sabato 31 dicembre 2016

NAKAMA -. CAPITOLO N. 86

Capitolo n. 86 – nakama



I soldi di Rovia servirono a comprare documenti nuovi e affittare un alloggio ai margini di Malibu, in una zona pulita, tranquilla, dove un conoscente di Reedus, gli ricambiò un vecchio favore, dando da lavorare a JD, come promesso dal non più ex poliziotto.

L’incubo degli spacciatori di Los Angeles era tornato in azione: Chris lo aveva esclamato, dandogli ampie pacche sulle spalle, appena saputa la notizia, circondato dai colleghi al distretto, dove Norman aveva ripreso servizio, ma in una sezione ben diversa.

Persone scomparse.

All’apparenza un settore meno pericoloso, ma in stretta collaborazione, purtroppo, con la omicidi di Hemsworth: in pochi venivano ritrovati, in effetti.

Avvenne tutto molto in fretta, a pochi giorni dal Natale.

Di sicuro quella non sarebbe diventata una notizia da prima pagina, ma neppure il rientro a casa di Robert, tenuto nel massimo riserbo.

Più evidente la ricomparsa in aula di Geffen, prodigo in chiacchiere, con chi gli chiedeva cosa fosse realmente accaduto: un colpo di striscio, questa la versione ufficiale, in cui pochi riuscirono a credere pienamente.

Le dimissioni di Paul, invece, vennero notate unicamente da Jesse, impegnato ad assistere Walt, ma caparbio nel procurarsi un appartamento, lui sì in Malibu, con tanto di bagno attrezzato per disabili e palestra per la riabilitazione.

Il giovane aveva persino affrontato Glam, recandosi al suo studio, per chiarire la posizione di White.

“Io non voglio grane, non siamo stati noi a cercarvi, ma quell’ex tossico, che si è messo in testa cose assurde!”

Il suo esordio fu infelice, ma Geffen non si scompose.

“E’ il padre di uno dei miei figli, Robert, quello che tu definisci un ex tossico e hai ragione, lui per primo lo ammetterebbe, ma è anche l’uomo che ti ha raccomandato al sottoscritto, perché non ti venisse torto un capello o creato qualsivoglia problema, ok?” – replicò aspro.

“Ma io non ho bisogno del magnifico Glam Geffen, per essere al sicuro in questa città di pazzi, ok? Io ho Walt e mi basta!”

Glam rise – “Dio solo sa chi vi ha veramente messo sul nostro cammino, ma ogni cosa ha un senso, ogni persona, non potete essere capitati a caso nei miei giorni, voglio continuare a ripetermelo, per resistere e non prenderti a calci nel sedere! E ora sparisci, maledizione!”


Pinkman sbuffò, imboccando la direzione indicatagli da Paul: lo stava accompagnando alla casa sull’oceano.

“Fico qui!” – esordì Jesse, un po’ infantile, mentre scendevano dall’utilitaria presa a noleggio.

Quanto prima si sarebbe comprato un pick up, simile a quello andato distrutto nel box del cottage, fatto esplodere da Walt, per non rivelare il loro laboratorio segreto, ma anche quella carretta andava benissimo.

“Era di mio nonno … Un lascito, ne ho avuti parecchi, sono morti quasi tutti” – disse incolore Rovia, cercando le chiavi nel solito vaso di ortensie, ormai secche.

“Almeno in questo sei fortunato, no?” – disse lo studente di Chimica, guardandosi intorno, le mani in tasca.

Entrarono.

In mezzo al living, un cartone ancora sigillato e degli addobbi, accatastati vicino a quell’enorme scatola.

“Avevo ordinato l’albero online, è rimasto lì” – sembrò giustificarsi Paul, passando oltre quella mercanzia, che a Jesse piacque da subito.

“Potremmo farlo, che ne dici?”

Il suo entusiasmo suonò commovente.
Doveva averne avuti pochi, lui, di Natali felici.

“Perché no … La vuoi una cioccolata? Si fa così, vero?”

Rovia l’avrebbe fatto, così, con Norman, divertendosi, come bambini.

Era tutto talmente assurdo.

Vedere il suv di Reedus, imboccare il viale d’ingresso, gli mandò lo stomaco in fiamme.

Aveva con sé Beatrice e Sandra, Bea e Baby, che ne discesero, correndo verso la villetta, che ben conoscevano.

Norman provò a fermarle, ma fu inutile.
In un attimo, le bimbe, erano già appese al collo di Paul, inginocchiato al centro della sala, con Jesse rimasto in piedi, ma spezzato, per quella sequenza crudelmente toccante.

“Ti abbiamo portato un regalo zio Paul!”

Lo dissero quasi all’unisono, le “sue principesse”, porgendo al figlio del giudice Nelson, dei disegni.

Reedus avanzò circospetto, in pieno imbarazzo.

Era anche passato a prendere la sua roba, questi gli accordi scambiati via sms, ma Rovia non credeva così presto.

“Sono stupendi …” – mormorò appena, rialzandosi – “Va vado a prendervi una cosa anch’io, ok?” – balbettò, per poi fuggire, paonazzo in volto.

E continuava a non guardare Norman.

Sparì quindi al piano di sopra, mentre le piccole si interrogavano mentalmente sulla presenza di Jesse, ma per poco.

