lunedì 26 settembre 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 75

Capitolo n. 75 – nakama



L’Audi sportiva, versione cabrio, tinta blu notte, era come un pugno in un occhio, parcheggiata quasi sul marciapiede, in quel quartiere così distante dalle loro residenze faraoniche.

Colin si guardò in giro, mentre Jude ispezionava l’auto, alla ricerca di chissà cosa.

Poche ore prima, sul sedile, lato passeggero, Jesse si era goduto l’ultima brezza tiepida di settembre, correndo verso un’alba, dove si sarebbe ritrovato tra le braccia di Robert, come se il sogno, si materializzasse, dopo avergli dormito profondamente sul petto, sino a quell’istante, in cui, adesso, si stavano scrutando, ignari di quanto avvenisse fuori il cottage di Pinkman.

Downey si stiracchiò, dandogli un bacio sul naso e poi sui capezzoli, con un ardore, che stupì lui, per primo.

Il giovane, si sarebbe lasciato fare di tutto.
C’era abituato.
In fondo.
Per altre ragioni.

Il bussare vigoroso di Law, li interruppe bruscamente.

“Aspetti qualcuno?” – chiese l’attore, con uno strano presentimento, nel cuore ferito.

“No, affatto” – e anche lo studente si erse, stranito – “Qui non viene mai nessuno” – ma non era del tutto vero.

Robert indossò boxer e t-shirt, così Jesse, prendendo in prestito, per coprirsi il busto, la camicia dell’altro.

“Vado a vedere chi è, tu resta qui, ok?” – disse con un sorriso simpatico, prima di uscire dalla stanza, attraversare il corridoio stretto e il salotto, sino alla porta, che Jude aveva voglia di sfondare.

Quando se lo ritrovò davanti, l’inglese ebbe un sussulto: i suoi opali caddero sulle iniziali ricamate sul taschino, RDJ, per poi puntare i fanali liquidi del ragazzo, che poteva essere suo figlio.

Così di Robert.

Law deglutì, mentre Colin non sapeva più dove guardare, presagendo la conclusione di quella ricerca.

“Salve …” – li salutò teso Jesse.

“Buongiorno, noi stiamo cercando un nostro amico” – replicò Farrell, in imbarazzo.

“Mio marito, stiamo, STO cercando MIO MARITO!” – il più noto metrosexual del grande schermo, esplose.

Pinkman annuì – “Vi … vi ho riconosciuti, certo, cavoli, come non potrei farlo, ecco” – balbettò, senza muoversi.

Downey si palesò, ormai quasi rivestito, tranne che per quella casacca, dono del consorte.

“Ciao Jude”

“Robert …”

“Stai svegliando tutto il vicinato, non fare scenate” – gli intimò, ma senza alzare la voce.

Colin sbuffò, scambiando un’occhiata veloce con Jesse, ormai paonazzo.

“Dovresti metterti qualcosa addosso o prenderai freddo” – gli mormorò paterno Downey, dopo avergli sfiorato il fianco sinistro, da dietro, con una carezza, che uccise Law, come mai prima.

La sua reazione fu istintiva e inadeguata: con uno strattone, gettò di lato il giovane, per poi afferrare Robert per le spalle.
Infantile.
Disperato.

“Ora tu vieni a casa con me, dai nostri figli, hai capito?!” – urlò al vento.

“Scordatelo!” – tuonò il moro, divincolandosi, mentre l’irlandese, provava a separarli.

Inutilmente.

Jesse provò ad aiutare Robert, ricevendo un sonoro pugno sul naso, dal compagno di quest’ultimo, che non esitò a soccorrerlo.

“Vattene Jude, vattene subito, se non vuoi che chiami la polizia!”

“Robert …”

“Glam …?!”

La comparsa di Geffen, sembrò calmare gli animi, forse intimorendoli, con la sua presenza inattesa.

L’avvocato si inginocchiò, tamponando il naso di Pinkman con un fazzoletto candido – “Non è nulla” – sorrise bonario – “… in compenso, voi due” – e guardò entrambi, fermandosi sul viso stravolto di Law – “dovete avere perso la testa sul serio, per ridurvi così”

“Non sono affari tuoi, cerca di stare da parte, una volta tanto!” – lo zittì il britannico.

