giovedì 26 gennaio 2017

NAKAMA - CAPITOLO N. 90

Capitolo n. 90 – nakama



I gemelli sgattaiolarono nella stanza dei genitori, scortati da Colin, che teneva sul petto Syria, sgambettante e impaziente di essere cullata da Jared, destatosi al loro rumoroso e amorevole arrivo.

“Ehi cuccioli”

“Ciao tesoro, Glam mi ha dato in ostaggio questa principessa”

“Buongiorno Cole, ma guarda, venite qui tutti” – e li raccolse, stringendo forte i bimbi, mentre cinturava il busto del consorte, accomodatosi sul bordo del letto.

“Passata l’emicrania?” – domandò l’irlandese, a bassa voce, mentre lo baciava nel collo, provocandogli brividi, dalla nuca alle scapole.

“Sì amore … Buon Natale” – e gli sorrise, rapito dal profumo del suo dopobarba, dai suoi quarzi liquidi e innamorati perdutamente di lui.

“Buon Natale Jay”




La formosa cassiera del drugstore, gli aveva regalato uno dei suoi migliori sorrisi, dopo l’una di notte, oltre a calorosi auguri – “JD non la vuoi proprio fare la nostra tessera, per la raccolta punti?” – gli aveva chiesto per l’ennesima volta.

“Meglio di no”, le avrebbe risposto, ma fece solo una smorfia, abbozzando un sorriso di ricambio e un buon Natale stropicciato, tra un colpo di tosse e un’occhiata al portone, dal quale era appena uscito, senza rinunciare a quegli acquisti, per il pranzo del giorno dopo.

Rivedere Philip: a questo Morgan non avrebbe rinunciato mai.

Almeno a questo.


Ora JD se ne stava in piedi, il cartone della spesa premuto sull’addome asciutto, impalato davanti ad un’altra porta: quella del bilocale di Lukas e del figlio.

Phil gli aprì solerte, con un sorriso stampato sul volto acerbo, che mai il padre avrebbe dimenticato.

Come molte altre cose.
Altri episodi, scomodi e sgradevoli.



“Papà! Buon Natale, dai entra, ma il tuo coinquilino?” – chiese guardando oltre Morgan, rigido e senza risposte.

Le ante scorrevoli dell’ascensore, si erano appena chiuse.

“Sono qui, non trovavo parcheggio” – si giustificò Reedus, con due bottiglie di champagne in mano e dei cioccolatini.

“Norman” – la voce di JD si spezzò.

“Ti ho seguito” – gli disse piano l’altro, passandogli accanto, mentre porgeva i propri doni a Lukas, appena sopraggiunto sulla scena.

Il biondo si stava sforzando di non inquinare quel momento, con le sue perplessità.
Philip era invece stranamente concentrato sull’amico del genitore, che venne trascinato in cucina, dal ragazzo, con una scusa.

“Ehi papà, ma quello non ti aveva arrestato ai tempi del casino con West?”

Era buffo nel suo esprimersi, complice e a bisbigli concitati.

“Sì è lui” – replicò frastornato l’uomo.

“E ci vivi insieme? No, perché io lo ricordo anche al tuo processo, testimoniò, disse cose tremende”

“Erano la pura verità” – ammise Morgan, fissandolo.

“Anch’io ne dissi, a essere sinceri papà …” – ripeteva quel termine, colmandosene il cuore.

“E anche tu lo eri, sincero intendo: ogni azione, ha le proprie conseguenze, Phil ed io le ho scontate tutte, almeno lo spero” – e gli accarezzò le guance un po’ scarne.

Philip sorrise, buttandogli le braccia al collo – “Ma ora sei qui, con me, con noi, andrà tutto bene, vero?”

Reedus era appena arrivato alle spalle del giovane, fermandosi sulla soglia, provando un certo disagio, ma senza mai abbassare lo sguardo su Morgan, che lo aveva pieno di lacrime.

“Tuo padre si è rimesso in carreggiata, te lo assicuro”

Philip si voltò di scatto.

Il poliziotto gli tese la mano – “Io sono Norman, è un piacere conoscerti: JD non fa che parlare di te” – e gli sorrise.

Il ragazzino gliela strinse, quella mano asciutta e decisa – “Piacere … Ma tu sei il suo agente di riferimento? Quello che si deve chiamare tutti i giorni?”

“No … No, le cose non stanno così” – e a quel punto, Reedus, perse la sua apparente sicurezza.

