venerdì 27 maggio 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 65

Capitolo n. 65 – nakama



https://www.youtube.com/watch?v=450p7goxZqg


Un’ora prima del sisma …
Residenza Keller-Oxford, Los Feliz


Keller sigillò il trolley, con quel poco, che poteva servirgli durante la settimana in corso.
Il resto della sua roba, sarebbe venuto a prenderlo più avanti.
Un passo alla volta.

“Ma dove stai andando, Arthur: di nuovo a Boston?”
La voce della moglie non lo turbò minimamente.

“No”

“E allora dove?” – rise nervosa, parandosigli davanti.

“Questo è il mio nuovo recapito, oltre allo studio, ovviamente” – e le porse un biglietto da visita.

“Residence Collimer? Malibu … Cosa diavolo ci vai a fare?!” – sbottò, fissandolo.

“Mi ci trasferisco Tania”

“Hai un’altra?”

“No”

“E allora cosa sta succedendo?!”

“Succede che vorrei avere sì un’altra, ma di vita, non certo un’amante”

“Così, di punto in bianco?”

“A essere sinceri, è da un pezzo, che vorrei farlo, ma ho aspettato anche troppo, intimorito dalle conseguenze”

Tania Oxford deglutì a vuoto, accennando un sorriso più accomodante, scarsamente credibile – “Perdonami, ti ho aggredito, ma sono scioccata”

“Non torno indietro, ti farei solo del male e lo farei a me stesso: è già accaduto a sufficienza, credimi” – e se ne andò, senza dare più retta alle sue invettive.




Studio Geffen – Ivory Tower

Louis si ostinava a cercare le sue labbra, per un bacio, mentre Harry lo dominava, allargandogli le gambe esili e spaccandogli il cuore a metà, senza alcun amore.

Fare sesso, era sembrata a Styles, l’unica soluzione per farlo smettere di piangere: era così patetico, irritante, la prova personificata di ogni suo errore, per come non voleva più essere, ma che la natura e ciò che lo legava a Boo, gli urlava dentro ogni notte e ogni maledetto giorno, distante da lui.
Era stata semplicemente una follia, sposare Britney, che lo ubriacava di parole, aspirante modella e attrice, senza alcun talento, affinché Haz la introducesse nel bel mondo, dal quale lui rifuggiva, facendole conoscere almeno Geffen o Lux, ma soprattutto Derado, per avere anche solo una particina, un inizio.
Glielo doveva.
Più di quel figlio, la cui gravidanza, Britney gliela annunciò senza alcuna gioia, ma esclusivamente preoccupazioni per la sua linea e il suo peso, destinati ad esserne compromessi.
Rovinati.

Harry spingeva, senza godere, senza sentirlo, mentre Louis annaspava, sopraffatto da un piacere dilagante, dalla virilità dell’ex, che lo aveva travolto e stravolto, come sempre.

Tutto finì, senza carezze, senza attenzione per Boo, raggomitolatosi, tremante, in posizione fetale, mentre il suo corpo consumato, non smetteva di venire, unicamente tra le sue mani gelide.

Styles esisteva, in quella stanza, ma era come se non ci fosse.

Faceva freddo, nonostante la temperatura esterna toccasse i trentasette gradi e il condizionatore funzionasse male.

Eccolo l’inferno.
Ecco la cenere.
Negli occhi spenti di Louis.
Nel cuore inaridito di Harry.
Com’era stato possibile, ridursi così?

Nessuna risposta.
Solo un fragore.
Improvviso.
Sconosciuto.
Devastante.




Ore 2:34, p.m., Villa Meliti, colline di West Hollywood


Un salto nel vuoto, dal primo piano, tenendosi per mano, Jared insieme a Colin e Glam insieme a Lula.

Un urlo corale, assordante, ai piedi dell’ala est, che stava crollando alle loro spalle, mentre fuggivano verso il centro del parco, dove, per fortuna, tutti gli invitati si erano precedentemente riuniti, in attesa degli sposi, rimasti tra le macerie, all’ingresso dell’abitazione di Antonio.