Colin prese dell’acqua, porgendola a Jesse, che non si sarebbe mai aspettato quelle gentilezze, da parte di Farrell e Geffen.

Questi, dopo essersi rialzato, compose un numero sul cellulare – “Chiamo Vas, così vi porta a casa tutti, sani e salvi”

“No” – affermò asciutto Downey, aiutando Pinkman a sollevarsi – “Io rimango qui e voi sì, andatevene pure tutti, ok?” – e fissò Glam, sorpreso sgradevolmente, da quella sua reazione.

Quindi l’uomo li seguì, mentre l’ex scortava quel ragazzino in cucina, per preparargli qualcosa di caldo, per colazione.
Furono i suoi laghi di pece, colmi di tenerezza, per quella creatura spaventata, a colpire Geffen.

In silenzio, tolse il disturbo.

Jude e Colin, fecero altrettanto, a testa bassa.

“Hai la coda di paglia?” – chiese Irish buddy, mettendo in moto il suv, con il quale erano arrivati lì.

“Co cosa?” – esitò nei toni, il suo interlocutore, mentre con le maniche lunghe del pullover, si tamponava gli zigomi accesi, di lacrime e vergogna.

“Chi ti sei scopato stavolta, Jude?” – insistette più aspro il suo migliore amico, fermandosi ad un semaforo.

“Taylor” – ammise, stremato, appoggiando la tempia destra al finestrino gelido.

Farrell inspirò greve, ripartendo – “Bene … Bella mossa, davvero” – e aveva voglia unicamente di tornare da Jared, ma il cantante era in viaggio verso Palm Springs, per prendere Syria e portarla da loro per il fine settimana.

Sarebbe tornato per ora di pranzo, giusto in tempo per affrontare, accanto al coniuge, un’altra grana familiare, sulla quale Colin stava rimuginando da ore.




La culla era di quelle acquistate in Africa, durante uno degli ultimi viaggi dei coniugi Farrell Leto; era stata intrecciata da una tribù, alla quale gli artisti donarono un ospedale da campo e una scuola elementare.

In che modo finì alla villa sull’oceano, nessuno lo ricordava, ma a Syria, dormirci dentro, sembrava piacere un sacco, osservò il leader dei Mars, seduto a gambe incrociate, in fondo al letto di Geffen, che si stava rilassando, dopo una lunga doccia, avvolto in un telo bianco, dal bacino in giù, sino alle caviglie, che il secondo papà della bimba, stava massaggiando, divertito.

“Riflessologia plantare, ho fatto un corso, sai Glam, perché mi annoiavo” – e rise solare.

Era bellissimo, come sempre.

“Sei bravo … Diplomato a pieni voti, scommetto” – bissò spento il legale dei vip.

“Ehi che ti prende? Forse dovrei farti il solletico”

“No, non servirebbe … Ho fatto un viaggio a vuoto in periferia”

“Problemi con la sede di raccolta fondi?” – domandò partecipe Leto.

“Assolutamente no Jay, si tratta di … Ma lasciamo perdere” – sbuffò, tornando a posizionare i massicci bicipiti sotto al cuscino, serrando le palpebre, sul volto abbronzato.

“Mi hai incuriosito … Anche Cole è sparito poco dopo l’alba, per andare in soccorso a Jude: è di Robert, che stiamo parlando?”

Geffen riaprì gli occhi, cercando le parole adatte.

Ancora si preoccupava delle reazioni di Jared, su certi argomenti.

“Temo che Watson si sia lasciato andare con il fidanzato di Richard, in pratica il mio futuro genero, Taylor, capisci?”

“Oh miseria”

“Ma non è finita: Rob ha pagato con la stessa moneta, questo tradimento, rimorchiando un poppante chissà dove, ieri sera, dopo la cena dei cretini a villa Meliti, concludendo la sua notte brava, tra le gambe striminzite di quell’adolescente!”

Leto inarcò il sopracciglio destro, gli zaffiri vividi e puntati su Geffen, che provò a ironizzare sulla vicenda.

“E tu come fai a sapere che sono striminzite?” – tanto valeva stare al gioco, alleggerendo l’atmosfera tra loro.

