giovedì 31 marzo 2011

GOLD - Capitolo n. 119

Capitolo n. 119 – gold



Jared non alzó neppure le tapparelle, l’alloggio era fresco e luminoso a sufficienza per muoversi senza inciampare da nessuna parte.
Sorrise.
Si sentiva a casa.
Rinunció a rinnegare le proprie sensazioni.
Racchiudeva una profonda amarezza per come aveva salutato Colin, anche se non era stato un distacco drammatico: gli aveva promesso di tornare a Los Angeles dopo due settimane, un periodo forse troppo breve, ma leggeva negli occhi del compagno come una supplica a rassicurarlo.
Jared era stato volutamente indifferente e superficiale davanti all’evidente stato di depressione, in cui Colin stava per ricadere.
Era necessario essere reattivi, non lasciarsi andare: continuava a ripeterselo, mentre fuggiva dalla California: non era mai stato tanto stronzo, questa fu la sua conclusione quando riprese il trolley, indirizzandosi ai taxi ed inviando un sms a Geffen, per avvisarlo del proprio ritorno sull’isola.
Aprí il miscelatore e lasció che l’acqua tiepida zampillasse gioiosa sulla sua pelle dorata.
Aveva acceso anche la radio, una musica allegra invase l’atmosfera intorno a lui, che a stento sentí il campanello.
Corse ad aprire, senza coprirsi, controllando soltanto chi fosse dallo spioncino.
Sorrise.

Era emicrania, ma la testa di Colin stava scoppiando.
Jude non aveva piú risposto ai suoi sms, se non con un unico § Ci sentiamo presto, sto bene, ma diamoci un po’ di tempo buddy… §
Aveva ragione, lui amava Robert e non poteva permettersi di perderlo a causa di quella puttana di Jared: quella parola rimbombava tra le sue tempie, era ossessiva.
Faticava a schiudere le palpebre, era foto fobico: lesse a stento le istruzioni di alcune pillole, ma era terrorizzato nel sbagliare la dose e la scelta.
Prese il cellulare e selezionó il numero di Cody.
Lo psicologo rispose con tono pacato: “Ciao Colin, dimmi…”
“Brandon ciao… scusami… scusami, ma volevo chiederti un consiglio…” – ma stava giá piangendo.
“Colin che succede?” – domandó preoccupato.
“Ho…ho bisogno di uscire da questo incubo…”
“Dove sei adesso?”
“A casa…il mio cervello è come in fiamme… devo prendere subito qualcosa… ma cosa?”
“Ascoltami, solo un’aspirina ed aspettami.”
“Ma… ma dove sei?”
“A New York, peró non è un problema. A presto, parto subito.”

Lo fece davvero.
Brandon Cody spiegó a Kurt che Colin era in seria difficoltá ed il compagno rimase nella grande mela insieme al loro bambino, che aveva una noiosa tonsillite.
Varcó piano la soglia della camera di Colin, che era riverso tra le lenzuola, nudo e sudato.
“Brandon…”
“Ciao Colin, Dio che caldo… apro un pochino, tu stai calmo, ti starai mica disidratando?”
“Ho… ho bevuto un litro di tè verde…”
“Perfetto, ma cosa mi combini?” – rise, la sua voce era carezzevole.
Lo visitó con calma.
Prese delle pezze ed una bacinella di acqua gelida, tamponandogli la fronte, poi l’inguine ed i polsi.
“Va meglio Colin?”
“Sí…ho la febbre?”
“Solo nervosa, ora ti misuro la pressione. Hai mangiato?”
“No… avevo nausea…”
“Ovvio, ma tra una ventina di minuti miss Wong ci propinerá una delle sue zuppe dai colori discutibili, ok?”
“Ok dottore… grazie…”
“Figurati.” – sorrise ancora, era un uomo dolcissimo.
“Kurt è davvero fortunato… forse anch’io avrei dovuto scegliere un uomo maturo, come te…”
“Intendi dire vecchio come me? Ahahahah”
“No… No…” – replicó imbarazzato.
“Sei nato per stare con Jared, anche nei momenti peggiori come questi, suppongo…”
“É… è uno schifo, adesso…”
“Migliorerá… come la tua cefalea, ora hai bisogno di calorie, poi parliamo, d’accordo?”

Glam si ritrovó di fronte la stessa visione, che aveva avuto nel suo attico, ma al posto di Kevin, nudo e bellissimo, c’era Jared.
“Ehi… ma… sei tutto bagnato…” – lo disse di getto, mentre era ben diverso il discorso, che avrebbe voluto fargli.
“Allora asciugamani con la tua bocca.”
Il respiro di Jared era diventato all’improvviso piú accentuato.
Un istante dopo si ritrovó lungo disteso sotto a Glam, sul tavolo della cucina, sconvolto da baci, carezze, da tutto il suo sembiante massiccio, che aveva spogliato forsennatamente, senza mai staccarsi da quel primo contatto, caldo, morbido e virile.
Geffen recuperó una sedia, lo tiró a sé per le cosce, portandosele sulle spalle, per poi iniziare a leccare e succhiare a pieno l’intimitá di Jared, che si era agganciato ai bordi, come a volersi opporre blandamente a quel crescendo di emozioni, che lo stavano stordendo.
Era come in carenza di ossigeno, un calore assurdo gli saliva dall’inguine sino alla gola, dove voleva custodire l’erezione di Glam – “Ti… ti prego…vieni da me…” – e giró il capo di lato, invitandolo a raggiungere quell’angolazione, per ricambiare le sue attenzioni.
Glam glielo spinse sul palato, poi piú in fondo, soffocando i suoi gemiti osceni.
I suoi fianchi furono impietosi, ma mai nel modo irruente di quando lo penetró senza ulteriori lubrificazioni.
Ormai erano sul letto e Jared strappava le lenzuola e l’aria, mentre Glam straziava le sue carni bollenti, che colavano umori, mescolandoli al suo primo orgasmo.
Uscí da lui con scarsa attenzione, era bramoso di pompare e succhiare il suo sesso, che si era dimenticato di godere.
Glam, improvviso, lo giró a pancia in giú, finendolo nel proprio palmo destro, ma non senza riaffondare in lui.
Jared urló, offrendosi, peró, totalmente e nuovamente.

Colin si era addormentato finalmente.
Brandon aggiornó Kurt, accorgendosi poi che il telefono di Farrell stava vibrando.
Lesse il nome di Jude ed uscí sul balcone per rispondergli.
“Sí pronto, sono Brandon Cody, ciao Jude…”
“Brandon… dov’è Colin?”
“Sta riposando, è tutto a posto.”
“Capisco…”
“Voi state bene?”
“Sí… sono qui con Rob e volevamo sapere…”
Downey gli accarezzó il viso incerto, sussurrandogli sorridendo – “Chiedigli se possiamo andare a trovarlo…”
Cody acconsentí.

Jared scivolava dai baci di Glam, all’incavo sotto al suo mento, leccandolo e tornando ad imprigionargli la lingua, liberandola soltanto per dirgli – “Mi sei mancato… mi sei mancato cosí tanto…”
Erano assurdamente felici.



mercoledì 30 marzo 2011

GOLD - Capitolo n. 118

Capitolo n. 118 – gold


Jude si ritrovó schiacciato contro lo schienale del divano, avvolto dall’abbraccio e da tutto il resto del corpo di Robert, che si stava svegliando lentamente, la bocca schiusa sulla schiena del compagno, tumida e calda, persa alla prima percezione della luce esterna, in baci traboccanti di emozioni pulite.
Il biondo sorrise, spingendo i propri fianchi contro quelli di Downey – “Prendimi Rob…”
Lui gli strinse i polsi – “Ciao tesoro…devi darmi un minuto…”
“Per cosa?” – protestó amorevole.
“Ti confesso che ieri sera ho saccheggiato il frigo bar della mia camera in hotel… tre lattine di tonica...”
Law ridacchió – “Ecco bravo hai capito Jude…ma non te ne vai, vero?”
“Ti aspetto qui, promesso.”

Geffen posó i doni di Syria nell’armadio della sua camera.
Lei andó a cambiarsi e rinfrescarsi, mentre le gemelle stavano facendo il bagno a Lula.
Quando vide Glam, esplose in sorrisi e faccine – “Papá!!! Vieni anche tu!”
“Ciao ciurma… grazie ragazze, dov’è vostra madre?”
“Bentornato papi, è a fare commissioni, il piccolo è pronto per l’asilo…”
Lui lo avvolse in un grande telo e lo coccoló, sotto lo sguardo attento anche di Syria, ferma nel corridoio.
Erano investiti da un fascio di sole, proveniente dalle finestre ed armonia, traboccante dai loro cuori.
Glam aveva reso un’altra persona felice e quel bambino era innamorato di suo padre, come tutti gli altri del resto.

