lunedì 30 settembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 191

 Capitolo n. 191 – zen


Il cellulare di Brent suonò.
Un sms

§ Ciao … §
Era Brendan.

Il ragazzo rispose, con un semplice ciao.
Un altro trillo.
§ Tutto a posto? Sei arrivato sano e salvo? §
A seguire una faccina sorridente.

Brent replicò con un semplice sì.
Trascorsero un paio di minuti ed il capitano risentì in gola le pulsazioni, come quando se ne era andato dal loft dell’analista.

Ancora un suono.
Brent sorrise.

§ La tua loquacità mi impressiona … Sale al primo posto nelle cose che mi piacciono di te §

A chiudere una linguaccia.

Brent rise.
E lo chiamò.

“Scusa … è che non sono abituato a scrivere molto …”
“Ok ti perdono Brent”
“Stai fumando?”
“Sì … non dirmi che senti l’odore delle mie Camel” – e rise, a propria volta.
Era agitato come uno scolaretto, fumare era il minimo.

“No, lo capisco da come respiri Brendan” – spiegò apparentemente calmo.
“Accidenti …” – e l’uomo prese un’altra boccata, per poi schiacciare la sigaretta nel posacenere, sopra il tavolino del living.
“Ok … l’ho spenta Brent … Spero di non averti svegliato”
“Veramente soffro di insonnia, forse per i turni di guardia, l’agitazione di non sentire l’allarme per il cambio …”
“Passerà”
“Credi?” – divenne serio.
“Te lo auguro, anche se si resta segnati da alcune cose, durante la nostra vita e sembra proprio di non riuscire a scrollarsele di dosso …” – ribatté assorto.
“Capita anche a te?” – Brent sorrise.
“Sì.”


“Dio che sonno … Cosa ci hanno dato?”
Farrell si lamentò, attaccato a due flebo e monitorato, in una camera sterile ed inaccessibile, accanto a Geffen, sottoposto al medesimo trattamento.

“Non ne ho idea Colin … Mi fa male la schiena, forse dovrei dirglielo”
“A me no … Le gambe, in compenso, sono un formicolio continuo … cazzo!” – e tossì.
Glam si illuminò di un sorriso – “Ehi guarda chi c’è …” – mormorò, indicando il vetro.
Contro lo stesso, come stampati, stavano i palmi di Jared e tutto il resto di lui, divorato dall’angoscia per entrambi ed il senso di colpa, per non avere espresso a Geffen tutta la propria ansia e considerazione, per quella scelta, che in molti ritenevano rischiosa.

Colin gli fece un cenno, affinché prendesse la cornetta dell’interfono.
Leto capì e li salutò subito.

“Ciao … Come procede?”
“Bene amore”
“Non può sentirti Colin, se non schiacci questo”
Avevano una pulsantiera accanto alla mano libera da aghi e sensori, ma quella dell’attore era scivolata dalla lettiga e penzolava.

“Miseria Glam …”
“Aspetta, usiamo la mia … Prova un po’ a parlare …”
“Jay mi senti?”
Il cantante annuì.

“Ci devono avere dato un sedativo …” – gli spiegò il marito.
L’avvocato intervenne, dopo che Jared lo puntò, per avere presumibilmente una replica anche da lui.

“Per me siamo rincoglioniti di nostro, niente di nuovo” – e rise tirato.
Colin gli fece una pernacchia.
“In ogni caso protesterò perché potevano almeno darci un letto matrimoniale, giusto irish buddy?”
“Sì come no …” – ed intanto Farrell avvampò.

Jared rise, finalmente – “Siete impossibili”
“E’ geloso …” – bisbigliò Geffen, ma poi rivolse a Leto una delle sue occhiate, così cariche d’amore, da gridare nel silenzio.

“I bimbi vi salutano e vi mandano questi” – e mostrò dei disegni buffi.
I due pazienti si commossero.
Arrivò un’infermiera, a decretare la fine di quella conversazione.

Jared strinse forte quel pezzo di plastica, unico mezzo per comunicare con gli amori della sua intera esistenza – “State tranquilli … Ok? … Ti amo tanto Cole …”
“Ti amo anch’io Jay”
“Ciao Glam … Ti … ti voglio bene”
“Lo so …” – disse pacato – “Ti voglio bene Jared.”


Jim si fece una lunga doccia.
Hugh lo stava aspettando nel suo studio, che l’oncologo non aveva mai lasciato, da quando Nasir era stato ricoverato.
Tornò da lui, in accappatoio, il volto affondato nell’asciugamano, con il quale si era tamponato anche i capelli.

Laurie prese il phon dal cassetto della scrivania, dove il compagno teneva lo stretto necessario per l’igiene personale e gli si avvicinò.

“Siediti … Guarda che poi mi paghi, un hair stylist come me non lo troveresti neppure a New York, sai?” – disse piano, per non ledere quella sottile barriera, creatasi tra di loro, per via della tensione accumulata.
Era come se li proteggesse, seppure li tenesse distanti ed arrabbiati con la fatalità di quei giorni orrendi.

