martedì 28 aprile 2015

LIFE - CAPITOLO N. 117

Capitolo n. 117 – life



“Pungi”

Taylor gli rise nel collo, dicendogli quella semplice parola, mentre si accucciolava meglio contro di lui.

“Stai un po’ zitto” – Ricky iniziò a fargli il solletico, scendendo con le labbra al suo sterno “altrimenti te ne farò ancora di più” – poi smise subito, artigliandosi al suo busto magro, la testa appoggiata all’addome asciutto del ragazzo, che inspirò, fissando prima il soffitto e poi la chioma dell’altro.

“A te piace stare zitto, dopo …” – gli sussurrò, giocando con le ciocche corte dell’architetto.

“Sì, anche … E poi mi piace che tu sia contento … Che tu stia bene” – replicò sommesso ed assorto.

“A che pensi?”

“Al fatto che io mi sento così … Bene, intendo” – e sorrise finalmente, senza guardarlo ancora.

“E’ stato … bello, è stato diverso”

“Dagli altri? Non sono in vena di ascoltare le tue pagelle” – e tirò su dal naso, irrigidendosi.

“Mai fatte”

“Bugiardo” – rise – “… le facciamo tutti, di continuo, dal lavoro alla pizza”

“Allora tu sei la mia quattro stagioni Ricky, la mia preferita”

“Ci risiamo con i paragoni” – ed arricciò il naso, puntandolo improvviso.

“Dio quanto sei permaloso …” – sbuffò l’attore, ma senza adombrarsi.

“E tu sei tu, mi piaci da impazzire” – mormorò, risalendo di poco, per succhiargli i capezzoli e ricominciare a fargli l’amore.

Per la terza volta.




Downey prese posto al lato opposto, rispetto a quello di Geffen, alla scrivania dell’avvocato.

C’erano alcuni plichi sul ripiano ed i ricordi del moro non erano piacevoli, ma abbozzò un sorriso più che sereno.

“Dunque Robert, come ti accennavo in hotel stamani, qui ci sono gli atti di acquisto del jet, è intestato ad entrambi, ma io davvero non so cosa farmene”

“Nessun problema, ne ho già parlato ai miei soci della casa di produzione, che ho in società con Susan, lo vogliono rilevare senza battere ciglio … Comunque Glam, se hai qualche difficoltà, a me puoi dirlo”

“No, per fortuna no, ma, a costo di ripetermi, questa è stata una spesa folle e non indispensabile” – sorrise altrettanto pacato, scartabellando altri fogli.

“Bene … E la nostra villa?”

Geffen si guardò intorno – “E’ mia intenzione trasferirmi definitivamente a Palm Springs, anche i bimbi stanno meglio lì e poi ho sempre l’appartamento adiacente lo studio e …” – Geffen si morse le labbra – “… oltre a diverse proprietà … Kevin intende disfarsi della Joy’s House, ma è intestata a Lula, anche se soldino non so neppure se ci vivrà un giorno”

“Allora intestiamo questa a Pepe, che ne pensi? I nostri bimbi sapranno cosa farsene al momento opportuno”

“Perfetto, allora lo inserisco nei dossier per il notaio …” – replicò soddisfatto.

“Abbiamo altro su cui decidere, Glam?” – domandò con un sorriso dolce.

“Temo di no … Condividiamo uno splendido bambino Robert” – e gli prese le mani – “… tu hai ritrovato Jude e questa è la cosa migliore potesse capitarti, credimi” – sospirò, completando la frase con un pizzico di autoironia – “… perché di questo scapestrato del sottoscritto, te ne potevi giusto fare del sapone”

Risero, guardandosi.

“Ti voglio così bene Glam …”

Geffen gli baciò i palmi, con tenerezza – “Ed io ti adoro Robert”

Qualcuno bussò.
Era Lula.

“Zio Rob puoi scendere? Zio Jude non sta bene” – disse trafelato ed i due corsero al piano inferiore, dove l’inglese stava intrattenendo la prole, con una partita a Monopoli.

Law se ne stava steso sul divano, con un’espressione sofferente.
Appena vide Downey, gli sorrise, ma per poco.

Voleva rassicurarlo ad ogni costo, ma le fitte erano insopportabili.

“Amore è di nuovo la schiena?” – chiese concitato.

Jude annuì, gli occhi lucidi, quanto quelli del marito.