“Lo so perché sono piombato sulla scena del delitto, come un perfetto idiota, dopo avere dato le coordinate satellitari, ai due novelli Gianni e Pinotto, sulle tracce di Holmes”

“Ti ricordo che o Gianni o Pinotto, io l’ho sposato, per la decima volta!” – e scoppiò a ridere.

Glam azzerò la distanza, investendo con il suo buon profumo, i sensi di Leto, che perse un battito.

“Quello che mi ha turbato, è stato come Robert guardava quel tizio … Che poi è carino, quasi buffo, mentre Jude provava a gonfiarlo di botte …”

“Spero non sia accaduto niente di ciò!” – ribatté più serio il front man.

“Ma no, una baruffa innocua, giusto un’ammaccatura al setto nasale”

“Dovevi fermarli Glam” – quasi lo rimproverò.

I vagiti di Syria posero fine alla conversazione – “E’ l’ora della pappa, ci penso io, tu riposati e lascia Robert al suo destino insieme a Jude: è un consiglio affettuoso il mio, sia chiaro, ok?”

“Come vuoi …”




“E’ tuo padre?”

La foto, sulla quale si soffermò l’attenzione di Downey, era sbiadita dal tempo, nonostante fosse stata incorniciata.

“No”

“In effetti non ti somiglia, Jesse” – e sorrise, gustando un brodoso caffè, che Pinkman si era impegnato a fargli, dimostrando una certa goffaggine.

“E’ il mio prof di Chimica” – rivelò con noncuranza.

Strano, pensò Robert, mai fatto scatti con un docente.

“Sembra burbero”

“Sì lo è, però sa anche essere comprensivo … Persino dolce” – rise vago – “… sforzandosi, certo”

“Come si chiama?”

“Perché ti interessa, Rob?”

“Curiosità”

“Walt … Walter White.”




Alicja ticchettava i minuti di ritardo, con le suole delle scarpe a    suola bassa, sopra al parquet della biblioteca al secondo piano della End House, in attesa di Colin.

In ballo c’era la ridicola, secondo lei, idea di Henry, di andare a convivere con una tipa, una neo punk, genere tornato di gran moda, in un loft a Malibu.

La ragazza aveva persino cinque anni più del loro “erede”, un prezioso veicolo per una carriera, quella della Curus, mai decollata e rovinosamente finita, dopo un matrimonio fallito e la nascita di due gemelli, che le avevano devastato il fisico, con chili mai persi, nonostante diete drastiche e ginnastica da sfinimento.

Farrell sopraggiunse trafelato, salutandola appena, mentre controllava i messaggi sul palmare.

“Eccomi, si può sapere il motivo di tanta urgenza?”

“Ciao Colin” – il suo sorriso, accomodante, non lasciò presagire nulla di buono.

“E’ per nostro figlio, te l’ho scritto nell’e-mail, visto che non rispondi alle mie chiamate” – precisò lei, più acida, adesso.

“Ti riferisci a Henry?” – Farrell non nascose il suo sarcasmo, non ce n’era bisogno.

“Ok, forse l’ho trascurato un minimo in questi anni, però è pure sempre nostro figlio, accidenti!”

Il suo inveire bloccò Jared oltre la soglia, frantumando il suo buon umore, per farlo poi precipitare in odiose memorie.

All’epoca dell’infanzia di Henry, fu estremamente complicato, per lui, entrare nel mondo del piccolo.

Ogni volta che il bimbo tornava dalle visite ad Alicja o dalle vacanze con i nonni materni, era come se Henry si sentisse in colpa, nel volere bene al partner del padre.

Jared doveva ricominciare tutto daccapo, faticosamente.

Era stato umiliante sapere, ben prima, della gravidanza di lei, del tradimento di Colin, del suo estremo tentativo di rinnegare la propria sessualità e l’amore per Leto.

Un periodo, che questi avrebbe voluto farsi cancellare dal cervello, definitivamente.


“Tu sei la mamma biologica, di Henry, su questo non c’è dubbio, Alicja, però siamo Jay ed io, i suoi genitori, ad ogni effetto, anzi, è Jared ad esserlo, più di noi, per ogni volta, che si è sacrificato per ognuno dei NOSTRI figli, SUOI E MIEI! Hai capito?” – ruggì l’ex bad boy di Dublino, con fermezza.

A Leto sembrò di avere il cuore in fiamme.
Dalla gioia.