“E come stanno allora?” – Phil sorrise spaesato, tornando a guardare il padre, in piena confusione.

“E’ una storia lunga e complicata” – provò a spiegargli Norman, non sapendo che pesci pigliare.

Sua nonna, però, gli diceva sempre, che la verità rende liberi e che è la strada più semplice da seguire, quando ci si sente in trappola.

Forse aveva ragione.
Forse no.

“Ci puoi lasciare da soli un attimo, tesoro?” – chiese improvviso Morgan e Phil gli ubbidì, dandogli un bacio sulla guancia destra, prima di tornarsene in salotto, dove Lukas stava preparando la tavola.




La barba incolta di Jude, gli stava facendo il solletico, da circa dieci minuti, all’altezza dell’ombelico.

Law si era addormentato lì, dopo una notte trascorsa a parlare con il marito, a ricordare, a ridere.

Poco più su, il segno della cicatrice, dopo la sparatoria al cottage di White, era ancora fresco.

L’inglese aveva paura di osare, di avere rapporti sessuali completi con Downey, come se questi, fosse una bambola di porcellana, prossima a rompersi o a rovinarsi.

Così si prendeva cura di Robert, procurandogli orgasmi meravigliosi, con quelle labbra ben disegnate, quasi ogni giorno, da quando l’americano era stato dimesso.

Senza volere nulla in cambio, affinché Robert non si stancasse.

Forse erano unicamente i sensi di colpa, avrebbe detto qualcuno.
Qualcuno, che non li conosceva affatto.

“Ehi sei sveglio? Le tue lunghe ciglia, direbbero di sì” – sussurrò il moro, accarezzandogli i capelli rasati.

“Certo Holmes”

“Bene Watson, allora che ne diresti di fare colazione?”

Law voltò il capo, in direzione dei suoi pozzi d’inchiostro: il busto nudo di Downey era piegato e girato sul fianco sinistro e, al contempo, la sua espressione tenera e intensa.

Nel riverbero di quel mattino di sole, il suo candore era magnifico, toglieva il fiato.

E le parole.

Jude arrivò alla sua bocca, baciandola avidamente.
Con lo stesso impeto, cercò nel cassetto del comodino, un lubrificante, notato la sera prima e dimenticato lì da un bel pezzo.

Erano secoli, che la coppia non soggiornava più alla End House, anche a causa del sisma.

“A amore” – balbettò il più anziano, bloccato sotto al corpo virile e in forma del consorte, che ben presto si sarebbe ricongiunto al suo.

Dopo settimane.

Era tutto rimasto sospeso, tra le premure di Law e tante cose non dette, anche a proposito di Taylor, nonostante un misero chiarimento, quando Downey era ancora in ospedale.

In quel contesto, il pianto di Jude, aveva posto fine al confronto amaro dei due e, forse, all’ennesima crisi.

I fianchi più massicci di John Watson, invasero l’abisso accogliente del suo eterno amore.

“Non … Non so se ti tradirò ancora Rob, ma sappi che” – in affanno, Jude riuscì a verbalizzare un pensiero, per lui, ossessivo – “sappi che amerò sempre e soltanto te … Sempre!” – gli ruggì in gola, mordendogli il mento, baciandolo febbrile, sudato, stupendo, nella sua avvenenza ancora intatta.

Robert si sentì mancare, per l’eccesso di endorfine, che esplosero di lì a poco in entrambi.

Era come se una corrente calda, si fosse rimescolata alle sue acque più tranquille, senza onde.
Senza emozioni, se Law non fosse esistito.
Se non gli avesse scorso nel sangue, bollente e devastante.

Assoluto.
Come il loro legame.




Le ossa sporgenti, del bacino di Jared, così invitanti, custodite da una pelle candida e liscia, che Colin non esitò a divorare di baci, vibrarono, in un sussulto, appena l’attore iniziò quella tortura d’amore, lussuriosa e agognata.

Farrell si stava prendendo tutto il tempo necessario, per donare al compagno, quel che di meglio, li aveva uniti sin dal principio.

Il sesso non era mai stato un problema, semmai un antidoto, un rimedio, anche uno stratagemma, a cui ricorrere, quando tutto andava storto.

Le prime volte, c’era esitazione oppure sfrontatezza, di certo un senso di possesso reciproco, sapendo di appartenersi, verso un’eternità discontinua e complicata.

Eppure, rimescolati in piena sintonia oppure alla deriva, Jared e Colin si erano puntualmente salvati, a volte a turno, spesso in un moto reciproco, di sostegno e ostinazione.