“Metti in conto Hugh …” – replicò stanco, ma non senza dargli una carezza sui fianchi, mentre lo psicologo gli stava in piedi davanti, per pettinarlo.
“Dio quanti ne hai …”
“Cosa?”
“Mi riferivo alla tua parrucca” – e si sforzò di sorridere.
“Ah … quella … sì, me ne faccio mandare una da Chicago ad ogni Natale” – scherzò lieve ed un po’ distratto, da troppi pensieri tristi.

“Chicago? Vi ci porto, a te ed al nostro Nasir, appena ne saremo fuori, perché noi tre ce la faremo, ok?” – decretò con una sicurezza spiazzante.
Si guardarono.
Laurie si inginocchiò, rifugiandosi nell’abbraccio di Jim, che lo cullò, baciandolo poi intensamente.
“Ti amo da impazzire Hugh e non vedo l’ora di andarci con il nostro cucciolo …”
Due lacrime rigarono i suoi zigomi asciutti; Laurie gliele asciugò con i pollici, arridendo a quella prospettiva con lo sguardo colmo di fiducia, anche se il suo pessimismo era da sempre una peculiarità dura ad estinguersi.
Per Nasir, però, tutto era cambiato.


Louis andò a trovarlo prima della solita lezione all’università.
Lux rispose al citofono un po’ frastornato; forse stava ancora riposando profondamente.
Era presto.

“Oui …?”
“Vincent sono io …” – e fece un sorriso verso la telecamera.
“Mon petit … Che ore sono?”
“Sette e trenta, posso salire?”
“Certo … Vieni” – e gli aprì.

Indossava boxer e camicia bianchi, i primi aderenti, la seconda aperta sul busto scolpito e tatuato, il tutto esaltato da un’abbronzatura dorata ed invidiabile: il fisico del francese era tonico e vibrante, anche se si limitava a gironzolare scalzo, per l’immenso salone, dove Louis portò quella luce inconfondibile, dono dei suoi anni e della sua indole adorabile.

“Vuoi un caffè tesoro?” – e gli fece strada verso la cucina.
Louis sembrava quasi rincorrerlo – “Sì, grazie …!”

“Notizie dall’ospedale?” – chiese preparando la moka.
“Nasir è stabile, Glam e Colin tra poco andranno sotto i ferri … Me l’ha detto Brent, perché ha parlato con Brendan …”
“Ok … Quei due se la intendono” – abbozzò un po’ mascalzone.
“Forse …” – Lou deglutì a vuoto, dopo averse sorseggiato il suo bicchiere di latte, che Lux ricordava essere una sua preferenza appena alzato.

“Amore a prima vista, impressione personale, ma … Ci potrei puntare un bel centone”
“Non scommetto su mio fratello … E’ appena uscito da una relazione … con Matt” – ribatté turbato.
“Non era così importante, se no sarebbe finita in maniera diversa” – bissò diretto, fissandolo, ma senza alcuna allusione, anche se poteva sembrare il contrario.

“Probabile Vincent …Sei di cattivo umore …?”
“No, anzi … Sono felice quando mi fai visita, cerca di non perdere l’abitudine” – e si accese un sigaro.
“Cavoli che fai?”
“Fumo”
“Eh lo vedo, ma peggiori, cosa sono quelli?” – chiese preoccupato, andandogli accanto.
Lux si scostò, con naturalezza, andando ad aprire l’ampia finestra sul giardino interno.

“Sono un vizio, Louis, ne ho parecchi, anche se li ho trascurati da un pezzo …”
“Vizi, quali vizi?”
“Mon Dieu …”
“Mon Dieu un cazzo!”

Lux strabuzzò gli occhi, anche in maniera buffa – “Mon petit che ti prende? Il cattivo umore mi sa che è un tuo problema …” – ironizzò, dandogli un buffetto e riponendo l’avana in una ciotola di alabastro – “Questo lo finisco dopo, quando mamma chioccia sarà andata a scuola …”
“Io ero passato per dirti delle cose e cosa trovo?”
“E cosa … trovi?” – e calcò il suo accento, avvicinandosi troppo al viso di Louis, che non si mosse di un millimetro.
“Ecco …”
“Mi fai certe scenate Louis …” – e lo avvolse, dandogli un bacio sulla tempia destra.
“Se succede è perché ci tengo a te …”
“Non volevo essere … pesante …” – e tornarono a scrutarsi, senza interrompere il contatto.
“Anche volendo non ci riusciresti … Tu risolvi i problemi, tu … tu ci sei Vincent” – disse sincero, ma flebile.
Aveva il timore di andare oltre, di dire cose che sentiva, ma che non voleva ripetere, per non ferire quell’uomo, ancora lacerato dalla loro separazione.

Gli avvenimenti degli ultimi giorni, sembravano avere mutato il disagio e, forse, reso più accettabile il dolore, per non essersi dati un’ulteriore possibilità.

Invece sbagliavano.