“Tu sei il nuovo fidanzato di zio Paul?” – esordì Baby, la più rammaricata per la separazione del loro papà, da Rovia.

A loro era stato spiegato che non andavano più d’accordo, ma le motivazioni di Reedus erano suonate così deboli, la sera prima, quando aveva portato i regali a casa della ex moglie.

“No … No, sono un amico!” – Pinkman rise nervoso, grattandosi la nuca.

“Hai una fidanzata, allora?” – lo incalzò Bea.

“No anzi … Ho un compagno, si chiama Walt …”

“Ed è più bello di zio Paul?!” – lo tormentò Sandra, curiosa e vivace.

“Ok, ora finitela” – sbottò Norman, avvicinandosi.

“Perché non vai a vedere come sta?” – lo trafisse Jesse, severo nello sguardo.

“Ma tu chi sei, da dove sbuchi?” – chiese rigido lo sbirro.

Eppure lo aveva già visto, pensò, poi gli sovvenne: davanti all’ufficio di Chris e, anche allora, Pinkman stava parlando con Rovia.

Reedus alla fine salì al piano di sopra.




Farrell si fece strada tra confezioni di cattering e palloncini.
La vigilia sarebbe stata festeggiata alla End House, da tutto il loro clan, pronto a riunirsi, per l’ennesima volta, superando tensioni e ostacoli, come da “tradizione”.

Jared lo stava seguendo a breve distanza, dando le ultime, svogliate, disposizioni a Miss. Wong e al resto dei collaboratori domestici.

C’era fermento, ma non autentica gioia nell’aria.

I segni del sisma erano ancora visibili, nonostante una ricostruzione a tempo di record, della loro residenza faraonica.

Ugualmente, l’irlandese, aveva tentato un restauro improvvisato al loro legame, con quell’idea bislacca di un figlio, concepito da Jared, tramite utero in affitto di Stella.


Lui era in buona fede, ma le tempistiche risultarono sbagliate, anche se puntuali, in piena collisione con uno dei consueti periodi di crisi esistenziale di Leto.


“Cole aspetta”

“Che c’è?” – borbottò nervoso, entrando in camera.

“Senti” – il cantante gli afferrò le braccia muscolose, con un sorriso di circostanza – “… non volevo deluderti con il mio mancato entusiasmo, cioè potremmo riparlarne con l’anno nuovo, che ne pensi?”

Jared voleva riguadagnare terreno, senza saperne neppure il vero motivo.

“Temo di no” – replicò Farrell, senza astio – “… queste cose o le si vive in un certo modo da subito o se no, meglio lasciare perdere, nessun problema, ok?”

“Se lo dici tu …” – si arrese, incolore, facendo un passo indietro, mentre l’altro iniziava a cambiarsi.

“Dovresti dare un’occhiata ai cuccioli e vedere se sono arrivati i vestiti per Isy, Rebecca e Violet … C’è stato un problema nelle consegne dal negozio in centro, hanno sbagliato le taglie e dovevano sostituirli”

“Ok, sì certo” – Leto inspirò, uscendo nel corridoio, per poi appoggiarsi alla balaustra, che dava sull’ingresso, dove il via vai di gente, era aumentato.

C’erano anche Pam e Carmela, sbucate chissà da dove, intente a infiocchettare degli alberelli a palla, già colmi di luci e festoni dorati.

In un vocio festoso, apparve anche Geffen, spingendo un carrello, colmo di doni.

Lui era Babbo Natale, chi poteva negarlo?

Le iridi del leader dei Mars si riempirono di lacrime.

Jared corse via, come se si potesse sfuggire, a qualcosa che nessuno era mai riuscito a spiegargli.

E a risolvere, una volta per tutte.




Paul mise velocemente due biglietti da cento dollari, in due buste distinte, una per Bea e una per Baby.

Non era riuscito a fare di meglio.
Aveva visto molti giocattoli in un negozio del centro, prima di incontrare JD Morgan, ma non c’era stato il tempo di acquistarli.

Tutto era andato a rotoli.
Per colpa di quel bastardo.

Chissà che fine aveva fatto, si chiese mortificato il ragazzo, sigillando quelle missive tinta azzurro cielo.
Come quello stampato negli occhi di Reedus, puntati, ora, su di lui.
Tra le sue scapole magre.

Rovia si girò di scatto.

“Cosa vuoi?” – disse con il fiato frammentato di angoscia e solitudine.

“Ciao Paul … No, niente, ero preoccupato” – e inghiottì amaro, lo sguardo di nuovo basso.

Colpevole.

“Per chi, per me?” – Rovia rise mesto, tirando su dal naso, appoggiato al cassettone, giusto per non cadere.

Per non morire.

“Come stai?” – domandò l’ex, le gote vermiglie.

“Uno schifo, non lo vedi?” – sbottò senza muoversi.

“Beatrice e Sandra hanno insistito per venirti a trovare, avrei voluto avvisarti e”

“Nessun problema, questa è anche casa loro … La era, almeno”

“Sì … Dovremmo andare adesso, scusa”

“Hai fatto pace con Sara?” – chiese diretto, tanto valeva farsi male del tutto e finirla lì.

“No!”