Glam, nel frattempo, aveva chiamato un’ambulanza ed allertato Scott, già in ospedale per alcune urgenze.

“Hai freddo?” – chiese poi il legale, portando una coperta.

“Sì sto gelando … ti ringrazio” – e si lasciò avvolgere.

“Stanno arrivando i soccorsi, vedrai che non è niente, ok?” – lo confortò l’uomo, lanciando di tanto in tanto un’occhiata turbata a Downey, che era in uno stato di agitazione ingestibile.

Soldino posò i palmi sulla nuca di Jude, facendosi spazio tra gli adulti.

“Ora zio pensa a qualcosa di bello …” – gli sussurrò, mentre lo massaggiava.

“Ok … A … a quando risposerò zio Robert, è la cosa migliore, alla quale posso pensare adesso … che io possa sognare, ecco” – e si rilassò.

“Mmm d’accordo, però guarda che ai nostri matrimoni succedono sempre dei pasticci” – scherzò il bimbo, riportando un minimo di allegria ai presenti – “… come ti senti?”

“Meglio … Miseria i dolori sono passati” – e cambiò persino colorito.

I paramedici avevano appena suonato ai cancelli della residenza.

I bodyguard li lasciarono accedere, senza ritardi, avvisati da Geffen.

Anche Downey era come rinato, nel vedere Jude ristabilito.

“Forse Lula mi ha guarito” – affermò speranzoso l’artista.

“No zio, devi farti curare, questa è solo … un’illusione” – e gli fece l’occhiolino, scappando via insieme a Pepe, verso l’immenso giardino.




Tim lo abbracciò da dietro, cullandolo, mentre spargeva carezze, sotto la maglietta di Niall, appena sopra il suo ombelico perfetto.

“Con Layla sei davvero un amore, sai?” – gli bisbigliò intenso, come il bacio che posò sulla spalla sinistra di Horan.

Erano davanti ad uno specchio, dalla cornice dorata, ma semplice ed elegante, come ogni arredo, nel loft di Tim.

“Lei è un tesoro …”

“Presto le daremo un fratellino” – sorrise complice.

“Magari” – Niall si illuminò.

“Ho trovato anche lavoro, la mia laurea è servita in fin dei conti”

“Spero di potere fare altrettanto, aprendo l’asilo, di cui parlavamo Tim: sto risparmiando da una vita”

“I soldi non sono un problema piccolo” – e lo voltò a sé, baciandolo.

“Saremo soci alla pari, non dimenticarlo!” – e rise solare, riprendendo contatto con la sua bocca morbida.

Tim lo sollevò di poco, facendo una mezza piroetta.

Era bella la vita.
Improvvisamente.




Shannon preparò del tè turco: una brodaglia orrenda, pensò Jared, sorseggiandola ed ammiccando buffo.

“Non ti piace, lo sapevo!” – brontolò roco il batterista, sistemandosi sul tappeto persiano appena acquistato in un bazar egiziano con Tomo, durante un viaggio fuori programma nel continente africano, con il figlio.

“Vi siete divertiti fratellone?” – domandò il front man, posando la tazza, su di un tavolino basso, fatto di giunchi e vetro, una creazione del croato.

“Sì, soprattutto Josh … Sui cammelli e non solo, ha apprezzato anche piramidi, sfinge ed il contorno di ambulanti, con le loro patacche made in Cina” – rise divertito.

“Buon per voi …”

“Tu, al contrario, mi sembri poco soddisfatto Jay, come se fossi uscito da una lazzaretto e non da un resort a cinque stelle”

“Non me la sono spassata, lo ammetto, nemmeno sulla neve, come gli altri anni, mi sei mancato, forse se ci aveste seguito”

“Vuoi farmi sentire in colpa?” – scherzò leggero, prendendo dei biscotti – “Questi li ha fatti mamma, così non ti lamenti”

Jared lo stava guardando, nei suoi gesti sempre un po’ rozzi, ma così premurosi.

Si commosse.

“Ehi scimmietta … Ma cosa ti prende?”

“Mi potresti abbracciare Shan?” – quasi singhiozzò.

“Certo” – Leto senior non se lo fece ripetere – “… hai combinato qualche casino con Colin? O con Glam?”

“No, nulla di che … Con Cole, almeno”

“E con Geffen?”