Lux tornò verso la penisola, per versare le bevande calde.
“Ti ascolto, mon petit” – disse concentrato su ciò che stava facendo, pur di non incontrare e perdersi ancora negli occhi di Louis.
“Era per … per il ristorante di Brent … Entrerò in società con lui e non prenderò la casa, per adesso … Harry è d’accordo”

Vincent immaginò le sensazioni di Haz, senza credere molto alla versione di Louis.

“Ti ho già detto che”
“So quello che mi hai detto Vincent, ma a me sembra giusto fare così, perché avevo persino pensato di renderti quel denaro, provando a cavarmela da solo e”
“Così mi offendi!” – lo interruppe brusco.
“Vincent io …”
“Credi di non meritarti la mia benevolenza? O che la stessa fosse merce di scambio con la tua presenza ed il resto?” – sbottò cattivo.
Ed ingiusto, pentendosene all’istante.

Era il suo temperamento e Louis doveva abituarsi, non c’era alternativa.

“Il … il resto era la nostra storia d’amore … O l’ha dimenticato?” – replicò smarrito il giovane, con il tono spezzato, come ogni suo respiro, adesso.

Lux avrebbe preferito sprofondare.
“Non dimenticherò un solo minuto di quanto abbiamo condiviso, ok Louis?” – affermò sconvolto, poi proseguì, dopo essersi ossigenato – “Il fatto è che fa ancora troppo male, mon petit, non posso farci niente.”
“Non pretenderei mai il contrario, te lo assicuro” – ed annullando quell’esiguo spazio tra loro, Louis cercò nuovamente il suo abbraccio, ma Lux sgusciò via, congedandolo laconicamente.

“Ho un impegno Lou, devo andare, buona fortuna per i vostri progetti. Salutami Harry e Brent.”









giovedì 26 settembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 190

Capitolo n. 190 – zen




I gabbiani giocavano nell’aria e, quei pochi che si posavano, calpestavano le orme lasciate da Brent e Brendan.
C’era vento.
Il ragazzo aveva solo la camicia e l’analista, toltosi il giaccone, glielo mise sulle spalle.

“Grazie …” – disse Brent, emozionato, guardando un po’ l’oceano ed un po’ gli occhi di Brendan, della stessa materia, la stessa luce.
“E’ tutto nuovo anche per te?” – chiese improvviso il più anziano.
“Sì” – e per sottolineare quella risposta, Brent annuì, mordendosi le labbra e tirando su dal naso.

L’aveva fatto anche suo padre, prima che il giovane se ne andasse via da lui.
Da quello che era stato e che non voleva mai più nella propria vita.

Brent voleva ricostruire ciò che univa sé stesso a Louis, quelle risate, i giochi da bambini, quando si nascondevano dalla severità di un genitore troppo duro, metodico, spietato nella sua visione ridotta del mondo.

Il mondo di Brent Tomlinson senior era e restava unicamente la caserma, i mezzi blindati, la divisa sempre in ordine.

Ora Brent se la sentiva bruciare addosso ed avrebbe voluto strapparsela e gettarla in quel vento, che gli impastava i capelli di sale e sabbia, in un sapore, che avrebbe ritrovato uguale sulle labbra di Brendan, se soltanto uno dei due avesse avuto il coraggio di baciare l’altro.

Si fermarono, fronteggiandosi, in imbarazzo.
“Devo andare Brent”
“Dove?” – chiese quasi smarrito, fissandolo.
“Ho … Io devo fare delle cose, ecco … Scusami, ci si vede” – e tornò sui propri passi, velocemente.


Il busto di Jared si illuminava tra le pieghe dei suoi addominali, ancora scolpiti ed asciutti.
Nemmeno un miracolo gli avrebbe fatto mettere su qualche chilo, ormai era così da almeno venti, bellissimi, anni.

Colin, steso su di un fianco, la testa all’altezza dell’inguine del compagno, raccoglieva i suoi fianchi esili tra le braccia muscolose, succhiando e lambendo la sua erezione turgida e bagnata, mentre con le dita lo penetrava con delicatezza ed esperienza.

Il leader dei Mars si inarcava, stritolando le lenzuola, appena gli affondi di Colin diventavano più audaci e la sua gola inghiottiva completamente il sesso di Jared, quasi al culmine.

Sentendolo così al limite, Farrell si inginocchiò tra le sue gambe, alzandole, per facilitarsi nello scendere in lui, pronto a riceverlo sublime ed incantato dall’espressione del compagno irlandese, in crisi d’aria, ma non di energie.

Ansimando e ripetendo il nome di Jay, come un mantra, Cole iniziò a tormentare la fessura, dove ritrovava ogni sensazione vivida di appartenenza carnale, a colui che gli aveva dato una ragione di esistere, in molteplici momenti.

Gli entrò dentro, capace e virile, colpendolo piano, poi ancora ed ancora.
Jared gridò il suo nome, lo respirò ed infine, nell’invocarlo nuovamente, sembrò assorbirlo, come linfa essenziale.