Downey arieggió l’ambiente, mentre Jude si rannicchiava, per poi tendergli le mani, pronto ad accoglierlo nuovamente sul suo petto.
Si baciarono, guardandosi, era una visione appagante e completa.
Quando tentarono di staccarsi, le loro labbra si ribellarono ad innumerevoli piccoli tormenti, costruiti da denti e lingue frenetiche ed appassionate.
Jude si giró sotto a Robert, inaspettato, ma risoluto, come il suo invito – “Scopami Rob… scopami forte…” – inspiró strizzando le palpebre, come se temesse di dovere subire un qualche prevedibile malessere, sottolineando quel sentore nello stritolare i bordi del bracciolo davanti a lui.
Robert si era invece procurato un gel, per attenuare ogni eventuale disagio, come da sempre si preoccupava, dalle prime volte in cui facevano sesso, conoscendosi profondamente.
Jude doveva avere il massimo del piacere da lui, non avrebbe mai preteso nulla, assecondandolo, peró, in ogni richiesta.
Era una regola, era la sua disciplina dell’amore.
Lo penetró, con cura e metodo, facendolo rabbrividire, era troppo intenso – “Dio… sei… sei bagnato… proprio qui Jude…” e lo toccava ovunque.
Masturbandolo si soffermava sulla sua punta, assaporandone le reazioni, poi scivolava per tutta la sua lunghezza, risaliva e gemeva all’unisono con lui.
I colpi di Robert aumentarono, sollecitati da Jude, impaziente, quasi incontentabile.
Per finirlo ed inondarlo con il proprio orgasmo, Downey lo voltó, riprendendolo con foga: l’inglese aprí le gambe oscenamente, protendendosi ancora, ormai si sentiva spaccato in due, si umettava, poi deglutiva, la testa riversa all’indietro, i palmi sul petto di Robert, come a volerlo respingere all’apparenza, mentre al contrario lo stava stritolando in una morsa sudata e sconvolgente.
Le loro urla liberatorie sembrarono straripare da quell’alloggio, perdendosi nei rumori esterni, l’oceano, il traffico, i suoni di Los Angeles.
Erano stremati e l’unica cosa possibile era baciarsi, per poi ricadere in un sonno leggero e ristoratore.

L’appartamento di Tomo era immerso nell’assoluta tranquillitá di quel primo pomeriggio.
Josh dormiva nel suo lettino, il mofo papi era in terrazza, a leggere un libro, senza comprenderne il senso.
I suoi pensieri erano come imbrigliati al testo della lettera che Chris gli aveva lasciato.
Quando sentí un rumore pensó che fosse lui, ma era Shannon.
Era solo Shannon, stava sorridendo.
Tomo gli corse incontro, lo bació.
Piansero, piegandosi su loro stessi.
Tutto era stato ripristinato.
Forse.

Jared raccolse quel che restava di Colin, facendogli l’amore finché ebbe un briciolo di energia.
Consapevole che fosse soltanto per non sentirlo piú dentro, per non portarlo con sé ad Haiti, sforzandosi di farlo felice, come in effetti appariva, madido di sudore, ansimante per quell’amplesso ripetuto, dove lui non aveva spazi, senza alcuna esigenza da soddisfare, in balia di Jared, che glielo faceva arrivare in gola, per quanto lo sommergeva ed invadeva.
Jared non si era mai sentito cosí inaridito e stanco, oppresso e smanioso di andarsene, proprio per non fare ulteriormente male a Colin, che pensó di non meritare piú, per la prima volta.



lunedì 28 marzo 2011

GOLD - Capitolo n. 117

Capitolo n. 117 – gold


Geffen si era docciato velocemente, dopo avere rivestito Syria, portandole un succo.
Aveva indossato boxer e vogatore, riprendendola tra le sue braccia, restando alle sue spalle, che sfioró con un bacio leggero.
“Buonanotte principessa…”
“Grazie Glam…” – mormoró con dolcezza, baciando i palmi delle sue mani, intrecciandole alle proprie.
“Per cosa…?”
“Per ogni cosa che fai per me ed Isotta… Vorrei… vorrei tanto che fosse tua.”
Glam sospiró, girandola a sé – “Tesoro ne sarei molto orgoglioso, ma Jared sará un buon padre.” – le disse, accarezzandole i capelli corvini.
“Ma tu saresti meglio… Jared é… complicato… Tu lo sai benissimo …” – rise piano – “Con Kevin, che conosco poco, ma che mi piace molto, tu avresti avuto una cura diversa della mia bambina…che comunque è anche un po’ tua, sei stato con noi fino dal primo istante… dal test, ricordi?”
“È vero Syria, una giornata incredibile… come questa…Ora riposati e non preoccuparti del domani.”
“Non lo faró, se tu ci sarai Glam… ti amo tantissimo.” – e lo bació intensamente.
Glam provó coinvolgimento e disagio al tempo stesso, ma poi la strinse sul petto, cullandola finché non si assopí.
Semplicemente lui la adorava.

Jared e Colin fecero un lungo giro in auto, per poi scegliere un ristorante affacciato sull’oceano.
Aveva una terrazza in legno, coperta da un pergolato di glicine ed edere di vari colori.
“Cosa prendi cucciolo?” – gli domandó Farrell, perdendosi nell’ammirarlo.
Jared se ne accorse, sorridendo – “Ho qualcosa fuori posto, a parte la mia nuova ferita di guerra?”
“No… sei splendido… cerco di saziarmi nell’osservarti anche nel minimo dettaglio Jay, ma mi rendo conto che non basta mai…”
Jared richiuse il menú, tenendosi la testa, scompigliandosi le ciocche ribelli – “Sono… turbato… no, cosa dico, sono incazzato… incazzato per quello che è accaduto al tuo compleanno Cole, visto che fino a quell’istante tutto sembrava… perfetto…”
“Cosa ti ha ferito di piú?... Sapere della mia overdose o gli insulti di Jude?”
“La veritá offende, dicono… e lui me l’ha vomitata addosso, chissá da quanto tempo ce l’aveva sullo stomaco…”
“Jude a volte è irruente, non molto inglese… ma è un ragazzo buono ed io per primo l’ho rimproverato quando esagerava…”
“Ah giá, il vostro litigio, ho sentito Robert che gliene parlava. Altre ingiurie su di me?” – domandó con un fervore malsano.
Colin strinse i bordi del tavolino quadrato – “Cosa stiamo facendo Jared? Vuoi litigare anche con me?” –sembrava sul punto di esplodere, all’improvviso.
Jared pensó alla sua terapia, all’astinenza forzata, a quei limiti che, una volta superati, non avrebbero piú dato loro il modo di tornare indietro.
“Vorrei solo passare un giorno sereno con te… e cancellare tutto…” – replicó pacatamente.
Farrell sembró non ascoltarlo – “Non ho piú fame, andiamocene!” – disse risoluto, lasciando una mancia per il disturbo, prima di dirigersi verso la spiaggia.
Jared chiese solo un po’ di frutta, facendosi fotografare con la figlia del proprietario.
Si sentí alienato, in quel gesto per lui tanto consueto, ma che suonava stonato in quella circostanza.
Il suo compagno era furente, davanti all’oceano, dava calci a qualsiasi cosa piú grande di un sasso, imprecando verso l’ignoto.

