domenica 30 ottobre 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 81

Capitolo n. 81 – nakama



La pioggia li sorprese, a metà strada, sulla via del ritorno.

Senza saperlo, Robert e Jesse stavano viaggiando, lungo il percorso, verso il cottage di Pinkman, dal lato opposto della città dove si trovavano Glam e Jude, in attesa di istruzioni, da parte di Chris.

Una pattuglia, finalmente, avvistò l’utilitaria di Rosita, presa in prestito dall’attore, per cercare Pinkman, senza essere seguito da nessuno della sua vasta e affettuosa famiglia.

Essere così amati, a volte, poteva risultare scomodo, anche per uno come lui, assetato di attenzioni, dai primi anni di vita e consapevolezza.

Geffen riavviò quindi l’Hummer, non senza controllare una cosa, nel vano oggetti.

“E quella cos’è?” – sbottò Law, fissando un revolver nuovo di zecca.

“Ho il porto d’armi, non preoccuparti, ok?” – brontolò il legale, richiudendo lo sportellino in radica e acciaio.

“Ti porti sempre l’artiglieria appresso?” – chiese con un mezzo sorriso l’inglese.

“Di questi tempi più che mai, non hai idea di quanti sciacalli girino per i quartieri, dopo il sisma” – spiegò Geffen, concentrato sul navigatore, dove, stranamente, le coordinate inviate da Hemsworth risultavano già memorizzate.

L’uomo non disse nulla all’amico, pervaso da una sensazione indecifrabile, da almeno un paio di giorni ormai.

Geffen non era nuovo a esperienze di quel genere, sovrannaturali e inspiegabili.

Pensò a Lula, ma non c’era tempo di parlargli, per chiedere spiegazioni a soldino, ormai giunto a casa di Kevin e Tim, per trascorrere insieme a loro e ai cugini, il week end.


“Siamo quasi arrivati Jesse” – Downey prese un respiro, senza distrarsi dal traffico, che andò diradandosi, quando imboccò la via dei villini, in quella periferia scarna, per negozi e servizi.

Era il luogo ideale, per il laboratorio di White.
Walter White, che controllava l’ora, ogni due minuti, sempre più in ansia, per il ritardo dell’acerbo compagno e per il suo cellulare spento.

I dubbi, i sospetti di un suo tradimento erano remoti, seppure quell’immagine, rimandata dallo specchio del loro modesto salotto, gli risultò, ancora una volta, impietosa.

La sua quotidianità, lo costringeva quasi a vivere come un topo, sempre al chiuso, nello scantinato grigio e spesso maleodorante, per le sostanze usate dai due, per produrre metanfetamine di alto livello.

Roba forte, biascicavano spesso gli utilizzatori, strafatti e in volo, verso paradisi fatui.


White si ostinava a rasarsi, quasi completamente, perché quei suoi capelli stopposi, proprio li odiava, anche se erano ricresciuti piuttosto in fretta, dopo le chemio.

Era magro, ma non atletico, mentre il corpo di Jesse gli risultava, dopo sette anni di “collborazione”, uno splendore continuo, senza troppi sforzi da parte dello studente.

Pinkman si nutriva appena, era divorato di passione e trasporto, quando facevano l’amore o scopavano, ormai la differenza era iniqua.

Ormai tutto, si era miscelato, come in una formula senza tempo, senza età, senza differenze.

Jesse era diventato, non senza difficoltà, un eccellente chimico; Walt doveva ammetterlo con sé stesso, senza più esitazioni.

Jesse poteva andarsene, fare soldi, anche senza di lui.
Lasciarlo da solo.
Solo.
Come un cane.
Com’era Pinkman, quando lui, uomo di buona famiglia, dedito al lavoro, ai cari, incolore, insignificante, lo aveva come raccolto.

E amato da subito, senza mai volerglielo dire per davvero, finché ci riuscì, pateticamente, a nascondere i propri sentimenti verso quel ragazzino, devastato dalle droghe e dall’amore per lui, Walter White, che non era niente, senza Jesse Pinkman.



Jude si masticò le pellicine, poi verificò la segreteria sul palmare, senza successo.

“Niente, Rob non ha risposto a nessuno dei miei messaggi”

“Avrà altro da fare” – sbuffò Geffen, accelerando, in prossimità dell’incrocio, che lo avrebbe portato a destinazione.

“Vorresti dire di meglio, che stare con me?” – polemizzò l’interprete più celebre di Watson.