“Lui è … E’ incostante, una bandiera nel vento e poi c’è Ricky, le sue confessioni scomode, gli insulti che ha vomitato in faccia al padre … Glam non se lo aspettava, non ci credeva”

“Me lo hai scritto nella tua e-mail Jared, ho letto quanto è stata dura per lui … e per te: immagino che la tua proiezione di lui, come padre dell’anno, si sia un po’ incrinata”

“Quello è il passato ed io lo conoscevo benissimo Shan” – obiettò secco – “… Glam è un genitore esemplare”

“Quando vuole” – Shan gli sorrise, asciugandogli le gote, con i pollici ruvidi.

“Sì, ok … Però”

“Tu lo difendi sempre, ma io ti capisco, lo ami ancora e sei in crisi, per l’ennesima volta, a causa sua e di ciò che provi: ma non ti sei ancora stancato?”

“E come potrei? Lui mi confonde, mi rimescola dentro ogni cellula, ogni respiro”

“A settant’anni la smetterete? Forse la senilità correrà in vostro aiuto” – e cominciò a sghignazzare, dandogli dei buffetti dispettosi, ma carichi di affetto.

Leto jr ne aveva un disperato bisogno e se li fece bastare, per riacquistare il sorriso, anche se con il cuore spezzato a metà.




Scott riunì gli esiti degli esami in un fascicolo colore viola, inserendo alcuni appunti a mano, su di un post-it giallo sole.

“Metto giusto un paio di appunti per il professor Retayeux … Ecco fatto” – e guardò Robert – “… non state in pena, è un effetto collaterale del trapianto di rene, subito da Jude, ok?” – e sorrise.

“Un’infiammazione muscolare, quindi?” – domandò Geffen, seduto a fianco dell’ex.

“Sì, curabilissima, con i nuovi trattamenti elaborati dall’equipe elvetica di Gerard, lo conosco da una vita, è persona sensibile e geniale, vi troverete bene nella sua clinica”

“Era il dottore di cui ti parlavo Robert”

“Sì, sì, ok … Faremo ciò che va fatto, ma sono scombussolato, perdonatemi se non partecipo ai vostri discorsi ed al vostro … entusiasmo” – e deglutì a vuoto, la mente rivolta all’ambulatorio accanto, dove Law si stava rivestendo, pronto a tornare nel loro loft, fronte oceano.

“E’ stato stressante per te Rob, ora vi riaccompagno”

“Grazie Glam … Cami e Dadi si sono un po’ impressionate”

“Che ne dici se le porto da Pam per questa sera? Gli diremo che sarà una nuova gita, in Svizzera, staremo nel mio chalet, con Lula e Pepe, che ne pensi? Scott vieni con noi, con Jimmy ovviamente?”

“Non posso allontanarmi, però ci aggiorneremo via web cam; grazie per l’invito comunque Glam …” – e gli sorrise tirato, in imbarazzo per come li vedeva interagire, nonostante uno spiacevole divorzio, superato senza il minimo rancore.

Evidentemente.











lunedì 27 aprile 2015

LIFE - CAPITOLO N. 116

Capitolo n. 116 – life



Farrell si aggiustò l’auricolare, mentre guidava e parlava con Taylor.

I gemelli dormivano sul sedile posteriore, controllati di tanto in tanto da Jared, assorto a fissare oltre il finestrino, il paesaggio che fuggiva via e mutava, chilometro dopo chilometro, dal Colorado alla California.

Si sentiva allo stesso modo, sospeso tra Colin e Glam, che li seguiva a distanza di sicurezza, ma mai abbastanza per uscire dalla vita della coppia.

Jude, Robert, Cami e Dadi condividevano l’abitacolo del suv dell’irlandese, che ora rideva, alle confidenze di Kitsch, con il quale sarebbe tornato sul set il giorno dopo.

Law dormiva, la testa appoggiata sulla spalla sinistra di Downey, che di tanto in tanto lo baciava sulla tempia, girandosi di quel poco, per scrutare Geffen, sorridente a quel contatto, mentre chiacchierava con un loquace Lula ed un vivace Pepe, impegnato a corteggiare Luna, coccolata da Tom e Chris, unitisi a loro per il rientro.

Sveva e Pam avevano preferito il van di Vas e Peter, con il resto dei bimbi, oltre a Phil e Xavier, che badavano a loro volta ai guapiti, come li definiva affettuoso lo scultore.

