domenica 23 dicembre 2012

ZEN - CAPITOLO N. 28



Capitolo n. 28  -  zen


Il primo piano era nitido.
Lula rideva, mentre un improvvisato intervistatore gli rivolgeva delle domande, dopo la festa natalizia organizzata nella sua scuola
“Cosa vorresti trovare sotto l’albero?”
“Tanta salute per i miei papà!”
“E la tua mamma?”
Lula fece un sorriso candido – “La mia mami è in cielo, ma è sempre accanto a me! Anche adesso!” – e con un saltello indicò un punto vicino a sé, allegro e solare.

Geffen fissava lo schermo del suo pc, dove quel breve filmato andava a ripetersi di continuo, da almeno trenta minuti.
Meliti, non senza qualche difficoltà, per la sua annosa bronchite, si era fatto accompagnare a Port au Prince da Carmela e Pam, entrambe al capezzale del bimbo.
L’anziano capo famiglia, alle spalle dell’avvocato, scrutava la sua espressione attonita e sfigurata dal dolore.
“Glam …”
Nella stanza echeggiava solo la voce squillante di Lula, ancora una volta.
“Glam, dimmi cosa posso fare per risolvere questa situazione.”
Geffen si alzò, spegnendo il computer, con una calma strana.
“Dobbiamo andare … i funerali stanno per cominciare Antonio”
“Sì … sì certo, ma passiamo prima da Lula?”
“Non l’ho lasciato un solo momento … Lui sa che devo dire delle cose, devo salutare i suoi fratelli e le sue sorelle, i suoi insegnanti, che non ci sono più” – replicò triste ed emozionato.
“Andiamo pure.”


Le palpebre di Jared vibrarono.
“Tesoro …”
“Ciao Colin …”
“Bentornato”
Il sorriso di Farrell fu la cosa migliore che Jared potesse vedere al suo risveglio.
“Do dove sono …?”
“In ospedale Jay … c’è stato un incidente alla fondazione” – spiegò, senza fornire dettagli, che ben presto avrebbe dovuto comunque rivelare al compagno.
Jared provò a sollevarsi, rinunciandovi subito, a causa di un fastidioso capogiro.
“Non stancarti” – e, sedendosi sul letto, Colin lo avvolse amorevole, baciandolo tra i capelli.
“Violet? Denny … Tim? Dov’è Violet? Lula?”
“Violet sta bene, ma è tornata alla End House con Vassily e Peter. Denny è nel reparto di chirurgia, sta recuperando in fretta, ha una tempra formidabile … Tim e Kevin, stanno bene, così Glam …” – e tirò su dal naso, gli occhi lucidi.
“E Lula?”
“Lula … Lula ha salvato la nostra bambina Jared …”
 “Colin non dirmi che”
“No, no, Lula è sopravvissuto, ma è in coma … Lo hanno operato due volte, ha perso molto sangue … Stiamo pregando tutti per lui.” – e lo strinse forte, provando a consolare la sua apprensione.


Law prese il portafogli dalla tasca interna del cappotto, sorridendo a Robert.
“Ho fatto caricare i bagagli in auto amore, pago ed andiamo, ok?”
“D’accordo Jude, io do un’occhiata ai giornali nella saletta tv, mi raggiungi lì?”
“Sì, certo” – e gli accarezzò un fianco, guardandolo poi percorrere quella hall senza fretta, senza ombre nell’anima.

La titolare lo accolse con gentilezza alla reception, interrompendo la sua conversazione con il marito, che l’inglese colse solo in parte.
Parlavano di una strage, di giovani vite spezzate.
“E’ successo qualcosa …?” – chiese Law, pensando ad un evento accaduto nel Regno Unito.
“Sì, un’incredibile tragedia: qualcuno ha messo una bomba in un orfanotrofio, ad Haiti”
“Cosa …?!” – ribatté a mezza voce, sentendo il fiato morirgli in gola.