La loro storia non doveva finire mai e sarebbero divenuti amanti, se mai legati ad altre persone, che, puntuali, sparivano dal loro cammino, stritolati da un amore, capace di rinascere, dalle ceneri più roventi a quelle, ingannevolmente, più spente e innocue.

Era un tormento, il suo esitare, per il cantante dei Mars, il suo rimandare la collisione, il frantumarsi, l’uno nell’altro, come se fosse ancora e sempre, la prima volta.

In quell’occasione, Jared si convinse, per una sensazione, che mai avrebbe saputo spiegare a nessuno, che Colin Farrell, avrebbe segnato il suo destino, sino alla fine dei giorni.

Tra tanti amori, Colin avrebbe, anche se lontano, fatto la differenza, a ogni ritorno, in qualsiasi rimorso o, peggio, rimpianto.

Leto ci aveva provato, a dimenticarlo, tradito, ingannato, persino usato da uno sprovveduto bad boy di Dublino, come la stampa amava definirlo, un’etichetta dura da staccare, per pr e manager, però Colin lo aveva riconquistato, ogni fottutissima volta.

Il loro villino, tra i boschi d’Irlanda, Fuck the world, è ciò che gli venne in mente, mentre Farrell precipitava in lui.

Era lì e non nella residenza di Los Angeles, che il front man, voleva invecchiare insieme a Colin, brontolando, lamentandosi, scrivendo lettere ai figli, sparsi per il pianeta, perché loro li avrebbero lasciati andare tutti, verso i propri sogni, senza mai interferire.

Poi si guardarono.
E si videro.

Sulla spiaggia marocchina, camminare affiancati, dopo l’ennesimo litigio, la solita bevuta, con la paura di perdersi, le dita ciondolanti, che si intrecciavano.

Erano ancora vivi.

“Jay”

E la sua danza forsennata, in quell’apertura stretta, si sublimò in quel semplice termine, che per Colin era tutto.

Era l’immenso.

Così il suo divenire, all’unisono con Jared, che marchiò la sua schiena, con le unghie, la sua clavicola tatuata con i denti, perché Farrell era suo.

Soltanto suo.
Per sempre.




“Che c’è Walt?”

Pinkman lo chiese, con le guance gonfie di cibo, masticando un po’ ingordo, gli occhi sgranati sul più vecchio, al capo opposto del tavolo ovale, in mezzo al loro nuovo living.

Quell’espressione, era tipica di Jesse, mentre mangiava.
E parlava.
Parlava ininterrottamente, ai commensali, come in una serata lontanissima, era accaduto con White e la di lui moglie, Skyler.

Lei, mezza brilla, non dava retta a quel ragazzino, che il marito già si scopava nel camper/laboratorio mobile, esaltato per i lauti e insperati guadagni, provenienti dallo spaccio di metanfetamine purissime.

Lo eccitava farselo, tra alambicchi, provette, bidoni di reagenti e vetrini, mentre gli insegnava a diventare un chimico esperto.

Pinkman era una frana, almeno all’inizio, come a scuola, ma per scopare e cercare contatti tra gli spacciatori, era perfetto.

White lo aveva sfruttato a dovere, poi persino venduto ad una banda di trafficanti messicani, perché quel delirio di onnipotenza, gli aveva corroso la mente, più del cancro, che quasi gli divorò i polmoni.

La malattia si risolse, così le sorti di Jesse, che Walt salvò, rocambolescamente, promettendogli amore e rispetto, da quel momento in poi.

L’impegno, l’ex prof, lo mantenne senza più ricadere in errori deleteri.

Per Jesse, quella era la felicità.
Stop.

“Niente ti guardo” – replicò White, la gola secca, di sicuro non per colpa dei farmaci.

Bensì, del dubbio, che gli toglieva sonno ed energie, come la notte prima, mentre rimase a scrutare Jesse, vegliando sul suo riposo sereno, ma solo a tratti.
Certi incubi, spesso tornavano, facendo scattare il più giovane, tra le lenzuola madide e stropicciate, non certo di amplessi, durante quell’ultimo periodo.

Jesse era stato torturato e forse anche peggio, ma con Walt, non ne aveva mai voluto parlare.
Davvero mai.

“Sono bello?” – Pinkman rise.

“Sì amore, lo sei” – e avrebbe voluto piangere, per quanto e come lo avesse derubato, in un tempo, che nessuno dei due si sarebbe mai buttato alle spalle con facilità.