Harry, Louis, Liam e Zayn, con Petra ed Eric, avevano noleggiato un’auto, abbandonati ad Aspen da Lux, appena ripartito dal resort con Taylor.

Kevin e Mark avevano preso a bordo Scott e Jimmy, mentre Tim, Niall e Layla, avevano scelto lo scassatissimo fuoristrada di Hugh, che con Jim e Nasir, erano in coda, strombazzanti, in vani tentativi di sorpasso, che, in compenso, riuscivano benissimo a Brendan e Brent, solitari ed allegri sulla loro Aston Martin, comoda esclusivamente per due.


“Tutto bene tesoro?”
Ruffalo ruppe il silenzio, anche nella testa di un Kevin assente, dalla partenza.

“Sì … Sì, certo, scusami non sono di compagnia”

“Non sei l’unico” – bisbigliò simpatico, indicando con gli occhi Jimmy, con le cuffiette e Scott immerso nella lettura di un manuale di chirurgia, ricevuto il Natale precedente dalla sua equipe di infermiere.


Kevin sorrise a metà, inspirando greve, come se avesse un peso sul cuore.

“Forse preferivi viaggiare con Glam e Lula …” – accennò il professore.

“No, no, assolutamente … I miei figli, come vedi, stanno benissimo con altri” – e si riferì soprattutto a Layla.

Mark scosse il capo riccioluto e nuovamente folto – “Nessuno ti ha estromesso dalle loro vite e puoi portare i tuoi bambini da me quando vuoi, sai che li adoro” – rivelò sincero.

“Sì, sarebbe bello …” – replicò inquieto.

Ruffalo gli prese la mano, appoggiata al bracciolo, percependola gelida.

“Tu con me puoi parlare di ciò che vuoi Kevin, ok?” – aggiunse comprensivo e disponibile.

“Ok … E’ … E’ un momento delicato, ecco … Tu mi … Mi prendi parecchio” – e rise nervoso.

“E’ reciproco” – ed arrise alla propria constatazione, con un pizzico di senso di colpa, nel ricordare l’espressione di Niall, appoggiato a quello stipite, solo poche ore prima, al suo bacio sfuggente, ai suoi fanali lucidi e vibranti.

“Siamo in bilico entrambi tra due relazioni finite male, nelle quali credevamo, io poi sono reduce da un bel divorzio ed è il secondo … Fallisco puntualmente, come vedi ed ho una paura fottuta di imbarcarmi nella terza catastrofe sentimentale della mia vita” – quasi si sfogò, limpido.

“Allora sarà come la terza guerra mondiale”

“Cioè?”

“Non ci sarà mai.”




Richard era partito all’alba da Aspen, con i suoi, per raggiungere prima possibile la città.

Ormai accumulava scuse e bugie con Sonia, compresa quella levataccia mattutina, per non rimandare impegni di lavoro tanto urgenti quanto immaginari.

Usando un escamotage piuttosto ridicolo, strappò a Flora, la storica segretaria del padre, l’indirizzo di Kitsch, essendo l’attore tra i clienti dello studio, che curava la parte legale delle produzioni dove lavorava Farrell.

In quel frangente, l’architetto si sentì alla stregua del famigerato genitore, capace di ottenere qualsiasi cosa, quando si prefissava un obiettivo preciso.

E Taylor era là, ora, a pochi metri dalla sua vettura bipower, ecologica ed all’avanguardia quanto la sua attività, sempre attenta alla salvaguardia dell’ambiente e delle risorse energetiche.

Quante belle parole era in grado di dire l’affascinante architetto, anche davanti a platee numerose, ai vari congressi, dove il primogenito di Geffen era spesso ospite d’onore, per le sue ricerche costantemente innovative.

Chissà se con quel giovane, Ricky, avrebbe saputo sfoderare lo stesso carisma: il dubbio lo attanagliava, accartocciato dietro al volante, che con le dita stava stritolando.

La ragione di quel disagio, gli stava contorcendo lo stomaco.

Kitsch era sceso dalla jeep di Lux, pronto a prendergli il bagaglio e porgerglielo con gentilezza, se non che Taylor gli si appese al collo, per stampargli un bacio sulla bocca, di quelli che di dubbi non te ne lasciano.

Vincent era persino arrossito, ma, nonostante le iridi dell’altro erano un invito sfacciato a salire da lui, l’affarista sembrò rinunciarvi, congedandosi trenta secondi dopo.