Tra le colonne, in parte integre, da una cortina di fumo biancastro, sparsosi ovunque, tra fiamme ed alcune esplosioni, degli impianti del gas, spuntò la sagoma di Hemsworth, con in braccio il futuro sposo, ferito alla testa e sanguinante.

“Vi prego aiutatemi!!”

Nel mentre le urla di Robert sembrarono frangersi contro il cervello di Geffen, ancora confuso, ma pronto a soccorrere chi gli stava intorno, come meglio poteva.

Pepe era rimasto imprigionato, sotto la struttura del gazebo, dove si sarebbe svolto il rito nuziale.

“Mio Dio!!”

Glam si precipitò, provando a sollevare i pesanti tubolari in acciaio bianco, incastratisi come un groviglio senza scampo.

“Vas dammi una mano!!”

Il bimbo riprese i sensi, gridando per il dolore alle gambe, presumibilmente fratturate.

“Lula fa qualcosa!” – lo supplicò Downey e soldino abbracciò il fratello, consolandolo e facendolo calmare, con la sua magia, rimasta intatta, dopo il rito in Brasile.

Nel caos più totale, un’ambulanza varcò il cancello della proprietà, chiamata da Scott, fortunatamente illeso, come Mads e Will, che si prodigarono, con la loro esperienza, nel medicare, chi ne avesse bisogno.

Pepe venne portato via, con Tom, seguito da Robert. Jude e Chris, mentre Glam, ripresa lucidità, si attaccò al telefono, per coordinare le operazioni e mettere al sicuro i bambini, prima di ogni altro componente la loro immensa famiglia.

“La casa di Palm Springs è antisismica, dev’essere rimasta in piedi per forza Vas! Prendi il blindato, porta i piccoli e le donne sull’oceano, l’high way è aperta, me l’ha appena confermato Coleman, della stradale, ok?”

“Va bene Glam, provvedo subito, ma voi cosa pensate di fare?!” – chiese concitato, mentre Peter riuniva i bimbi e le madri.

“Vi raggiungeremo al più presto, ma tu organizza un campo base, l’attrezzatura è nel box sulla spiaggia! Pamela!”

“Glam non puoi rimanere qui!”

“Nel bunker ci sono provviste per sei mesi: organizza tu i pasti e cercate di tenerli tranquilli, ok?”

“Bunker, ma quale bunker?!”

“Vas lo sa, segui lui e poi tieni questa amico” – e gli passò una chiave speciale, di quelle a codice – “… è dell’armeria, non esitare a difendere la zona, contro gli sciacalli, d’accordo?”

Il sovietico annuì.
Era arrivato il momento di allontanarsi da quella scena apocalittica.

La città di Los Angeles, sembrò essere stata messa a ferro e fuoco, da un demone, assetato da chissà quale vendetta.




L’Ivory Tower era rimasta miracolosamente intatta, anche se la corrente elettrica era saltata da subito ed una voragine, si era aperta nel parcheggio sottostante, dove Keller parcheggiò il proprio suv, per poi dirigersi verso le uscite di sicurezza e le scale antincendio, lungo le quali decine di persone stavano scendendo, spaventate a morte, ma vive.

Come Harry e Louis.
Quest’ultimo, appena scorse Arthur tra la marea umana, che sembrava defluire verso la salvezza, fece quasi un balzo e gli volò tra le braccia grandi e sicure.

“Tesoro ce l’hai fatta!” – mormorò emozionato l’uomo.

“Anche tu” – disse altrettanto vivido Tomlinson – “… puoi darci un passaggio, anche se non so dove andare?”

“Certo”

“Britney mi ha mandato un sms, con un indirizzo, che non conosco: mi ci portate, vi prego!” – si intromise Styles, in ansia per le sorti della moglie.