Owen posó tre biglietti sulla scrivania, alla quale Shannon stava seduto da quasi un’ora, concentrato sulle email dei pezzi musicali del fratello.
“Cosa sono quelli?”
“Tre posti in prima classe per Londra, uno per Josh, uno per te e l’altro per me… almeno se volete trovare la casa dei miei, dovrete sopportarmi ahahah…” – era allegro, propositivo ed altrettanto ignaro di quello che stava per succedere.
“Come scusa…?!”
“Abbiamo rimandato da troppo le presentazioni e capisco che forse non vorrai portare anche tuo figlio, specialmente se Tomo non sará d’accordo, io… io capiró…” – ribatté come a scusarsi della propria iniziativa.
Shannon si alzó, chiudendo il portatile e sbuffando.
Si strofinó la faccia, appoggiandosi alla finestra – “Owen devo… devo dirti delle cose e non posso rimandare oltre.”
“Guardami allora, mentre lo fai.” – disse allentandosi il nodo della cravatta e togliendosi la giacca.
Era appena tornato dalla Rice Tower, dove aveva firmato parecchie autorizzazioni alla vendita di sculture e quadri d’epoca.
Shannon ritornó a scrutarlo, preparandosi le parole giuste, ma non ne esistevano: “Mi sono sbagliato Owen… ho creduto che questa fosse la vita che volevo, ma…”
“Ma ti sei … sbagliato?!”
“Forse abbiamo cominciato nel peggiore dei modi, la nostra intesa o quello che diavolo era ci ha… mi ha annebbiato i sensi e poi… Poi mi hai conquistato ed hai assestato il colpo di grazia alla mia crisi con Tomo.”
“Guarda io… io credo che tu lo stia facendo perché quel Chris te lo ha portato via!” – inveí.
“Sei in errore… Chris ci ha visti, mentre ci baciavamo ed ha lasciato Tomo, quindi lui è fuori gioco o forse non ce lo è mai stato, ma con te è stato diverso, ci tenevo al nostro legame, ma il ricordo di Tomo e… e l’amore che provo per lui, supera qualsiasi altra mia emozione…”
“Sei… sei un BASTARDO!” – lo afferró per la maglietta, sbattendolo al muro.
“Puoi anche massacrarmi di botte, io torneró dal padre di Josh… lo amo oltre me stesso, accettalo Owen e lasciami andare… Il bimbo ti vuole bene, continuerá a frequentarti, ma non a queste condizioni.”
“Siete due disgraziati, quel povero innocente pagherá per tutti i vostri errori, la superficialitá e l’arroganza, con cui ci avete presi in giro, a me ed a Chris, siete cosí stronzi che vi meritate a vicenda!!!”

“Ho… ho scritto delle canzoni…una è sulla vita che abbiamo condiviso, sulle battaglie che abbiamo vinto Colin… Vuoi… vuoi ascoltarla?”
Jared parlava contro alla sua schiena, larga e rassicurante, sulla quale aveva disperso baci, morsi, carezze e qualsiasi attenzione, inghiottiti dall’amarezza di quei mesi.
Gli allungó le cuffiette del suo mp3 – “Ok… va bene Jared…”
La musica era struggente, ma poi sembrava ottimizzarsi in un ritmo, che sapeva di rivincita e gioia.
Erano uno di fronte all’altro, gli occhi lucidi, posati sulla sabbia, senza piú l’energia di affrontarsi.
Farrell crolló in ginocchio, Jared lo seguí, avvinghiandosi a lui – “Non… non voglio perderti Jay…” – singhiozzó, fissandolo a quel punto.
“Non accadrá… anche se adesso sento tutto il peso delle mie scelte Colin… e questa rabbia non fa bene al nostro matrimonio…”
Raramente usava quell’espressione, anche se esisteva una formalitá solida nel loro rapporto, consolidato dalle adozioni legali dei piccoli.
In quell’istante Jared pensó ad Isotta, ma ritenne quel momento troppo sbagliato per rendere partecipe Colin, sconvolto da mille paure sul loro futuro.
Si riavviarono verso la End House, per l’ultima notte, prima della partenza di Jared per Haiti.
Colin al solo pensiero capí di detestare ormai quella destinazione, anche se Jared si rendeva davvero utile, ma non gli bastó piú per scusarlo completamente per quel nuovo abbandono.






COLIN

GOLD - Capitolo n. 116

Capitolo n. 116 – gold



Robert stava scrutando la cittá oltre i vetri della finestra ovale, nella sua camera 405, soffermandosi su insegne luminose lontane ed auto veloci, che continuavano a vagare per il viale alberato, nonostante fosse notte fonda ed il temporale non smettesse da ore.
Beveva la seconda tonica, provava un’arsura insopportabile da quando era arrivato in albergo, dopo avere lasciato Jude sotto casa.
Aveva lasciato Jude, quella coniugazione verbale era inverosimile: non era mai successo, non lo aveva mai permesso.
Ad essere sinceri, non gliene aveva mai dato motivo.
Quello era il problema maggiore, la causa di una scelta tanto sofferta: isolarsi ed escludere Jude dai suoi malesseri.
Jude era il suo assoluto, non quelle melense o scontate frasi fatte “l’altra metá del mio cielo”, ma sí, ma sí era anche questo, peró il discorso era un altro, anzi, erano piú declinazioni del suo modo di esistere nella vita di Downey.
Il suo cervello sembrava arroventarsi in quelle riflessioni, mentre il cuore e lo stomaco erano stretti in una morsa irreversibile.
Aprí la terza lattina, sedendosi a quel punto, rannicchiandosi nel passato, nei ricordi.
Jude che prendeva tre aerei per consegnargli il regalo di Natale. Quando era successo? Il secondo anno, sí, era il secondo, sei ore di attesa, bloccato a Londra, ma lui doveva vederlo, portargli quell’orologio che gli piaceva tanto, arrossato e felice, come un bambino, nel sole di Malibu “Vorrei stare qui per sempre Rob… in Inghilterra si gela e poi…” – ma Robert lo bació, lo accarezzó, lo strinse, per poco, perché doveva riprendere un volo e tornare a quella famiglia sgangherata ed estranea, se non fosse stato per i bambini.
Susan gli compró lo stesso regalo, ma lui ancora adesso aveva al polso quello di Jude.
Il primo anno, invece, era stato il piú entusiasmante, ma anche tanto difficile da gestire.
Loro erano insieme molto spesso per lavoro, ma non bastava.
Se ne andarono in vacanza con le compagne, impazzendo quasi nel contenersi davanti a loro.
Era stato davvero imprudente, ma non importava.
Facevano l’amore ovunque ed appena ne avevano la possibilitá.
Una sera Jude arrivó al tavolo della cena, su quei divanetti semicircolari, nel lussuoso ristorante del resort caraibico, appiccicandosi a Rob, fissandolo con quelle gemme, che un poeta sostituí alle sue iridi, facendolo diventare cosí leggibile all’animo di Downey, che si perdeva ad ogni respiro – “Sai… sei dentro di me…sei venuto tanto a lungo, che ti sento ancora cosí tanto Rob…” – e su quelle parole, Jude gli sfiorava l’inguine – “Piccolo… io… ti desidero da fare male…”
Riuscirono faticosamente ad arrivare al dessert, per poi svanire con una scusa ridicola: si rifugiarono in un capanno per gli ombrelloni, strappandosi i vestiti e divorandosi l’un l’altro in un orgasmo selvaggio.
Robert si sentí tremare, si rialzó, concentrandosi sulle goccioline di pioggia.
“Jude…”
Si precipitó fuori, accorgendosi di avere lasciato la tessera elettronica dell’auto sul comodino.
Prese il cellulare dalla tasca della giacca, alzandosi il berretto della felpa, che indossava sopra a dei jeans strappati.
Era scarico: “Maledizione!”
Anziché rientrare e chiedere al portiere di notte di chiamargli un taxi, inizió a camminare, poi a correre, verso il quartiere dove abitava con Jude.
Fortunatamente la chiave della blindata non l’aveva persa, come tutto il resto.
Aprí piano, fradicio e sudato, il fiato corto, stravolto anche dal freddo.
Jude era sul divano, avvolto nudo in due coperte, il caminetto acceso, una bottiglia di cognac ancora sigillata sul tavolino ed il blister di sonniferi, mancante di una pasticca soltanto.
Robert si inginocchió, esausto e gocciolante.
Jude schiuse le palpebre, senza neppure spaventarsi.
“Rob… Rob! Mio Dio ti congelerai!” – si destó di colpo e gli tolse tutto – “Tesoro… mi … mi dispiace…” – mormoró Downey, assaporando le mani bollenti del compagno, che lo stavano ristorando, confortando, riportando alla vita, alla loro vita vera.
Lo sistemó sotto di lui, coprendolo con quel telo profumato, dopo un lungo bagno rilassante, intrecciando i loro corpi e scambiandosi tepore e baci dapprima leggeri, poi via via piú intensi.
“Non… non ci lasceremo mai… mai Robert…” – affondó nel suo collo con le labbra, dentro di lui con il suo sesso: Robert lo accolse come un dono, l’ennesimo.