La Curus gli passò davanti, senza neppure guardarlo, talmente era acciecata dal diverbio appena avuto con Farrell, che, senza darsi troppa pena per questo, si appoggiò alla scrivania, prendendo un lungo respiro.

“Cole”

“Amore … Ehi, non sapevo fossi già arrivato” – e si illuminò, nella maniera, in cui, esclusivamente Jared rendeva possibile.

Jared che si appese al suo collo, iniziando a piangere sommessamente.

Senza mai smettere di sorridere.







Bryan Cranston è Walter White 










giovedì 22 settembre 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 74

Capitolo n. 74 – nakama



Geffen li vide discutere, a metà del viale, mentre se ne stava affacciato da un balcone, a Villa Meliti.

A cena, la tensione fu palpabile, oltre ad una vaga isteria, nell’interagire di Robert, che continuò a trangugiare vino, mentre Jude fece altrettanto, ma con della semplice acqua.

Il resto degli invitati non ci faceva quasi più caso, ai loro battibecchi, spesso simpatici o alle crisi passeggere, dovute, più che altro, alla semplice paura di perdersi.

Eppure Downey, era apparso, soprattutto agli occhi dell’avvocato, oltre modo stanco, di qualcosa, che non riusciva neppure a esprimere.

Il figlio di Glam, Richard, era, al contrario, in vena di effusioni a tavola, accanto al “suo” Taylor, non così a proprio agio, come in precedenti occasioni.

Geffen non poteva crederci, anche se gli era sorto un legittimo sospetto: ora doveva decidere, se intromettersi o meno.





Il bicchiere, adesso, mezzo vuoto, sapeva di desolazione, oltre che di ottimo brandy.

Downey strizzò le palpebre, brandendo il vetro gelido, mentre se ne stava seduto ad un tavolo appartato, del Dark Blue.

Brent lo stava tenendo d’occhio da un pezzo, non senza dire ad uno dei suoi camerieri di non portare più nulla, al celebre interprete, che non fosse meno di tre gradi alcolici.

Infine, il marito di Brendan Laurie, azzerò la distanza, accomodandosi, con educazione.

“Ehi Rob, ciao …” – gli sorrise, innocente e puro.

“Ehi ciao …” – disse lui, senza alzare i fanali di pece, da quel cristallo prezioso.

“Se vuoi me ne vado”

“No Brent, resta” – e sorrise, guardandolo.

Louis, preso il posto del fratello, al bancone centrale, scambiò con Tomlinson jr un paio di occhiate esaustive.


“Giornata storta?”

“Abbastanza … Tu come stai? E Brendan?”

“Tutto a posto” – si illuminò – “… stiamo pensando ad un’adozione, sai?” – finì per rivelargli.

Downey trattenne come una risatina sfacciata, inspirando, fino a risucchiare narici e labbra.

“Fatelo pure, ma solo se siete certi di donare serenità ai vostri figli: perché poi loro soffrono, se le cose vanno storte, credimi” – affermò serio.

“Lo posso immaginare, Boo ed io ne sappiamo qualcosa, purtroppo” – bissò turbato.

Quindi un’ombra si stagliò sul tavolo, frapponendosi tra loro e una delle lampade del locale.

“Buonasera”

La voce di Glam fu rassicurante e calda, quasi capace, di fargli credere, che tutto potesse risolversi.

Il legale e Brent, quasi si diedero il cambio, nel confortare colui che Geffen, avrebbe definito a oltranza, come una creatura speciale ed unica.

“Chi si vede … Mi hai seguito?” – domandò Robert, finendo il suo liquore ambrato.

“Più o meno … Anzi, ho la presunzione di sapere sempre dove sei, Rob” – replicò pacato.

“Quello è Lula …”

“Hai ragione, in effetti io so sempre come ti senti, ad essere sinceri” – e ordinò del caffè.

“Sincerità … Parola in disuso, anzi, buona maniera perduta” – ridacchiò alienato.

“Bevi questo”

“No, Dio, mi dà la nausea Glam, fallo portare via!” – disse tappandosi il naso, con il palmo sinistro aperto.

Era senza fede nuziale.

Downey si accorse, che Glam lo aveva notato.

“Nove mesi fa abbiamo rinnovato i voti, le promesse, no? Ora abbiamo partorito l’ennesimo schifo” – sbottò, chiedendo una tonica.