“Toccati Jay” – quasi lo implorò il moro, non che non volesse provvedere lui a quell’adorata incombenza, ma i suoi polpastrelli erano impegnati a stringere i capezzoli di Leto, ormai inebriato di spasmi e lussuria.

A propria volta Jared avanzò una richiesta torbida e Farrell lo accontentò, venendogli sulle labbra, sul volto madido ed esigente, così il suo sguardo, di rinnovate attenzioni, che non tardarono a concretizzarsi.


Mason ricontrollò i risultati, appena consegnatigli da Preston.

“Siamo sicuri, dunque?” – domandò agitato, ma euforico.
“Sì Jim”
“Loro dove sono?”
“Ora te li cerco … Tu dillo a Hugh intanto. E’ con Nasir” – e gli sorrise, prima di passare nel proprio studio a fare un paio di telefonate.


Harry sparse dei baci colmi di tenerezza tra le scapole di Louis.
Stavano riprendendo fiato.

“E’ … è stato bello …” – ansimò il più giovane, cinturandolo, mentre Lou mordeva il cuscino, con un cenno di assenso.
“Boo bear hai fame?”
Louis sorrise – “E’ un pezzo che non mi chiami più così Haz …”
“Sarò nostalgico …” – e si alzò, per andare verso la cucina a prendere dei succhi di frutta.
“Cavoli non c’è una birra? E’ dal pranzo che ne ho voglia” – chiese ridendo.
“Hanno detto di non bere alcolici, all’ospedale intendo …”
“Già Harry, l’avevo scordato … Se qualcuno risultasse idoneo, dovrebbe già sottoporsi al pre ricovero stanotte …”
“Speriamo almeno che lo abbiano trovato tra noi … Nasir è così piccolo” – disse triste, risedendosi sul bordo.
Lou gli diede un bacio sulla nuca – “Tu non hai un po’ paura, nel caso …?”
Harry sgranò i suoi fanali, voltandosi a guardarlo – “Un po’ … e tu?”
“Miseria … me la sto facendo sotto, ma non mi tirerò indietro, così il resto della famiglia: ne sono certo.”


Geffen sorrise – “Dal mazzo potevate pescare una carta migliore, ma meno male che Colin salverà capra e cavoli”
Farrell lo scrutò, con Jared che gli teneva la mano, anzi la stava stritolando.
Kevin e Tim erano come impietriti: avevano accompagnato Glam, appena Preston lo aveva cercato.

“Non sottovalutarti” – affermò mesto Jim.
“Hai detto cento per cento il sottoscritto ed ottantacinque Colin?” – chiese l’avvocato, inarcando un sopracciglio.
“Infatti … accomodiamoci, ora vi illustro la procedura”
“Ok … Ma non perdiamo tempo, Nasir ne ha poco” – “Ti ringrazio Glam, per la tua generosità, ma qui i rischi li correrai tu, vorrei te ne rendessi conto” – spiegò l’oncologo, mentre Laurie non smetteva di guardarlo.
“Nel tuo caso, il ricevente potrà trarre giovamento immediato dal trapianto, mentre se utilizzassimo il midollo di Colin, il nostro Nasir andrebbe incontro ad una serie di trasfusioni e terapia farmacologica mirata, per evitare un possibile rigetto.”
“Sì, è chiaro, ma allora perché sottoporre anche Colin all’intervento?” – domandò in ansia Jared.
“Per avere un’alternativa, nel caso qualcosa andasse storto o ci fosse un imprevisto, cosa plausibile considerate le condizioni di Glam e le recenti chemio, che potrebbero avere alterato alcuni valori, cosa che andremo a scoprire solo quando l’organismo di Nasir, reagirà al nuovo innesto …”
“Le … le condizioni di Glam?” – balbettò Kevin.
Mason si strofinò la faccia esausta – “Glam lo sa, noi non siamo stati ancora in grado di stabilire quale sia la sua malattia e non credo sia un mistero questo enigma clinico … Perdonami se ho violato la tua privacy …”
“Nessun problema, adesso pensiamo al vostro bimbo: Colin andiamo?”
“Certo”
Farrell si alzò, stringendo Jared per le spalle esili – “Ehi … Non avere alcun timore, andrà tutto bene”
“Colin …”
I suoi zaffiri si riempirono di lacrime.

Kevin si precipitò da Glam, trattenendolo per un braccio – “Daddy … daddy ma perché tutta questa fretta …” – stava per piangere.
Geffen guardò Tim e gli fece un cenno.
Il ragazzo si avvicinò e Kevin lo strinse, cercando poi le ali di Glam, che non tardò a riprenderli a sé, come poche ore prima.
“Esistono cose che vanno fatte … ed è come un’espiazione tardiva, anche se io non sono niente ed il mio gesto non ha nulla di eroico, forse non devo neppure più pareggiare i conti con chissà quale malefatta del passato … Non so neppure ciò che dico cuccioli …” – e rise – “Forse è la strizza” – e li baciò sulle tempie, provando a mitigare quel clima di angoscia.
Incontrò gli occhi di Jared, che tremarono.
Glam scosse piano la testa, socchiudendo le palpebre, con serenità.
“Adesso vado … Ci vediamo al mio risveglio, ok?”