L’operatore zoomò su Geffen e su ciò che brandiva, mostrandola ai presenti: una camicia chiazzata di rosso.
“Questo è il sangue di otto angeli … Questo è il sangue di mio figlio. E’ il sangue di quattro volontari, che hanno sacrificato le loro esistenze per donare un sorriso a dei bambini in balia di un destino già abbastanza crudele, ma mai quanto quello a cui sono andati incontro. Se qualcuno ha provocato un simile abominio, per colpire me, ha commesso un atto di vigliaccheria, senza ottenere il risultato sperato: io non chiuderò il centro, io non smetterò di aiutare ed assistere queste persone, che un’anima sporca vorrebbe annoverare tra le fila della propria lurida organizzazione!”
Downey ebbe un sussulto, ascoltando l’ultima frase di Glam, da non accorgersi di Jude, dietro di lui.
Robert era come ipnotizzato davanti al televisore acceso su di un telegiornale in edizione speciale, con la diretta della cerimonia religiosa, in corso dallo stadio della capitale haitiana.
Il pianto di Geffen sembrò congiungersi idealmente a quello che l’attore non riuscì a trattenere.

“Robert …”
Downey si voltò, oscillando ed appoggiandosi ad un tavolo – “Ti supplico Jude … portami da Glam.”


Scott misurò la pressione a Lula, ancora sotto sedativi.
Il suo battito era debole, ma la sua voglia di vivere, sembrava artigliare la lastra di uno specchio: c’era forse qualcosa di soprannaturale in quel cucciolo, che nessuno sapeva spiegare.
Anche se la stanza ne era priva, per ragioni di igiene, nell’aria si avvertiva un profumo di fiori particolare.
La notte precedente le esequie delle vittime, a Glam, che dormiva accanto al figlio, alternandosi a Kevin, oltremodo distrutto, sembrò di vedere dei bagliori ondeggiare intorno al suo lettino.
Geffen sentì la presenza di Syria e certamente della madre di Lula, ma anche le risa di quei piccoli, così orrendamente trucidati.

Dal cimitero cittadino Glam se ne andò in sordina: ormai era sera e quella successiva sarebbe stata una lunga notte.
Sul sedile del suo hummer, l’avvocato aveva sparso un plico di fogli, recanti minacce di ogni sorta, da parte di un unico mittente: Carlos Mendoza.
Già in passato Mendoza aveva provato a fare fuori Geffen, che dalla California era piombato sul suo territorio, a rovinargli spesso traffici di droga, oltre al saccheggio degli aiuti umanitari, reinseriti nel fiorente mercato nero di cibo e medicinali.
I contrasti si erano inaspriti, durante l’assenza dell’avvocato, quindi il timore di una rappresaglia aveva tolto il sonno ai dirigenti della fondazione: Glam rafforzò la sorveglianza, ma non servì.

Mendoza era un sanguinario, ma il suo seguito era costituito in maggioranza da mercenari senza scrupoli e senza un vero padrone: solo chi pagava di più, poteva contare sul loro aiuto, se congruamente ricompensato.
La testa del serpente andava mozzata: questa a Glam sembrò la soluzione migliore, ma, soprattutto, la più terribilmente sensata.













venerdì 21 dicembre 2012

ONE SHOT - ANGELO MIO



One shot – Angelo mio


Il soffitto sembrava tremolare, ma ero solo lo sguardo di Reid a creare quello strano effetto ottico.
Morgan si muoveva dentro di lui, a tratti più intenso, in altri più delicato, quasi sommesso, contemplativo: Spencer lo percepiva, anche se a palpebre serrate, quasi se ne vergognasse.
Da qualche settimana, il suo pudore era legato unicamente al fatto di non provare alcun piacere durante i loro amplessi, prima magnifici.