E del bambino.

Keller fece un cenno di assenso, così Louis.

“Avanti, muoviamoci!” – li esortò il più anziano.

Le vie si stavano ingolfando di auto in fuga.
Senza una meta precisa.




Sara era in giro per negozi e recuperarla non fu semplice, ma la determinazione di Paul, fece la differenza.

Essere il figlio del defunto giudice Nelson, servì finalmente a qualcosa: grazie ad alcuni contatti, Rovia riuscì a localizzarla e tutti insieme andarono a prenderla.

Bea e Sandra, appena la videro, corsero da lei, dicendole come il fidanzato del loro papà non si fosse arreso, per riportarla da loro.

La ex di Reedus lo ringraziò esitante, mentre saliva in macchina, ammaccata e malconcia.

“Dove possiamo andare?” – chiese Norman, riavviandosi lento, in mezzo ad un traffico assurdo.

“Glam mi ha detto di trasferirci a Palm Springs: ci ospiteranno, ok?”

“Ok amore” – e la sua espressione affettuosa, colorò l’aria di una minima speranza.



https://www.youtube.com/watch?v=lp-EO5I60KA


72 ore dopo … Palm Springs

Il furgone, come ogni giorno, scaricò quella che la stampa locale, definì la squadra d’intervento “all stars”, formata da persone celebri, come Colin, Jared, Robert, Jude e non solo, come Scott, Jimmy, Mads e Will, Arthur e Louis, Harry, Paul e Norman, che non si risparmiarono nell’aiutare la parte più povera della metropoli, dove migliaia di indigenti, versavano in condizioni disperate, dopo il cataclisma.

Il denaro di Antonio e Glam, servì ad installare a tempo di record, decine di mense e ospedali mobili, dove tutti venivano supportati, per tornare anche solo ad una parvenza di normalità.

I benestanti, la crème de la crème di Los Angeles, aveva preferito trasferirsi all’estero o in altri stati, in attesa che qualche ditta specializzata ricostruisse le relative regge, distrutte dal terremoto.


Geffen li stava guardando rientrare, distrutti da una giornata di sicuro estenuante, a breve distanza, da una terrazza, dove Pepe stava giocando con Lula e Jay Jay, che lo spingevano a turno, sulla sua sedia a rotelle multicolore.

Il figlio dell’avvocato e Downey, aveva subito un delicato intervento, ma i medici avevano assicurato loro, che le ossa si sarebbero saldate al meglio, ma serviva pazienza ed una lunga riabilitazione.

Sul volto di Jared, nonostante la stanchezza accumulata, non mancava mai un sorriso, mentre teneva per mano Farrell, come in quel salto.

Era come se non si fossero più lasciati.
E Leto, sembrava rinato, grazie alla generosità e l’abnegazione, che metteva nel servire i pasti, intrattenere gli ospiti ai rifugi con brevi concerti oppure distribuendo giochi e vestiti, ai nuovi orfani, raccolti al centro di Miss. Gramble.

C’era tanto da fare e, nel dramma, tutti si riscoprirono più umani e terreni, distanti anni luce da divismi e copertine patinate.

Come quella di L.A. News, con la quale Geffen imperversò nelle edicole e online, anche durante l’emergenza, ma solo per indicarlo quale benefattore e filantropo senza uguali.

Robert salì da lui, per salutare Pepe e rilassarsi prima della cena, che Pam e Carmela, avevano preparato da ore.

“Se ci sono di nuovo carote bollite al limone, giuro che me ne vado a cercarmi una pizzeria!” – esordì ridendo, alla vista dei suoi cari.

“Ciao Rob, temo di sì” – Geffen rise ed i bimbi esclamarono un “Naaaa!” – assai buffo.

“Ok, mangerei anche una suola di scarpe … Come ti senti oggi?”

“Una favola, non mi vedi?” – il legale allargò le braccia, tenendo d’occhio i movimenti di Jared, fermatosi sulla battigia, a sfidare le onde, in maniera comica e infantile.