Un ulteriore argomento da non affrontare.
Per non rovinare la loro nuova esistenza californiana, dopo la collaborazione con l’FBI e l’ottenimento dell’immunità totale, per i crimini pregressi.


“Ti ho comprato un regalo Walt” – e si precipitò a prenderlo, sotto l’albero in fibre ottiche, piazzato davanti ad una porta finestra, dalla quale si vedeva l’oceano.

“Buon Natale Mr. White” – e glielo porse, posando un bacio sulla sua fronte umida.

“Non stai bene Walt, hai caldo? Abbasso il riscaldamento se vuoi”

“Smettila di!” – White si morse le labbra, stritolando i braccioli della sedia a rotelle.

“Di fare cosa …?” – bissò sommesso il partner.

“Di fare quello che fai, per uno come me, che non ti merita, ecco!”

Jesse inghiottì amaro, ma con estrema dignità affrontò la situazione – “E’ tardi per certi atteggiamenti, noi abbiamo superato i nostri problemi, ok?”

Walt si scostò, imbranato con quell’aggeggio, che gli serviva a spostarsi, oltre alle stampelle.

“I nostri problemi?!? Ma guardami, cosa ti trattiene Jesse, dopo quello che ti ho fatto passare, che ti ho fatto subire?! Hai dei nuovi conoscenti, presto mi darai un calcio e Dio solo sa quanto lo merito, cazzo!!”

Pinkman si inginocchiò, davanti alle sue gambe martoriate, ma in via di guarigione.

Nulla era perduto.

Le sue iridi tremolarono, divenendo specchi di rugiada, cristallo e sale: era bellissimo.

“Loro … Loro hanno abusato di me, ognuno di loro e poi mi hanno picchiato, quando ero diventato un giocattolo rotto, che non li divertiva più … Alla fine mi hanno lasciato in pace, perché gli servivo a produrre quella merda e dovevo essere lucido e collaborativo … Erano rimaste le botte, quelle sì, a terrorizzarmi, a rendermi schiavo letteralmente, legato ad una catena, anche quando mi nutrivo, di quel poco, che mi avanzavano … E’ stato umiliante, un degrado che non saprei descriverti altrimenti, Walt, ma in ogni istante, io pensavo a te e a quei rari momenti, durante i quali tu mi hai voluto bene, anche se lo avresti negato, con chiunque, soprattutto con me, ok?”

“Jesse …”

“Io ti amo Walt e ho resistito, nella speranza di riviverli, un giorno, quei rari momenti, quegli sprazzi di gioia: perché, per me, era così” – e si tamponò gli zigomi bagnati, con i dorsi delle mani.

Un po’ infantile, ma di una sconfinata tenerezza, nel donarsi a lui, senza difese, senza compromessi.

White scivolò verso il suo abbraccio generoso, per stringerlo, singhiozzando, gemendo, come una bestia ferita.

“Perdonami piccolo, perdonami, se no impazzisco!”

“Ma io l’ho già fatto … Walt, guardami!”

White lo fece.

Pinkman lo baciò, con innocenza e foga.

La stessa, con cui riuscirono a fare l’amore.
Su quel pavimento freddo e scomodo, ma non per loro.




Reedus continuava a sfiorarlo, a parlargli sotto voce, mentre JD puliva e tagliava insalata, scaldando le numerose vivande, che si era procurato, per quel pranzo speciale.

“Dove hai dormito?”

“Al motel dell’angolo … Credevo mi avessi seguito”

“Sì, da quando ti sei fermato con la Mustang, nel piazzale qui sotto: ho accesso al database dei residenti, è stato semplice trovare l’indirizzo di Philip”

Morgan sorrise mesto – “Era meglio se non lo facevi Norman”

“E perché, sentiamo?” – domandò più duro.

JD inspirò greve, concentrandosi su pomodori e lattuga, del resto, grazie al lavoro da Jacob, era diventato un esperto.

“Toglierò il disturbo, non sentirai più parlare di me, però ti affido Philip: so che ne avrai cura, come se fosse tuo, io lo so e basta, Norman” – ripetere il suo nome, gli dava forza, in quel terribile frangente – “e so che, se ne avrai la possibilità, lo farai curare, riuscendo dove io ho fallito, perché questo è ciò che sono, un fallito su tutta la linea e poi la sai ancora una cosa? Probabilmente c’era il modo, per non ridursi in quel modo, per evitare di commettere una rapina e anche peggio!” – ringhiò, esasperato da quel vicolo cieco.