Brendan chiuse la telefonata con Hugh inspirando, sollevato per le buone notizie,  giunte dall’ospedale.
Si era appena fatto una doccia ed aveva indossato di corsa boxer e jeans scuri, per andare a rispondere al cellulare.

Suonarono.
Aveva ordinato una pizza e non controllò neppure dallo spioncino, prendendo dalla giacca un pezzo da venti.

Aprì, pensando solo un istante dopo che era mezzo nudo.
Troppo tardi.

Brent stava guardando intorno a sé, un po’ a disagio ed appena vide la blindata muoversi, si voltò di scatto.

“Ciao …”
“Brent …?”
“Ti ho riportato questo” – e gli porse il giubbotto.
“Dai entra, ma come …”
“Uno scontrino, della lavanderia, c’era il tuo indirizzo sopra, se avessi avuto il tuo numero avrei avvisato” – e si accomodò.
“Ah ok …” – Brendan sorrise, grattandosi le chiome, tirandole indietro.
Aveva diversi tatuaggi e Brent sembrava averci perso lo sguardo.
Se ne rese conto e si scusò – “Anche a me piacerebbe averne uno, ma sai, nell’esercito … cioè mio padre non voleva, perché conosco gente che ne ha” – e rise nervoso.
“Bevi qualcosa?”
“Volentieri … Che bell’acquario”
Era a parete, disposto a tutta lunghezza, una meraviglia.

“Pago un affitto salato anche per questo … Poi è una zona vip, ci abitano Chris, Steven, i soci di Geffen …” – e si infilò una camicia, togliendosela un istante dopo – “Anche questa è da mandare al lavaggio” – brontolò, controllando il colletto.
Brent si sistemò sopra ad un divano angolare, molto spazioso e comodo.

“Però è un bel posto …”
“Sì, non mi lamento, è anche vicino al lavoro … Tu dove ti sei sistemato?” – chiese quasi con noncuranza, versando un paio di drink.
“Dal nonno … Ehm, da Meliti, lo chiamano tutti così …”
“Ah il signore con il sigaro …”
“Devo a lui questo trasferimento, anche a Glam, sono loro che hanno interceduto con il generale, ma adesso viene la parte più complessa”

Ne era talmente preoccupato, che doveva parlarne con qualcuno e Brendan gli apparve la scelta migliore.

“E sarebbe …? Salute”
“A te … ti ringrazio … Buono”
“Mia ricetta segreta” – l’analista si pavoneggiò.
Era simpatico.

“Dicevi della parte più complessa, Brent?”
“Sì, non è semplice e poi temo ne scaturirà un casino: diranno che ho il diabete, di tipo due, curabile, senza insulina, però non compatibile con il mio ruolo sotto le armi, quindi mi congederanno, ovviamente con tutti i crismi e persino un’indennità permanente, che donerò in beneficenza, sia chiaro” – rivelò serio.

“Un piano niente male, non ti piace ciò che fai?”
“No”
“Ok …” – ed alzandosi, riprese fiato e riempì di nuovo i calici.
“La mia idea è aprire un ristorante, Louis mi aiuterà, con i soldi, perché sono squattrinato” – disse limpido.
“Lo ripagherai con il tempo … Non credo che Louis abbia fretta …”
“Sì, lo spero, comunque i soldi sono di Vincent … Un po’ intricato …”
“A me sembra di capire che qui i casini siano all’ordine del giorno e ne so quasi niente, mio fratello ha altro a cui pensare ora, ma mi aveva scritto delle e-mail”
“Almeno siamo alla pari Brendan” – e si alzò, dopo avere finito il suo cocktail.

“Vai già via?”
“Sì … Ti ho disturbato abbastanza Brendan … E poi magari aspetti qualcuno o volevi uscire …”
“Ma se non conosco nessuno” – rise – “A parte … tu … e pochissimi altri …”
“Oggi sembravi avere tanta fretta” – bissò diretto.
“Lo so Brent …” – e deglutì a vuoto, prendendo una felpa da un armadio, che stava ancora riordinando.
“Non sei obbligato ad essere gentile con me …” – disse piano il ragazzo.
“Non lo sono, infatti, solo che dovevo sbrigare una commissione …” – abbozzò – “No, è una balla e non so neppure come mai te la sto raccontando” – e si lisciò la barba ed i baffi.

“Sai sono un po’ buffi” – Brent li indicò con un bel sorriso.
“A quanto pare sono persino ridicoli …”
“No, no, anzi” – si affrettò a precisare – “A te stanno una meraviglia!”
“Anche tu come bugiardo vali poco Brent” – rise solare.

Si guardarono.