“Guarda che Scott me l’ha detto del tuo micro infarto, ok roccia?” – gli bisbigliò simpatico.

“Per affossarmi ce ne vuole uno macro, credevo lo sapessi!” – replicò lui, complice, dandogli poi un bacio sulla tempia destra, prima di sparire.



Colin era a farsi una doccia e Geffen aveva pochi minuti, per potere parlare finalmente con il leader dei Mars.

Aveva rimandato quel momento ad oltranza, ma era inutile, lui voleva scusarsi ad ogni costo.

“Se vuoi ti procuro secchiello e paletta, Jay” – esordì, le pulsazioni a mille, ad un metro da lui, che gli arrise, dandogli il benvenuto.

“Ciao Glam, credevo fossi rimasto alla sede operativa con Chris”

“No, ma lui è là, con Tommy, in effetti”

“Ok … Hai l’aria stanca” – e gli sfiorò lo zigomo, dove quel mercoledì, lo aveva colpito con uno schiaffo, assai difficile da dimenticare per entrambi, come il loro confronto.

“Anche tu sei a pezzi, ma lo nascondi bene, sotto a questa barba lunga, per non parlare dei capelli” – e rise, seppure imbarazzato dalla situazione.

“Ti sei visto allo specchio? Anche tu non scherzi!” – e la sua risata, quella sì, che si librò nell’aria, come un gabbiano, libero e indomabile.

Era bellissimo.

“Jared mi dispiace per” – ma il palmo sinistro di Leto, gli tappò la bocca.

E poi la sua, di bocca, prese il posto della sua, di mano.
Per bruciare ogni respiro di Geffen.
Per ucciderlo ancora una volta.

Che non sarebbe stata mai l’ultima.




Keller insaponò le scapole di Louis, divertito come un adolescente, dal solletico che l’altro gli stava facendo.

Quindi si girò, per incollarsi ad Arthur, in crisi di ossigeno, da quando Boo aveva aperto i getti di acqua e vapore, creando un’atmosfera surreale.

Si lavarono facendosi dei dispetti, mescolati a coccole audaci, il tutto velocemente, per lasciare posto a chi era in attesa per darsi una ripulita.

Si trasferirono quindi su di un balcone laterale, per asciugarsi con l’aria ancora rovente, del tramonto.

Keller amava pettinarlo e vestirlo, senza più chiamarlo Boo.

“Hai parlato con Harry?” – chiese improvviso il più anziano.

“E’ complicato”

“Sì, comprendo …”

Quel recapito, dove lo accompagnarono solerti, il giorno del sisma, era di una clinica privata.
Specializzata in inseminazioni artificiali e interruzioni di gravidanza.

Britney aveva abortito, all’insaputa di Styles.
Per non ingrassare, per non riempirsi di smagliature, per non compromettere la sua carriera.

Se solo fossero arrivati trenta minuti prima, se solo lui ne avesse sospettato le intenzioni, se, se, se …

Anche la ragazza era stata portata lì, aiutava a tenere in ordine, a preparare qualcosa di caldo, era inesperta in tutto e volenterosa esclusivamente nel farsi notare, da chi avesse un conto in banca a parecchi zeri.

Harry l’aveva ufficialmente lasciata, ma per il divorzio non c’era stato ancora modo di perfezionarlo.

Un dettaglio, del quale a Boo, non importava niente.

Assolutamente più niente, adesso.














giovedì 26 maggio 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 64

Capitolo n. 64 – nakama



Bastò una sola occhiata, per farli allontanare dagli studi televisivi, di L.A. News, senza che nessuno badasse loro.

L’assistente alla regia, che Louis aveva puntato, aveva poca esperienza ed era lì per uno stage non pagato.
Molto più interessante cercarsi un angolo tranquillo, dove fare una conoscenza approfondita e fugace, di quel giovane avvenente, che, forse, un tempo era stato anche più bello, di quanto Boo apparisse ora, a chi lo circondava.

