopra un cuscino in raso avorio.

Padre Connor li accolse gentile, spiegando la breve procedura, per il rinnovo dei voti nuziali.

“Capito tutto Jay?” – scherzò il moro, tenendolo stretto a sé.

“Sì …” – e si guardò ancora una volta indietro, ma c’erano unicamente loro.

Loro e nessun altro.




Miss. Halley aveva un negozietto di pasticceria, così antico e minuscolo, da sembrare la casa delle bambole di Camilla.

Law glielo diceva sempre ed ogni anno passava a trovarla, raccontandole un po’ di quel mondo là fuori, che l’anziana signora non seguiva neppure alla tv, rifiutandosi di comprarla, ma leggendo testi di ogni genere, perché la cultura era cibo per la mente, appetitoso almeno quanto le sue delizie candite.

Lei sapeva di Jude e Robert, li aveva sempre sostenuti, dimostrando una mente aperta e vivace, nonché un garbo di rara eleganza e sobrietà.

Ad ogni ricorrenza, Law andava da lei a fare scorta di dolciumi e torte, spesso con il consorte.

“Prova questi bon bon al cioccolato belga, Jude …”

“Sì, buoni … Squisiti, piacerebbero anche a” – e si interruppe, un groppo alla gola.

“Ma Robert, quando arriva, scusa?” – domandò perplessa.

“Sono qui Alice, stavo ammirando la tua vetrina”

Law si sentì scoppiare il cuore.

“Amore …”

“Ciao Jude, scusa il ritardo, ma quelle giostre a carillon, mi hanno ipnotizzato” – e gli sorrise, accarezzandogli la schiena.

“Bene, ora che siete arrivati, prendo lo cherry e ci scambiamo gli auguri, miei adorati ospiti!” – sentenziò Miss. Halley, aprendo le ante di un mobile dell’ottocento.

Jude e Robert si guardarono, avvolgendosi reciprocamente in un abbraccio, che valeva più di mille parole.

Di mille perdoni.












lunedì 26 gennaio 2015

LIFE - CAPITOLO N. 85

Capitolo n. 85 – life



Downey entrò in biblioteca con circospezione.

Geffen gli aveva chiesto di raggiungerlo lì, un’ora prima di tornare in aeroporto e decollare per l’Inghilterra.

L’attore notò sulla scrivania un paio di plichi, avvolti in cartoncini azzurri.
Come le iridi del coniuge, seduto in poltrona, ma rivolto verso le vetrate, a scrutare la quiete del parco, intorno alla loro sontuosa residenza.


“Volevi parlarmi Glam?” – chiese esitante.

“Sì tesoro, dovresti apporre delle firme, sempre se lo desideri” – replicò a mezza voce, girandosi lento ed appoggiando i gomiti sul ripiano, rivestito in cuoio verde scuro.

“Di cosa si tratta?” – e si accomodò.

“Di questi incartamenti, che pensavo di mostrarti a Londra, ma è inutile rimandare, anzi, lo trovo persino ingiusto” – e lo fissò, statico, nel proprio malcelato dolore.

“Modulo di adozione …” – lesse con un filo di voce Downey, sul primo di essi, poi analizzò il secondo, con un tremito nelle dita – “… Procedura di … separazione legale e …” – lo guardò di scatto – “Glam che significa?!” – sbottò.

“Uno non prescinde dall’altro, se è questo che temi: potrai essere un ottimo genitore per Pepe, ma non più un buon consorte, per me e tu ne conosci le ragioni, vero Robert?” – nell’affermarlo non fu astioso: la sua compostezza, semmai, poteva suonare irritante, al cuore in tempesta, che Downey si sentì scalpitare nel petto.

“Siamo alle solite, tu decidi per il prossimo, ma, almeno con me, credevo fosse diverso!” – si difese, provando vergogna, perché ogni fibra di lui, si sentiva già tornata tra le braccia di Jude.

“Questo è un gioco pericoloso, per te, Robert: non rimetterci in dignità, pensando di alleviare la mia disperazione nell’averti perduto nuovamente, ok?”