La veemenza di quella risposta, poteva lasciare qualche speranza in Paul, ma non riuscì a crederci.

“Sarebbe stato giusto, dopo tutto questo casino … Non hai paura per loro?”

“Paura …?”

“JD è pericoloso, forse non se ne è andato, forse è ancora qui, da qualche parte, nascosto come un topo di fogna, quale è”

“Lui non sarà più un problema, ha preso il largo” – e si sentì come il peggiore dei traditori, soggiogato dai sentimenti per Morgan, che andavano oltre ogni buon senso e decenza, come lo avrebbe giudicato chiunque.


“Buon per lui …” – e gli passò oltre, per tornare da Bea e Baby, trepidanti, nell’attenderlo.

“Ecco questi sono per voi, comprate ciò che più vi piace, ok?”

“Ok …” – disse flebile Sandra, gli occhi immensi, celesti come quelli del padre, che, al pari di un fantasma, prese le loro giacche, pronto a rivestirle, per tagliare la corda.

“Grazie zio Paul” – aggiunse triste anche Bea, tornando ad appendersi a lui.

“Fate le brave ok? E venite qui quando volete, il mio numero lo avete sempre, vero?”

Entrambe annuirono, mostrando i cellulari coloratissimi, anch’essi dono di Rovia.

Ormai non c’era più aria in quell’ambiente, saturo di addii non detti.

Jesse avrebbe voluto sbattere fuori Reedus, che non avrebbe posto alcuna resistenza.

Finalmente uscirono da quella stanza e, forse, dalla vita di Paul, rimasto sul tappeto, aggrovigliato su sé stesso, senza più parole.

Pinkman sigillò la blindata e, se avesse potuto, avrebbe chiuso fuori, anche tutto il dolore, che stava leggendo negli opali di Rovia, increspati e afflitti.

Stava singhiozzando – “Mi ha portato via tutto, sai? Anche questo, anche le bimbe”

Jesse corse ad abbracciarlo.

“Non devi pensarci più e vai avanti Paul … Sapessi quante volte ho pensato che non valeva più la pena vivere e mi sono fatto del male da solo, ma tu non devi finire così, ok? OK?” – e, guardandosi, lo scrollò un minimo, anche se lo stava come cullando, un secondo prima.

Paul fece un cenno, tremante.
Poi gli diede un bacio.
Casto, di gratitudine.





JD posò la scatola di ciambelle avanzate, sopra alla mensola del microonde, guardandosi in giro, sentendosi ancora estraneo a quel nuovo rifugio, dove Norman aveva lasciato uno zaino militare mezzo sfatto sul letto e un trolley nell’ingresso senza mobili.

L’arredo era scarno, ma sufficiente: avrebbero comprato dell’altro, se necessario.
Se ne avessero avuto il tempo; non potevano ancora saperlo.

Al fast food di Jacob, era andato tutto bene: JD aveva lavorato sodo, taciturno, sorridendo appena alla simpatia della figlia del titolare, con la quale aveva subito legato.

Lei era incasinata, ma talentuosa ai fornelli.
I tatuaggi e i capelli sparati verso il soffitto, con punte viola, su una tinta arancio sole, la rendevano piuttosto stravagante, ma neppure poi tanto.

Di tipi così, nella città degli angeli, se ne incontravano ad ogni angolo, come a New York.
Morgan sognava di andarci e di portare Norman a fare una bella vacanza.
Certo non glielo avrebbe rivelato tanto facilmente, scorbutico com’era.
O come appariva.

“Ehi” – Reedus rientrò, buttando le chiavi in un posacenere vuoto, la voce roca.

“Giornata storta?”

“Più o meno …” – e si ossigenò, prendendo una birra dal frigo – “Ne vuoi?”

“No, grazie … Guai a casa?”

Norman si accomodò sul divano, indeciso se accendere la tv e dare subito un taglio a quella conversazione scomoda.

“Quale casa? Questa è casa mia” – replicò secco, fissando il 40 pollici, ancora spento.

“So che passavi dalla tua ex, di solito in queste occasioni le donne rompono” – e gli si affiancò.

“Hai l’aria stanca” – mormorò dolce – “… Jacob ti ha fatto sgobbare?”

“No, mi sono trovato bene, nessuno che rompe” – e abbozzò un sorriso.

“Meglio così” – Reedus si rialzò, lasciando la Ceres mezza vuota sul tavolino del soggiorno – “Vado a farmi una doccia”

JD si lisciò i capelli all’indietro, ripassandosi poi i palmi caldi sul viso ispido e tirato – “Mangi qualcosa con me?”

“Sì, quello che c’è … Tanto non mi va niente” – e chiuse la porta del bagno, schiantandosi contro il legno, appena sparito alla vista del suo interlocutore.

Le palpebre gli pesavano, come quel macigno sul cuore, che stentava a sciogliersi.


Era tutto così complicato.
Così impossibile.






martedì 20 dicembre 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 85

Capitolo n. 85 – nakama



Law si fermò oltre la soglia, a spiare la loro conversazione.
Proprio come un ladro.

Jared stava riordinando nervosamente la biancheria pulita destinata a Robert, dentro ad un cassetto del comodino, dove l’attore aveva riunito e sparpagliato oggetti come un copione, il cellulare, succhi di frutta e occhiali da lettura.