Tutti sembravano fantasmi senza nome.
Anche il giovanotto palestrato, che lo aveva piegato e violato, con foga, contro ad un lavello, in una sorta di sgabuzzino.
Un posto squallido, come quanto stava succedendo.

Tutto tremolava intorno, dallo specchio logoro sugli angoli metallizzati e opachi, al cestino stracolmo di salviette usate e stropicciate: buttate via.

Quanto Louis.




“Dov’ero finito?”
Geffen glielo chiese distrattamente, sulla via del ritorno verso Palm Springs.

“Ero andato fuori, a fumare” – rispose Boo, assorto.

Erano soli, sulla fuoriserie dell’avvocato.

“Forse volevi restare in città …”

“No, preferisco così, te l’ho detto Glam” – aggiunse un po’ infastidito.

“Come vanno le cose con Arthur?”

“Quali cose? Scopiamo e basta” – e si accese l’ennesima sigaretta, buttando fuori dal finestrino il fumo, che gli stava irritando gli occhi già lucidi.

“Dovremmo parlarne, invece, sai Boo?”

“Che hai, eh Glam? Il caro JJ ti ha rimproverato? Vuole scegliere lui, per me, chi deve sbattermi o comprarmi regali?” – e rise alienato.
Quella non era di sicuro una Camel.

Geffen si ossigenò – “Jared non centra niente, ok?”

“Allora lasciami in pace e se non vuoi più vedermi, basta dirlo, troverò un’alternativa!” – e si rannicchiò sul sedile, dandogli le spalle, esile e sfinito.

Stava scomparendo.
In ogni senso.

Geffen cambiò direzione, alla prima rotonda.

“Perché torniamo indietro?” – chiese smarrito Tomlinson, rendendosi conto della manovra del suo amante.

“Ho una riunione domani, l’avevo scordato: ti lascio dal nonno, tanto c’è Petra, si stanno preparando per la cerimonia, dovresti saperlo” – bissò asciutto l’uomo, concentrato dalla strada trafficata.

“Certo che lo so … Petra mi ha fatto una testa così, per il vestito, il cesto con i petali di rosa … Come quando ci siamo sposati io e”

Poi tutto si spezzò, nella sua voce, nel suo addome: si sentì così sporco.
Così inadeguato.

“Sì i nostri bambini fanno sempre così … Partecipano e plaudono ai nostri matrimoni: per fortuna li risparmiamo dai relativi divorzi” – affermò acre il più anziano.

Poi gli diede una carezza sulla nuca – “Non volevo offenderti Louis, ma sono un po’ stanco …”

“Non di me, spero” – e gli diede un bacio caldo, nel collo taurino.

“No, assolutamente no.”




Keller concluse la propria relazione sulle industrie farmaceutiche Halls, con una battuta, alla quale risero tutti, Geffen per primo.

“Bene, abbiamo segnato il punto anche in questa causa, grazie Arthur” – Glam inforcò gli occhialini da lettura, mentre si complimentava, sfogliando ulteriori fascicoli – “… ora se Hopper volesse aggiornarci sulla fusione tra”

Il suo discorso fu interrotto bruscamente da qualcuno, che si palesò in maniera grossolana, nonostante il tentativo di Flora di fermarlo.

Era Tomlinson.
Palesemente e vergognosamente ubriaco fradicio.

“Quanta bella gente!” – esordì, con una risata farfugliata e irritante.

“Louis?!” – Geffen scattò in piedi, mentre Keller avvampava, in pieno imbarazzo, anche se nessuno degli astanti era a conoscenza della sua tresca con Boo.

Il ragazzo si schiantò contro la parete, strofinandosi la faccia stravolta – “… l’ha … l’ha messa incinta … quella stronza è … è incinta del mio Harry” – e scoppiò a piangere, crollando sul parquet, come un fantoccio.