Jared trascorse la giornata in piscina con i figli e Colin, sorridente ed all’apparenza rilassato, ma ad ogni tocco o sguardo di Colin, sembrava investito da una scossa elettrica.
Il livido del pugno di Jude era stato giustificato da uno stipite troppo affettuoso, tutti risero.
La sera si era coricato prima di tutti gli altri, dopo una doccia ed una tisana alla valeriana.
Colin lo raggiunse, avvicinandosi timidamente.
“Jay… posso tenerti tra le braccia…?”
Seguí un breve silenzio – “Certo Cole.”
Lo cinse da dietro, dandogli un bacio tra i capelli – “Stai bene con la barba…” – disse sorridendo.
Jared era bellissimo – “Cosa vuoi fare domani Colin?”
“Stare… stare con te, i bambini non ci sono…”
“Ok… ora dormiamo…?”
“Sí tesoro…” – replicó Farrell sconfortato.
Jared serró gli occhi – “Ti voglio bene Cole…”
“Io… io vorrei soltanto che tu mi perdonassi Jay…”
Probabilmente c’era un tempo in cui questo splendido irlandese era stato arrogante, ruvidamente innocente, spavaldo e curioso, ma quegli zaffiri cosí vividi gli avevano rubato un battito, senza piú restituirlo, ostaggio di un giovane uomo americano, affascinante, sensuale e tremendamente affabile con lui.
“Ho rischiato di perderti Colin… e sarei morto anch’io, odiandoti per avermi lasciato da solo, dopo che avevi realizzato i miei sogni, anche quelli impossibili…”
“Anch’io ti odio da morire Jared…” – premette i palmi sul suo petto, la loro pelle pulsava, in un’unica espressione di amore ed appartenenza.
Jared si voltó, cercando la sua bocca, abbandonandosi a Colin, che si spinse in lui facendogli male, ma il problema era un altro, era quel sentirlo estraneo, per la prima volta, in quell’aspirazione di essere altrove, da quando aveva scoperto il suo segreto, ma, soprattutto, dopo che Jude lo aveva giudicato spietatamente, dicendo, peró, solo la veritá.





sabato 26 marzo 2011

GOLD - Capitolo n. 115

Capitolo n. 115 - gold



Geffen rientró in anticipo rispetto a Jared.
Lui si era trattenuto ancora per un paio di giorni alla End House, dopo la festa per i quarant’anni di Colin.
Kevin era partito per Londra, la prima di cinque date europee, che lo avrebbero impegnato per un paio di mesi.
I primi giorni di giugno erano sempre impegnativi alla fondazione: si faceva un inventario generale ed un consuntivo, sia economico, sia progettuale, per vedere se gli obiettivi del semestre erano stati raggiunti.
Glam si tuffó nel lavoro, per buttarsi alle spalle le ultime ore, ma Pamela era altrettanto indaffarata con gli impegni familiari e sociali, cosí da piombare nel suo studio, per una richiesta precisa.
“Scusami, ma oggi proprio non riesco a portare Syria per l’ecografia. È previsto un mezzo uragano e devo andare al centro medico per i vaccini, la prevenzione…”
“Lo so, ok Pam, la porto io, per che ora?”
“Alle quindici…”
“Ok, allora vado subito.”
“Grazie… ehi ombre, tutto a posto in California?” – domandó fissandolo.
“No Pamela, un vero disastro…” – replicó sbuffando.
“Perché non fai chiarezza in quella cavezza?!”
“Scommetti che se la apriamo, la mia cavezza, ci troviamo solo farfalle che volano? Anzi, moscerini ahahahhah… Ciao cara, fai attenzione con questa tempesta in arrivo, rincasa presto…”
“Lo faró, saluta Syria e la Roy.”

Quando lo vide arrivare, Syria fece un sorriso di grande gioia.
Andare con Glam dal medico, era sempre occasione di divertimento per lei.
Lui faceva battute, la tranquillizzava ed era una via di mezzo tra un papá moderno ed un amico fidato ed amorevole.
“Allora siamo pronte principesse?”
“Ciao Glam… sí, come sto?”
“Benissimo…” – disse scrutandola nel suo abitino bianco.
“Me lo ha prestato Pamela…”
“Lei ha buon gusto ed a te sta bene tutto.”
“Anche la bimba ti saluta… senti qui…”
Lui le sfioró il pancino perfetto e sentí un calcio leggero.
“Salta giá questa monella… Andiamo bene!” – e le strizzó l’occhio, aiutandola a salire in auto.
La ginecologa fece un controllo metodico, verificó le analisi, integrando nuove vitamine, per poi passare all’esame preferito da Syria, che poteva vedere la sua cucciola.
La Roy sorrise – “Ok chiamo Glam.”
“Grazie dottoressa…”
Lui fu disponibile come al solito, sentendosi anche distratto e sollevato dal pensiero di Jared e Kevin.
“Oggi il papá non c’è?”
“No Alexandra, è a Los Angeles…” – disse guardando le foto, allegate al nuovo referto.
“Comunque qui c’è anche il cd di quello che abbiamo fatto oggi, se vuoi mandargli una email…”
“Grazie, ok lo faremo dopo, vero Syria?”
“Sí… certo…” – sorrise, sistemandosi per andare via.

Il palazzo dove si trovavano era moderno, un monumento alla corruzione della presidenza dell’isola di Haiti, dove il governo era stato coinvolto in diversi scandali durante la ricostruzione.
Era oltremodo dissonante dal resto dei quartieri poco distanti: ultra moderno, settanta piani di negozi, uffici, un centro commerciale, due ristoranti, una discoteca nel piano interrato e la sede dell’ambasciata americana a metá dello stabile.
Glam portó Syria a fare uno spuntino, notando che il temporale si stava avvicinando.
“Ho una fame… terribile…” – rise.
“Mangia senza fretta, tanto resteremo bloccati qui se quello ci viene addosso tra poco, come temo…”
“Speriamo che passi senza troppi danni…”
“Qui siamo al sicuro.”
La ragazza si guardó intorno, illuminandosi nel vedere un manifesto colorato, appeso al bancone centrale: “Guarda Glam… un ballo di debuttanti…”
Lui notó i dettagli – “I miei amici USA hanno organizzato le cose in grande…” – disse facendo cadere la cartella medica di Syria.
“Accidenti… che imbranato…ora la risistemo o almeno ci provo…ehi… ma… Tesoro oggi è il tuo compleanno…” – mormoró stupito, notando il primo foglio con i dati di lei, che si scherní – “Non è cosí importante Glam…”
“Sí che lo é. Dobbiamo festeggiare…” – disse come ispirato da un’idea.
“Vieni, il b-day è sempre un giorno speciale.”
“Ma Glam… dove mi porti?”
“Ti fidi di me?” – domandó con quel sorriso accattivante, che avrebbe fatto comprare un cammello ad un esquimese.
“Certo, da sempre.” – replicó lei, incuriosita, pronta a seguirlo.

Geffen si sistemó su di una poltroncina, mentre due commesse molto eleganti andavano e venivano, dal camerino dove Syria si stava cambiando.
Uscí quasi saltellando – “Wow… è troppo bello questo abito!” – esclamó, improvvisando un defilé davanti a lui, che si stava divertendo come un pazzo, nel vederla cosí felice.
“Mmmm sí, è quasi perfetto, ma prova anche l’altro.”
“Ok, vado vado… vado…” – poi tornó indietro e gli diede un bacio sulla fronte – “Per cosí poco…” – rise.
Scelse poi il secondo vestito, colore crema oro, la sua abbronzatura risaltava, come il suo seno nel taglio impero del bustino e la rotonditá deliziosa, mascherata dalla georgette di seta, che arrivava sino ai piedi.
“Ora le scarpe e la borsetta, ci sono vero signorina, in tinta possibilmente…?”
“Certo mr Geffen… Arrivo.”
Syria era un’esplosione di entusiasmo.
Quasi come la pioggia, i lampi ed i tuoni, che ormai li avevano confinati in quel gigante di acciaio e cristallo.
Glam prese una suite, posando poi altre scatole nel salottino – “Cosa c’è li dentro?”
“Ah sei troppo curiosa… guarda che adesso arrivano l’estetista e la parrucchiera, manca poco alla serata di gala. Ho fatto una telefonata, mi dovevano un favore, per cui ci aggreghiamo anche noi, cosa ne pensi?”
“Penso che… che tu sia un uomo straordinario…Lo stai facendo perché daró una figlia al tuo Jared…?” – domandó con un’aria innocente.
“Ho sempre fatto ció che mi andava, sai?... Il problema è che accadeva solo per me stesso, per un mio fine personale… Ora cerco dei gesti altruistici, piú o meno lodevoli, non sto facendo della beneficenza con te Syria, ma è solo un dono, perché lo meriti e non per Jared o per vostra figlia…” – sorrise.
“Io… io ti voglio un mondo di bene Glam…” – arrossí.
“Anch’io… ehi suonano! Saranno le girls del salone, vediamo?”
Erano loro, pronte a farla bella, anzi bellissima.
Un’acconciatura con dei boccioli di rosa e gemme di swarovski, un trucco leggero, ma luminoso, come il suo sguardo.
Glam noleggió uno smoking, nel quale si sentiva un po’ rigido – “È da troppo tempo che non ne indosso uno… Sembro un pinguino ahahhah… Tu invece sei uno splendore…”
“Sono… sono cosí emozionata… vorrei piangere… ma… ma poi rovino il trucco…”
“Appunto, quindi tieni duro, almeno finché non torneremo…” – le accarezzó le guance – “Ti faccio una foto, vuoi?”
“Sí… poi ne facciamo qualcuna insieme Glam?”
“Certo… ce ne fa una lei per favore?”
“Sí, subito. Come state bene, siete sposati da molto?” – chiese l’estetista.
Loro risero – “No… siamo solo amici…” – sussurró Syria, allacciandosi a Glam, che sembrava proteggerla anche dall’aria circostante.