Prima di quel bastardo, che lo aveva tenuto in ostaggio, insieme ad Hotch ed a JJ, che lo aveva picchiato, quando Reid si era osato difendere a parole la collega, madre da pochi mesi, dalle avance di quel maiale, travestito da broker in carriera.
Li aveva ingannati tutti, persino Rossi, sempre attento a dettagli, che ad altri della squadra sfuggivano: li aveva raggirati, diventando addirittura amico di Morgan, di colore quanto lui, in carriera quanto lui, una sorta di complicità, nella guerra di rivalsa, portata avanti dalle minoranze, che loro sembravano rappresentare al meglio, in un riscatto epocale.
Brian Kramer si era spacciato per vittima, di un ipotetico S.I., che gli aveva violentato e strangolato la moglie.
C’era del metodo, c’era una premeditazione pura, lui aveva una strategia, visto che la donna minacciava un divorzio, che lo avrebbe rovinato.
C’erano i soldi, un’assicurazione da truffare e poi c’erano altre prede, che Kramer sterminò letteralmente, nei quartieri alti di Boston, prendendoci gusto, quando invece l’intento era quello di fare credere all’esistenza di un serial killer e coprire il secondo omicidio, ovvero la consorte tanto detestata.

In Reid riemerse tutto il terrore vissuto durante il martirio subito da Tobias Hankel, che tenne in pugno Spencer per tre giorni, torturandolo e drogandolo: in quel caso, l’agente dell’FBI ne uscì vivo per miracolo, uccidendo il suo carnefice, ma altresì entrando in un tunnel di angoscia, superato a fatica e mai del tutto metabolizzato.

Morgan lo strinse maggiormente, baciandolo e gemendo nella bocca di Spencer, mentre raggiungeva un orgasmo solitario.
Al ragazzo sembrava di essere come desertificato ed assente: il suo corpo, bagnato da Derek, non rispondeva ad alcuno stimolo.
Era snervante.
“So sono mortificato” – balbettò, nascondendosi nell’incavo del collo di Morgan, che aveva capito: non era cambiato nulla dall’ultima volta.
Un fallimento, che ormai sentiva come personale ed esclusivo.
Spencer non aveva mai avuto esperienze, lui era stato il primo e sarebbe rimasto l’unico, nelle parole innamorate di quel ragazzino, che amava ogni giorno di più.
“Piccolo mio …” – lo sussurrò, afflitto, uscendo piano da lui, ma se solo fosse servito a qualcosa, Spencer si sarebbe lasciato picchiare da Morgan, si sarebbe lasciato fare di tutto.
“Io … io sono tuo Derek …” – e piegando il viso dal lato sinistro, affondò nel cuscino, piangendo piano.
Anche in quell’occasione, lui disturbava il mondo, non si integrava, ne veniva espulso, così diverso, fragile, inadatto.
Morgan conosceva le sue riflessioni, in quel silenzio ormai agghiacciante.
Si stavano perdendo, in un imbarazzo ostile ed acre.


Tre giorni dopo …

Quella missione a Philadelphia con Rossi sembrò un toccasana per Reid, ma non solo.
Morgan lo aveva salutato, abbracciandolo e baciandolo forte, nel bagno degli uomini della BUA, raccomandandosi scherzosamente di non fare arrabbiare David, con le sue battute saccenti durante il viaggio in auto verso la periferia della città, dove avrebbero contattato i familiari di un sospetto.
Reid aveva annuito, lasciandosi coccolare sino all’ultimo minuto, prima di congedarsi, con un nodo alla gola da lui.