Arthur non esitò a soccorrerlo, portandolo via, verso l’appartamento annesso allo studio legale.

Glam lo seguì due minuti dopo.


Keller stava preparando del caffè, quando il suo socio varcò la soglia di quel bilocale, arredato in stile moderno e impersonale.

“Dov’è?” – chiese brusco Geffen, fermandosi al centro della minuscola cucina.

“Di là, sul letto, dove se no?” – ribatté acre, senza girarsi.

“Cosa ti prende Arthur?”

“Mi prende che è uno schifo, ok?!” – e si voltò, con veemenza.

Glam si tolse la giacca – “Lo so perfettamente” – disse più calmo.

“L’ha saputo da Petra … Che presto avrà un fratellino o una sorellina” – rivelò mortificato, mentre versava una brodaglia maleodorante, in una tazza azzurro cielo.

“Era meglio se usavi la moka” – mormorò Geffen, con un sorriso amichevole.

“Era meglio se mi trasferivo a Chicago”

“Oh sì Arthur, bel progetto, un po’ passato in cavalleria o sbaglio?”

“Quelli della McKenzie and Bart mi assumerebbero anche adesso, se solo lo volessi, ok?”

“E cosa è che vuoi, posso saperlo?!” – sibilò Geffen, provvedendo lui a fare un ottimo espresso.

Keller prese fiato – “Tu ed io non abbiamo mai litigato e non lo faremo per Louis o per la mia omosessualità repressa: per questo ci sono gli analisti”

“Che stronzata … Per questo ci sono gli amici, ok?”

“Ok …” – replicò rassegnato, cercando poi nel mobile qualcosa da mangiare, più per sé, che per Boo, spuntato all’improvviso.

“Tesoro” – lo accolse spontaneo Glam, turbato per le sue condizioni.

“Lui mi ha davvero dimenticato … Adesso mi è chiaro” – affermò più presente a sé stesso.
Aveva vomitato anche l’anima, senza che loro neppure se ne accorgessero.
Si era liberato dall’alcol, ma non dal suo tormento più recondito.

“Louis dobbiamo fare qualcosa di concreto, ok? Un breve periodo alla Foster, vedrai che ti rimetterai”

“No Glam … Non voglio ricoverarmi … Io voglio Harry!!” – esplose, perdendo poi i sensi.

Le grida di Keller gli arrivarono distanti, così le imprecazioni di Geffen, che non esitò a cercare Scott.

Come se potesse servire.




Rovia riordinò le poche cose di Bea e Baby, dentro i loro bagagli, con estrema cura, provando a non ascoltare l’ennesima discussione, che Norman stava avendo al telefono, con la ex.

Luna, la sera prima alle giostre, aveva invitato le cucciole di Reedus ad aggregarsi al corteo di damigelle, per le nozze dei genitori, non senza qualche perplessità, da parte dell’ex tenente della narcotici, che abbozzò un assenso tiepido, giusto per accontentarle.

Paul era anche uscito presto, per una commissione misteriosa, nella speranza non tanto che il compagno cambiasse idea, ma che Sara non facesse il solito casino.
Come stava avvenendo, in effetti.

Norman riattaccò mandandola al diavolo, poi uscì dalla cabina armadio, dove si era rifugiato, distante dal living, dove Bea e Sandra stavano giocando.

“Dice che così le rovino! Ti pare possibile!?” – sbottò inferocito.

Rovia perse un battito – “In che senso scusa?”

“Nel senso che … Ma lasciamo perdere!”

“No” – replicò fermo, reggendo il suo sguardo.

“Paul non si ragiona con questa, ok?”

“Cosa ha detto, voglio saperlo”

“Ha detto che quella cricca di arricchiti, è un covo di depravati, mafiosi e finocchi, uno schifo, per lei, totale!” – confessò senza nascondergli nulla.