“JD io troverò il modo, invece, di farti riabilitare!”

“E come? Con un buon avvocato, stile Geffen?! Con il rischio di tornare a marcire in una cella? No grazie!”

“Invece io ci riuscirò, maledizione!”

“E per quale dannata ragione dovresti farlo, Norman?!”

“Perché io”

“Ehi papà, ma non vedi che l’acqua bolle?!”
Phil era tornato, interrompendoli bruscamente.

“Sì cavoli, è vero, scusa … Norman mi passi gli spaghetti, per favore?”

“Certo …” – annuì in crisi di ossigeno lo sbirro.

Le chiacchiere di Philip, i silenzi di Lukas, le occhiate tra Norman e JD, si rimescolarono, davanti ai piatti fumanti, in un’atmosfera strana.

Poi Reedus iniziò a parlare di moto e Lukas si accese, di interesse e parlantina sciolta.

Philip ne sembrò soddisfatto, anche se avrebbe preferito che quell’apparente intesa, si innescasse tra il suo ragazzo e il padre, non certo con quel tipo strano, che mai gli era sembrato un rappresentante della legge credibile.

“Ce la guardiamo un po’ di tv, mentre Lukas e Norman sparecchiano? Il lavatoio tocca a voi, papà ha pensato a tutto il resto, ok?” – propose simpatico l’archivista a Morgan, che perdeva un battito, ad ogni sguardo del tenente.

Una volta sul divano, Phil non tardò ad addormentarsi, allacciato al genitore, che lo teneva tra le proprie ali, senza nascondere la propria commozione.

Lukas sorrise – “Succede sempre così … E’ la digestione a fregarlo, sembra persino perdere i sensi talvolta, certi spaventi, sai?”

“Lo immagino … JD è al settimo cielo, in compenso”

Lukas prese un respiro – “Credi davvero che Morgan sia cambiato? I servizi sociali hanno consigliato a Phil di evitarlo, non è mai andato in visita da lui, in carcere, infatti: gli assistenti gli raccontarono che il padre era diventato pericoloso, un vero criminale, ecco” – gli confidò, una volta arrivati al lavello.

“JD non è più quello di prima: sarà faticoso dimostrarlo, ma ci riuscirà, vedrai” – e li raggiunse, lasciando Lukas in disparte, senza alcuna volontà di offenderlo, ovviamente.

Il giovane si sentì comunque escluso, da quella che, non avrebbe esitato definire una nuova famiglia.

Reedus si accomodò sul tavolino, tra riviste e telecomandi di Play Station, dando un bacio a Morgan.

“Perché io ti amo, JD: ecco perché lo farò.”

E fu come una sentenza, alla quale Morgan, non si sarebbe mai più sottratto.

Mai più.
















lunedì 23 gennaio 2017

NAKAMA - CAPITOLO N. 89

Capitolo n. 89 – nakama



Infilarsi da Gelson’s, il market dei vip, forse non era stata la più scaltra delle idee, però in quel posto c’era il cibo migliore della città e JD voleva fare bella figura con Philip e Lukas.

A come l’avrebbe detto a Norman, era un qualcosa da rimandare: un problema alla volta, pensò l’uomo, mentre selezionava pasta e sughi pronti, con marchio italiano.

Il reparto gastronomia era uno spettacolo di colori e aromi: un arrosto sarebbe stato perfetto, con verdure grigliate, anche se non aveva idea di come si alimentassero quei due stecchini, ma Phil, di certo, doveva seguire una dieta mirata.

Per una volta, avrebbe fatto uno strappo alla regola, era Natale, in fondo.

I prezzi folli, non spaventarono Morgan: il denaro, del resto, non gli mancava.
Una parte di quello preteso da Rovia, per sparire dalla città, era ancora al sicuro nell’alloggio condiviso con Reedus.

Per un attimo, JD pensò di rendere tutto a Paul, lavorando e risparmiando, ma la cifra da ripristinare era cospicua e forse l’impresa impossibile.

Si sentì marcio dentro, per quello che gli aveva fatto ed era la prima volta, che razionalizzava in quel modo le proprie azioni.

Tutto stava mutando velocemente e lui non si meritava di essere così felice, dopo avere inflitto tanto dolore e delusione, a chiunque lo incontrasse.