Trenta secondi durante i quali Ricky non riuscì a riorganizzarsi mentalmente un discorso logico, per chiedere scusa a Taylor.

Era troppo incazzato.
Troppo geloso.
Geloso marcio.

Se ne rese pienamente conto appena raggiunse il pianerottolo dell’amico, all’attico del palazzo elegante, in cui abitava Taylor, ma in una zona lontana da quelle più  in  di L.A.

Con una spinta, Richard lo buttò nell’ingresso, costringendolo in un angolo, nella penombra, dopo avergli brandito i polsi, in una morsa febbrile, come i suoi occhi, le sue esternazioni, i suoi baci.

“Ma sei impazzito!?” – esclamò spaventato Kitsch.

“Sei stato anche con lui, avanti dimmelo!!”

“Ricky lasciami, stai dando i numeri e” – però un ulteriore bacio smorzò le sue deboli proteste.

Aveva il cuore a mille, per la sorpresa, per la gioia di sentirsi trattare in quel modo, anche se brutale ed imprevedibile.

Richard poteva essere uno psicopatico, per quanto ne poteva sapere Taylor, ma quella supposizione neppure lo sfiorò lontanamente.

“Sei una … una puttana ragazzino” – gli ansimò nel collo, infuriato, come le sue mani, nel cercare di spogliarlo.

“A te andava bene, quando è stato il tuo turno, non ho niente da rimproverarmi, ok?!” – si ribellò a quelle ingiurie, lasciandosi toccare dappertutto.

Crollarono sul parquet, seminudi, aggrovigliati e sudati.

Richard non aveva mai abbandonato le sue labbra, continuando ad inveire contro di lui ed il suo modo di comportarsi – “Ti lasceresti scopare da chiunque, non hai una morale, non hai un minimo di vergogna”

“Quello che si deve vergognare sei tu, stronzo di un bugiardo e vigliacco!” – strepitò, scalciando e punendolo con dei pugni sulla schiena, nonostante lo stesse stringendo forte a sé, con la paura che finisse, che se ne andasse, vinto dalla sua eterna paura di volare.

“Non puoi dirlo, ora sono qui!” – la sua voce si spezzò.

“E cosa vuoi da me, fottuto bastardo viziato??!” – gemette, avvolgendolo come se fossero l’uno il riflesso dell’altro, per tante ragioni, mentre lo fissava esigente.

“Io voglio te Taylor … Voglio … fare l’amore con te”

La sua risposta, rimbombò nell’addome di Kitsch, ormai senza più barriere, per arginare l’invasione virile di Ricky, che si inebriò di lui e di come fosse già bagnato e pronto a riceverlo: prepararlo fu pressoché inutile, mentre saziarsi di lui, indescrivibile, per intensità e passione.

Le stesse con cui Richard lo marchiò, con il proprio ritmo incessante, con i jeans scesi alle caviglie, mentre quelli di Taylor erano stati strappati via dalla sua furia di averlo.

Vennero insieme.
Piangendo.




La pausa per un caffè alla stazione di servizio, fu l’occasione per Ruffalo di rimanere da solo con Kevin.

Si guardarono, un po’ smarriti.

“La terza guerra mondiale … Quindi non accadrà mai, ma cosa Mark? Una nostra relazione?”

“No, mi hai frainteso: io mi riferivo all’esatto contrario, per te e per me, senza alcuna catastrofe annunciata o scontata” – gli sorrise.

“Vuoi darci questa opportunità, quindi?”

“Di cosa hai paura, Kevin? Che io ti lasci per un capriccio o chissà cosa?” – obiettò sereno.

Davanti al loro mezzo, transitarono in quell’istante Geffen, che teneva per le orecchie, divertito, Lula e Pepe, rei di qualche marachella, pensò il bassista, facendo loro un cenno.

Ruffalo deglutì a vuoto, ma non perse il proprio equilibrio.

Il passato di Kevin sarebbe stato un eterno presente, con cui fare i conti ogni giorno.

Doveva unicamente capire se ne sarebbe valsa la pena e sino a che punto.



https://www.youtube.com/watch?v=fZpMrm1YQts


Jared si appoggiò ad un muretto, dove scorrevano pubblicità, dietro ad un pannello luminoso, inserito tra la base ed il ripiano, in mattoni pieni, dove il cantante si mise seduto, le mani in tasca, gli zaffiri perduti nella brezza del tardo pomeriggio.