Ballarono e conobbero alcuni rappresentanti di organizzazioni internazionali, che apprezzavano il lavoro di Geffen.
Riuscirono anche a stabilire contatti interessanti, poi dopo avere assaggiato diverse specialitá del ricco buffet, risalirono in camera.
Syria andó subito a sedersi sul divano.
“Stanca?”
“Un pochino, peró sto bene…” – sorrise.
“Ok, ora peró dovresti lasciarmi il posto, dormiró lí, tu hai il letto presidenziale tutto per te ahahahh…”
“Posso stare io qui Glam…”
“Non se ne parla. Ah, ancora una cosa.”
Prese quindi dalla tasca una scatoletta rossa.
La porse a Syria, che l’aprí in un nanosecondo.
Una catenina in oro bianco, con una goccia di diamante.
Lei era senza parole – “Buon compleanno piccola. Posso?”
“Sí… grazie… io … non so cosa dire…”
“Spero solo che ti piaccia, ecco fatto, vai a specchiarti.” – disse dopo averle allacciato il collier.
Lei fremeva dalla contentezza, quindi liberó il suo pianto, rimandato a lungo in quelle ore.
“No, no, è la tua serata, cosa sono queste lacrimone?”
Andó ad abbracciarla, rassicurandola.
“Glam… tu … tu sei l’unico a volermi bene davvero…”
“Cosa…? Tesoro tu sai che non è cosí…” – disse sereno.
“Jared mi rispetta… Pamela e le ragazze sono adorabili, ma non mi sono mai sentita … amata come stasera…”
“Ne sono felice…Ti ho preso ancora qualcosa, per la notte, ma se non mi fai un sorriso…” – e lei lo fece subito – “Bene, trovi tutto di lá. Vado a farmi una doccia, poi ti lascio il bagno ed andiamo a nanna, ok Syria?”
“Ok Glam…vieni a darmi la buona notte?”
“Sí, certo a dopo.”

L’acqua era bollente e ristoratrice.
Glam sentiva tutta la stanchezza di Los Angeles e di quel giorno particolare.
Sorrise, ripensando a come Syria si era impegnata ad essere all’altezza della serata, con educazione, ma anche molta classe, durante le conversazioni ed i balli con lui, dove si sentiva una vera regina, cosí almeno gli disse, gratificandolo.
Prese un telo bianco, si avvolse dalla vita in giú, tamponandosi il busto, il collo ed il viso con un secondo asciugamano.
Syria era oltre la porta – “Glam mi lasci il posto? Ho… una certa urgenza!” – disse scherzosamente.
“Ok, un attimo…” – uscí ridacchiando.
Syria lo squadró dalla testa ai piedi – “Che c’è piccola?”
“Niente! Pista…!” – era paonazza.
Glam prese l’accappatoio e si diresse all’armadio, dove aveva buttato di corsa i suoi acquisti, dell’intimo ed una t-shirt nuova, per il giorno dopo.
Syria era giá tornata – “Fatto! La camicia e la vestaglia sono stupende… Glam guarda!”
Lui si voltó, senza essersi cambiato – “Stupenda…anche il turchese ti sta un incanto…”
“Anche tu nel bianco sei… meraviglioso.” – lo disse, andandogli vicino, spaventata anche dal vento, che stava aumentando.
La luce saltó – “Oddio! Glam…!”
“Niente panico… ecco, le luci di emergenza si sono attivate, visto?”
“Sí… ma tu non hai mai paura Glam?”
“Un milione di volte…Cosa ne dici se andiamo a dormire Syria?” – sorrise, spostandole i capelli dal volto inquieto.
Un lampo illuminó tutto – “Miseria!” – esclamó lei, mordendosi le unghie.
“A me i temporali piacciono, certo che questo é… fuori misura… Ehi Syria, stai tremando…”
“È dal terremoto… ce ne furono molti… ero terrorizzata…”
“Lo immagino…”
“Ma con te sono al sicuro Glam…” – lo disse, aggrappandosi al suo collo, per poi baciarlo, con irruente candore.
Lui la accolse con attenzione, ricambiando quello slancio di affetto.
Si staccó piano, sfiorandole poi la fronte, gli zigomi, con le dita e la bocca, calda e sensuale, come del resto era lui, in ogni gesto, virile qualunque cosa facesse e che rendeva Geffen irresistibile.
“Syria…non dovevi… non mi devi nulla…” – disse con tenerezza, ma lei continuava a perdersi nelle sue iridi azzurre, prendendogli poi le mani, accompagnandole sui suoi seni, affinché la liberasse da quella stoffa sottile, dopo che lei aveva fatto scivolare la prima tunica preziosa, restando solo con una camiciola leggera, chiusa fino all’ombelico da bottoncini a pressione.
Lui seguí quel percorso, scoprendo il suo corpo quel poco che bastava per accarezzarla.
Syria respiró intensamente, chiudendo le palpebre, spogliando anche lui di quel poco che indossava.
“Vieni piccola…” – la portó sul letto, sistemandola tra i cuscini, tornando a baciarla ed accarezzarla, dandole un piacere puro ed assoluto.
I capezzoli turgidi erano il punto piú sensibile, dove Glam concentró le sue capaci attenzioni, mentre le dita arrivavano tra le gambe della ragazza, che gemeva, tormentando le lenzuola.
Infine precipitó, facendola venire con la bocca.
Glam non avrebbe mai fatto l’amore con lei, perché era pericoloso, perché non era giusto, perché ormai anche lui era caduto in quel vorticoso universo, dove tutti si prendevano tutto, lasciando dietro di sé solo macerie.
Le conseguenze della sua debolezza forse lo avrebbero fatto pentire presto o forse no, facendo in modo che quei momenti restassere il loro segreto inviolabile.
Quando tornó a guardarla, il sudore imperlava il sembiante armonioso di Syria – “Mio Dio… Dio… che bello… Glam… Glam…” – ripeteva il suo nome, accoccolandosi sul suo petto, inondandolo di baci, pronta a restituirgli quell’orgasmo devastante.
“Fermati… cucciolina non… non devi stancarti, lo sai…”
Lei quasi si imbronció, ma Glam la fece sedere, tra i guanciali setosi, portando il proprio sesso alle sue labbra che lo reclamavano, mentre lo stava giá toccando, facendolo ansimare.
Syria non aveva molta esperienza, ma fu in grado di farlo sentire in un modo che Geffen non ricordava.
“Sei… sei bravissima…” – disse soffocando un grido compiaciuto, spostandosi appena in tempo, prima di venire, ma lei non lo abbandonó, massaggiandolo fino alla fine, mentre Glam si allungava al suo fianco, svuotandosi sul proprio ventre e raccogliendo ancora un bacio dalla giovane, che era in estasi quanto lui.