Adesso stavano seduti, con Rossi, ad un tavolino in legno grezzo, mangiando un gelato, un’idea del più anziano, per quel caldo giorno di luglio inoltrato.
Dave osservava la golosità trattenuta di Reid, così da provocarla, ordinando il bis.
Il giovane storse le labbra, poi sorrise – “Sto esagerando, ma … questa nocciola è squisita, non pensi David?”
“Sì, hai ragione … Come stai?” – domandò senza cambiare tono di voce, come se fosse una carezza, quella sua continua premura, dimostrata a Spencer, che scosse la testa, in un gesto infantile.
“Ho visto giorni migliori …” – e rise nervoso, lo sguardo fisso alla coppa in cristallo azzurro.
“Spencer, guardami … Come stai?”
Reid lo puntò, con una vena di insofferenza, quasi di fastidio, ma si pentì immediatamente, vedendo che Rossi gli dimostrava un affetto ed una considerazione palesi.
“Sono a pezzi Dave …”
Prese fiato e spostò quella leccornia – “Faccio due passi, anzi no, torno in hotel”
Avevano prenotato due stanze comunicanti, nel resort alle loro spalle.
Rossi gli prese un polso, trattenendolo, senza irruenza – “Resta qui e parliamone Spencer” – disse pacato.
“Ma di cosa?!” – sbottò.
“Di ciò che ti sta distruggendo”
Reid ebbe un fremito, nelle dita che Rossi ancora brandiva con delicatezza.
“E’ … è come se fossi anestetizzato … è come” – una lacrima gli segnò lo zigomo destro – “è come se il mio corpo avesse alzato una barriera verso tutte quelle emozioni acute, siano esse positive o negative” – aggiunse diretto.
“E’ un trauma che devi superare, se non vuoi perderlo”
“Perdere chi?” – chiese stupito.
La risposta era evidente, nelle iridi scure dell’altro.
Spencer avvampò.
“Tu … tu lo sai, di noi, David?”
“Non fate molto per nasconderlo” – e sorridendo, si ossigenò.
“Credevo di essere discreto, cioè credevamo … ecco … E’ stato solo sesso, per molto tempo, poi non riuscivo più a stare con Derek, senza vivere i miei sentimenti, lo avrei lasciato se non si fosse deciso a dirmi ciò che provava davvero”
“E l’ha fatto. Presumo …”
“Sì, quando ha avuto paura di perdermi, quando ho rischiato di morire, lui rifiutava quella che credeva essere una debolezza”
“Non essere severo Spencer, lui ti ha amato dal primo istante” – ribatté convinto.
“Mi detestava”
“E’ una sciocchezza …”
“Mi sfotteva e”
“Spencer”
Le mani di Reid si stavano contorcendo.
“Scarichi su Derek la rabbia per ciò che ti hanno fatto passare i tuoi aguzzini, perché sai che lui è abbastanza coriaceo da non arrendersi con te, però al tempo stesso hai il terrore che si stanchi, che se ne vada, perché tu sei complicato, sei imprevedibile, a volte sei distante, con i tuoi libri, la tua conoscenza sconfinata ed imbarazzante per chiunque, anche la persona più istruita, con cui tu possa interagire.”
“Sono io quello sbagliato quindi!” – inveii, alzandosi.
Rossi lo seguì deciso.
“Tu sei perfetto per lui!” – esclamò raggiungendolo svelto.
“Io … io non sono niente Dave …” – e, in preda ad un improvviso pianto, sembrò cristallizzarsi in un dolore lancinante.
Rossi lo avvolse, sorreggendolo.


Fu l’atto più dolce, che Reid avrebbe ricordato per sempre.
Il calore di Dave lo colmava, senza invaderlo, mentre le loro falangi, affusolate per Spencer e più solide per Rossi, madide e febbrili, si intrecciavano e stringevano ad ogni spinta dell’uomo, nella fessura minuta di quello che gli appariva come un cucciolo spaurito.
Gli occhi grandi di Reid erano liquidi e spalancati su David, poi si chiudevano repentini, lasciando che la sua bocca cercasse aria, schiudendosi sensuale, senza alcuna malizia.
Spencer era così, innocente ed arrapante, se Rossi avesse dovuto descriverlo in maniera spregiudicata, cosa che non gli apparteneva affatto.
Lui, invece, era un uomo che aveva amato diverse donne, era un padre, relativamente assente e gravato dai sensi di colpa più classici, per i genitori divorziati e di successo, ma solo in campo professionale.
David Rossi poteva raccontare di avere conosciuto tante anime, tanti sorrisi, forme flessuose, se si parlava di avventure occasionali, ma mai aveva perso il senno per qualcuno del suo stesso sesso: appena vide Spencer, lottò strenuamente per non riconoscere i propri sentimenti.
Gli stessi urlavano, nella sua mente stanca, quando la prima volta si masturbò pensando a lui.
Aveva abbastanza controllo per sedare qualsivoglia fantasia su Reid: se non l’avesse fatto di sua sponte, Derek Morgan lo avrebbe di certo ucciso, se mai se ne fosse reso conto di avere un simile antagonista.
Il fisico di Dave era piacente, ma lontano anni luce da quello di Morgan, statuario, tonico, assurdamente bello e proporzionato.
Il suo essere unico e bellissimo, stava nel carattere, nella sua interiorità, seppure riconoscesse in Derek un’indole incantevole, fatta di mille sfumature, di crepe e lacrime, di forza e disperazione, tutte da condividere.
Morgan lo aveva fatto, fidandosi cecamente di Rossi: erano amici, qualcuno li avrebbe persino definiti intimi, per ciò che Derek gli aveva confidato, ma mai sino ai margini di quelle verità nascoste, che solo Spencer conosceva.