“Cosa è successo con Jude?”

“Non lo so, non conosco i particolari, ma so che mi ha tradito, ok?”

“Forse non scherzavi, quando dicevi di essere paranoico” – Geffen sorrise, prendendogli i polsi, con delicatezza.

“Ora ascoltami, Robert, tu dovresti sapere, che per un ex alcolista, è pericoloso anche un unico sorso di questo veleno”

“Cazzo, la predica no, risparmiamela, ok?” – reagì con più cattiveria.

“Senza contare i problemi di salute, che hai avuto in passato” – l’ex provò ad insistere, ma una telefonata li interruppe.

“E” Pam, perdonami, devo rispondere Rob …” – e si allontanò.

“Ma certo che ti perdono” – disse l’altro, in un soffio, come rassegnato, tornando a fissare il ripiano del tavolo.

Un aroma di buono, investì quindi le sue narici, intossicate dal cognac.

Un avventore, aveva preso coraggio, ma lui non poteva saperlo; non ancora.

“Forse non dovrei, ma se solo potesse farmi un autografo, Mr. Downey”

Il tono era acerbo, così il suo aspetto.

Robert lo scrutò, risalendo dal bacino stretto del ragazzo, sino ai suoi occhi puliti.

“Come ti chiami?” – domandò incolore.

“Jesse …”

“Jesse e poi?”

“Jesse Pinkman … La seguo da sempre, conosco a memoria quasi tutti i suoi copioni, ecco”

Downey sorrise, scuotendo un minimo il capo ben pettinato – “Fai l’attore anche tu?”

“No, studio Chimica”

“Siediti, vuoi?”

“Certo, grazie!” – rispose entusiasta, ma attento a non fare qualche pasticcio.

Aveva il terrore di rovinare quel momento.

“Quanti anni hai?”

“Ventidue …” – e gli sembrò inverosimile, che una celebrità del genere, potesse dimostrare un minimo di curiosità verso la sua persona.

Robert, in realtà, si sentì come un lupo, che da un’altura, aveva puntato un agnello.
Eppure, lui, non era così.

Quando Glam tornò a cercarlo, non trovò più nessuno.




Alla fine l’amore lo fecero, dopo che Norman gli tolse quel ridicolo pigiama da ospedale, come, se in realtà, fossero malati entrambi, di un germe insano, fatto di insicurezze e gelosia.

Paul aveva sfebbrato, era marcio di sudore e Reedus lo lavò, lo accudì, riportandolo, tra quelle lenzuola prese al discount, perché, nonostante il figlio del giudice Nelson, fosse ricchissimo, il suo modo di vivere trasandato, gli era rimasto appiccicato addosso.

Idem la voglia di farsi di crack, adesso, che Norman si spingeva in lui, aggrovigliato a quel corpo esile, inerme, passivo.

Come quando era JD a farlo, non senza avergli passato gratuitamente la roba in cella “… ti faccio contento e poi tu farai lo stesso con zio Morgan, ok ragazzino?”

Il ricordo della sua voce lo fece sobbalzare, spalancare le palpebre, come se un coltello gli avesse bucato il cuore.
Come se JD fosse lì con loro.
Tra loro.

Le pareti della stanza tremarono, nei suoi topazi gocciolanti.
Pioveva dolore e piacere, in quell’istante, dentro di lui.
Oltre lui.
Nel buio, più assoluto.




Le sue iridi, colme di gioia e lussuria, Robert non le avrebbe dimenticate mai.

Jesse era stato generoso e disinvolto, nel portarselo a casa, come se non stesse capitando a lui, quell’incredibile avventura.

Un cottage modesto, di quelli tutti uguali, in un quartiere lungo la costa, piuttosto periferico, dove il sisma, però, aveva fatto pochi danni.

La struttura prefabbricata aveva retto bene alle scosse, del resto, quel luogo, sembrava già un campo profughi.

Panni stesi in minuscoli giardini, alcuni in ordine, altri no, tra giocattoli e ferraglia di recupero, forse da sciacalli improvvisati.