Nonostante le circostanze.
Nonostante la motivazione nobile, che lo aveva spinto a diventare un delinquente, per salvare Philip: il dopo, l’abisso, in cui era caduto, risalendone con la cattiveria di un demone, però, aveva cancellato ogni suo buon proposito.

E con questo, JD Morgan, avrebbe dovuto fare i conti a vita.

Stava tardando, ma a casa nessuno lo aspettava: Norman era dalle bimbe, sarebbe arrivato dopo mezzanotte.
Questi gli accordi.

E forse anche il poliziotto era passato in quel negozio di lusso, per comprare un dono speciale alle sue principesse: la risata di Reedus, il vecchio JD, l’avrebbe riconosciuta ovunque, anche a tre reparti di distanza.

L’ex galeotto volle controllare, guardingo, anche se, in mezzo ai numerosi clienti dell’ultimo minuto, lui si stava confondendo e rimescolando bene.

Era Norman e non era da solo.

Chris Hemsworth stava scherzando con lui, estremamente espansivo, guascone a dire il vero, ma per una persona innamorata, le altrui dimostrazioni di affetto potevano essere fraintese.

Inevitabilmente.




“E qui c’è la piscina coperta” – Paul rise, indicando un enorme ovale, al piano sottostante, rispetto alla balconata, dalla quale lui e Jesse, si erano appena affacciati.

“Questo posto è pazzesco” – mormorò Pinkman, osservando chi era a mollo, tra risa e dispetti.

“Quelli chi sono?” – chiese sorseggiando il suo secondo punch “alla Shannon Leto”.

“Il tipo, che sta emergendo, in tutto il suo splendore, è Richard Geffen, il primogenito di Glam e l’altro è il suo fidanzato, Taylor Kitsh”

“L’attore?”

“Sì, qui ce ne sono parecchi, in circolazione” – Rovia sorrise, preferendo assaggiare il cocktail di frutti tropicali, a quella brodaglia altamente alcolica, che al suo amico non dispiaceva assolutamente.

“Lo dicevo a Walt, sai? Se qui non sei da copertina, non entri, strano che io sia stato ammesso a corte” – e rise anche lui.

“Hai detto al signor White del mio invito?” – domandò Rovia perplesso, mentre si spostavano nel corridoio successivo.

“No, anzi … E tra poco devo scappare, mi dispiace, ma non voglio lasciarlo da solo più del necessario”

Paul si fermò di nuovo, fissandolo – “Tu lo ami davvero tanto”

Jesse annuì, sgranando i fanali su Rovia, che si sentì il cuore in gola.

“Ti auguro di trovare presto qualcuno da amare nello stesso modo, Paul”

“Ti ringrazio …”

Poi un silenzio imbarazzante.

“Oh guarda, c’è Glam …” – Pinkman ne uscì, notando l’arrivo del legale, con a braccetto Sveva e Pam.

“Sì, con le madri dei suoi figli … Alcune, perché ha avuto anche tre mogli, la prima è la mamma di Ricky, ma nessuna di loro verrà in visita, credo abitino altrove, ormai”

“Che vita deve avere avuto …”

“A essere sinceri, non ne basterebbe una, per contenerle tutte, quelle di Glam intendo … Ciao zio”

“Ehi, chi si vede, Jesse e Paul, i miei monelli preferiti” – li salutò l’uomo, congedandosi dalle splendide ex, che si defilarono nei salotti, dove i rispettivi bimbi, stavano giocando a tombola e a nascondino.

“Buonasera Glam, Paul mi ha chiesto di passare per gli auguri” – puntualizzò lo studente di Chimica.

“Sì, certo … Paul dovrei parlarti di alcune questioni, quando avrai un attimo di tempo, ok?” – disse Geffen, con quel tono paterno, che mal celava le sue autentiche sensazioni.

“A che proposito? Il mio fondo fiduciario?”

“La tenuta di Malibu”

“La detesto e lo sai, ma potresti affittarla, no?”

“In effetti è agibile, un miracolo” – Glam sorrise, pensando al ben diverso argomento, che avrebbe voluto affrontare con Paul ovvero le sue recenti frequentazioni pericolose.

“Granitica, come il mio vecchio, giusto?” – e con un gesto veloce e teso, Rovia quasi strappò la tazza dalle dita di Jesse, per buttare giù, ciò che restava del mix alcolico, assemblato dal batterista dei Mars.

Geffen se ne andò – “Affronteremo la cosa quando ti sentirai, ok Paul?” – concluse pacato.