“Da Dave …!” – in un sussulto, increspato dal suo sorriso ingenuo, ma simultaneamente pretenzioso, Spencer si inarcò, iniziando a godere come neppure ricordava.
Aveva cancellato tutto, nessuna gioia, nessuna sofferenza.
Un’equazione imperfetta e perversa.
David arrise a ciò che sentiva divenire, nell’addome del suo acerbo amante, più di quanto l’età anagrafica di Reid affrancasse in quei momenti lussuriosi, ma soprattutto nel proprio essere, ormai a briglie sciolte.
Conduceva un gioco, all’apparenza, mentre invece quell’incontro era una cura, nella sostanza.
Intrufolandosi con una mano, oltre a colpire, Rossi cominciò a masturbare Spencer, che ormai ansimava senza inibizioni, emettendo suoni assorbiti dalla confortevole suite insonorizzata.
Il ritmo accelerò vorticosamente per entrambi e l’immagine di assoluta felicità, stampata sul volto di Dave, andava ad imprimersi nelle iridi di Spencer, che voleva assistere senza reticenze a quel culmine prodigioso tra loro.
“Angelo mio … angelo mio” – non faceva che ripeterlo Rossi, baciandolo sulle labbra ben disegnate, giocando con la lingua di Reid, che seguiva con i propri fianchi il suo sesso, gonfio e grondante, che non riusciva più a fermarsi.
David venne una seconda volta, ancora più intensa.
Spencer si appese a lui, tremante e con ogni particella di sé scossa ed intossicata di soddisfazione carnale.
Rossi gli spostò le ciocche, dal viso devastato dal sudore, rassicurandolo – “Ti voglio così bene Spencer …”
Ciò che gli passò nel cervello, dritto dal cuore, era assai differente, ma non poteva dirglielo.
“Sono guarito David …?”
Rossi annuì, dandogli un ultimo bacio.


Morgan si slacciò e riallacciò il cinturino dell’orologio, quasi fosse un tic, ma almeno aveva qualcosa su cui concentrarsi, per non sostenere lo sguardo accigliato di Rossi.
“Lui sta bene, Derek. Non chiedermi mai più di fare una cosa simile, perché è insostenibile andare avanti mantenendo una semplice amicizia, per di più lavorativa, con Reid.” – disse freddo, rompendo quella barriera tra loro, seduti sulla panchina del parco, antistante la sede operativa della BUA.
“Eri l’unico a cui potevo affidare un simile compito” – inspirò greve – “L’unico che non farei fuori, sapendo che ha toccato il mio Spencer”

Reid sopraggiunse, sorridendo ad entrambi.
“Ehi che confabulate?” – chiese allegro.
“Ciao … Nulla, mi assento per una settimana, vado da mio figlio Spencer” – asserì Rossi, perdendo un battito.
“Ah … ok …” – replicò perplesso lui, rovistando nella sua cartella ed estraendone un libro: lo porse a David.
“Ventimila leghe sotto i mari?” – mormorò l’uomo sorridendo incuriosito.
“L’ho trovato in un cassetto riordinando stamattina …” – e guardò Morgan, che avrebbe voluto sparire, disgregarsi.
“Ti ringrazio … sei un tesoro” – e lo guardò.
Le guance di Reid divennero di porpora, ma il suo sorriso argentino fu la cosa migliore Rossi avesse mai incontrato, prima di salutare qualcuno che amava.
“E’ … è solo un libro Dave …”
“Detto da te fa un po’ impressione …” – si intromise Derek, timidamente.
“Hai ragione amore” – bissò lui, con una spontaneità disarmante.
Rossi prese la valigetta del portatile, riponendo nello scomparto anteriore il dono di Reid.
“Lo leggerò, quando mi sentirò solo” – ammiccò.
Per tutta la vita.
Senza di te.
Angelo mio.