I dettagli dell’ambiente circostante, Downey non li notò affatto.
Arredi al minimo sindacale, avrebbe detto Jude, ma puliti.
Jesse ci teneva, sognando di avere un loft in pieno centro, un giorno, quando si sarebbe laureato a pieni voti e, con un master, sarebbe entrato nel laboratorio di qualche multinazionale.

Sogni …

Il più inatteso, era in corso, anche se il giovane lo stava guardando, per davvero, respirargli nella bocca, mentre Robert veniva, muovendosi a scatti, sul finire di un prolungato amplesso, tra le sue gambe, ansimando e deglutendo, fissando Jesse, come una cosa bella.

Come la primavera.




 Special Guest Aaron Paul, omaggio a Jesse Pinkman di The breaking bad






RDJ

 Brent Tomlinson jr




venerdì 16 settembre 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 73

Capitolo n. 73 - nakama




Paul infilò i vestiti in lavatrice, velocemente, anche i sandali da monaco hippie, ancora in accappatoio, dopo una seconda doccia, durante la quale si era persino tagliato un centimetro di capelli, senza saperne neppure il perché.
Ci sentiva l’odore di JD.
Del suo maledetto tabacco.

“Cosa fai, cancelli le tracce?”

La voce di Norman lo trafisse, più di quanto non avesse fatto Morgan, in quella mezz’ora passata con lui, a fare cigolare un vecchio materasse, che se solo avesse potuto parlare …

Così avrebbe dovuto fare lui, adesso.

Reedus scoppiò a ridere – “Ti sei dimenticato i boxer” – e glieli tirò, dopo averli raccolti in bagno.

Rovia prima sbiancò, poi arrossì, alzandosi di scatto, da quella posizione genuflessa, davanti all’oblò, per trenta, interminabili, secondi.

“C’è ancora troppa polvere in giro, non si può andare in moto” – disse con un sorriso di circostanza, capendo di non essere stato scoperto.

Norman gli si avvicinò – “Ehi scricciolo … Hai presente quei film porno di quinta categoria” – e lo sollevò di botto, facendolo sedere sopra all’elettrodomestico ormai avviato – “… dove ci sono certe casalinghe disperate, l’idraulico muscoloso” – e gli leccò il giugolo, in un gesto umido e bollente.

Era di ottimo umore.

Paul, appeso al suo collo, rabbrividì, poi si riaccese, un nodo alla gola, che avrebbe ammazzato chiunque.
Scoppiò a piangere.

“Mio Dio Paul, ehi!” – Reedus gli prese il volto – “Volevo essere spiritoso, ma se ti ho offeso con le mie cazzate”

Il più giovane sorrise, tra le lacrime – “Ma che dici? Sono solo un po’ debole e … E non lo so … Forse sono anche esaurito”

“Forse non ti è passata …” – replicò lui, cupo in viso, adesso.

“No, non ci penso più, ok? E poi nessuno è perfetto” – tirò su dal naso, poi saltò giù dalla Whirpool.




Glam fece roteare Pepe, come un aeroplanino, divertendolo, solare e ristabilito, quasi completamente.

I tutori azzurri e viola, che fasciavano i suoi minuscoli arti inferiori, sarebbero stati rimossi presto.

Downey li stava spiando, immobile, dimenticandosi di respirare.

Infine entrò nella sala dei giochi, di villa Meliti, dove Antonio aveva invitato gran parte del loro clan, per una cena informale.

“Papi Rob!” – esclamò il bimbo, accogliendolo entusiasta, almeno quanto Geffen.

“Ehi tesoro, ciao, bene arrivato, sei solo?” – gli chiese dolce, dandogli un bacio sulla tempia destra, mentre gli passava la loro peste.

“Jude arriva più tardi, è al doppiaggio” – spiegò un po’ teso.

“Ci sono problemi?” – chiese piano il legale, mentre Pepe veniva sistemato su di un tappeto, con un tablet e uno snack.

“Ma no è che io sono … Un po’ paranoico, ecco”

“Su cosa?”

Il moro sospirò, guardando altrove, per un attimo.

Geffen gli sfiorò il mento – “Sfogati o esploderai” – e rise.

Si accomodarono su di un divano – “Ha sempre sette anni meno di me, giusto?” – esordì quasi buffo, come solo lui sapeva essere.

“Sette anni meravigliosi, che, per quanto voglia bene a Jude, lui non eguaglierà mai” – rivelò limpido.