“Non sono malato, non mi trattare anche tu come Scott!” – protestò il ragazzo, prendendo poi per un polso Pinkman, trascinandolo via.




Fu casuale, immediato e drastico.

Norman gli passò davanti, solo, per recarsi alle toilette.
Lì, Morgan, lo seguì, quasi con un guizzo, tenendo d’occhio Hemsworth, già alle casse e pronto ad uscire, per attendere Reedus nel parcheggio.

Chris distratto anche dalla telefonata di Tom, non notò quella manovra di JD, che difficilmente avrebbe riconosciuto, con il volto nascosto dal cappuccio della felpa, alzato da Morgan, solo in quell’istante.

Voleva sentirsi come gli altri e, in una frazione di secondo, realizzò, che mai sarebbe stato possibile.

Mai avrebbe potuto uscire a fare la spesa con Norman, come stava facendo quel bastardo di sbirro biondo e statuario, per il quale il compagno aveva di sicuro preso una sbandata: una deduzione logica, senza alcuna conferma, perché non ne avevano mai parlato.

Così di Sara o di Paul, persino Dana.

Gli altri, tra loro, non esistevano.

I bagni erano stranamente deserti, ma a JD non importava, era determinato a prendersi qualcosa, a sfogare la propria afflizione, sull’unico essere umano, che si era fidato di lui, proteggendolo, come mai nessuno aveva fatto.

Afferrarlo e spingerlo in un cesso, dalle maioliche selezionate, la filodiffusione con tediose melodie natalizie, ciotole di pot-pourri, dislocate strategicamente ovunque, fu semplice e spietato.

“JD?! … Ma”

“Taci!” – e gli tappò la bocca, con il palmo destro, che sapeva di buono.

Premeva così forte, da togliere il respiro all’amante, che protestò, con frasi incomprensibili, finché Morgan non lo costrinse in ginocchio, liberandolo da quell’oppressione, ma imponendogliene una peggiore.

Volgare.

“E’ questo che fai, quando vai al lavoro, eh?! Passi del tempo con quello stronzo?! E magari ci scopi, vero?!”

Sembrava una furia e assecondarlo, forse, era l’unico modo per farlo calmare, pensò Norman, lacerato da quella reazione smodata, che nulla aveva di complice e sensuale.

La loro confidenza, le maniere di JD, in realtà a lui erano piaciute da subito e il poliziotto si era posto tanti quesiti, sulla propria indole più vera, torbida e profonda.

Come le spinte, con cui il più anziano, adesso, gli arrivava alle tonsille, riempiendogli le gote in fiamme e umide di pianto, che Reedus inghiottiva, tra singulti e drammatica frustrazione.

Le dita dell’altro affondavano nella sua nuca, tra quei capelli, che Morgan aveva accarezzato e baciato, traboccante di dolcezza, solo poche ore prima.

Era assurdo.
Era terribile.

E sembrò non finire mai.




“Così tu gli piaci?” – chiese Jesse, sistemandosi su di un davanzale pieno zeppo di cuscini.

“A Scott? Sì … Lo conosco da quando ero un ragazzino, lui è sempre stato uno scapolo d’oro, ma nessuna donna è mai riuscito ad accalappiarlo, nemmeno nessun uomo se è per questo” – e sorrise – “… in compenso lui ha una cotta cronica per Glam”

“Hanno avuto una storia?”

“Credo di sì … Penserai che io sia una pettegola, con tutti questi gossip”

Risero.

Rovia deglutì’ a vuoto, un paio di volte, le mani in tasca, lo sguardo sfuggente.

“A me … A me piaci tu, Jesse”

Lo aveva detto per davvero?

Decisamente sì, dal viso di Pinkman, sceso da quel marmo, probabilmente per fuggire.

Da White, che lo stava chiamando da circa dieci minuti, senza avere risposta.

Il cellulare del giovane era rimasto in auto.

“Ne sono lusingato Paul”

“Accidenti, che risposta formale”

Jesse si lisciò la nuca, con entrambe le mani, restando senza difese, fisicamente.

Rovia così lo avvolse, frapponendo tra loro e il corridoio, un tendaggio pesante, in damasco verde e oro.

“Paul, io devo andare e”

Un bacio.
Poi un respiro e poi ancora un bacio.
Infine l’apice di quell’assalto, le t-shirt sollevate, i corpi nudi e caldi in pieno contatto.

Un gesto sfacciato e tenero, come gli opali di Paul, ficcati in quelli di Jesse.