Il tramonto stava bussando tra le nuvole.

Forse era in arrivo un temporale.

Robert lo guardò, poi scese, dicendo a Law che avrebbe preso delle bibite per lui e le bimbe.

L’artista gli si avvicinò, con quei carboni liquidi, capaci di incantarti, come la sua dialettica, le sue espressioni tipiche ed incisive.

“E’ come se tu ed io dovessimo dirci delle cose e non ne fossimo più capaci, Jay … Cosa ci è successo?” – esordì, affiancandolo, per scrutare, quanto lui, l’orizzonte, azzurro ed arancio.

“Non lo so Rob … Tu che pensi?”

“Penso che dovremmo ritrovarci Jay … Eravamo uniti, eravamo complici” – sorrise.

“E poi? Siamo diventati rivali per colpa di Glam?” – chiese secco.

“Sicuramente sì, era inevitabile”

“E siamo stati incapaci di recuperare, dopo?”

“Dopo, Jared?” – Downey rise sarcastico – “Il dilemma, per noi, è che non ci siamo lasciati nulla alle spalle, riguardo a Glam!” – sibilò, mostrando ai passanti il suo profilo migliore.

“Parla per te!”

“Dio, ma sei ridicolo!!”

Colin li interruppe, bruscamente – “Volete un arbitro?”

Leto avvampò e Downey si ammutolì, andandosene, stizzito.

“Perché litigavate?”

“No … Noi stavamo … Lasciamo perdere Cole … Non vedo l’ora di essere a casa nostra, chiudere la porta ed archiviare questa vacanza del cazzo!”

“Devi dirmi qualcosa, Jay?” – domandò, sollevandogli il mento, con il pollice e l’indice mancini.

“Assolutamente … Mi dispiace sono irritabile, ho l’emicrania e la nausea da quando ci siamo messi in viaggio” – si lamentò, senza mentire comunque.

Farrell lo avvolse, con la consueta tenerezza – “Penso sarà l’ultima volta Jay”

“L’ultima volta per cosa, scusa?”

“Temo che l’armonia dei vecchi tempi, non tornerà più, per una serie di circostanze” – replicò tranquillo.

“E’ … è solo un periodo di crisi, di tensioni, ma la nostra famiglia ne uscirà più solida di prima!” – affermò con decisione il leader dei Mars.

Solo in apparenza: non ci credeva più neppure lui, in fondo.





 RICHARD



 ROBERT





giovedì 23 aprile 2015

LIFE - CAPITOLO N. 115

Capitolo n. 115 – life



Ruffalo lo abbracciò teneramente, prima di farlo uscire in corridoio.

“Grazie per avermi tenuto un po’ qui con te, Mark …”
Horan gli sorrise, appoggiato allo stipite, guardandolo intenso.

Parlava in libertà, chiedendosi come mai usasse quelle parole e non era di sicuro sbronzo.

“Qualunque cosa accada, chiunque potrà entrare nei miei giorni, tu avrai sempre un posto speciale nella mia vita e questo lo sai Niall, vero?”

Il ragazzino annuì, emozionato, poi gli diede un bacio veloce e caldissimo, tra il colletto della casacca e la porzione di pelle profumata di uomo e dopobarba costoso, prima di fuggire verso gli ascensori.

Qualcuno stava salendo e quando le porte si aprirono, il sorriso di Tim, collise con il suo, in quella tipica armonia, che gli innamorati portano con loro, nel ritrovarsi.

“Tesoro sei qui, pensavo stessi male”

“Ero accaldato, ho cercato un bagno, ma ho sbagliato piano” – si giustificò, senza timore, mentre Ruffalo li stava spiando, dalla porta socchiusa.

“Anch’io come vedi, il nostro è il prossimo” – Tim rise, stringendolo forte, per poi rientrare in cabina, tenendosi per mano.

Erano così uniti.
Così incantevoli.
Anche Mark riuscì a pensarlo, ricordandosi di respirare.




Il profumo di caffè lo fece svegliare di buon umore: Taylor arrise alla vista di Lux, che gliene stava versando una tazza.

“Ciao …”

“Ehi, ma abbiamo dormito così?” – chiese il giovane, sedendosi contro i cuscini.