SYRIA


GLAM

venerdì 25 marzo 2011

GOLD - Capitolo n. 114

Capitolo n. 114 – gold


“C’è una stanza, qui alla End House, dove mi sono rifugiato da quando te ne sei andato via Jared…Ed è lí che Jude e Robert mi hanno soccorso, perché solo loro sapevano dove trovarmi dopo che li avevo chiamati, in stato confusionale… sul pavimento avevo sparso decine di foto del nostro passato… e continuavo a chiedermi come mai stavamo buttando via tutta una vita incredibile, la nostra famiglia, erano scatti di anni prima, di… della nostra bambina…” – Colin singhiozzó a quel punto, bloccandosi e riprendendo fiato.
Erano nella camera dei regali, sul tappeto, tenendosi per le mani, a testa china, sotto al peso di quelle veritá scomode per entrambi.
“Non trovavo le risposte e volevo soltanto dormire…e dimenticare i miei sbagli, i sensi di colpa mi opprimevano…Jude ha esagerato, ha detto cose orribili, ma si era spaventato a morte...”
“Lui c’era quando avevi bisogno, io no. Quando tu eri assente, non mi sono rifugiato in droghe o alcolici, certo, anch’io ho avuto la mia reazione, forse deleteria, ma non volevo che questo fosse il risultato Colin.”
“Te l’ho sempre detto Jay… tu sei piú forte di me, io non riuscivo ad andare avanti… come ora… e sará sempre cosí se tu non mi sarai accanto… Ma sono andato in terapia e non prendo piú niente…”
“Questa scelta di curarti la devi ai nostri figli, hai delle responsabilitá, cosí come ho io ed anche se pensate tutti che io vi abbia abbandonato, se per voi sono solo… una puttana...” – “Jared! No! No… io non l’ho mai pensato…”
Leto lo fissó interrogativo – “Ad Haiti ho ritrovato un senso per le cose che facevo, non che qui non lo avessero, ma mi sentivo perduto e soffocato al tempo stesso… La presenza di Glam mi rassicurava, la realtá di quell’isola è ancora tremenda, ma non ti ho mai nascosto che ci eravamo… ritrovati…Ma abbiamo fatto un passo indietro, anche se rimane una ferita ancora aperta quello che ci lega, peró abbiamo altri obiettivi e nuovi impegni, lui ha adottato Lula con Kevin, lo aspetta per vivere insieme a Port au prince… ed io torneró a casa, prima della fine dell’anno, te lo avevo giá assicurato…”
Colin sorrise – “Jared io non ho mai nemmeno sfiorato Jude, neanche un bacio, se hai dei dubbi, abbiamo solo dormito fianco a fianco, anzi, lui era completamente vestito e si è coricato accanto a me, ma non mi ha mai toccato… certo ci vogliamo bene, lui forse è possessivo o anche geloso, ma siamo amici…Credimi.”
Jared sospiró, scrollando le spalle – “Credo che sia stato tu a mettergli un freno, perché lui avrebbe ceduto se …” – “Ma non è successo! Io vivo solo per te Jared!”

Robert accostó, senza rompere quel silenzio agghiacciante tra loro.
Jude si mangiava nevroticamente le pellicine della mano sinistra, sfigurato dallo sconforto.
Erano sotto casa, inizió a piovere.
Le luci dei fari fendevano il buio, come le lame che stavano facendo a pezzi il cuore di Downey: “Scendi Jude… voglio restare da solo qualche… qualche ora…”
Law strizzó le palpebre, inspirando con intensitá: “Rob ascoltami…” – “No senti Jude, ti ho chiesto una cortesia, cerca… cerca di essere comprensivo tu, questa volta, ti prego!” – replicó stizzito, ma disperato.
Jude non aggiunse altro, scomparendo sotto ai porticati del loro palazzo.
Salí di corsa le scale, per arrivare senza fiato al pianerottolo.
Sbatté la blindata alle proprie spalle, urlando e gemendo, sentendosi strappare la vita da dentro.
Robert ripartí, cercando un albergo poco distante, dove trascorrere il resto della notte.

Antonio mise a disposizione di Kevin la limousine ed il proprio jet, per tornare in Europa.
Sulla via per l’aeroporto rimase rannicchiato tra le braccia di Glam, che non riusciva a smettere di piangere con lui.
Geffen aveva prenotato il volo per Haiti, per andarsene contemporaneamente al compagno.
“Daddy… dai tanti baci al nostro bambino… mi mancate da morire…”
“Tesoro io…io ti ho deluso di nuovo…”
“Deluso perché vuoi vivere i tuoi sentimenti? Li sento vibrare nella tua voce, quando parli di Jared…Avete fatto di nuovo l’amore?”
“No…cioè non…” – “La sai una cosa Glam? Te la dissi poco tempo fa ed ora la ripeteró: non voglio sapere nulla di ció che avviene ad Haiti fino a che non ci verró anch’io!” – esclamó, asciugandosi la faccia.
Erano arrivati.
“A presto daddy, ti telefono domani…abbi cura di te.” – e gli diede un lungo bacio, affossando poi il viso nel suo collo, stritolandolo nel proprio abbraccio, per poi sfuggirgli via, andando ad imbarcarsi.
Una volta salito a bordo, Kevin ebbe una sorpresa:
“Chris…?!”
“Ciao Kevin, volevo avvisarti… ho telefonato ad Antonio e mi ha dato il permesso di… aggregarmi.” – sorrise mesto.
“Ma cosa è successo?”
Lui si piegó in avanti, massaggiandosi le tempie – “Lui ama Shannon, non… non è cambiato nulla…Gli ho restituito la fede, dentro alla busta con una lettera… l’ho infilata nella sua buca della posta, ci sono passato dopo la festa e prima di venire qui…”
“Mi dispiace Chris…come vedi anch’io sono a pezzi…”
“Allora ci terremo buona compagnia…anche se… anche se non capisco perché siamo noi quelli sbagliati ed i fratelli Leto quelli giusti…”

§ Ciao Tomo. Perdonami per essere sparito dalla End House, ma non potevo restare.
Non potevo assistere ad altre scene amorevoli con il tuo ex, anche se posso capire che non eri riuscito a cancellarlo dall’oggi al domani, Josh o non Josh… Sentire confermare il tuo sentimento per lui è stato uno schiaffo duro e bruciante… fa cosí male, soprattutto dopo il nostro… matrimonio… un chiodo scaccia chiodo? Un colpo di testa? Una tenera follia? Mi hai portato in alto, per poi scagliarmi a terra con un unico colpo deciso.
Sono stato presuntuoso forse… o forse per l’ennesima volta ingenuo. Inutile concludere che non lo meritavo, vorrei convincermi che eri tu a non meritare un ragazzo come me, ma sarebbe solo rabbia ed io ora ho posto solo per una sofferenza, che nessuno mi aveva mai fatto subire…Ti auguro il meglio, che potrá venire dalle tue scelte. Addio, Chris. §

Tomo preparó la vasca, immergendovi il proprio corpo stanco, dopo avere letto quelle righe dure e spietate.
Tappandosi il naso, andó sotto completamente, riemergendo dopo qualche secondo, sperando che fosse stato tutto un brutto sogno.



giovedì 24 marzo 2011

GOLD - Capitolo n. 113

Capitolo n. 113 - gold




Glam cercó il mazzo di chiavi dell’attico di Los Angeles. Si domandó mentalmente se Kevin fosse giá arrivato.
Voleva farsi una doccia, il viaggio da Haiti era stato travagliato.
Quando aprí la blindata, vide candele accese un po’ ovunque, profumo di pulito ed il rumore dei getti, che vennero subito chiusi.
Kevin spuntó, nudo e bellissimo, come il suo sorriso.
Gli voló tra le braccia, baciandolo intensamente.
Si staccó piano, senza perdere il contatto dalle labbra di Geffen – “Bene arrivato... Ciao daddy...”
“Ciao tesoro... puzzo come un animale, mi dai dieci minuti...” – mormoró accarezzandogli la schiena.
“No. La mia risposta è no...” – lo bació di nuovo, avvinghiandosi a lui come a non volerlo lasciare piú andare via.
Fecero l’amore a lungo, Kevin era come il giorno in cui si erano salutati, solo un po’ piú magro.
Al primo orgasmo Glam si mise in ginocchio, sollevandosi dal petto di Kevin, dopo avergli succhiato ogni centimetro di pelle, poi i capezzoli turgidi, senza mai uscire da lui, continuando a spingere ed a gemere, deglutendo ad ogni singulto del suo giovane compagno, ripetendosi che era assurda quella situazione, che Jared era sicuramente nel letto di Colin, che non avrebbero mai dovuto rientrare a Los Angeles, né per il compleanno di Farrell e neppure per la breve pausa del tour di Kevin.
Farsi del male in quel modo non serviva a nessuno.
Il ragazzo non smise di donarsi al suo uomo.
Gli era di nuovo sopra, pronto a riceverlo per la seconda volta, con gioia ed un amore che solo Kevin sapeva esprimere, generoso e devoto.
Gli era fedele dal primo attimo e non avrebbe mai avuto incertezze.
I suoi fianchi erano febbrili, come il suo sensuale toccarsi, per debordare sul ventre di Glam, che si imperló di lui e del sudore, che ormai scivolava lento dalle loro fronti.
Venirgli nuovamente dentro fu quasi delittuoso, agli occhi di Geffen, ma in quelli di Kevin c’era solo un incantevole appagamento.
Si accasció, come una spiga di grano piegata dal vento.
Gli era grato, Glam lo capiva da come lo stringeva e baciava ancora.
“Vieni daddy... voglio lavarti... ho preparato la vasca...”
“Grazie piccolo...”