“Io … Io non so cosa …”

“Non prendiamoci in giro … NO, tu, non farlo: io non lo permetterò, perché non voglio disprezzarti un giorno”

“Mi stai mettendo all’angolo e”

“No, sbagli di nuovo: ti sto aprendo il varco, attraverso il quale tornerai libero Robert” – e scosse il capo appesantito dall’emicrania – “… Ho lottato a sufficienza e non voglio sentirmi oltre modo patetico … Anzi, peggio, ridicolo, non me lo merito, tu non fai che ripeterlo, giusto?”

Downey siglò feroce le carte del divorzio, poi passò a quelle riguardanti Pepe e scoppiò a piangere: su entrambi i fogli, la firma di Glam era già stata fatta.

Nero su bianco.

“Spiegherò io a Peter cosa è accaduto tra noi, sei d’accordo Rob?” – il suo tono si incrinò, ma di dolcezza.

“So assumermi responsabilità come queste, del resto ci sono già passato con Camilla e Diamond, prima di sposarti o l’hai dimenticato Glam?!” – ruggì affranto.

“Io non mi dimenticherò, MAI, di te” – e si sollevò, ritirando i documenti, per poi riporli in cassaforte, dove si intravedeva la sua pistola, parecchi contanti e gli scrigni, dove un tempo l’avvocato custodiva le fedi nuziali, usate poi per unirsi a Downey, ma anche il ciondolo, che Jared gli donò, molto tempo prima, con l’emblema dei Mars.

Robert sapeva che Geffen l’aveva conservato, senza mai rimproverarlo per questo.

Ora l’artista si stava chiedendo quanto Leto avesse interferito nelle scelte del suo ormai prossimo ex marito.
Una domanda, alla quale avrebbe avuto presto risposta.
Forse.




Rossi si guardò la punta delle scarpe, scorgendo poi un’ombra avvicinarsi.

Era Kurt, con due bicchieri di carta, giganteschi e colorati, tenuti saldi tra le sue dita affusolate.

“Ho preso un caffè ed una tisana, cosa preferisci Dave?” – domandò gentile e premuroso, come al solito.

Soprattutto in quell’occasione speciale.

Erano in attesa dell’infermiera, che li avrebbe scortati al reparto donatori: insieme al compagno, il veterano FBI, aveva deciso di avere un figlio da utero in affitto, per dare un fratellino oppure una sorellina a Martin.

L’uomo nutriva ancora delle perplessità, ma il sorriso tenero ed amorevole di Kurt, riusciva a dissiparle quasi completamente.

“Berrò la tisana, grazie”

“Ok, abbiamo ancora cinque minuti, poi l’arpia sbucherà da quel corridoio” – rise.

“E’ sempre la stessa?”

“Direi di sì, l’ho intravista alla reception a raccogliere le cartelle dei prelievi odierni … Figurati se non mi lancerà qualche battutina” – scherzò il più giovane.

Dopo un quarto d’ora, senza particolari convenevoli con Miss. Loasting, la coppia venne fatta accomodare in un salottino.

“Ehi, le cose sono cambiate qui, in compenso … Molto intimo, l’altra volta eravamo chiusi in uno sgabuzzino, sai Dave?”

“Tu e … Jared?”

Kurt avvampò, annuendo sincero, come lo era stato dal principio con Rossi, che lo avvolse amorevole – “E Martin è stato il dono di quel giorno, vero?” – gli chiese pacato ed adorabile.

Si baciarono.
Intensi.

“Posso accarezzarti David …?”

“Non chiedo di meglio … Siamo tu ed io a volere concepire questo bimbo, non userò di sicuro quei dvd sullo scaffale per … inspirarmi” – ormai si era rilassato o semplicemente abituato all’idea.

La madre surrogato sarebbe stata quella di Martin: la legge non lo impediva e lei era diventata una splendida trentacinquenne, in piena forma, con due lauree all’attivo ed un’indipendenza economica invidiabile, anche per quella sua particolare attività.

Dave e Kurt lo avevano spiegato a Martin e lui ne fu estremamente felice.

Tutto sembrò perfetto, durante quella vigilia di Natale imminente.
Almeno per loro.




Niall sgranò i suoi cieli limpidi su Geffen, che gli aveva appena spalancato la blindata, dopo essere stato avvisato da Vas all’ingresso.