“Ci penserà Jude … Non dovresti tornare a casa?” – esordì Downey, con garbo.

“No, preferisco rimanere qui e chiarirmi con te” – bissò il cantante, tornando a fissarlo.

“Ma chiarire cosa, Jay?” – sbottò più brusco.

“Voglio recuperare il nostro rapporto, ecco …” – disse più timido il leader dei Mars, accomodandosi sul bordo, per stargli vicino e posare sul volto smagrito di Robert, una carezza calda e intensa.

Come quel bacio, di pochi minuti prima.

“E come, pomiciando?” – poi Rob rise solare.

Era bellissimo, nonostante quanto stava passando.

“Tu ed io, Jay, vedi, abbiamo in comune molte cose … Le nostre fragilità, le insicurezze … Mariti infedeli” – e fece una smorfia, buffa per certi versi.

Leto sorrise – “Quella è acqua passata”

“Non direi … Se sono qui, adesso, è per via dell’ennesimo tradimento di Jude: da lì è partito tutto, anche se non ho molte certezze, è come se avessi vissuto un sogno o un’allucinazione, piuttosto drammatica, considerato l’epilogo”

“Mi dispiace …”

“Anche a me Robert” – Law si decise a entrare, mentre Colin, appena giunto con delle bibite, era rimasto nel corridoio.

“Jude …” – “Ciao amore, possiamo parlare?” – e gli sorrise, tremando nella voce.

“Vi lascio da soli” – Jared uscì’ frettoloso, inciampando nel marito.

“Cole …”

“Ciao Jay, tutto bene?”

“Non lo so … Ce ne andiamo?”

“Come vuoi … Consegno queste a Robert e ti raggiungo.”




Pinkman sbirciò dentro la camera, dov’era stato trasferito temporaneamente Paul, ancora sedato.

Jesse entrò, scrutando quel viso d’angelo, contratto e turbato, da chissà quali incubi, in quell’istante.

Rovia schiuse le palpebre e le labbra ben disegnate-

“Ehi …”

Jesse prese una sedia, sistemandosi al suo capezzale.

“Ciao” – gli sorrise impacciato, aggiustandogli il lenzuolo, stropicciatosi, sul suo corpo semi nudo.

“Non mi ricordo il tuo nome”

“Jesse” – Pinkman rise leggero.

“Io … Io sono Paul, Paul Rovia, ho … Ho preso il cognome da mamma e non da mio padre, il giudice Nelson: sono morti entrambi” – e non seppe spiegarsi, come mai gli stava dicendo tutte quelle cose sul suo privato.

“Rovia? Non era americana, tua madre”

“No, infatti, era europea” – e si sollevò, aiutato da Pinkman ad aggiustarsi i cuscini.

“Le somigli?”

“Dicono di sì …” – e gli si illuminarono le iridi, gemmate di acquamarina.

“Cosa ti è capitato? Con il tuo fidanzato, intendo”

“Non lo è più, mi ha lasciato …”

“Cavoli” – e anche Jesse sgranò i suoi fanali, lucidi ed emozionati.

“Ho … Ho fatto una cazzata e lui pure … Cioè, per Norman non aveva più senso stare insieme”

“Forse ha ragione, se avete cercato entrambi una distrazione, se è di questo che stai parlando”

“E’ … E’ complicato, Jesse”

“Non stancarti adesso” – e gli spostò i capelli dalla fronte – “… prova a riposarti, ok?”

“Ok … Però non perdiamoci di vista, non ho molti amici in questa città”

“A me non sembra, la vostra famiglia è così numerosa”

Rovia rise a propria volta – “Se ti riferisci a zio Glam e soci, in effetti dovremmo essere un bel clan, ma io e Norman ce ne stavamo per conto nostro, sulla spiaggia, a casa mia … Ma dopo il terremoto c’eravamo riuniti tutti a Palm Springs, da Glam, appunto … Una lunga storia”

“Allora me la racconterai, prima o poi: anch’io conosco tanta gente a Los Angeles, in università per lo più, ma è Walt il mio mondo … Io senza di lui non ci vivo proprio … Credo tu mi capisca, Paul”

Rovia annuì – “Anche se non so di chi stai parlando, Jesse, sono certo sia importante, per te …” - poi si ridistese, provando a riaddormentarsi, dopo averlo salutato, con un ultimo sorriso.

Prima di mezzanotte.




Law si mise le mani nelle tasche dei pantaloni, prendendo un lungo respiro, mentre se ne stava appoggiato al davanzale, invaso da fiori e peluche.

“Ok, ci sono ricascato” – ammise, gli occhi bassi, mortificati.

“Perché non vieni qui, Judsie?” – Downey gli tese le dita mancine, dove la fede, delle loro rinnovate nozze, brillava semplice e pulita, come il suo sguardo amorevole.

Nonostante tutto.

L’inglese lo accontentò subito, un po’ sorpreso dal suo atteggiamento per nulla ostile.

“Quante volte mi hai perdonato, Robert?”

“Infinite, direi … Eppure ne avanza sempre una di troppo, a quanto pare” – e scosse il capo brizzolato e in ordine.