“Tu sei di parte …” – e arrossì.

“Affatto, su vai avanti: qualcuno gli fa la corte?”

“Oh ma sì, la sua collega, la sarta, Judsie piace un sacco alle … come si chiamano?”

“Ehm, vediamo … Hanno due gambe, due cose qui, che piacciono a Lula” – Glam rise più sonoramente.

“Anche a te, se è per questo!”

“Oh Robert, ma per favore … Dio, sei adorabile”

“No, tu lo sei … Anche prima, mentre sbirciavo dietro la tenda, con Peter … Insomma” – e prese fiato, tamburellando, con i palmi aperti, sui jeans modaioli.

“Jude non commetterà più certi errori e tu lo sai, ok?” – proseguì l’ex, con tenerezza.

“So che ne sono geloso marcio … Pensavo di farmi un po’ di botox qui!” – ed indicò gli zigomi.

“Ma sei matto?! Guai a te!”

“Non rientravano nelle clausole del nostro divorzio Glam, le cure estetiche?”

“Se vuoi ti pago un viaggio a Lourdes, visto che sei in vena di farneticazioni” – bissò con un ghigno, poco raccomandabile.

Downey rise, finalmente rilassato.

Geffen lo avvolse – “Ti amo …” – gli mormorò tra le ciocche brizzolate, a occhi chiusi.

L’attore deglutì a vuoto, scrutandolo poi, con quelle iridi immense e fluide, di inchiostro e luce.

“Ti amerò per sempre anch’io, Glam …” – disse in un soffio.

Erano rimaste le parole, tra loro, i battiti del cuore, le carezze e il loro bambino, che li raggiunse gattonando – “I miei super papà!”

“Ehi campione” – Geffen li riaccolse entrambi, nel suo abbraccio caldo, commosso e vibrante di gioia.

Downey non aggiunse altro, se non un bacio, sulle guance di quei tesori, che nessuno gli avrebbe mai portato via.




Taylor gli avvolse il busto da dietro, baciandogli la nuca nuda, così la stempiatura alta, dopo averlo raggiunto sul bordo del letto.

Jude sentì una fitta allo sterno e quel corpo, altrettanto nudo, di Kitsch, adesso, lo stava infastidendo.

A differenza di un’ora prima, quando perdersi, tra le gambe palestrate del collega ed ex compagno, era stato così semplice.

Gli impegni da set, erano oltre modo efficaci, nel dare loro il tempo necessario, per l’ennesima, stupida, follia.

“Devo andare …” – disse roco l’inglese.
Aveva ricominciato a fumare, dopo secoli, all’insaputa di Robert, che non doveva venire a conoscenza neppure di quanto fosse bastardo e irragionevole.

Taylor era come un discorso sospeso, per Jude, ma l’amore di Kitsch, all’epoca, era stato puro.

Ora, con Geffen jr, tutto andava a meraviglia, volevano persino sposarsi.

Law, però, gli era rimasto nel cuore, insieme ad un desiderio di rivalsa, inutile, puerile.

Tra le lenzuola disfatte e imbrattate dal loro passaggio, Law tornò a stendersi – “Mi manca l’aria”

“Cos’hai?” – chiese spaventato l’altro, prendendogli subito dell’acqua.

“E’ il senso di colpa, è questa cosa, che deve finire subito, ok?” – sbottò, trangugiandola, per poi tossire, come un animale ferito.

Taylor abbassò lo sguardo – “Siamo stati bene … invece”

Jude gli si riavvicinò, turbato – “Scusami … Sì, è vero, ma abbiamo sbagliato e siamo impegnati, io sono sposato, cazzo!”

Kitsch annuì, poi prese i jeans, lasciati sulla moquette avorio.

“Forse non siamo poi così felici …” – aggiunse, rivestendosi.

“Io lo sono con Robert, io lo amo e non mi capisco, quando faccio CERTE STRONZATE!” – sbraitò, incurante che qualcuno potesse sentirlo.

“Potresti almeno non rovinare tutto, come sempre?! Non è il caso di farmi CERTE SCENATE!” – si alterò anche Taylor.

Law saltò giù dal materasso, cercando, frenetico, le scarpe e il resto degli indumenti – “Dobbiamo andare dal nonno, c’è la cena, te ne sei dimenticato?”