“Così come?” – anche Vincent sorrise.

“Vestiti!”

“Già, siamo stati entrambi galantuomini …”

“Grazie …” – disse piano, brandendo il bevanda fumante – “… Tu saresti un papà ideale, sai?”

“Forse” – inspirò il francese – “… come mai lo dici?”

“Sei così, mi sembri attento ecco” – arrossì, sorseggiando e cercando con lo sguardo una brioche vuota sul vassoio.

“Temo non basti … anzi, non basta mai, in generale”

“E’ un’allusione ai Geffen?” – bissò Kitsch, incuriosito.

“Sì, anche, però nel loro caso hanno recuperato o sbaglio?”

“Non lo so ad essere sinceri, con Ricky ci siamo lasciati male” – rivelò assorto.

“Hai avuto una storia con lui?”

Taylor scosse la il capo spettinato, con un’espressione buffa – “Si vede che sei un ex poliziotto: poni quesiti diretti e senza sfumature”

“Hai ragione, era il mio mestiere e non sempre avevo molta … delicatezza”

“Eri un fanatico della divisa, del distintivo?”

Lux ammiccò simpatico, con le gambe accavallate, mentre se ne stava sul bordo del letto, come a distanza di sicurezza dall’altro – “Volevo farmi valere, certo, emergere: Parigi non è una metropoli semplice da masticare e digerire”

“Che immagine cruda, non certo da paradiso degli innamorati, come recitano ancora oggi i volantini turistici, che poi sono solo cazzate”

“Non saprei, mai stato innamorato a Parigi … O quasi” – e ripensò sfuggente a Louis ed al breve soggiorno del ragazzo, in quel di Francia, alla sua villa.

Kitsch lo scrutò – “Io non sopporto quelli come Ricky, comunque”

“Lui è un codardo, secondo te?”

“Certo”

“Non mi va di giudicarlo, non è semplice quando hai dei bimbi, una moglie, una carriera, bisogna mettersi nei suoi panni insomma”

“E’ un infelice” – e si alzò, un po’ brusco.

“E tu come lui, vero? Per colpa sua, immagino” – disse pacato.

Taylor lo fissò, mentre si denudava – “A me non va più di perderci del tempo” – affermò disinvolto, come i suoi gesti naturali – “La fai una doccia con me?”

“Ok …” – mormorò quasi impercettibile l’affarista.

Infine lo seguì.




Kevin posò il suo sguardo su Ruffalo, ancora nel mondo dei sogni.

Era tornato da lui, dopo avere preparato Lula molto presto, al ritorno in California.

Il docente aggrottò la fronte, mordendo poi un lembo del cuscino – “… che cavolo di ore sono …?” – domandò roco, ma unicamente a sé stesso; non si era accorto del bassista.

“Le nove”

“Ehi … sei qui” – ed andò ad abbracciarlo, portandoselo sotto le coltri tiepide ed accoglienti.

Kevin si lasciò spogliare e trafiggere, dal desiderio dell’uomo, che sembrava muoversi in una sorta di sogno ad occhi aperti, su Kevin, sul suo corpo asciutto e palestrato.

Era dimagrito molto negli ultimi mesi e gli allenamenti continui, lo avevano reso ancora più attraente.

“Ma Mark …” – ansimò.
Gli era troppo dentro, in ogni senso, senza infondergli alcuna sicurezza concreta.

Erano partiti per quella vacanza, con l’intento di riconquistare Tim e Niall, anche se il loro livello di confidenza, era trasceso da complici ad amanti, estremamente in fretta.

Il problema di salute di Ruffalo, poi, sembrava avere consolidato un legame da esplorare, non senza rischi.

Un camminare sulle sabbie mobili, di cui Kevin non aveva assolutamente bisogno.

La sua fragilità turbava esclusivamente Glam, che lo conosceva meglio di chiunque, ma Geffen era stato buttato fuori dai giochi.

Forse un errore, pensò Kevin.
Pensava ancora a lui, mentre faceva l’amore con Mark.

Un tunnel senza fine.




Kitsch gli frizionò la schiena, prima di girarlo a sé, mentre scendeva con le dita e con la bocca, al suo inguine, inginocchiandosi sopra la ceramica zampillante e lucida.

“Taylor non … non dovresti” – Lux gemette, poi farfugliò qualcosa di incomprensibile, rimescolato alla musica della filodiffusione, attivata prima di entrare in quel comodo box.