“Ciao Glam! Sto seguendo una raccolta fondi per l’orfanotrofio di Miss. Gramble e tu sei papabile per diventarne il migliore contribuente, non trovi?”

La sua risata era contagiosa, anche per il legale, con il morale sotto ai piedi.

“Sì, ci mancherebbe, dai vieni, eravamo in partenza, ci hai beccati per un soffio”

“Wow che bello questo posto …” – osservò incantato il ragazzino, seguendolo nello studio al piano terreno.

Glam riguadagnò la postazione, dalla quale aveva da poco affrontato Robert, armeggiando con una custodia in pelle.

“Un assegno andrà bene?” – chiese un po’ scosso, provando a dominarsi.

Horan lo scrutò – “Sì, posso accettare solo quelli … Tutto ok Glam? Sei pallido”

“Ho avuto un pessimo pomeriggio …” – e si ossigenò, versandosi dell’acqua.

Le mani gli stavano tremando.

“Aspetta, faccio io …”

“Ti ringrazio Niall … Abbi pazienza, metti tu la cifra, è già siglato”

“Ma non … Ok, dimmela tu” – sorrise.

“Il record attuale quale sarebbe?”

“Cinquemila …”

“Allora facciamo dieci, forse qualcuno si sentirà di superarmi ed avrete raccolto un bel gruzzolo, no?”

“Certo, come vuoi tu Glam … Andate dove?”

“Accompagno Robert da” – e si bloccò – “Facciamo visita ai suoi figli in Gran Bretagna, ecco”

“Anche Mark vorrebbe andarci, magari per il viaggio di nozze, al quattordici di febbraio” – rivelò.

“Fantastico … Cosa vorresti, come regalo?”

“Un bambino” – replicò schietto – “Bello, simpatico ed affettuoso come Pepe, ma sto diventando un disco rotto, Louis lo dice sempre!” – e rise affabile.

“Qualcosa di più semplice, alla mia … portata?” – Geffen sorrise, analizzando le sue espressioni, la sua spontaneità, che gli ricordavano quelle di Tom.

“Forse faremo una lista, ma tu ci hai già dato tanto, a me poi … A proposito spero che la nostra cerimonia non finisca come la vostra, tua e di Rob!”

“Io vi auguro che il vostro matrimonio non  finisca  come il nostro” – e gli tremarono le iridi.

Horan arrossì imbarazzato.

Aveva capito il volo, ciò che Geffen intendeva.

“Dio, ma quando Glam …?” – quasi sussurrò.

“Oggi … direi oggi … No, ma anche prima …” – e si strofinò la faccia stanca.

Peter irruppe in quell’istante.

“Zio Niall!!”

“Ciao cucciolo, come sei elegante, fatti vedere!” – e lo sollevò, solare, mescolando la propria risata a quella di Pepe.

Erano belli insieme.

“I vestiti me li ha presi papi Rob!”

Downey si unì a loro in silenzio, salutando appena Horan, che notò il suo colorito spento, ma non il suo sguardo, nascosto sotto alle lenti scure dei Ray-Ban.

“Glam noi siamo pronti, ti aspettiamo in auto con Vas?” – domandò lieve e colpevole.

“Sì, vi raggiungo tra un minuto … Pepe saluta Niall, avanti”

“Ciao zio, ci vediamo presto, io vado in vacanza con i miei papà!”

“Divertitevi peste” – e lo baciò tra i capelli corvini, spiando Glam, che avrebbe voluto sprofondare.




Le nuove tecnologie esponevano i personaggi famosi, ad un cannibalismo mediatico, spesso asfissiante.

Nonostante l’area privata del Lax, riservata ai jet come quello di Geffen, numerose immagini furono divulgate on line, sui siti di gossip più odiosi ed anche beceri.

Law fece scorrere sul tablet gli scatti di un “Downey piuttosto emaciato, per non dire con un’aria da funerale, almeno quanto quella del suo amato e recente sposo, Glam Geffen, il che vorrà dire aria di crisi, gente?!” – recitava una delle didascalie meno impietose.

Lo scambio di sms, tra l’inglese e l’americano, che ne seguì, fu serrato, oltre che fuori luogo.