“Bello cambiare discorso, quando ti fa comodo!”

“Taylor non era mia intenzione litigare, ok?” – si calmò, ossigenandosi, andando infine a stringerlo a sè.

Rimasero zitti, ad ascoltarsi le pulsazioni.
Poi si baciarono.
Volevano solo che accadesse.

Forse per un’ultima volta.





Paul sembrò infagottato, in quel pigiama, comprato chissà dove.
Aveva la febbre.

Norman gli preparò una minestra, mettendo il piatto su di un vassoio, accanto alla sua birra ed un sandwich, pieno zeppo di schifezze.

I fanali tinta cielo di Rovia, si posarono su entrambi, mentre si rannicchiava contro i cuscini, sistematigli alle spalle da Reedus, premuroso e in silenzio, da quando si era messo ai fornelli.

La loro casa sulla spiaggia, quasi completamente in legno, aveva resistito alle scosse, per fortuna.

Rimanere a Palm Springs risultò scomodo, per riavviare l’officina efficacemente.
Il lavoro si stava riprendendo, anche se i soldi erano l’ultimo dei loro pensieri.

Quelli di Paul, tetri e angoscianti.
Il suo malessere, aveva giustificato a pieno il non potere fare l’amore con Norman, come lui desiderava.

Ora, l’ex poliziotto, sembrava un genitore in ansia, più che un amante focoso.

“Ho fatto del mio meglio, Paul” – e abbozzò un sorriso timido, su quel volto particolare e bellissimo.

“Lo fai sempre e non te ne sarò mai abbastanza grato, sai?” – replicò mogio, rimestando la sua brodaglia verdognola.

“Ma che discorsi fai?” – rise complice – “Noi siamo una squadra, no? Ci sosteniamo a vicenda, come tutte le persone che si amano”

“E io ti amo, Norman” – puntualizzò, fissandolo di botto.

Reedus arrise a quelle sue reazioni spontanee – “Lo so … Anch’io ti amo, devi credermi”

“A volte pensi che io non lo faccia?” – domandò assorto.

“No Paul … Certo che no” – e si scolò la Guinness, senza percepirne il sapore.

Era una sorta di battaglia, anzi, di partita a scacchi: era complicato prevedere le mosse di Rovia e Norman non si era mai sentito così a disagio.




Jude porse una rosa rossa a Robert, appena questi si distaccò da lui, dopo avergli dato il benvenuto alla residenza di Antonio.

Erano in fondo al parco, dove gli invitati lasciavano le loro auto, sotto ad un porticato di mattoni e legno massiccio, deserto all’arrivo di Law.

Downey aveva fatto una passeggiata sino a lì, dopo essersi congedato momentaneamente da Glam e Pepe, impaziente di incontrare il coniuge.

L’amore di una vita.


“E’ stupenda, non dovevi Judsie …” – e si emozionò, smarrendosi, poi, nei suoi opali di ghiaccio, scheggiati d’oro, dal riverbero del tramonto.

“Invece sì e tu non sai quanto” – disse perdendo un battito, per poi baciarlo, intenso.

Robert gli scivolò nell’incavo della spalla, come a nascondersi, più che a trovare un rifugio sicuro.

“Piccolo, tutto bene?” – domandò Jude.

Sette anni di meno e continuava a considerarlo in quel modo, come un frutto ancora acerbo.

Quando, al contrario, l’americano si sentiva vecchio e stanco, specialmente di percepire certe sensazioni.

“E’ tutto a posto caro, io ho avuto una giornata un po’ lunga, con Susan e i ragazzi” – si giustificò banalmente.

Law sorrise – “Se posso aiutarti …”

“No e per cosa?” – anche Downey ricambiò quel sorriso.

“Perdonami” – e si morse le labbra, non sapendo più dove mettere le mani – “… a volte mi credo di essere Glam e …”

“Che sciocchezza!” – lo interruppe brusco il più anziano, poi provò a risolvere con noncuranza – “Sono finiti i tempi dell’antagonismo, delle ripicche, ok?”

“Ovvio che sì … Io, comunque, stavo scherzando Rob”

“A me non sembrava … Andiamo? Siamo perennemente in ritardo, dai” – e lo prese per quelle mani, che ora avevano trovato una giusta collocazione.


Forse.