“Sinceramente non so cosa mi sia preso … Forse il bisogno, idiota, di sentirmi lusingato dalle attenzioni di Taylor”

“Può darsi, ma la cosa peggiore è che lui ha un compagno, Richard e non ne hai tenuto minimamente conto, Jude”

“Avrei dovuto pensare a te, non certo al primogenito da copertina del tuo ex marito!” – obiettò schietto.

“Ecco vedi, sei un narciso ed un egocentrico, pensi alla bellezza di Ricky e non certo al dolore, che questa stronzata potrebbe procurare a lui e a suo padre!” – ribatté l’americano, alterandosi.

Law scattò in piedi – “Scusami, accidenti! Ogni volta che Glam torna nei nostri discorsi o nei nostri casini, io mi incazzo come non mai!” – e strinse i pugni, stizzito.

“Glam ti ha donato un rene, se te ne fossi dimenticato, mettendo da parte ogni rancore, che, più che legittimamente, poteva nutrire nei tuoi riguardi, dopo che ci hai quasi ammazzato sulla scogliera: la tua memoria sembra così corta, a volte, Jude, così miseramente sbiadita o inquinata dalla tua insulsa gelosia!”

“Robert calmati, non dovresti agitarti, non così, non ora” – e tornò svelto da lui, per poi abbracciarlo, senza che Downey ricambiasse, non subito almeno.

Law iniziò a piangere, sommessamente.




Il resort era uno di quelli preferiti da Colin.
Ricostruito a tempo di record, in vista delle imminenti festività natalizie, l’Open Sea, vista oceano ovviamente, gli aveva riservato una suite da sogno.

Jared ne varcò l’ingresso, non senza qualche perplessità, poi si girò, all’unisono con il tonfo della porta, appena chiusa da Farrell.

“Non capisco … Ho dimenticato qualche ricorrenza, Cole?”

“No, affatto … Era per staccare la spina dagli ultimi avvenimenti Jay” – e, affabile, gli si avvicinò, cinturandone i fianchi stretti e asciutti.

Si baciarono.

Leto si sentì confuso e, stranamente, in trappola.

“Hai prenotato anche massaggi, sauna, piscina termale?” – provò a scherzare il front man, prendendo fiato da quell’apnea gradevole.

In realtà voleva solo andarsene.

“No, ma se vuoi, dopo … Nessun problema” – l’irlandese rise, coccolandolo, senza badare al suo smarrimento, ben celato comunque.

C’era stato un tempo, in cui Leto avrebbe pagato a peso d’oro certe iniziative e sorprese.
Un tempo, durante il quale erano le assenze di Farrell, a condannarlo a delusioni cocenti.

Ed era come se, Colin, dagli albori del loro legame, non fosse mai riuscito a recuperare del tutto il terreno perduto, nonostante innumerevoli sforzi, non sempre apprezzati dal compagno.

Come in un’eterna, quanta inutile, vendetta.





Kevin gli allacciò la camicia elegante, cominciando dal basso, stando in piedi, quanto lui.

Geffen sorrise, dandogli poi un bacio tra i capelli, dorati e tirati indietro, mentre lo teneva per le braccia muscolose, in una morsa di tenerezza.

“Sicuro di stare bene, daddy?” – chiese con un filo di voce il bassista, senza guardarlo ancora negli occhi.

“Ci ha pensato nostro figlio, ancora una volta”

“Già, il nostro Lula …” – e posò un bacio intenso sul segno, lasciato da soldino, al posto di una ferita, che avrebbe potuto avere conseguenze ben più gravi, per Glam.

Pinkman, in pellegrinaggio tra i reparti, alla ricerca di un lettino pieghevole, per stare accanto a White, li stava osservando, un po’ stranito.

L’ennesimo bel tipo, che si era avvicinato a Geffen, pensò, e che, evidentemente, era l’altro genitore di Lula.

Quando i due si baciarono, come a suggellare la loro unione, dedusse erroneamente il giovane, Jesse si decise a muoversi, anche se Walt stava dormendo come un orso, russando, a causa di un potente sedativo.

Per Scott, infatti, l’ex professore, non doveva affaticarsi oltre, evitando nuove e tediose discussioni.

Il dottore era uno schianto e, a Pinkman, sembrò essere cotto, anche lui, di Geffen: “ma quanti erano?”, si domandò a quel punto, il partner di White, non senza ridere sotto ai baffi, immaginando furibonde querelle tra quelle galline, in un lussuoso pollaio, dove un gallo cedrone, re del foro, spadroneggiava, senza dubbio, da un’eternità, con pieno successo.





Scopare con Colin era sempre fonte di appagamento totale, per Jared.

O per chi, era capitato nel letto dell’attore, spesso infedele, non solo al leader dei Mars.

Le esperienze etero, di Farrell, preistoriche ormai, erano spesso naufragate anche per questo.

O, più realisticamente, a causa della vera e non accettata da subito, natura sessuale del bad boy più celebre di Dublino.

Il suo fascino, comunque, si era come cristallizzato, soprattutto grazie a palestra e alimentazione mirata.

Jared lo stava guardando, stando appoggiato allo stipite della sala da bagno, mentre Colin si era assopito, dopo una lunga cavalcata, tra le gambe dell’adorato consorte.