“Ogni tanto le bugie fanno vivere meglio … anzi, sopravvivere …”
“Non posso darti torto … quanti anni hai?”
“Venticinque e tu?”
“Trentacinque, Brent …”
“E fai lo psicologo …?”
“Sì, come Hugh …”
“Due fratelli che fanno lo stesso mestiere, anche nostro padre voleva che Louis seguisse le sue orme, come ho fatto io …”
“Ne parli di continuo”
“Di … di che?” – balbettò.
“Di tuo padre, Brent” – replicò pacato.
“E’ un’ossessione … temo … Forse dovresti farmi allungare sul lettino e frugare un po’ in questa zucca …” – scherzò.
“Volentieri … Saresti il mio primo paziente qui in terra americana …”
“No, meglio di no” – e si avviò solerte verso l’uscita.

“Ti aspettano, da Meliti? Hai il coprifuoco?”
“Ma che dici?” – ribatté asciutto, come urtato dal quesito di Brendan.
“Pensavo”
“Cosa?” – e si irrigidì, le spalle al muro.
“No … No niente, Brent, magari un’altra volta …”
“Sì, forse” – e si allacciò il giubbino, era in borghese.

Uno splendore, aveva pensato Brendan dal primo secondo in cui lo aveva visto.

“Aspetta …! Qui c’è il mio numero” – e gli porse un biglietto.
Brent lo prese, lo lesse e lo memorizzò subito: fece quindi uno squillo a Brendan.
“E questo è il mio … se vuoi registralo anche tu”
“Lo farò, non dubitare Brent …” – e gli sorrise, con un misto di dolcezza e rammarico, per qualcosa che neppure lui, sapeva scomporre sino in fondo.
“Ci conto … Fammi sapere di Nasir”
“Lo farò, ciao … Buona serata”
“Anche a te, arrivederci Brendan” – e se ne andò.
Il cuore in gola.



 Brendan in L.A.







mercoledì 25 settembre 2013

ZEN - CAPITOLO N. 189

Capitolo n. 189 – zen


“Bene figliolo … E’ tutto pronto”
Il colonnello Tomlinson fissò il figlio, dritto negli occhi, restando stranamente impacciato al centro della stanza.
Brent jr annuì, quasi tremando, guardandosi intorno.
Il padre, tirando su dal naso, fece altrettanto.
“E’ … è strano, sai? Arriva quella gente di Los Angeles e tu … Sì insomma”
L’uomo non era uno stupido e mai aveva creduto alle coincidenze: la telefonata del generale, però, era autentica, così gli ordini in carta intestata, fattigli pervenire secondo il protocollo.
Tutto vero, quindi.
Terribilmente vero.

“Papà …”
“Comunque sono fiero di te” – e dopo avere azzerato la distanza tra loro, lo abbracciò forte.



La caserma diventava sempre più piccola, man mano che l’auto di Vincent si allontanava.
Era una strada dritta, in mezzo a quel deserto, dove non c’era niente.
Nessun futuro, soltanto regole, ordini, disciplina.

Brent per un po’, seduto accanto a Louis, si fissò le mani intrecciate tra le gambe, composte, rigide, nella sua uniforme immacolata.
Era bellissimo; tolse solo il cappello.
Poi, d’improvviso, si girò, buttando gli occhi, cristallini e lucidi, verso quel cancello, il filo spinato, le barriere scorrevoli.

Matt stava transitando con un altro soldato e guardò di sfuggita l’orizzonte opposto, come stava facendo Brent verso quello, contro cui le due figure, sempre più minute, si stavano stagliando, come al rallentatore, nelle prime luci del giorno.
Era presto per andarsene e troppo tardi per tornare indietro: non lo avrebbe mai fatto.

“Brent … perché piangi?” – chiese piano Vincent, guardando la scena nello specchietto retrovisore, mentre guidava.

Una breve esitazione, poi respirò – “Mi ha … Lui mi ha stretto a sé, per la prima volta … E solo perché ho avuto un avanzamento di grado … Solo per questo.”

Tornò alla posizione iniziale, senza più voltarsi, senza più dire niente, sino a destinazione.


L’aereo stava atterrando.
Nel silenzio, nell’attesa di ciò che stava per succedere.
C’erano delle auto già pronte a partire per l’ospedale, dove Nasir stava lottando, attaccato ad un respiratore, sedato e monitorato.
Jim cercava di stare con lui il più possibile, ma i pazienti in corsia avevano bisogno dell’oncologo, della sua capacità di diagnosi e di predisporre terapie, sempre più efficaci.
Aveva salvato molte persone, Jim Mason, ma, adesso, voleva salvarne soltanto una.
Una sola, per quel giorno, fatto di pioggia e di silenzi.
Hugh gli rimaneva accanto, gli parlava di continuo, con pacatezza, quasi a prepararlo ad una metabolizzazione del lutto, che lui, Laurie, evitava di prendere in considerazione anche per sé stesso.

Era un incubo.

Geffen rispose alla chiamata di Lux, nonostante gli stessero già facendo il prelievo di sangue.