Geffen si distese, respirando le essenze odorose di verbena e sandalo.
Kevin si mise dapprima alle sue spalle, per frizionarlo con vigore mescolato ad una tenerezza fanciullesca.
Si spostó poi tra le gambe di Geffen, sedendosi e lasciando che lui contraccambiasse quelle attenzioni su di lui.
“Ho letto che i vostri concerti hanno molto successo...”
“Sí daddy...”
Kevin voleva fargli delle domande, ma senza guardarlo.
“Jared si comporta bene...?”
Glam sospiró, strizzando le palpebre.
“Fa del suo meglio...”
“E come sta...?”
“Incasinato, come sempre...”
“Tu saprai vegliare sui suoi errori... ne sono certo.” – una lacrima gli scese, ma Kevin rimase immobile, mentre Glam sentiva il suo pianto, anche senza vederlo.
Lo voltó a sé, asciugandolo con baci e parole, che a Kevin suonarono sincere.
“Ti amo... io ti amo Kevin…”
“Lo so Glam... Mi aspetterai...? Verró ad Haiti alla fine di questa avventura...”
“Lo so, dal momento in cui ci siamo salutati...”
“Saró di parola... anche se tu...”
“Ssst... angelo mio, non dire altro, non perdere questa aurea di felicità, che riesci ad infondermi... tu rendi migliore anche un bastardo come me...”
“Daddy tu non sei...”
“È vero. Sono anche peggio.” – replicó risoluto.
Kevin abbassó lo sguardo.
Un istante dopo incastró le proprie iridi in quelle di Glam.
“Vuoi... vuoi scoparmi prima di andare via?”
“Sí. Faró tutto ció di cui hai bisogno, perché ne ho bisogno anch’io Kevin.”

Le due G, di un rosso vivo, risaltavano sulla pelle leggermente abbronzata.
Tra le pieghe dei suoi pensieri, uno soltanto sovrastava gli altri - = Sei mio… tu sei davvero mio Kevin...=
Il tutto, purtroppo, non riusciva a fare la differenza, a portarlo via da quel gruppo famoso, a pregarlo di seguirlo ad Haiti oppure semplicemente a riprendersi la vita e le abitudini che avevano abbandonato da pochi mesi a Los Angeles.
Kevin avrebbe accettato qualsiasi condizione, ma Glam voleva rivedere Jared, riabbracciarlo, sentirlo e viverlo, facendosi travolgere dalle sue risa, da quel loro legame senza futuro, ma con un presente tanto incerto quanto straordinario.
Jared poteva deluderlo, insultarlo ed anche umiliarlo: era una fase, solo un’indimenticabile fase della loro esistenza.
Il ritmo di Geffen nel corpo di Kevin aumentava, sollecitato da un’ingordigia di riempirsi nuovamente di lui, ma questa volta con dolore.
Lo sperma che ben presto lo invase, non era piú quell’elemento prezioso, che donava a Kevin la consapevolezza che Glam esisteva davvero, che non era un sogno averlo accanto, lui rimaneva per qualche ora in lui, facendolo sentire importante, a volte essenziale.
Il suo divenire era una bruciante sconfitta, nella forma e nell’essenza, era crudele, come avergli preferito Jared e ció nonostante Kevin non riusciva ad avercela con quest’ultimo.
Jared restava nel suo cuore con una dolce malinconia, uno struggente vuoto, che non avrebbe piú potuto colmare nel ritrovarlo, nel parlare con lui, nelle confidenze, nella fiducia reciproca: tutto era nuovamente cambiato, tutto era stato proiettato in un nuovo giorno, buio come quella notte insieme a Glam.
Tutto era perduto.
Ancora una volta.




GOLD - Capitolo n. 112

Capitolo n. 112 – gold


Colin si accasció sul ventre di Jared.
Avevano fatto l’amore due volte, era notte fonda, le mani di lui tra i capelli del bellissimo irlandese, che continuava a colmare di baci il suo petto disegnato da un artista ispirato od innamorato come lui di quell’eterno ragazzo dagli occhi rubati al cielo.
“Ne avevo… davvero bisogno Jay…ti amo, ti amo… ti amo…” – lo ripeteva affondando nella sua bocca, non riusciva a smettere di baciarlo.
Jared si abbandonó completamente a tutte le sue attenzioni, il cuore traboccante di gioia: trovarsi tra le braccia di Colin era sempre qualcosa che lo emozionava e scombussolava.
In fondo non erano necessarie conferme ai suoi sentimenti, Jared avrebbe voluto solo che qualcuno o qualcosa cancellasse il ricordo di Glam, il cui sapore era ancora cosí vivo nella sua gola.
Si era lavato forsennatamente nel bagno dell’aereo, che lo riportó a Los Angeles, cambiandosi persino i vestiti, ingurgitando mentine e caffè, fino a nausearsi.
Compró anche un dopobarba al duty free, ricordandosi che Colin lo usava qualche anno prima.
Gli fece piacere risentire quella fragranza, gli restava sempre sul colletto della camicia quando si ritrovavano in posti incredibili, dove facevano l’amore, al tempo in cui le loro vite erano troppo incasinate per condividere la famiglia che sognavano di costruire.
Si assopirono, ma Jared fu risvegliato dalla sensazione devastante di avere qualcuno dentro di sé.
Colin lo stava possedendo, nuovamente, intensamente.
Fu strano, ma stupendo, una lacerazione di sensi ed umori, che si rimescolavano, senza fine.

Jude stava armeggiando con il biglietto di auguri per Colin, mentre Robert confezionava il loro regalo.
Era un completo di Lacoste, sportivo ed elegantissimo, scelto insieme, pensando ai colori di Farrell.
“Cosa gli scrivo…? Mmmm vediamo…”
“Qualcosa di divertente… guarda che fiocco da antologia!” – rise.
“Che meraviglia… sono a corto di idee…”
“Jared è giá arrivato, Jude?”
“Sí… stanno facendo acrobazie da ieri sera ahahhah…”
“Meglio cosí…Ci sará molta gente oggi?”
“Una cinquantina di amici, ci sará il cattering del Villa´s, poi le sorelle di Colin, la mamma, il padre ed il fratello non ne sono sicuro, ma per i suoi primi quarant’anni, la festa dev’essere speciale.”
“Lo sará di sicuro Jude.”

I bambini erano in visibilio, correvano ovunque, tra coccole e complimenti da parte di tutti.
C’era un’atmosfera elettrizzante, Colin era persino agitato – “È solo un compleanno, ma è come se dovessi salire su di un palco per una prima teatrale…”
Jared gli stava allacciando la camicia, premuroso e complice – “Sei uno splendore… Il quarantenne piú affascinante sul pianeta…Scendiamo?”
“Sí cucciolo… Guarda il tavolo dei regali… Dio quanti pacchi…!”
“Visti… non ti senti come un bimbo il giorno di Natale? Ahahhaha…”
“In effetti…”
“Qui c’è il mio Cole…” – ed estrasse dalla tasca un astuccio in velluto blu.
Farrell lo aprí, rapito da mille emozioni.
Era una catenina d’oro con una piastrina incisa:
§ Il filo delle nostre vite non si spezzerá mai. Ti amo. Jared §
“É… è la cosa migliore che potessi ricevere… tu sei il dono piú prezioso per me Jay… ti adoro.” – e lo strinse, baciandolo con tutto sé stesso.