§ Che succede amore? §

§ Jude sei l’ultima persona, con cui ho voglia di conversare ora, lasciami in pace! §

§ Te lo richiedo, cosa è successo, cazzo Rob!?! §

§ SECONDO TE??! §

§ Avete litigato, credo … §

§ No, non direi: abbiamo firmato per il divorzio e per l’adozione di Pepe, anzi, io l’ho fatto, perché Glam aveva già provveduto §

§ Dio mio Robert, sarai sconvolto … §

§ Sono amareggiato ed a confidarmi con te, ora, direi che la mia stronzaggine è giunta a livelli di guardia, quindi chiudiamola qui, ok?! §

§ Scusami, io non volevo disturbarti, ero preoccupato per te, dopo avere visto certi servizi in rete, sulla vostra partenza … Scusami, davvero Robert §

§ Jude … §

§ Non vedo l’ora di riabbracciarti, lo sto facendo anche in questo momento, anche se so di non bastarti, per quanto stai male … Ti voglio bene, a presto. Tuo JL §

Downey spense il cellulare, ormai erano oltre le nubi.

Quelle su Los Angeles, infuocate da un tramonto mozzafiato, mentre quelle in arrivo, verso l’Europa, si addensavano minacciose e buie, sul futuro di molti.




Mark lo cinse da dietro, mentre Niall stava tagliando l’insalata.

“Ho quasi fatto …” – mormorò il giovane, tamponandosi con il gomito la guancia sinistra umida.

“Tesoro, ma stai piangendo … ehi” – Ruffalo lo voltò a sé, con delicatezza e stupore – “Qualcosa non va?” – e gli sorrise protettivo.

“Ho … Ho avuto dei dubbi, oggi …”

“Dubbi Niall? … Su di noi …?” – chiese già con il cuore in gola.

Horan fece segno di no, con il capo biondo e spettinato.

“Sull’adozione … Visto come è andata per Rob e Glam, con Pepe”

“In che senso?”

“Si sono divisi ed avevano appena accolto, anche legalmente il piccolo, nella loro famiglia …” – ed iniziò a piangere.

Ruffalo lo strinse forte a sé: il rammarico, che aveva letto negli occhi del suo acerbo fidanzato, era come un macigno, che lui doveva immediatamente mandare in frantumi.

Mai, come in quell’attimo, Mark si sentì in grado di farlo, consapevole di un qualcosa, che lo stava pervadendo, in modo meraviglioso.

Il docente gli raccolse le gote, con i palmi caldi e speziati di dopo barba, un aroma, che tracciava il confine tra la gioventù di Niall e la sua maturità.

“Ascoltami bene, ok? TU sei l’unico ad avere diritto di diventare padre, tra tutti coloro i quali ho conosciuto e che, lo ammetto, si sono rivelati a volte superficiali o incauti o sognatori, in buona fede certo, ma NESSUNO è come sei tu Niall” – dichiarò convinto.

“Mark io”

“Spero che mi onorerai di realizzare questo progetto con te, nei tempi e modi giusti, perché sei in gamba e sei così straordinario, che i tuoi figli, i NOSTRI figli, vedranno in te una luce, che non li farà sentire mai smarriti. MAI!”

Un bacio sancì quella sensazione unica e totalizzante, che li rimescolò simbiotici, ancora una volta.

La migliore.







venerdì 23 gennaio 2015

LIFE - CAPITOLO N. 84

Capitolo n. 84 – life



L’alba su Los Angeles lo stava accecando, sulla via di casa.

Vassilly guidava il primo hummer, mentre sul secondo c’erano Peter, con Kevin, Tim e Layla, diretti alla Joy’s House, mentre Geffen proseguì verso Malibu.

Glam controllò i messaggi sul palmare, notando alcuni sms di Jared, tra cui la mappa per raggiungere l’indirizzo, per il loro appuntamento a Londra.

Evitò di dargli risposte, almeno non nell’immediato.

Appena varcata la soglia, l’avvocato posò il trolley nell’ingresso, stancamente.

C’era un silenzio ovattato, tra i bagliori delle luminarie accese un po’ ovunque ed allestite da Downey con l’aiuto di Pepe.