Leto aveva voglia di una doccia, così cerco il set di cortesia nel primo armadietto a tiro, trovandovi ben altro.

C’era in effetti un kit, ma destinato a ben diverso utilizzo.

Jared lo prese, incuriosito e con una strana sensazione, non gradevole.

Farrell si era svegliato.

“E questo cosa significa, Cole?” – domandò, come seccato.

“Tesoro scusa, avrei voluto parlartene con calma”

“Ma di cosa … Ok, ok, fallo dunque”

“Non vorrei vederti reagire così, Jay … E’ … E’ una cosa bella, ecco” – e cominciò a rivestirsi.

“Non dirmi che c’è qualche tua amica, desiderosa di avere figli, con il seme del mio uomo! E non sarebbe neppure la prima volta, è il colmo!”

“Ma no, no” – Farrell rise.

“No? Qui dentro ci va solo una cosa!” – e gli sventolò una provetta sotto al naso.

Colin gli avvolse il polso svolazzante, posando un bacio, tra bracciali e tatuaggi – “Il seme sarebbe il tuo, a essere sinceri, Jared …” – rivelò sereno.

“Il mio …? E’ uno scherzo …?” – replicò flebile, ora.

Incredulo.

“Biologicamente hai concepito Isotta e sarebbe fantastico tu avessi altri bambini … E così ho accennato il progetto a Stella, così che la piccola Syria, oltre a Isy, avrebbe un fratellino o sorellina e lei è d’accordo”

La sua confessione era completa.

Leto si ammutolì.

“Dopo tanti anni, riesco ancora a lasciarti senza parole, vero Jay?”





Jesse stava impazzendo, con quel maledetto affare.

“Permetti?”

La voce gentile di Geffen, lo investì alle spalle.
L’uomo aprì la branda, premendo un tasto laterale, con naturalezza.

“Non era difficile” – osservò, facendo l’occhiolino a Pinkman, paonazzo in viso.

“Sì, ma io sono imbranato, chiedilo al signor White” – bissò infastidito.

“Sei strano, quando lo chiami così, sai?” – proseguì Glam, indossando un giaccone, lasciato momentaneamente sull’attaccapanni, vicino all’uscita della camera di Walt, immerso in un mondo senza sogni.

“L’ho fatto per un sacco, tutto qui … Dove vai?”

“A villa Meliti, mi hanno dimesso”

“Meliti il mafioso?!” – bisbigliò il ragazzo, fissandolo.

“Se ti sentisse Antonio” – Geffen rise di gusto, ma senza fare rumore.

“A dire il vero, credevo fosse morto”

“Oh mio Dio, sempre peggio”

“Ok, è sano come un pesce, ma mi darai atto che è un matusa, no?” – e ridacchiò, cercando nelle tasche una gomma da masticare.

Kevin li interruppe.

“Daddy se sei pronto andiamo, Tim e i bimbi ci stanno aspettando in auto: hanno insistito per venirti a prendere tutti insieme” – affermò solare il musicista.

“Tim è l’ennesimo dei tuoi figli, Glam?” – domandò un po’ acido Pinkman.

“No, è mio marito” – fu Kevin a esaudire la sua curiosità.

Senza aggiungere altro, per poi andarsene, insieme a Geffen, che si stava divertendo.

Come non mai.


Carissime amiche e amici di EFP, del Blog, di Facebook, dell’etere tutto, Vi auguro un Natale da sogno e un 2017 tutto da scoprire, in allegria e tanto amore.
Sempre.

A presto, con le nuove avventure di questi disgraziati, che non riesco a smettere di amare e di raccontare, soprattutto grazie a Voi.
Un abbraccio grande, da Maria Rosa J









venerdì 9 dicembre 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 84

Capitolo n. 84 – nakama



Jared percepì il respiro caldo di Robert nel collo, ma anche il suo imbarazzo.

Alla fine si guardarono.

“Ho avuto così tanta paura di perdervi … Tu, Glam”

“Jay calmati, noi siamo vivi e lui sta anche meglio di me” – provò persino a scherzare, l’attore più celebre del pianeta, dopo anni di lavoro e scandali, senza aspettarsi la reazione del suo “antagonista”, almeno nel caso di Geffen.

La loro amicizia, infatti, si era incrinata, proprio a causa dell’avvocato, mesi prima, senza più riuscire a sanarsi.

E poi un bacio.

Come se Jared volesse rifugiarsi in quel contatto, caldo e bagnato, per rendersi conto che Rob era davvero lì con lui.
Che non era morto.
Che avrebbe continuato a esserci, ma come “prima” di Glam.

“Jay …” – lo stupore di Downey, investì il cantante.

“Scu scusami” – quasi balbettò, il ragazzo di Boxier City, l’amore eterno di uomini come Colin Farrell, impegnato, alla stazione di polizia, a consolare Jude, l’amico del cuore, senza sapere su quale, il suo consorte, stava ora piangendo.

Come un cucciolo impaurito.





Lula mise un broncio sospetto, percorrendo il corridoio insieme al padre, verso la camera di quest’ultimo.

I bodyguards li avevano lasciati da soli, sostando, comunque, a distanza di sicurezza.

“Che c’è soldino?” – chiese improvviso Geffen, fermandosi davanti alle macchinette delle merendine.