The end









mercoledì 19 dicembre 2012

ZEN - CAPITOLO N. 27



Capitolo n. 27  -  zen


Kevin bussò educatamente alla porta dell’ufficio di Glam, allungatosi sul divano, dopo avere girato un paio d’ore per il centro con Lula, impegnato a distribuire regali insieme a Violet.
Jared e Colin erano stati confinati in cucina, insieme a Tim e Denny, tra enormi pentole e teglie da scrostare, non senza qualche divertita protesta.

“Avanti … tesoro, sei tu” – Geffen lo accolse sereno, posando il giornale che stava facendo finta di leggere.
Kevin chiuse a chiave, correndo da lui con un sorriso.
“Che combini …?” – chiese incuriosito.
“Voglio una coccola dal mio ex marito e padre di nostro figlio, posso?” – rivelò con tono simpatico e complice, rannicchiandosi sotto la sua ala.
Glam lo strinse piano, baciandolo tra i capelli – “Non devi chiedermela …” – rise – “Ed io non dovrei dartela, visto che Tim potrebbe inseguirmi con un coltello da arrosto” – bisbigliò allegro.
La presenza di Kevin gli faceva bene, si sentiva adorato, come del resto anche da Jared, che si era ripromesso di incontrare nel pomeriggio alla spiaggia, dove un tempo sorgeva il loro capanno.

“Tim sa che ti voglio bene …” – e lo guardò, concentrandosi sulle labbra dell’avvocato.
“Di questo non dubitare mai Kevin … Io ti amo profondamente, anche se abbiamo preso strade differenti.” – disse serio.
Il bassista arrossì, provando una scossa allo stomaco: ne era ancora innamorato, perché il dolore, causato da Geffen, aveva scavato in lui un varco talmente profondo, che ora non poteva che contenere una gioia smisurata ***
In parte dono di Lula, in parte di Tim, ma, di certo, in parte anche di Glam.


Jude si rivestì lento.
Avrebbe voluto rimanere in quella camera per sempre: sentiva che Robert era nuovamente al suo fianco, anche se alcuni fantasmi albergavano ancora nel cuore e nella mente dell’americano.
Percepiva la sua dolcezza, la partecipazione ai discorsi ed al sesso, negli sguardi continui di Downey, che voleva consolidare il proprio ritorno in famiglia.
“Hai l’aria stanca …”
“Buongiorno Rob, dormito bene?” – domandò ristendendosi verso di lui e poggiando il capo sull’addome del moro, che sorrise, baciandogli le dita della mano sinistra e raccogliendone una carezza calorosa.
“Ti ho sognato Jude …”
“Io ti ho … vegliato e per questo adesso ho sonno, ma ne è valsa la pena …”
“Davvero? … Non russavo, facevo smorfie?” – scherzò, accucciolandosi di traverso, come a custodire il corpo dell’altro, che si sentì al sicuro.
“No … eri e sei bellissimo” – ribatté sincero, come i suoi occhi, rapiti dal carisma di Downey, dalla sua maturità solida e compiuta.
Forse amare Glam gli aveva rafforzato l’autostima, certamente era così, pensò Law.
Anzi, l’essere amato da lui, nel modo in cui Geffen sapeva fare meglio.
“Che c’è amore?”
Jude ebbe un tremito – “Riflettevo … su … su quante cose ho sbagliato con te, ma non accadrà più Robert: te lo assicuro.”
Si baciarono.