Il bimbo era nel mondo dei sogni e Glam passò da lui, unicamente per controllare che stesse bene.
Gli rimboccò le coperte e Pepe si raggomitolò, sussurrando un “… ciao papà”, ancora troppo addormentato per aprire gli occhi su di lui, che lo stava guardando amorevole.

“Dormi cucciolo, ci vediamo a colazione …” – disse piano, l’uomo, dandogli una carezza tra i riccioli scuri.

Anche Downey si era assopito pesantemente, forse per il sonnifero, dimenticato sul comodino, che Geffen ripose nel cassetto, non senza inspirare greve.

Geffen gli si coricò accanto, dopo essersi spogliato completamente: Robert ebbe un sussulto, appena percepì la sua presenza.

Si intrecciò a lui, schiudendo le palpebre tremolanti – “Ciao …”

“Ciao amore, scusami, non volevo svegliarti” – gli mormorò nel collo, posandovi un bacio carico di commozione, che Geffen provò a nascondere, come il suo viso, in quell’incavo profumato.

Robert cercò le sue labbra, fondendole alle proprie e lasciandosi togliere il poco che aveva, a rivestire quel corpo proporzionato ed incantevole, di cui ben presto il consorte si impossessò, con cautela e passione, in una lotta di sensazioni vivide ed assolute.

L’attore gemette ad ogni affondo, non senza guardarlo, per fargli capire che era con lui che stava facendo l’amore e non con chissà quale fantasma.

Lo stesso, che però, lo stava nuovamente derubando di quella creatura speciale, incredibile, che era Robert Downey Jr.




Mark lo aspettò rannicchiato sullo zerbino, antistante l’entrata del suo studio.

Laurie sorrise – “Ehi, ma da quanto sei qui?”

“Dieci minuti” – replicò Ruffalo, sollevandosi, per poi spazzolarsi i pantaloni con i palmi gelati, come le sue chiappe.

“Non potevi sederti sulla panca?” – chiese l’analista, facendogli strada.

“Mi piaceva di più lì e poi non c’era nessuno” – sbuffò, posando due beveroni di caffè sopra la scrivania di Brendan.

“E quelli?”

“Per cominciare bene la giornata!” – bissò più disteso, accomodandosi.

“Grazie … Devo comunque chiederti una cosa, prima di cominciare Mark”

“Ti ascolto” – disse sorseggiando la bevanda bollente.

“Vuoi diventare ufficialmente mio paziente oppure hai solo bisogno di una chiacchierata tra amici, anzi, quasi colleghi in pratica?” – domandò garbato.

“Come con Niall? Una spalla su cui piangere?”

“Niall non ha pianto affatto” – rise – “E’ questo che ti ha raccontato? Ne dubito” – e si morse le labbra, lisciandosi mento e baffi.

Ruffalo lo stava scrutando, anche un po’ incuriosito dalle sue reazioni.

Sembrava un duello tra due pistoleri con le stesse chances di uscirne vivi o morti, emotivamente, da quel confronto diretto.

“No, ero io quello a frignare, proprio qui fuori, l’hai dimenticato?” – ribatté calmo.

“Tu eri solo preoccupato per il tuo fidanzato e questo lo capisco, per via di Geffen o meglio di Miller”

“Sì, anche Niall l’ha capito al volo e ci siamo ripromessi di aggiornarci sui nostri spostamenti, senza paranoie: lui sa che sono qui infatti”

“Ok Mark, quindi …?”

“Quindi vorrei entrare in terapia con te, sì, certo, compila pure la cartella” – affermò risoluto.

“D’accordo … I tuoi dati innanzitutto, basta compilare questo modulo, al resto penserò io, devo inserirli nel database, mentre per le nostre conversazioni prenderò appunti a mano: nel caso lo ritenessi necessario e con la tua approvazione, potremmo anche registrare o filmare future sedute”

“In quali casi avviene?”

“Ad esempio con ipnosi regressiva, mi sto specializzando, ho sostenuto anche degli esami, ho un attestato che lo certifica”

“Interessante Brendan … Anche Hugh la fa?

“No, lui ti rincoglionisce direttamente, con il suo sarcasmo acido” – scherzò, un po’ forzato.

“Come mai sei così teso, Brendan?” – e lo spiò di sottecchi, mentre stava scrivendo, in una bella grafia, un po’ della sua vita.