“Ma figurati … Ci siamo quasi, ma a te non sembra di esserci già stato, Jude?” – chiese come stranito, analizzando ciò che stava vedendo.

Anzi, rivedendo, senza saperlo.


Downey accostò, su ordine di Jesse.
Il temporale era aumentato, all’improvviso.

“Meglio fermarci qui, non vorrei che Walt ci vedesse, ecco” – spiegò Pinkman, in palese tensione.

“Nessuno ti ha mai dato un passaggio?” – domandò Robert, sorridendo, cercando di togliere l’appannamento del parabrezza, con uno straccio in microfibra, di quelli usati da Rosita, durante le proprie mansioni di colf, oltre che di baby sitter.

“No”

“Strano, sei un tipo simpatico, socievole”

“Anche troppo, secondo le tue farneticazioni Robert” – obiettò Pinkman, acido.

Downey inspirò, sentendosi ridicolo.

“Ok, forse è stato uno sbaglio cercarti”

“E non so neppure perché! Ti sei preso una cotta, forse?”

§ Per me, che non sono mai stato nulla di che, che nessuno ha voluto, che qualcuno si è preso, derubandomi di ogni dignità? §

Jesse se lo chiese mentalmente.
Mortificato, si scusò – “Perdonami Robert …” – e si riempì le labbra di quel nome, di quei carboni liquidi, che lo stavano fissando da qualche attimo.

Che gli si avvicinarono abbastanza, ai suoi cieli azzurri, fino a darsi un bacio.

Rapido.
Casto.

Glam e Jude fecero appena in tempo a notarlo, avendo parcheggiato dall’altro lato del marciapiede, ma White no, lui no, lo aveva visto benissimo.

Sulla soglia di quell’abitazione semplice, uguale ad altre cento, in quel quartiere così distante dalle colline e dal lussuoso centro di Los Angeles.




Norman si rivestì.
JD, alle sue spalle, gli diede un bacio sulla nuca, aiutandolo ad allacciarsi la camicia a scacchi, blu e azzurri.

“Perché non resti?” – chiese, con quel tono consumato dalle numerose sigarette.
Il suo dopobarba era intossicante.

Così i suoi baci, che dal collo, arrivarono alla bocca di Reedus, come una tempesta.

Dolce ed erotica.

“Perché me?” – domandò improvviso l’ex agente della narcotici, staccandosi malvolentieri da quel contatto intimo, complice.

Come se si frequentassero da sempre.

“Perché no?” – Morgan rise tagliente.
Come i suoi occhi, piantati in quelli di Reedus, come la bandiera dei vincitori.

“Hai visto Paul, prima di me?”

“Certo: sono venuto a cercarlo, per chiedergli dei soldi, in nome della nostra, come dire? Convivenza solidare” – e rise più forte, ormai appoggiato allo stipite dell’uscita.

“Dividevate la cella?”

“Sì … Lui era la mia puttana, gli davo droga e poi … Ok, stammi a sentire, non sono qui per parlare di Rovia, non mi è mai interessato, se davvero vuoi saperlo, ma mai avrei creduto che mi avrebbe portato a te!” – rivelò perentorio, sorprendendolo.

“A me?!” – a quel punto Norman riprese un minimo di controllo, schiarendosi la voce e avanzando, in carenza, comunque, di ossigeno, per quanto si sentiva sconvolto dalle proprie emozioni contrastanti.

“Sì, a te! A te che ti sei ficcato qui!” – e si puntò l’indice in mezzo alla fronte.

“Non è possibile …” – Reedus lo sussurrò appena, bloccandosi di nuovo.

Era come una corsa a ostacoli e lui stava inciampando su tutti.

“Sono fatto così” – anche Morgan tentò di recuperare un po’ dell’aria intorno a sé, gli opali taglienti e lucidi di Norman lo stavano come uccidendo e rinvigorendo – “… io sono così e mi hai colpito dal primo istante … Dal primo pugno allo stomaco direi, visto che non andasti per il sottile, quella notte”

“Quando ti ho arrestato?” – lo interruppe brusco.

JD fece un cenno di assenso, recuperando un’altra sigaretta – “Pensala come vuoi, io non ti ho nascosto un cazzo, mentre il tuo bel ragazzino è corso da me, appena l’ho agganciato e si è lasciato sbattere, senza fare resistenza, come dite voi sbirri”

Un pugno gli arrivò in pieno volto, stendendolo, mentre Reedus finiva in ginocchio, stremato.