“Glam, ciao, sono Vincent”
“Ehi, scusa, ma ho da fare ora, siamo nel reparto di Jim, stiamo facendo tutti delle analisi per la compatibilità del midollo … Il piccolo Nasir, sta male …”
“Ma che succede?”
“Tu dove sei?”
“In città, ho con me Louis, Harry e Brent, il fratello di Lou … Lo abbiamo portato via, poi ti spiego”
“Di Brent mi ha parlato Antonio, gli ho dato io il numero del Pentagono: O’Marry era amico del mio vecchio …”
“Questo non lo sapevo, allora grazie anche a te Glam … “
“Di niente, ma devo proprio andare …”
“Il reparto di Mason hai detto? Ok, a dopo” – e riattaccò, guardando i tre ragazzi seduti al tavolo centrale, del locale di Barny, dove si erano fermati per una colazione.

“Stop, stop, stop!” – esclamò Lux, mentre la cameriera posava il vassoio, colmo di ogni leccornia e quattro birre.
“Che c’è?” – chiese Louis, il più affamato di tutti.
“Dovrete resistere, un po’ di digiuno, non vi farà male, siete così giovani!” – sorrise – “Dobbiamo fare una cosa ed alla svelta, ok? Allons!”


“Daddy …”
“Hai fatto?” – chiese abbottonandosi la camicia.
“Glam ascolta …”
“Che c’è Kevin?” – chiese dolce, vedendolo turbato.
“Tu non dovresti esporti a questa cosa …” – replicò quasi sottovoce, forse nel timore che Mason, nella stanza accanto, potesse percepire il loro dialogo.

“Diciamo che non sono il donatore dell’anno, sì insomma, la mia cartella clinica parla da sola” – provò a scherzare.
“Daddy …”
“Ehi … vieni qui” – e lo avvolse, dandogli un bacio tra i capelli.
Tim, che si era appena sottoposto al prelievo, li raggiunse, guardando intenso Geffen e finendo tra le sue ali, con lo stesso timore di Kevin.

Glam li cullò – “Sono ancora qui e … Non mi arrenderò mai, dovreste saperlo” – mormorò, provando a rassicurarli.

Jared transitò, tenendo per mano Colin e dopo di loro Jude, facendo lo stesso con Robert: i quattro scrutarono la scena, dicendo, con i propri occhi, a Glam, la stessa cosa, che Kevin e Tim gli avevano espresso a viva voce.


Riuniti nella saletta, dopo il primo step di analisi, gli amici ritrovarono Meliti, insieme a Lula, Vassily e Peter.

“Allora, a che punto siamo?” – chiese, facendo posto accanto a sé a Jared e Robert.
“Dobbiamo aspettare almeno sei ore, poi sapremo se qualcuno è idoneo …” – spiegò Farrell.
Jude prese qualcosa per tutti alle macchinette.

“Loro sì che sono ideali, guarda che fisici” – bisbigliò Downey, indicando i body guard.
Vassily e Peter passarono nel laboratorio, poi giunse Amos.
Ivan si palesò con Christopher.

“Papà …!”
“Ciao Chris” – Robert gli andò incontro.
Si abbracciarono.
“Anche tu qui? E Steve?”
“E’ a Boston, ma sta tornando per assistere Nasir … come tutti noi …” – e salutò con un cenno gli altri.

“Io … posso partecipare?” – chiese discreto Ivan.
“Certo” – gli sorrise il cantante – “Segui l’infermiera, poi verrò anch’io” – gli spiegò quasi con premura.
Amos li stava tenendo d’occhio ed una certa perplessità velò anche lo sguardo di Downey.

“Eccoci qui”
Lux sembrava capitanare il suo drappello di boy scout.
Geffen gli diede il benvenuto – “Mon Dieu Vincent, siamo la metà di mille, non possiamo non farcela, che ne dite gente?” – e si rivolse al resto della loro famiglia.

“Famiglia … Sapete, una volta dissi a Jared, che Jim ed io, della vostra, non avremmo mai fatto parte. Così diversi …” – la frase di Hugh arrivò come una sferzata, alle spalle dell’avvocato.
Era rigido, sul suo bastone, pallido, la barba incolta.
“E sbagliavo … ho detto … una tale stronzata … Vi ringrazio … per tutto” – e se ne andò, arrancando, con rabbia e disperazione.

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“Ed il ranocchio, si trasformò in un principe …”
Brendan si aggiustò la mascherina, seduto al capezzale di Nasir.
Gli stava leggendo una favola, sorvegliando il suo respiro, le pulsazioni, rimandate dal monitor, nella speranza che, in qualche modo, il bimbo potesse ascoltarlo.

Alzò gli occhi, verso il vetro, dove stazionavano ad intervalli regolari Hugh e Jim, ma non c’era nessuno.
Per qualche secondo.
Poi una figura apparve.
Era un ragazzo, che teneva il braccio sinistro piegato, mentre con la mano destra premeva su di un batuffolo di cotone, fissato con un cerotto.
Al polso un braccialetto numerato.
Lo stesso che anche Brendan aveva nel medesimo punto.
Si guardarono.
Il giovane abbozzò un sorriso imbarazzato, senza potere vedere quello di Brendan, nascosto da quella barriera in stoffa sterile.
I suoi occhi, però, non mentivano, così luminosi, come quelli di Brent.
Anche di stupore.