Gli occhi del ragazzo erano colmi di devozione, almeno quanto le sue guance del sesso di Vincent, che non riuscì a trattenersi, nel brandirgli i capelli ed ondeggiare i fianchi, per avere il meglio da quel rapporto sessuale, rimandato ad oltranza e, forse, stupidamente.

Ne avevano il diritto, di stare bene.
Come nessuno, in fondo.




Jared si era concentrato a guardare le piste nuovamente affollate.

Il suo profilo si stagliava contro la luce delle ampie finestre, contro le quali si era come bloccato, con uno dei cappelli di Colin, calato sulle tempie, dove Geffen posò un bacio leggero – “Buongiorno, ben alzato”

“Ciao Glam” – il cantante lo guardò, con un sorriso incerto.

Era bellissimo.

“Allora ce ne andiamo?” – chiese mesto il legale.

“Sei di cattivo umore?”

“E tu?”

“Abbastanza”

Risero senza entusiasmo.

“Ci vediamo a Los Angeles, Glam?”

“Perché, non partite con noi?”

“Non in quel senso … Dovevo dire, ci vedremo a Los Angeles, Glam?” – e sospirò.

Era strano, ma non più del solito.

“Certo …” – l’avvocato tossì – “… Ho dei casini da risolvere, spero di dedicarti abbastanza tempo”

“Quali casini, scusa?”

“Niente di preoccupante Jay”

“Se ti riferisci a Richard, io me ne starei fuori”

Geffen abbozzò un sorriso di circostanza – “Lui è una delle mie priorità: non mi darò pace finché non lo vedrò felice”

“Ok, ma non fare il caterpillar, in questi casi non servirebbe”

“Sai che farò di testa mia, vero?”

“Appunto” – replicò rassegnato – “… da me non accetti consigli, a quanto pare, del resto non sono Robert”

“Tu hai un problema con Rob e questo non mi piace, sai?”

“E tu ci tieni tutti in gioco, come un allenatore esperto e consumato” – ribatté secco il leader dei Mars.

“Hai litigato con Colin?”

“No, lo sto facendo con te, Glam accidenti e lascia fuori mio marito dalle nostre discussioni, cazzo!” – sibilò acre.

Era ferito e Geffen non sapeva neppure per cosa, realtà.

La gelosia verso Downey in parte lo gratificava, ma blandamente.
I pensieri di Geffen erano rivolti a cose più importanti e Jared non sembrava esserlo a sufficienza, per spronarlo ad un conforto, che ora gli appariva come imposto.

“Forse sarebbe meglio  non vederci  per un po’ Jay”

“Come al solito decidi tu, vero?” – ringhiò alterato – “Come baciarmi fregandotene delle conseguenze oppure mollarmi e riprendermi a piacimento!”

“Io non ho mai deciso un tubo, se vogliamo affrontare l’argomento, ma non ti conviene Jay, accidenti!”

Leto provò ad andarsene, ma la morsa intorno al suo avambraccio destro, non gli diede scampo.

Così l’essere travolto e trascinato dalla forza di Geffen, come se un’alta marea lo avesse colto di sorpresa, sino a giungere in un angolo buio, distante dal belvedere panoramico dell’hotel, in una stanza completamente vuota o quasi, se non fosse stato per quel tavolo, dove Jared sembrò schiantarsi, con il peso del suo amante addosso.

Perché Glam Geffen era quello e nulla di più, arrivati a quel punto, sospeso ed inconsistente, quanto una nuvola.

Una nuvola carica di pioggia, con le proprie lacrime nel collo di Jared, a rimescolarsi con le sue, di fulmini, come il suo agire febbrile, nell’aprirgli i vestiti e le labbra, sublimato da un bacio rovente, che gli stava dirompendo sino in gola, almeno quanto un tuono fragoroso.

“Ti amo Glam …” – e nel dirglielo, intossicato dal suo sapore, nel succhiargli le dita, Jared se le portò tra le gambe esili, perché Geffen lo toccasse ad una profondità assoluta.

Era il suo modo di appartenergli, senza mai essere stato suo.

Si accarezzarono con veemenza e frenesia reciproche, venendo copiosi, al solo sfiorarsi, senza donarsi in alcun amplesso.

Senza mai smettere di guardarsi.