Vinto.

Morgan scoppiò a ridere, poi ridivenne serio, in quell’altalenante modo di porsi, che inquietava e seduceva.

“Non ti merita, non potrai mai fidarti di uno come Rovia, di un drogato del genere, anche se ti sembra pulito, rimarrà sporco dentro a vita” – sibilò, andando a pochi centimetri dalla faccia del suo interlocutore, dallo sguardo perso, ormai, tra afflizione e lacrime amare.

“Tu non sai un cazzo di noi, di Paul …” – farfugliò appena.

Sembrò un’estrema difesa, così vuota, quanto inutile.

Morgan gli diede una carezza, poi un bacio nel collo – “Andiamocene adesso, i soldi non ci mancano” – gli parlò dentro, come se lo stesse possedendo, anche in quella maniera, così intima e profonda.

“I soldi che tu hai rubato a Paul …” – e si rialzò – “… Ma ti senti? Sei uno stronzo senza speranza” – e se ne andò, pensando che, forse, non sarebbe neppure arrivato vivo alla moto.

Sbagliava.
JD lo lasciò andare, senza alzare un dito per fermarlo.

Tanto sapeva benissimo, che Norman Reedus sarebbe tornato da lui.



https://www.youtube.com/watch?v=5anLPw0Efmo


Pinkman chinò il capo, percependo le labbra di Robert baciargli i capelli, in un ultimo gesto di affetto o compassione.

“Grazie per avermi sopportato” – Downey sorrise, mentre l’altro faceva come un balzo indietro, contro la portiera, ritraendosi, impaurito.

“Grazie per avermi riportato a casa” – e afferrò la maniglia, per scendere da quell’abitacolo, dove non riusciva più a respirare e connettere.

Gli scrosci gelidi della tempesta lo investirono, così l’occhiata torva di White, impalato sotto la veranda, dove una lampada penzolante, oscillava avanti e indietro.

“Walt …”

Jesse deglutì a vuoto, sbrigandosi a raggiungerlo.

Anche Downey scese, notando la rabbia del professore, pensando già a come dargli una spiegazione, addossandosi ogni responsabilità, affinché Pinkman non ci andasse di mezzo.

Geffen assottigliò le palpebre, dopo avere abbassato il finestrino.

Poi le spalancò.

“E’ armato … Quel tizio è armato! Robert vattene!!” – e, urlando, si precipitò verso l’ex marito, sotto lo sguardo scioccato di Law.

Jesse era quasi arrivato da Walt; ma non abbastanza, per fermarlo.

White sparò un colpo in direzione di Downey.
Un proiettile altamente perforante, di quelli che non danno scampo, per come sono stati concepiti.

In grado di trapassare anche due corpi.
Quello di Glam, che aveva fatto da scudo e quello di Robert, ugualmente trafitto, da quella saetta, arancio e viola.


Gli stessi lampi colorati, echeggiarono dal revolver impugnato da Jude, che non esitò a rivolgere l’arma contro Walter, mentre gli andava incontro, senza che Jesse potesse provare a difenderlo, come Geffen aveva appena fatto con Downey.


“Glam …”

“Tesoro … Mio Dio” – ma il suo sembiante massiccio, non lo abbandonò, tenendolo saldo a sé, mentre precipitavano verso l’asfalto, già macchiato del loro sangue, di quello che usciva dall’addome di Glam e dalla bocca di Robert, imbrattando la camicia del primo, come quel cuscino, che Downey ricordò, nell’ennesimo dejà vu.

Le urla di Pinkman coprirono persino il rumore dei tuoni.

Law si era come paralizzato, oltre il cancelletto della recinzione del loro villino.

White gemette, tenuto in grembo da Jesse, che lo stava abbracciando, disperato – “Walt … Non morire … non farlo … no” – singhiozzò inerme.

“Il … il timer … Il timer l’ho azionato … Vattene subito, salvati almeno tu … Salvati piccolo mio”

E trovò il tempo di essere tenero, quando, in realtà, Walter White aveva sempre faticato ad esserlo con chiunque.

Pinkman, in uno sforzo estremo, lo trascinò via, oltrepassando Jude, che lo seguì, percependo un pericolo imminente.


Un’esplosione illuminò la scena, rendendo le loro figure nere come pece, stagliate contro ad uno sfondo abbacinante e rovente.

Come un nuovo inferno.