Rovia si morse le labbra – “Però l’avvocato di Sara, quando è stato stabilito l’assegno di mantenimento, non ha esitato a sottolineare che tu avevi una relazione con il sottoscritto, schifosamente ricco, così da permetterti l’emissione di una cifra assai più alta, ogni mese, anche per sopperire al suo trauma, di moglie tradita e abbandonata per uno come me, giusto?”

C’era un’estrema dignità, nei suoi occhi, nelle sue affermazioni schiette e incontrovertibili.

Reedus annuì – “Cazzo se hai ragione, piccolo, ora mi sente” – ringhiò aspro.

“No, la chiama io papà”
Bea era sbucata dal nulla, con il telefonino tra le dita minuscole e perfette.
Con le stesse compose il numero di casa, seguita in quell’iniziativa dallo stupore silenzioso della coppia, rimasta senza parole.

“Ciao mamma, sì sono io … Era per gli zii Chris e Tom, Baby e io vogliamo andarci, al loro matrimonio, perché sono sempre stati buoni con noi, come papi e Paul, ok?”

Un sorriso e poi riattaccò.

“Cavoli …” – disse stranito Norman, mentre Rovia se ne stava con la mano sinistra sulla bocca, con il cuore in gola, quasi tremando per l’emozione.

Beatrice gli si avvicinò – “Tanto lo so che ci hai comprato i vestiti e volevo ringraziarti Paul: posso chiamarti così? Perché non sei il fratello di papà, non sei uno zio, sei il suo fidanzato!” – e rise allegra, abbracciandolo poi con trasporto, dopo che Rovia era precipitato in ginocchio a cullarla, colmo di gioia.

Per lui e Bea, da quel giorno, tutto cambiò.




Quando Louis lo vide, ogni cosa sembrò polverizzarsi, intorno a loro.

“Harry …”

Boo gli corse incontro, scontrandosi quasi con il suo corpo, più solido e prestante, avvinghiandosi a lui come un naufrago.
Peccato che le ali di Styles, sembrarono ricambiare la sua devozione, con una certa riluttanza.

E peccato che unicamente Keller, andato a supplicare Harry, di seguirlo sino a lì, se ne rendesse conto, in quell’istante, dal quale veniva escluso completamente.

Andarsene, senza fare rumore, gli sembrò la scelta più opportuna, ritrovandosi poi nel corridoio con Geffen, pronto a recarsi a villa Meliti.

“Perché non vieni con me, Arthur?”

“No, ho … ho da fare”

“Non credi di avere fatto già abbastanza, per oggi?” – Glam sorrise mesto.

“Affatto … E’ tempo che faccia qualcosa per me … Ci vediamo domani, in tribunale, solita ora, d’accordo?”

“Come vuoi … Se hai bisogno, sai come trovarmi.”




Tom si aggiustò i capelli all’indietro, con un gesto un po’ teso.

“Sei bellissimo”

La voce di Chris, gli si conficcò tra le scapole, come il bacio bollente del futuro coniuge, al centro della nuca, mentre Hemsworth lo cinturava statuario, nella forma fisica ritrovata a pieno e fasciata nell’alta uniforme, che il poliziotto aveva indossato per l’occasione.

“Avrei preferito una festa più intima”

“Ci sono anche il grande capo e il sindaco: sai le elezioni sono prossime e Carson vuole manifestare il suo appoggio alla comunità LGBT”

“Uno spot, insomma” – sbuffò infastidito il terapista, allontanandosi, per affacciarsi ad una finestra aperta sul parco, già invaso da numerosi invitati.

“No Tommy, al di là di queste sovrastrutture e coreografie, questo è il nostro giorno” – e sorrise, dolce e magnifico, nel suo aspetto incantevole.

Hiddleston arrossì, pentendosi per essersi lamentato a vanvera.
Quasi con ingratitudine, pensò.

“Scusami Chris è che sono agitato”

“Lo so, siamo in due” – e lo baciò di nuovo, con passione.