“E’ tutto pronto per il cenone daddy?”
Geffen si stiracchiò e la sua camicia, già sbottonata oltre metà del suo petto, si aprì del tutto.
“Devo mettermi a dieta, domani solo grissini” – rise.
“Ma se sei dimagrito, cambia sarta per i rammendi semmai” – e, risistemandosi, Kevin gli si posizionò sopra, infilando le gambe tra quelle di Glam, che lo scrutò perplesso.
“Cosa dovrei pensare …?”
“A proposito di cosa, daddy?” – e lo baciò all’altezza dello sterno.
“Kevin non”
Il giovane lo baciò davvero stavolta, sorprendendolo con uno scatto felino e sensuale.
Geffen corrispose a pieno quell’approccio caldissimo, eccitandosi quanto Kevin, ma poi lo spostò con delicatezza ed un barlume di buon senso, anche se gli avrebbe fatto qualsiasi cosa ed il suo intento gli si leggeva in faccia, palesemente.
“Tesoro … Senti non trascendiamo e non”
Una deflagrazione assordante rese le sue parole incomprensibili a Kevin, che si ritrovò sul pavimento, con Glam sopra, come a proteggerlo istintivamente da quell’improvviso pericolo.
Proveniva dal reparto di accoglienza, annesso alla mensa.
“Lula!!” – urlò l’avvocato, precipitandosi nel corridoio, seguito da Kevin, sconvolto quanto lui.
L’odore acre del fumo si stava spandendo veloce, ma il sistema anti incendio funzionò immediato, anche se le fiamme erano l’ultimo dei problemi.
Le macerie del soffitto erano crollate in parte su diversi bambini, esanimi, quanto gli addetti alla fondazione, che li stavano intrattenendo in giochi e canti, prima del pranzo.
Glam intravide la sagoma di Denny sbucare da una porta divelta: era coperto di sangue, ma oltre a quel varco, Lula giaceva sopra a Violet, in lacrime e salva grazie al suo corpicino, che l’aveva riparata da una miriade di schegge, in cui le vetrate si erano quasi polverizzate.
C’era anche Jared, poco distante, schiacciato da alcune sbarre di ferro e frammenti di muratura.
“Jay … Jared …”
La voce era quella di Colin, alle spalle di Glam, immobile, come paralizzato dallo shock.
Con Tim, l’attore era andato al magazzino viveri, per ritirare alcune casse d’acqua: doveva andarci Jared, insieme a Denny, ma, per avere perduto una stupida scommessa, entrambi erano rimasti a pelare una montagna di patate.
Il clima era gioviale, collaborativo, una festa insomma, trasformatasi in incubo, in pochi secondi.

Arrivarono i medici e numerosi infermieri.
Geffen si destò da quello stato catatonico, occupandosi di Lula, sanguinante sul fianco destro, per via di una profonda ferita, che l’uomo tentò di tamponare disperatamente con la propria casacca.
Le urla si accavallarono.
Jared riprese i sensi, abbracciato da un Colin in lacrime, con in grembo Violet, spaventata a morte.
Il dottor Sebastian, fratello di Pamela, coordinò al meglio le operazioni, dando le corrette indicazioni anche a pompieri ed agenti di polizia giunti immediatamente sul posto.
L’organizzazione umanitaria di Geffen aveva finanziato le loro nuove sedi, potenziandole ed attrezzandole al meglio, dopo i disastri naturali degli ultimi decenni.
Tutto sembrò irreale a Glam, che non vedeva reagire Lula in alcun modo e continuava a ripetere come un mantra – “Il mio bambino … il mio bambino non respira …”
“C’è battito, portiamolo in sala operatoria! Glam lasciaci fare il nostro lavoro, farò il possibile per salvarlo, ok, GUARDAMI GLAM!” – esclamò Sebastian.
Geffen fece un cenno, mentre Kevin lo cingeva e lui neppure se ne era accorto.
Si piegarono in un pianto irrefrenabile, mentre la spirale di quel dolore sembrò attanagliare ogni loro speranza, spietatamente.




*** E’ una citazione estrapolata da una frase del magnifico poeta Gibran


Lula