“Mmmm ma non dovevi prenderti cura di Jesse? Zio Robert era stato piuttosto chiaro” – e sorrise, afferrando un sacchetto di leccornie, appena selezionato dal genitore, che aggrottò la fronte, perplesso.

Era inutile inventarsi storie con Lula o giri di parole, stile arringa.
Glam lo sapeva benissimo.

“Vieni sediamoci” – propose affettuoso.

“Ok”

“Il fatto è che la mia buona volontà si è scontrata con ciò che sia Jesse che quel White, sono nel mondo reale, capisci amore?”

“E cosa sono?”

“Mercanti di morte … No, anzi, fabbricanti di morte: producevano droghe sintetiche e forse non hanno mai smesso, sai?” – rivelò serio.

Lula storse il nasino – “Sono un po’ contorti, hai ragione papà, però tu sai rimettere tutti … come si dice? In carreggiata, quando vuoi” – e rise allegro.

“Già … Questa impresa la lascerei ad altri, credimi, anche se non vorrei mai deludere zio Robert e se lui ha visto del buono in Jesse, allora …” – e sbuffò.

“Non è il solo, non dimenticarti di me!” – e ammiccò irresistibile.

“D’accordo, ci provo, non mollerò la presa su Jesse; tanto mettermi in mezzo è la mia specialità” – e si rialzò, pronto a varcare la soglia della sua stanza.

Dove qualcuno, lo stava aspettando.





Norman scattò in piedi, per rivestirsi, provando debolezza  diffusa mista a sensazioni più forti e piacevoli, dalle gambe, all’inguine, sino all’addome, dove ora, JD, seduto sul bordo del letto, lo stava baciando e torturando, con un sorriso, tra l’ombelico e lo sterno dell’ex poliziotto, che alla fine gli afferrò le chiome e la nuca, non per staccarselo di dosso, ma per comprimere di più la bocca di Morgan, sulla propria pelle dorata.

“Mi vuoi ancora, lo so” – mormorò il galeotto, in crisi d’ossigeno, per quanto temesse la fuga dell’altro.

Il suo abbandono.

JD, del resto, neppure prendeva in considerazione l’ipotesi che Reedus potesse metterlo KO oppure ucciderlo.

Si fidava di lui. 

“Adesso smettila, devo dirti delle cose” – Norman si allontanò, provando un brivido in mezzo alle scapole.

Si coprì con un maglione, ma non era il suo.
Il profumo di Morgan lo distrasse per un secondo.

Quel tizio lo aveva mandato fuori di testa, Chris glielo avrebbe urlato in faccia di sicuro, se mai Hemsworth fosse venuto a sapere di loro.


Reedus tornò a concentrarsi sullo sguardo liquido di JD, attento, a quel punto, ad ogni suo discorso.

“Ti ascolto” – e si accese la solita sigaretta.

Anche quell’aroma, associato al suo dopobarba, stava come accarezzando i sensi di Norman, che alla fine spiegò i suoi progetti.

“Voglio rientrare al distretto, in una sezione tranquilla, così da potere gestire certe situazioni”

“Quali situazioni?” – Morgan lo interruppe brusco.

“La tua, la nostra, cazzo! E non lamentarti, non andare in paranoia, riavere un distintivo, non farà la differenza, con te!”

Era davvero lui a dirle, quelle cose, quelle stronzate?

“E poi anche tu hai bisogno di un lavoro: ho molte conoscenze, troverò qualcosa di pulito e lontano dalle zone a rischio, dove potrebbero riconoscerti, magari un ristorante o un autolavaggio, parecchia gente mi deve dei favori, ok?” – puntualizzò deciso.

“Sguattero o lava macchine … Interessante” – Morgan sghignazzò, ma aveva le pulsazioni a mille.

“Vuoi rimanere intanato in un motel a vita?” – bissò roco l’ex eroe della narcotici, rubando la Camel, lasciata a metà dall’altro, per dare un paio di boccate nervose.

“E sia … Se ti sembra una buona idea …” – replicò calmo il più anziano, infilandosi jeans e camicia, sul corpo nudo e infreddolito, ormai.

“Mi cercherò un alloggio, dove potremo vederci e … E stare insieme, ok?” – aggiunse più timido Norman, mentre il suo interlocutore gli dava le spalle.

“Hai due figlie, giusto?” – JD si voltò di scatto – “Ed una ex moglie, che magari nutrirà delle speranze!” – sottolineò aspro, azzerando la distanza tra loro.

“A lei so badarci io”

“Ma sicuro, dovrai farlo, perché se solo ci prova a rompermi i coglioni” – e lo afferrò per il collo, spingendolo contro la parete – “la ammazzo come un cane, quella puttana, ok?!” – ringhiò cattivo, per poi mollare la presa e baciare Reedus, come una furia.

Intrisa di assurda dolcezza.





“Ciao zio …”
“Paul …?! Ma cosa ti è successo? Lula prendi un asciugamano per favore”

“Subito papà!”

Soldino corse nel bagno e ne tornò con un telo, con il quale Rovia si tamponò i capelli: era bagnato come un pulcino.

Geffen lo fece alzare dalla sedia, dove se ne stava rannicchiato, nella semi oscurità, chissà da quanto tempo.