E amore.




Jared divorò la distanza, tra il salone principale e le scale, che lo portarono al primo piano, dove aveva intravisto salire Geffen, un minuto prima, senza riuscire a bloccarlo.

Glam entrò in un salottino, per fumarsi un sigaro in santa pace, ma, al tonfo della porta, quasi trasalì.

“Eccoti qui, ora non riuscirai a scapparmi!”

“Jay, cosa diavolo ti prende!?”

“Cosa mi prende?! Dove l’hai lasciato il tuo giocattolino, sentiamo?!”

“Ma sei impazzito?”

“Guarda che non la passi liscia Glam, ok?! Permettere a quella sgualdrina di portare a spasso nostra figlia, è l’ultima cazzata che hai fatto a mia insaputa, è chiaro?!”

“Ti riferisci a Louis … Oh mio Dio, Jay” – e rise, rimettendo nel taschino della giacca l’Havana, ancora intatto.

“Non è divertente!”

“Ora dacci un taglio, miseria! Siamo ad una festa, questi isterismi risparmiateli per un altro giro lontano da qui!”

“No, accidenti, tu non puoi giocare al seduttore a vita! Portandoti poi appresso quella”

“Basta Jared!” – tuonò – “Tu permetti o no, a Colin, di fare la stessa cosa, con Syria?!” – protestò veemente.

“Paragoni Louis a Colin??! Ma sei impazzito?!”

“Colin” – e la sua risata divenne più acre – “… Quanto è corta la tua memoria Jared o quanto sei ipocrita, sai?”

“Non offendere mio marito!”

“Tuo marito ci ha pensato da solo ad offendere te e un sacco di altri sciagurati, che si sono messi in mezzo alla vostra unione del cazzo!!”

Un ceffone gli arrivò dritto sullo zigomo destro, facendo crepitare all’unisono i rispettivi addomi, come se un ordigno invisibile, fosse appena detonato tra loro.

I turchesi di Geffen sembrarono iniettarsi di ira e sangue.

“Glam …” – Jared fece un passo indietro, intimorito.

“Sai cosa ti dico?! Tu, Louis, persino Tom, vi meritate di avere accanto delle bestie, capaci di umiliarvi e abusarvi, ma più loro lo fanno e più voi scodinzolate e sbavate!” – sentenziò impietoso.

Quanto spietatamente realistico.

Farrell li aveva appena raggiunti.
Impietrito dalla reazione di Geffen, in palese affanno.

“Jared andiamocene, avanti” – si intromise l’irlandese, mantenendo un tono pacato.

“Sì bravo, portati via questo rottame, goditelo tu, perché io questa volta non ci sarò, avete capito?! Hai capito eh Jared, quando ti logorerai e farai la vittima, impasticcandoti, fino a ridurti una larva! Dio mi è testimone, lo giuro su”

“Papà!”

Lula si precipitò da lui, paonazzo, la mano sinistra improvvisamente sul petto, all’altezza del cuore.

“Papà sono qui, respira … Guardami papà”

“Glam!! Ha un infarto, Colin chiama qualcuno!” – esclamò Leto, in preda al panico.

In pochi secondi, però, le pulsazioni di Geffen rientrarono nella norma, grazie al tocco e alla presenza amorevole di soldino.

“Amore mio … tu mi salvi sempre … Non lo merito, sai?” – e lo strinse a sé.

Lula sorrise – “E’ lui a non meritarti” – e la sua attenzione si rivolse a Jared, pallido e frastornato.

Il pavimento e le mura cominciarono a tremare.

“Soldino aspetta, cosa stai”

“Ma non sono io papà!”

Il sisma, che colpì la California, alle 2 e 34 post meridiane, in quel pomeriggio di un luglio oltre modo afoso, sarebbe rimasto nella memoria degli americani sopravvissuti ad un’autentica ecatombe, fino alla fine delle loro esistenze.