Pronto ad inghiottirli, senza alcuna pietà.













giovedì 27 ottobre 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 80

 Capitolo n. 80 – nakama



Il ritmo, brutale ed incalzante di JD, mutò in qualcosa di diverso, all’improvviso.

Così il peso del suo corpo massiccio, che schiacciava contro al muro quello di Reedus, sembrò dissolversi, a poco a poco, mentre Morgan usciva da lui, con accortezza, per girarlo a sé e cominciare a baciarlo.

“Non … Non farò del male, né a te, né ai tuoi … Tanto meno a quella puttanella di Rovia” – e lo scrutò, intenso, prendendo fiato, mentre Norman lo fissava, sconvolto, dall’aggressione subita, ma, soprattutto ora, dalle sue parole – “… ma tu resta con me … Ancora un po’, vuoi?”

E non sorrise.

L’ex poliziotto annuì, tremandogli contro.

Con la voglia di baciarlo ancora.




Il dehors di Barny era in ristrutturazione, quindi Robert e Jesse si spostarono su di un muretto, a finire i loro frullati.

Pinkman tormentava la cannuccia, puntando il vuoto, dopo avere ascoltato il racconto dell’attore.
Su quanto Downey ricordasse, su di loro, su quegli avvenimenti, che adesso, percepiva come un sogno troppo reale.

Forse aveva ricominciato a farsi, pensò Jesse, del resto i problemi di droga di Robert erano ancora noti al grande pubblico, nonostante fossero passati molti anni dai suoi periodi bui.

Il giovane si ossigenò, scrollando le spalle – “Temo ti sia immaginato tutto, anche se non so come tu possa sapere dei miei tatuaggi, magari ci siamo incrociati in spiaggia” – e provò a metterla sul ridere.

Era impossibile, che quell’incontro fosse avvenuto su qualche lungomare: lui e White non si erano mai avvicinati all’oceano, preferendo trascorrere il tempo libero, da impegni lavorativi e scolastici, in quello scantinato, a produrre veleno per tossici, uscendo a malapena sotto Natale, per un film o una pizza.

Il terremoto, poi, li aveva fatti isolare ancora di più; non che ai due dispiacesse.
Era bello scolarsi birra, vedere dvd e scopare, nei pomeriggi di pioggia o di sole.
Loro non notavano la differenza, in quella vita fatta di lati oscuri e bugie.
Con tutti.


Downey rise tirato – “Guarda che non sto scherzando, ti ho solo esposto una serie di eventi e ne sono convinto, che, forse in una dimensione parallela, sono realmente accaduti!” – affermò deciso.

Pinkman si alzò lento, aggiustandosi lo zainetto sulla spalla destra – “Ok, ma perché li sei venuti a dire a me? Sei vivo e vegeto, a cosa ti serve coinvolgermi?”

Jesse voleva solo andarsene.
Quella storia avrebbe portato guai, ne era certo.

Delle ombre si allungarono sull’angolo, dove si erano appartati.

“Ciao zio Robert!”

“Lula …?!” – mormorò sorpreso l’artista, sollevandosi a propria volta.

Soldino era insieme a Vas e Peter, che stavano osservando Pinkman, così esile, in loro confronto.

“Ciao tesoro, ma non dovresti essere a scuola?”

“E tu non dovresti essere con zio Jude?” – ribatté vivace l’amore assoluto di Glam Geffen, con quell’aria, di chi la sapeva lunga.

“Sì, in effetti …” – esitò Downey.

“Facciamo una passeggiata, vuoi? Tanto Jesse rimane qui con loro, magari si fanno portare una pizza” – propose Lula, prendendo per un polso il moro, senza che lui acconsentisse o meno.

Tanto opporsi, sarebbe stato completamente inutile.

Pinkman, in compenso, seguì il loro passaggio sulla battigia lì vicino, con ulteriore disagio – “Ma come diavolo fa a sapere come mi chiamo, quel moccioso?” – quasi sussurrò, rivolgendosi, però, a Vas.

Il sovietico avvicinò tre sedie, mentre il partner recuperava un tavolino.

“Vuoi mangiare?” – chiese rigido il bodyguard.

“Ma voi chi siete?”

“I suoi angeli custodi: il padre di quel moccioso, come l’hai appena chiamato, è Geffen, hai presente?”

Jesse scosse il capo – “Quello che non muore mai?” – e ridacchiò, nervoso.

“Qualcosa del genere” – intervenne Peter, accomodandosi, senza perdere di vista né Robert, né tanto meno soldino.