“Tesoro, cosa ti è successo?” – domandò premuroso il legale.

“Ho … Ho perso tutto” – disse a mezza voce Paul, iniziando a spogliarsi.

“Scotti, hai la febbre, ora chiamo qualcuno, ok?”

Paul cominciò a piangere e a Geffen, non restò che cullarlo – “Chi ti ha fatto questo?” – chiese in un sussurro, immaginando la causa di una simile disperazione.

“Nessuno … E’ solo colpa mia Glam … è sempre colpa mia” – singhiozzò.

Nel frattempo Scott li raggiunse.

“Ora stenditi … Misuriamo la febbre e ti somministro un po’ di vitamine via flebo, che ne pensi?” – domandò il medico, con estrema delicatezza.

“Volevo farmi … O sniffare o peggio” – sbottò, un po’ delirante nei toni.

La sua temperatura era preoccupante.
Rischiava un collasso, Scott lo bisbigliò a Geffen, mentre un infermiere coadiuvava le operazioni per stabilizzarlo.

Jesse stava transitando, alla ricerca di un distributore di bibite fresche; White stava morendo di sete e non voleva più aspettare il tè caldo, promessogli ore prima da Graham.


Lula lo rincorse – “Ehi ciao, tutto bene?” – chiese il bimbo cordiale.

Pinkman gli sorrise, non resistendo alla sua simpatia contagiosa.

“Sì, Walt ha un deserto in gola”

“Penso che un’aranciata sia perfetta!” – e la selezionò – “Offro io!”

Jesse rise divertito – “Di sicuro il tuo salvadanaio traboccherà di monetine”

Soldino lo scrutò – “Anche il tuo direi”

“Non c’è paragone …” – replicò il giovane, più assorto.

Vas e Peter erano ormai ad un passo da loro.

“Ho l’amore dei miei papà e quindi sono ricchissimo! Hai ragione” – affermò solare il cucciolo di Geffen, che lo stava cercando.

“Tesoro cosa stai facendo? Ah, sei con Jesse …” – Glam lo notò, solo dopo che Vas si spostò di lato.

Il ragazzo non disse nulla, se non un grazie frettoloso a Lula, defilandosi, con la bibita stretta tra le mani, con l’urgenza di tornare dal proprio compagno, senza più perdere tempo.

Un’unica esitazione, distrasse per un attimo Pinkman: vedere Paul, tremante e in difficoltà, tra lenzuola madide di sudore e pioggia, senza sapere come mai fosse lì, in quello stato poi, come se fosse in piena crisi di astinenza.

Quella notte, gli sembrò non finire mai.





“Quel tizio sembra una calamita, tutti accorrono e si riuniscono intorno a lui e poi sono tutti belli e sono gay!”

Pinkman stava gesticolando, parlando a White di Geffen.

Walt rise.

“Che c’è adesso, che ho detto?” – chiese oltre modo comico il ragazzino.

“Sei buffo … Dai vieni qui” – e tornò a stringerlo amorevole.

“Mi sono sentito assediato, sai Walt?”

“Appena mi rimetto in forma, ti porto via da questa città”

“E se l’FBI dovesse cambiare idea?”

Si fissarono.

“No, non lo faranno, ho ancora qualche asso nella manica, qualcuno da vendergli, se proprio dovessero metterci alle strette per il casino al cottage”

“Pensi che troveranno prove?”

“No, ho usato un composto esplosivo davvero efficace, non è rimasto nulla, non temere” – e lo baciò appassionato.





Law si sistemò, specchiandosi nell’aletta parasole.

Colin rise a metà – “Pensi al tuo look, dopo tutta questa faccenda, sei incredibile Jude”

“E che dovrei fare? Presentarmi come uno straccio al mio Robert?” – ribatté a tono l’inglese, poi prese un lungo respiro, curvandosi un po’, sul sedile del suv di Farrell, che si accese una Marlboro, passandogli il pacchetto – “Vuoi?”

“No grazie, vorrei smettere … Anche di mettermi in certi guai … Ho quasi ammazzato quel White”

“Per difendere chi ami … E Glam”

“Già, mentre Glam salvava Rob”

Colin scosse il capo spettinato – “E’ una sua abitudine, fare il suo super eroe … Anzi esserlo”

Jude lo puntò – “Credi che riguadagnerà punti agli occhi dei nostri compagni? Perché ci ficco anche Jared in questo melodramma, sappilo”

Colin aprì la portiera – “Temo che la loro venerazione per Geffen, non avesse bisogno di ulteriori incentivi: dai andiamo, Jay e Rob ci staranno aspettando.”





Erano finiti di nuovo tra quelle lenzuola macchiate di loro.

JD ansante, virile e ovunque, sulla pelle di Norman, a spargere carezze sporche e morsi sfuggenti, come i suoi baci e i suoi quarzi scheggiati d’oro e caffè, nel riverbero di una lampada rimasta accesa all’angolo cottura, di quel mini alloggio scarno di arredi e colori vivaci.

“Restami dentro” – gli gemette nella bocca Reedus, quando tutto finì, aggrappandosi a lui, come se non gli restasse altro al mondo.

Norman aveva capito, che, per la prima volta, JD Morgan, era ciò che voleva davvero.

Senza più averne paura.