“Ciao”
Brent a quel saluto si voltò di scatto, ritrovandosi davanti Brendan che allungò il braccio, selezionando un caffè al distributore, contro il quale la schiena del capitano si era come incollata.

“Salve …”
“Anche tu sei qui per aiutare mio nipote?” – chiese gentile, sorridendogli ancora.
“Nipote …?”
“Sì, Nasir, sono Brendan Laurie, il fratello di Hugh” – e gli allungò la mano, che Brent strinse, arrossendo.
Si spostò di poco, con il suo bicchiere colmo di tè bollente: ne bevve un sorso veloce, onde evitare che cadesse sporcando il pavimento.

“Io … io sono Brent Tomlinson, il fratello di Louis”
“Non lo conosco … sono appena arrivato …”
“Anch’io … Con Lou … E non so chi sia Hugh” – rise più rilassato.
La voce di Brendan aveva qualcosa di tenero.
Brent non sapeva spiegarselo.

“Ok …” – inspirò lo psicologo.
“Ok …” – replicò senza avere mai smesso di guardarlo, il soldato.
“E dove vivi?”
“Non ne ho idea … Forse a casa di Vincent”
“Vincent?”
“Sì … E’ … E’ lui” – ed indicò il francese, a colloquio con Geffen.
“E l’altro chi sarebbe?” – chiese incuriosito Brendan.
“E chi lo sa” – Brent rise.
La camera si riempì di colori.

Realmente.
Una bimba aveva azionato una strana lampada stroboscopica.
La teneva in grembo ridendo: era un giocattolo musicale.

“Ehi … ciao” – disse Brent, ammirandola nel suo abitino verde smeraldo.
Le si avvicinò, accucciandosi – “E tu chi sei?”
“Isotta e tu?”
“Brent”
“Ed il tuo fidanzato come si chiama?” – chiese lei divertita, indicando Laurie, che schiuse le labbra.
Brent lo scrutò – “Lui è … è Brendan”
“Ciao!” – esclamò lei.
“Buongiorno a te …” – e si accucciò davanti alla piccola, come stava facendo Brent.

“Isy, ma sei qui!”
Jared piombò tra loro, sollevando la figlia, amorevole – “Papi!!”
“Lo sai che non ti devi allontanare … Scusate …”
“E’ splendida” – disse Brent alzandosi e Laurie lo seguì.
“Mi chiamo Jared Leto e tu, peste, ti sei presentata da sola, vero? Piacere …”
Fecero le presentazioni, che Glam ascoltò, avvicinandosi.

“Papi Glam!!”
“La nostra Isotta è sempre al centro dell’attenzione” – mormorò lui gradevole, dandole un bacio sulle manine.
“E’ il padre della vostra bambina?” – domandò Brent, con un candore, che colpì ulteriormente Brendan, a corto di ossigeno, per quanto quello sconosciuto l’aveva travolto, con la sua innocenza, la sua avvenenza, come un treno in corsa.

“No … Cioè sì …” – balbettò Jared.
“Lo sono solo un po’ …” – e sorrise – “Ciao Brent, benvenuto a Los Angeles … E tu sei il fratello di Hugh, sono in analisi da lui” – disse calmo Geffen.
“Lo siamo un po’ tutti” – disse Leto, lasciando andare Isotta verso Colin, apparso sulla soglia.

“Tesoro che ne dici di andare a casa?” – domandò con delicatezza l’irlandese.
“Certo … abbiamo undici figli, sapete? Vieni Colin, vorrei che tu conoscessi Brent, è il fratello di Louis e Brendan di Hugh”
“Colin Farrell, felice di incontrarvi, anche se in un frangente così triste … Mi dispiace per tuo nipote Brendan”

“Vi ringrazio … Ringrazio tutti voi, vedo che avete dato il vostro contributo, siete … siete incredibili …” – disse un po’ sconcertato, in presenza di una simile coalizione compatta, che si stava prodigando come nessuno.

Brent si sentì a disagio, cercando lo sguardo di Louis, che stava riposando sul petto di Harry, sopra ad una panchina nel corridoio.

Brendan gli sfiorò il braccio – “E se facessimo una passeggiata, c’è una spiaggia qui vicino … Ho bisogno d’aria” – propose cauto, ma con le iridi cariche di speranza in un assenso, che non tardò a materializzarsi con un semplice:

“Sì … Ok andiamo. Ne ho bisogno anch’io.”




 BRENT




E visto che il capitolo è stato un po' triste, chiudiamo la gallery con un'immagine buffa di Emmett (il nostro Brendan) che cerca di traviare Kieron (Brent) con i suoi assurdi baffoni da sparviero irish ;-) sul set di Hollyoacks