“Se me ne vado, che succede?” – domandò lo studente, stringendo i braccioli in ferro battuto, di quella seduta scomoda.

“Non sei in pericolo” – replicò Vas, senza mai abbassare lo sguardo severo – “… Noi, siamo quelli buoni. Sempre.”




Le lenzuola erano pulite, sapevano di citronella o lavanda, Norman non riusciva mai a distinguerle.
Una volta, con le bimbe, aveva fatto un gioco, per la scuola, un compito un po’ particolare, basato su aromi e colori da abbinare.
Ne avesse azzeccato uno, lo canzonò l’ex moglie.

Quei ricordi, rimescolati ad altri, gli invasero la mente, così il sesso di JD, per la seconda volta, tra le sue gambe più arrese, ormai, alle sue spinte, a tratti più rudi, ma comunque partecipi, come ogni suo respiro, nel frangersi con quello di Reedus, nella bocca caldissima di quest’ultimo.

Gli piaceva.
Gli piaceva Morgan, la sua virilità prepotente e tenera, nel baciarlo di continuo, per farlo stare bene, in una situazione assurda.

Per entrambi.
In fondo.

Poi tutto finì.
Altri sentori, di fumo, di brezza marina.

JD si era rollato una canna, dopo avere spalancato una finestra.
I tendoni, arancio vivido, impedirono alla luce di inondare la stanza di sole, ma andava bene anche così, pensò Norman, vergognandosi, mentre si copriva con quelle coltri disfatte ed umide, girandosi sul lato destro, quasi in posizione fetale.

“Stai bene?” – chiese Morgan, roco, sedendosi sul davanzale, dopo avere indossato i jeans, sulla propria nudità attraente e muscolosa.

Reedus annuì, come un burattino senza fili.

Era libero, anche di aggredirlo, magari provando persino ad arrestarlo, come un secolo prima, in un tempo, che non esisteva più da un bel pezzo.
Un tempo, in cui era Chris, il suo supplizio perenne, l’unico a destabilizzare le sue sicurezze, a mettere in discussione le sue scelte: sposarsi, diventare padre, senza amare davvero Sara.

Tutto dissolto.
Tutto finito.
Tutto riscritto, negli occhi di Paul Rovia.
Nei suoi cieli.
Nel suo mare.


Forse Paul lo stava cercando.
Forse no.

“Puoi andartene, non voglio trattenerti, se non vuoi farlo tu” – JD sorrise, ma senza sarcasmo.

Silenzio.

“Lo vuoi un caffè? Di là c’è una macchinetta e delle cialde, magari riesco a farla funzionare …”

“Posso … Posso lavarmi?” – chiese senza energia.

“Certo. Gli asciugamani sono in bagno, non li ho ancora toccati” – rispose il galeotto, che nessuno sembrava cercare più.

Norman si diresse al box doccia, sperando di non crollare, di non vomitare, di non fare niente, se non annegare, sotto a quei getti bollenti, come avvenne due minuti dopo.

Finalmente.




“Tu sai cosa mi è capitato, vero?”

Downey ruppe il loro incedere taciturno.

“Una cosa fantastica, zio o no?” – bissò Lula, senza fermarsi, mentre raccoglieva conchiglie, sbirciando l’orizzonte.

“Ero … morto?”

“Lo eri … Anzi, lo saresti stato, fra poche ore, ad essere sinceri”

“E’ questo che vorrei, che tu fossi sincero, soldino, come tua abitudine, ok?”

“Ok … Ma non devi ringraziare me, se è questo che pensi: devi tutto a Pepe: l’amore di un figlio, può questo e anche di più” – rivelò serio.

“Pepe … Ma allora anche lui ha … Ha dei poteri, come li hai tu?”

Lula si fermò, lanciando i gusci, che divennero farfalle, in un turbinio di colori, permettendo, così, a Robert, di vederlo nelle sue sembianze adulte.

Come era successo a Glam e poi a Jared.

Downey rimase esterrefatto.

“Ti sei mai chiesto, come mai, Pepe venisse puntualmente riportato in orfanotrofio, dalle famiglie affidatarie?” – domandò il giovane, con pacatezza.

“No, mai …”

“Era considerato un bambino strano, per delle curiose coincidenze o per degli eventi inspiegabili, ma solo perché nessuno lo voleva con sé per amore, ma solo per avere il sussidio, capisci?”

“Sì, Lula, so come funziona … E Pepe si arrabbiava, si vendicava?”