“Chi fa l’analisi a chi?” – e sorrise, recuperando un minimo della propria naturalezza e professionalità.

“Messaggio ricevuto … Sono pronto doc”

“Iniziamo dalla tua scelta di essere qui: vorrei conoscerne la motivazione”

“Niall ed io abbiamo un problema, un punto in cui non riusciamo ad incontrarci, non completamente: i figli”

“Pensavo aveste fatto dei passi avanti”

“Tu sai che non è così, perché Niall ti ha spiegato i suoi dubbi ed i suoi timori, infondati peraltro”

“Ok, lui ha paura di perderti, te l’ha confessato”

“Infatti, non ci sono segreti tra noi, Brendan” – disse con un punto di orgoglio, che infastidì Laurie, come se le sicurezze di Ruffalo fossero un po’ impertinenti, per quanto inossidabili.

“Allora trovate un punto di incontro, di mezzo, ma impegnandovi reciprocamente con abnegazione e senza poi recriminare un domani, sia che adottiate un bimbo, sia che vi rinunciate”

“Ma questo ferirebbe Niall …”

“Dai per scontato che sarai tu ad avere la meglio?”

“No … NO, non voglio segnare il punto, non me lo perdonerei mai!”

“Dunque cosa pensi di fare, Mark? Essendo il più adulto, tutti si aspetteranno, in prima fila Niall, che sarai tu a trovare una soluzione accettabile, non credi?”

Ruffalo fece un cenno, ossigenandosi – “Vorrei … Vorrei unicamente del tempo, per condividere anche altre esperienze con Niall … Dei viaggi, ad esempio, magari in luoghi dove non andrei mai da solo, ma con lui è diverso, con lui mi sento un leone” – sorrise puro – “… E non potremmo portarci un fagottino al seguito, sarebbe pericoloso”

“Vuoi forse intraprendere un safari in Kenia?” – e rise, un po’ provocatorio.

“Dio, mi sembri Hugh adesso” – sbottò il docente.

“Ma no … Tu sai cosa intendo”

“Non metterei mai in pericolo Niall, in senso generale, penso che si sia capito, almeno questo di me”

“Certo Mark”

“In compenso potremmo visitare paesi stranieri dal fascino misterioso, stimolanti per cultura ed usi differenti dai nostri, è un mio sogno, mai realizzato, però non fossilizzarti su questo, ok?”

“L’importante è che non lo faccia tu, non trovi? Sappiamo bene quanto Niall tenga a diventare genitore, ma sono certo che saprà accondiscendere ad un compromesso più che ragionevole per entrambi”

“E tu ci aiuterai?”

“Non faccio l’intermediario, però sono disponibile ad ascoltarlo nuovamente, anche insieme a te Mark”

“Terapia di coppia?”

“Una specie …” – e chiuse il fascicolo, controllando l’ora – “Tempo scaduto prof … ci vediamo lunedì?”

“Stessa ora?”

“Stessa ora. Ciao Mark, salutami Niall, tanto so che gli racconterai ogni secondo di questa conversazione” – ed ammiccò gradevole, congedandolo.




Robert lo baciò tra le scapole, mentre Glam gli dava le spalle, abbracciato al cuscino e non a lui.

“Ho bisogno di bere” – esordì roco il legale, sedendosi sul bordo.

“Alle nove e trenta di mattina?” – chiese Downey smarrito.

“Sono schiavo delle mie dipendenze a qualsiasi ora, credo tu l’abbia appurato dal mio arrivo” – replicò mentre si vestiva, acido, per poi pentirsene all’istante.

“Non commettere i miei stessi errori, non portano da nessuna parte”

“Cosa intendi dire …?” – quindi capì – “Ti sei sbronzato Robert? Con cosa? E non pensi ai tuoi reni, accidenti!” – si alterò, tornando a sedersi al suo fianco, brandendogli le braccia tatuate e lisce.

Downey posò la fronte sulla sua spalla destra, singhiozzando piano – “Sarò sempre un coglione e questo mi spaventa a morte, sai?”

Geffen lo strinse forte, per poi sobbalzare ad un rumore ed alla vocina di Pepe.

“Ehi siete svegli?” – dopo di che il bimbo si affacciò.