“Mi … Mi stai facendo venire, la lasciami” – balbettò Pinkman, incapace di resistergli.

Finché non reagì, mettendo di nuovo della distanza tra loro.

“Io amo Walt e … E non l’ho mai tradito! Non così …” – e si spense, nella sua protesta, scrutando la costernazione di Rovia.

“Ho rovinato tutto, vero Jesse?”

Pinkman non replicò, sparendo da quell’angolo di mondo, dove si era sentito confuso e in balia di emozioni ingestibili.

E maledettamente rischiose.




Il turno doveva finire in anticipo e Chris si lamentò per quanto Norman ci avesse messo a “sistemarsi il trucco”, canzonandolo come un sedicenne.

Reedus inforcò i Ray-Ban, bofonchiando qualcosa, mentre il collega ripartiva, per poi lasciarlo dalla ex moglie.

“Dai un bacio alle bimbe, ok?”

Uno anche da parte sua.
Uno solo da parte sua; quello da parte di JD, era così sporco.
Ora.

“E tu a Luna e a Tom, fagli gli auguri, ok?”

“Ok … Ma stai bene?”

“Non è semplice”

“Sì, capisco … Ehi, non mi dai il tuo indirizzo, Norman?”

“La prossima volta, ok?” – e lo salutò in fretta.




Mezzanotte e trenta minuti.
Interminabili.


Nel buio della loro stanza, dove JD era ancora da solo.

Alcuni rumori lo fecero sobbalzare.
Si stava contorcendo, tra quelle lenzuola, da ore, da quando era rientrato, dopo una doccia e un urlo liberatorio.

Che non lo aveva liberato da un bel cazzo di niente.
Dal rimorso.
Dal dolore.
Dal senso di inadeguatezza.

Altri rumori, più sommessi.

Norman aveva recuperato cuscino e coperta dall’armadio a muro, sistemandosi poi sul divano, andando a tentoni, nel riverbero delle insegne esterne, del drugstore, lì davanti, sempre aperto.

Era rimasto in boxer e maglietta, null’altro, stava soffocando, per un’angoscia insopportabile, per essere voluto tornare lì, scelta che poteva evitare o rimandare o cancellare.

Dalla propria vita.
Per sempre.

Se solo avesse voluto.

JD non ne poteva più, ugualmente devastato da quella situazione, in cui sembravano essere precipitati entrambi; ma solo per colpa sua.

Si decise a raggiungerlo, nell’oscurità.
Per la vergogna.

Si inginocchiò, dando una carezza al fianco sinistro di Norman, raggomitolatosi, abbracciato al guanciale, come un cucciolo spaventato.

Ma non lo era affatto.

“Mi dispiace”

Morgan riuscì a dire solo questo.

Reedus si mise seduto, rigido, mentre lo puntava, come un bersaglio.

“Credevo ti fidassi di me”

JD rimase zitto, il fiato spezzato, le iridi lucide.

Un fascio di luce azzurrognola, si era bloccato, in quel neon malandato, concentrandosi sulla sua figura, come un riflettore, orchestrato da un regista impietoso.

“Io … Io non pretendo che tu mi capisca, Norman, però mi sono sentito senza scampo, senza alcun futuro, accanto a te, alla luce del sole, come se fossi tornato in quella gabbia, dove l’unico modo per sopravvivere era fare del male al prossimo, prima che”

“Che lui lo facesse a te?” – lo interruppe brusco – “E io quale male ti avrei fatto?”

JD abbassò la testa.

“Tu … Tu non centri, con i miei incubi, le mie insicurezze, tu, un’esistenza normale, là fuori, ce l’hai”

“Ma stai scherzando?!” – ruggì il tenente, scattando in piedi – “Io vivo nella menzogna, ma che dico?! Anche peggio, io ometto le cose, per costruire ogni fottuto giorno, questa bolla, dove tenerti al sicuro!” – esplose.

Morgan rimase immobile.

Norman ricrollò sul sofà tinta moka.

“E per te … Per noi, io ho fatto del male a Paul”

JD si sollevò lento.
Prese il giubbotto dalla sedia e si avvicinò alla blindata, posando le dita mancine sul pomello gelido in ottone.

“Oggi ho rivisto Philip, da Jacob … Era con Lukas, il suo amore più grande e Phil ci aveva persino invitati, a pranzo, per domani, da loro … E’ stato così bello … Come un sogno, che io non avrò mai alcun diritto di realizzare” – e se ne andò.

Senza voltarsi indietro.