“Banali incidenti domestici” – rise – “… Nulla di grave, non pensare che Pepe sia pericoloso, anzi … In seguito, comunque, in papà, lui vide la propria salvezza, come ognuno di noi, vero?”

“Glam è così … Hai ragione”

Lula tornò soldino, i capelli riccioluti, le iridi liquide e luminose.

“Allora, non abusare di questo dono, zio Robert: lascia andare al suo destino quel Jesse, vuoi?”

“Ma sicuro, io ero unicamente devastato da dubbi e”

“E torna da zio Jude, senza perdere tempo: prometti”

“Te lo prometto Lula … Porto a casa Jesse e poi corro da mio marito, non temere”

“Perfetto …” – e tornarono sui loro passi.

Senza fretta.




Jeffrey Dean Morgan e Norman Reedus, colleghi di set in TWD e amici legatissimi, nella vita reale.

martedì 25 ottobre 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 79

Capitolo n. 79 – nakama



Fecero l’amore tutta la notte.
Come agli inizi di loro, quando non riuscivano a bastarsi mai.

Jude tentò un accenno su Taylor, vedendosi, però, tappare la bocca da Robert, prima con la sua mano destra, aperta, su quelle labbra carnose, che un attimo dopo collisero, con le sue, avide di lui e di quel tempo, dono inatteso.

Il mattino seguente, ad ogni passo, l’americano percepì dentro di sé il compagno, ma, in modo altrettanto tangibile, il sapore di Jesse, addosso, nelle narici, nel cervello.

A Downey risultò complicato decifrare quei continui dejà vu: l’esigenza di comprendere, cosa fosse accaduto in realtà, iniziò a tormentarlo da subito.

Doveva ritrovare Jesse.
Al più presto.

Con una scusa uscì, lasciando senza risposte Law, incuriosito da quel suo atteggiamento, dalla sua agitazione malcelata.

L’inglese pensò bene di rivolgersi all’unica persona, in grado di aiutarlo e capirlo.
Senza perdere un minuto di tempo.




White posò un lamento caldo, sulla porzione di pelle tatuata di Jesse, tra il cuore e lo sterno, mentre gli veniva dentro, ormai a scatti, sempre più ravvicinati e profondi.

“Wa Walt …” – balbettò Pinkman, inarcandosi, per poi ricomporsi, sotto di lui, che lo teneva stretto, riposando, ora, sul suo petto glabro e disegnato.

“Che c’è …?” – sussurrò, a corto di ossigeno l’uomo, senza guardarlo ancora.

“Avrei dei nuovi clienti”

“E ne vuoi parlare adesso?” – sbottò a mezza voce, infastidito, mentre si sedeva sul bordo, per accendersi una sigaretta.

Jesse gliela tolse, con un gesto ed uno sguardo, carichi di tenerezza.

“Non ricominciare, ti prego …”

Il suo cancro, debellato miracolosamente ad Albuquerque, poteva tornare in qualsiasi momento, anche se il prof di Chimica, non ne parlava mai.

Con una fedina penale ripulita, grazie ad un accordo con l’FBI, la coppia si era trasferita in California, dove, però, rinunciare a produrre anfetamine, si era rivelato piuttosto arduo.

Il loro trafficante di riferimento, era stato arrestato, grazie ad una misteriosa soffiata: Walter e Jesse, lo avevano venduto al Bureau, senza alcuno scrupolo, come del resto il caro vecchio Gus, trattava i propri sporchi affari.

Pinkman lo baciò tra le scapole, procurandogli brividi e sensazioni piacevoli all’addome e anche più in basso: il ragazzo era la sua medicina, la sua gioia, il suo miracolo, dagli occhi azzurro cielo.

“Ok, che novità ci sono? Hai agganciato qualcuno nuovo, in università?”

“E’ il figlio del rettore, anzi, c’è anche suo cugino, interessato alla nostra merce … Sono molto ricchi, entreremmo in un giro giusto e poco controllato, capisci?” – e sorrise, convincente nei toni.

“D’accordo, se ti ispirano fiducia, tu hai buon fiuto”

“E così potremmo comprarci un posto nuovo, più spazioso”

White si alzò, coprendosi con un asciugamano, dimenticato sulla poltrona lì accanto.

“Qui va benissimo” – replicò burbero, dirigendosi poi in cucina, per preparare la colazione.