Rob fece appena in tempo a precipitarsi in bagno, chiudendosi a chiave.

“Tesoro su vieni” – Glam gli tese le mani grandi.

Peter corse da lui – “Cos’ha papi Rob, non sta bene?”

“Doveva farsi la doccia …”

“Ah okkei … Papi è un po’ triste, sai?”

“Sì, lo so Pepe” – disse sconfortato.

“Ti sono piaciuti gli addobbi? Gli ho messi con papi Rob!”

“Mi dispiace di non avervi aiutato cucciolo” – e lo avvolse più solido, andando alla finestra.

“Mi ci porti ad Haiti, la prossima volta?”

“No amore, è pericoloso … Ho già perso Lula a Port au Prince e”

Pepe lo fissò, abbarbicato al suo petto – “E’ ancora lì, Lula?”

“No, lo abbiamo spostato qui, sì insomma”

“Nel posto dove si portano i fiori?”

“Esatto” – e gli diede un buffetto.

“Ok, se lo dici tu …” – sembrò assorto, poi si illuminò – “Posso avere il mio latte con i biscotti!?”

“Assolutamente sì … Andiamo, papi Rob scenderà presto …”




Jared si specchiò, seduto ad una toilette del settecento, ultimo acquisto della madre.

Con Farrell, avevano accettato di rimanere da lei un paio di giorni e quella camera per gli ospiti, sembrava destinata ad una principessa delle favole, dagli arredi alla tappezzeria, nei toni del rosa, bianco ed oro, un po’ ovunque.

Si contorse le dita, intrappolate tra le ginocchia nude: aveva addosso solo una tshirt del marito, ancora a letto, per un sonnellino post prandiale, rumoroso e divertente.

Constance ci andava pesante, tra spezie e verdure, anche fritte, per accontentare un minimo i gusti meno vegani del celebre genero.

La sua pasta alle melanzane, poi, era stata un successo anche con Jared, apparso ai commensali molto sereno.

Eamon e Steven erano rimasti nel soggiorno, a giocare a carte, con la madre del cantante, rinunciando a collaudare i numerosi divani di casa, seppure allettanti, con tutti quei cuscini indiani e plaid scozzesi, in un mix multicolore, gioioso e bene assortito.


“Non ne hai” – bofonchiò improvviso l’irlandese, il viso sprofondato nel guanciale.

“Cosa?” – Jared rise.

“Rughe!” – rise anche il moro, stiracchiandosi – “Vieni qui …” – lo invitò sornione.

Un jingle si intromise tra loro.

Leto inarcò un sopracciglio – “Nel 2022 solo tu usi ancora WhatsApp! Mai sopportata quell’applicazione” – e fece una smorfia, tornando sulla trapunta.

“E’ Jude! Lui e Taylor sono arrivati, un secondo che gli rispondo e … poi mi occupo di te!” – sogghignò.

“Uh che onore, Jude viene prima di me!”

Colin lo sbirciò suadente – “Non dire certe cose, potrei anche eccitarmi” – poi scoppiò a ridere come un ragazzino.

In fondo Farrell non aveva mai smesso di esserlo, almeno in minima parte, pensò Jared.
Mai lo avrebbe visto come un padre.

Come accadeva con Geffen.

Un pensiero affettuoso volò a lui, dal cuore di Jared, al di là dell’oceano, un pensiero senza voce, ma in compenso una miriade di immagini, che, affollandosi nella mente del leader dei Mars, lo distrassero per un frammento di tempo indefinibile, da ciò che stava vivendo, nel concreto.

Farrell gli diede una leggera spinta – “Ehi, dove sei ora?”

Leto deglutì a vuoto, guardandolo – “Sono qui, dove se no?”

“Sì, non sei trasparente, lo ammetto” – sorrise, andandogli più vicino possibile, per baciarlo, profondo.

Il corpo di Colin era bollente, dorato e proteso verso qualsiasi cosa avesse desiderato Jared in quell’attimo di loro, quando il mondo restava chiuso fuori, a vagare nella nebbiolina discesa all’improvviso tra le vie di Londra, anche in quel luogo, dove, a breve, qualcuno si sarebbe incontrato.

O ritrovato.