Per costruirsi un’immagine di rispettabilità, Walt faceva volontariato, in un centro per il recupero di diversamente abili, termini che non condivideva, ricordandosi, dolorosamente, di avere un figlio affetto da una paralisi celebrale dalla nascita.

Gli mancavano, c’era anche una sorellina, c’erano e ci sono, ma distanti, affidati alla madre, l’ex moglie di White, Skiler, che, per sicurezza personale, venne sistemata a New York dal servizio protezione: un bell’appartamento, nuove identità per tutti e tre, giusto per stare tranquilli e, soprattutto, perché preteso da Walt.

Lui e Jesse, al contrario, non vollero cambiare nomi e cognomi: avevano già perso tanto e poi a nessuno, dei loro “amici”, conveniva cercarli o vendicarsi.
In eredità, quei delinquenti, ottennero le formule speciali, elaborate da White, per cui il conto era stato saldato.
Senza ulteriori spargimenti di sangue.





Jared era in auto con Geffen, quando questi passò a prendere Jude.
Law prese posto sui sedili posteriori dell’Hummer, accanto a Syria, pronta a trascorrere il week end alla End House.

Leto raccontava di nuovi progetti con la band, pronta a riunirsi, per un evento speciale, mentre Glam sembrò sovrappensiero.

“Ok, arrivati principessa” – il legale prese un lungo respiro, guardando dallo specchietto la piccola, ma Law quasi rise, pensando che Geffen poteva rivolgersi anche a Jared, con quel termine così congeniale al front man.

Glam aiutò l’ex a prendere la bimba, sistemandola su di un comodo passeggino; gli diede poi un bacio tra i capelli, arridendo alla sua serenità, come se non si fossero lasciati mai.
Law lo pensò, guardandoli.
Quindi passò davanti, ritrovandosi Geffen al fianco, dopo pochi secondi.

“Non ci ho capito molto, Jude, potresti ripetermi cosa diavolo sta succedendo con Robert?” – chiese nervoso, riavviandosi verso il boulevard.

“Te l’ho detto, è strano, da quando l’ho recuperato al Dark Blue ieri sera”

“Ti sei fatto comunque perdonare”

“Ok, non voglio discutere con te, tanto verresti a saperlo comunque Glam! Sono finito a letto con Taylor, ma guai a te se ti intrometti, tra lui e Richard: è stata una sbandata, una cosa senza alcun peso” – l’inglese vuotò il sacco, sapendo di non stupire il suo interlocutore.

“Ma certo, le vostre sono sempre sbandate, mentre le mie, errori fatali … Ma lasciamo perdere” – obiettò scuro in volto.

“Rob ha preso la carretta di Rosita”

“Rosita? La baby sitter?”

“Certo, ma non ne capisco il motivo!” – ricominciò ad agitarsi, come al telefono, poche ore prima.

“L’unico plausibile, è che non voglia farsi rintracciare, tramite il localizzatore, che abbiamo installato tutti, non ricordi?”

“Sì … E’ vero, non ci avevo pensato … Ok, ma a quale scopo? Se volesse andare da Taylor, per parlargli, mica gli servirebbe un espediente del genere, non credi?”

“Per me ha in mente dell’altro … Ora faccio un paio di chiamate, dammi la targa dell’auto di Rosita: proviamo a chiedere a Chris, lui di certo sa come rintracciarla, meglio e prima di noi, te lo assicuro.”




Downey ebbe un fremito di ansia, all’ennesimo semaforo rosso.
Si era portato il navigatore dell’Audi, sul quale l’ultima destinazione, a lui sconosciuta, era stata memorizzata, in un orario, in cui l’attore era già a casa con il consorte e non in giro per Los Angeles, come testimoniava quell’aggeggio.

Una moto, quasi gli tagliò la strada, allo scattare del verde.
Era Reedus e sembrava avere una fretta del diavolo.

Almeno quanto lui.




JD si accese una Camel, poi la spense rapido, per afferrare una mazza da baseball, appena intravide l’HD di Norman, varcare i cancelli del motel.
Gli aveva mandato, via sms, il numero del villino, al quale l’ex poliziotto doveva incontrarsi con lui: peccato che questi, credeva di avere scritto a Rovia, ignaro di quanto stava accadendo.

Morgan realizzò velocemente come agire, anche se sarebbe stato più semplice andarsene.

Rivedere Reedus, però, lo fece avvampare.
Jeffrey fantasticò a lungo, su di lui, dopo che il tenente lo ingabbiò, anni prima.
Fu sufficiente il breve trasferimento in centrale, seduto accanto a quel poliziotto sempre in incognito, per memorizzarne il profilo, gli occhi scheggiati di celeste e argento o almeno così, gli erano sembrati, a JD, dopo insulti, spinte e calci, per convincerlo, con le buone, a non opporsi all’arresto.

Ed eccolo lì, il suo sogno proibito, che scende dalla sua belva su due ruote, con un teschio dipinto ai lati del serbatoio e fiamme porpora ed oro sugli scarichi.
Come se fosse stato un cattivo ragazzo.
Quanto lui, pronto a tramortirlo, appena Norman percorse alcuni passi, sotto al porticato del cottage, scelto da JD, per il suo ultimo giorno nella città degli angeli.
E, forse, a questo punto, non sarebbe stato più tale.




Aveva l’aria di un ragazzino, tutto casa e scuola, con quei libri tra le braccia ed uno zainetto nero mono spalla, dal quale penzolava un portachiavi degli AC/DC.

Downey lo rivide così, appena Pinkman uscì di casa, a passo svelto, dirigendosi alla fermata del bus, deserta a quell’ora.

Robert lo seguì in auto, a breve distanza, infine accostò, abbassando il finestrino.

“Ehi ciao Jesse, vuoi un passaggio?” – domandò scanzonato, come se fosse la cosa più normale del mondo, che uno degli artisti più ricchi del pianeta, volesse fare da taxi ad un emerito sconosciuto.

“Robert …? Robert Downey Jr?” – lo studente rimase senza parole, solo un sorriso ebete.

RDJ era il suo mito, anche se quell’autografo mancato, al locale dei Tomlinson, ancora gli dispiaceva.

“Sì, in carne ed ossa!” – e, ridendo, Rob scese dall’utilitaria di Rosita.

Veicolo insolito, per uno tanto benestante, pensò Jesse.

“Ti devo una firma su una maglietta, una palla, una mano!” – continuò con disinvoltura Downey, mentre l’altro era ancora sbigottito.

“Ma … Ma come ha fatto a trovarmi?”

“Pura casualità, ero in giro per commissioni e …” – quindi lo fissò bene, decidendo che era inutile prenderlo in giro – “,,, ok, senti, mi prenderai per pazzo, ma io devo chiederti delle cose”

“Quali cose?” – Pinkman si mise subito sulla difensiva.
Del resto, con la sua losca attività insieme a White, aveva una coda di paglia lunga chilometri.

“Cose su di me e su di te, ecco”

“Ma … Ma di che tipo, scusi?”

“Puoi darmi del tu e … E rilassarti, non voglio crearti problemi Jesse, ok?” – affermò più pacato, per rassicurarlo.

Inutilmente.

Il 505 arrivò puntuale, aprendo le ante del lato salita, proprio alle spalle di Pinkman, che non esitò a salire – “Magari un’altra volta, tanto sa dove trovarmi, io ho fretta Mr. Downey!”

“E hai anche uno scorpione tatuato sotto al capezzolo sinistro!” – Robert alzò la voce, parlando alla sua schiena, che si bloccò.

Jesse riscese, facendo un cenno all’autista di ripartire, senza di lui.

Il suo viso trasudava stupore e incredulità.

Downey fece un mezzo sorriso, in pieno imbarazzo: “Se mi concedi un’ora del tuo tempo, Jesse, proverò a spiegarti questa cosa … Ok?”

In quell’istante, Walter transitò a bordo della propria carretta, anche se, con il bottino del New Mexico e i nuovi guadagni, avrebbe potuto permettersi una limousine con chauffeur.

Pinkman non se ne avvide, troppo preso dalla conversazione con Robert, trafitto da un’occhiata fulminea a torva, del docente, che quasi stritolò il volante, alla vista di quella scena inconsueta.

La gelosia di White era quanto meno morbosa, verso Jesse, oltre che totalmente ricambiata.


In tanti anni, si era creata come una simbiosi, fino a rendersi conto che entrambi, non avevano altro al mondo che loro stessi.

Tanto speculari.

Quanto pericolosi.






 Prosegue e, spero sia gradito, il mio personale omaggio alla serie Breaking Bad e ai suoi protagonisti, a sx Aaron Paul (Jesse Pinkman) e a dx Bryan Cranston (Walter White), che hanno vinto praticamente tutto, grazie a questo telefilm, davvero coinvolgente e scioccante, per contenuti e trama. Da vedere.