Un turbinio di applausi, risate e voci allegre accolse il suo arrivo nel parco, dove gli invitati stavano giá brindando al suo b.day.
Colin si divise tra tutti, disponibile e gentile, ma sempre cercando con lo sguardo Jared, che si trattenne molto con il fratello, su di una panchina poco distante dal centro dell’evento.
“Come vanno le cose Shannon…?”
“Un disastro… guardali… Josh è appiccicato ad Owen e Tomo a quel Chris… Non ce l’ho con questo ragazzo, lui è fantastico, ma ormai ció che voglio è tornare dal mio unico sposo…”
“L’ho letta la tua email, ma sono davvero preoccupato per il casino in cui ti sei infilato…”
“È la nostra specialitá fratellino… Cosa mi racconti di Colin e Glam?”
“Glam e Kevin hanno accolto il piccolo Lula ed è stata una scelta importante…Io continuo a… ad amarlo, Geffen non è ancora un capitolo chiuso per me e forse non lo sará mai… Con Cole fila tutto liscio, poi adesso devo dirgli una cosa.”
“Torni definitivamente?”
“Non… non ancora Shan… senti è successa ad Haiti...”
“Quale cosa Jared?”
Josh li interruppe, trascinando il padre da Owen – “Scusami, ne parliamo dopo…”
“Ok Shan, divertitevi.” – replicó destabilizzato.
Voleva che almeno Shannon sapesse di Syria, ma sembrava un’impresa riuscire a confidarsi.

La torta fu distribuita da un Colin raggiante, che aprí un mare di scatole, aiutato da Rebecca e Violet.
Ringrazió i presenti, sentendosi molto stanco.
Jude notó la sua spossatezza e lo invitó a rientrare in casa, ma lui voleva restare con i figli.
Robert gli si avvicinó – “Non preoccuparti, sta bene, ma lo sai che quella terapia disintossicante ha effetti collaterali duri da smaltire.”
“Sí amore… lo so purtroppo… senti devo andare in bagno. Mi accompagni? Sai non vorrei perdermi!” – e ridacchió, prendendolo per un braccio.
Jared li stava osservando da diversi minuti, quindi decise di seguirli, senza neppure saperne il motivo.
Imboccarono uno dei tanti corridoi del secondo piano, alla ricerca della loro camera – “Usiamo questa… cosa ne pensi, di farci un po’ di coccole Rob? I padroni di casa non si arrabbieranno…”
“Spero di no… e se ce ne andassimo?”
“Veramente Colin ci ha invitati a fermarci a cena e per la notte. Domani voleva fare una gita al parco acquatico con le pesti…Potremmo portarci anche Lillybeth.”
“D’accordo tesoro… ne parliamo dopo…” – ed inizió a sfiorargli le spalle, poi il petto, dove posó dei baci infuocati.
Jared pensó di andarsene, ma poi una frase di Jude lo trattenne oltre la porta rimasta socchiusa.
“Rob… Rob forse è meglio tornare di sotto…”
Lui sbuffó, comunque sorridente – “Colin sta bene, non stare in pensiero… Poi c’è Jared.”
“Sí certo… la principessa si è degnata di tornare.”
“Jude… dai, smettila. Lo sappiamo come la pensi su di lui, ma vuoi di nuovo litigare con Colin?”
“Non lo abbiamo fatto, c’è stato solo uno scambio di idee differenti…”
“Bel modo di descrivere quel disastro emotivo Jude.” – ironizzó, con le mani in tasca, appoggiandosi alla parete.
Law fece spallucce – “Ci siamo chiariti, c’eri anche tu. Vorrei solo che ritrovasse il proprio equilibrio, se penso a…”
“È passato Jude! Non rivangare.”
“Vorrei, ma gli effetti di quella overdose si vedono ancora adesso…”
Su quella parola Jared sentí un nodo allo stomaco, cercó persino ossigeno, per liberarsi da un’ansia improvvisa, che lo spinse ad entrare e confrontarsi con loro – “Cosa state dicendo? Quale overdose??!”
“Jared… no senti, noi…”
“Stai zitto Robert! Voglio sapere la veritá dalla tua principessa!” – ringhió nella direzione di Jude, che spalancó le iridi, arrossendo per l’imprevisto.
“È stato un incidente… che Colin ha superato…” – sembró giustificarsi.
“Non dire balle!! Cosa è successo davvero??”
Colin li stava cercando, trovando strano che fossero spariti tutti e tre contemporaneamente.
Sentí le loro voci concitate e si precipitó a vedere cosa stesse accadendo.
“OK VA BENE!!! ME LO HAI QUASI AMMAZZATO ECCOLA LA TUA VERITÁ JARED!!!”
Le sue grida arrivarono come un pugno in pieno viso a Farrell, che ormai era dietro a Jared, che sentiva salire una rabbia incontenibile.
“TE L’HO COSA??!! Ma… ma Robert tu non dici niente… non capisci cosa sta succedendo… e tu Colin…?? Hai avuto un’overdose e non mi hai detto niente?!?” – era furibondo, mentre Colin saettava lo sguardo da Jude a Robert, evitando quello di Jared, perché troppo insostenibile.
Robert deglutí, facendo un passo verso Jared – “Ascoltami, non c’è nulla da capire tra Jude e Colin, non quello che tu pensi almeno.” – disse risoluto.
“Quello che io penso?? Quello che io penso è che il tuo compagno ha messo gli occhi sul mio e forse… Dai dimmelo… se solo lo hai toccato…” – avvampó, rivolgendosi di nuovo a Jude, che rimase immobile – “Se solo cosa…?? IO NON HO MAI TRADITO IL MIO UOMO, IO NON SONO UNA PUTTANA COME TE!!”
“JUDE!!” – sbottarono all’unisono Colin e Robert, senza rendersi conto di come si stava muovendo Jared.
Si scaglió su Law, colpendolo in pieno viso con uno schiaffo, lui reagí con un pugno e poi si presero per le casacche strattonandosi contro i muri circostanti, urlandosi insulti pesanti.
Robert si precipitó a sbarrare l’uscita, onde evitare che altri assistettero a quel pietoso spettacolo, per poi aiutare Colin a separarli, che non si risparmiarono in altre sberle e graffi, strappandosi per poco anche i capelli.

Jared si fece una doccia, prolungata, silenziosa.
Colin era rimasto accovacciato sulla poltrona della loro camera, aspettando che si calmasse.
Sforzandosi come non mai, era riuscito a salutare chi intervenne al party, senza destare sospetti, ma chiedendo a Simon di controllare i bambini, affinché non salissero da loro.
Robert e Jude erano usciti dal retro, allontanandosi verso Malibu.

Jared ín accappatoio si allungó sul letto, girandosi dando le spalle a Colin, che si tormentava le nocche, piangendo sommessamente.
“Non mi importa di cosa ti lega a lui… se vuoi andarci a letto fallo pure, me lo merito, almeno per come ragiona quel bastardo.”
Farrell ebbe come una convulsione nervosa, si chiuse in bagno e vomitó tutto quello che aveva mangiato.
Jared lo soccorse, tenendogli la testa e poi lavandolo e sostenendolo.
Crollarono in un angolo, tra asciugamani e candele, scoppiando in una crisi di lacrime e livore repressi.

Chris raccolse una rosa gialla dal giardino dei Wong. Era rimasto da solo, decidendo di vagare tra quei fiori ed il verde curato nel minimo dettaglio.
Vide le scuderie e pensó che ci tenessero dei cavalli da corsa, gli erano sempre piaciuti.
Voleva curiosare ancora un po’, prima di andare a cercare Tomo.
Lo vide, girando il primo angolo dell’edificio, indietreggiando istintivamente, perché Tomo stava discutendo con Shannon.
“Io la mia decisione l’ho presa! Domani diró tutto ad Owen, tu riportati a casa Josh, mi dispiace di rovinarti la serata con Chris, ma non posso né voglio rimandare!”
“Shan ascoltami… non posso impedirtelo, ma non pensare che tutto si risolva in un battere d’ali e che io ti riaccolga in casa, come se nulla fosse accaduto!”
“Per Chris?!”
“Certo… certo, non voglio farlo soffrire, non in questo modo.”
Shan gli accarezzó il volto affranto – “Dimmi soltanto una cosa Tomo e sii sincero… Tu mi ami ancora?”
Il croato scrutó le iridi verdi, che lo avevano fatto impazzire di felicitá e di dolore, poi respiró a fatica – “Sí… sí, io ti amo Shan… ti ameró per il resto dei miei giorni.” – mormoró sommessamente.
Leto lo strinse, ringraziandolo e colmandolo di baci.
Chris se ne andó, lasciando cadere la sua rosa gialla, tra i rovi ai suoi piedi.






mercoledì 23 marzo 2011

ONE SHOT - The secret is over

The secret is over


John Watson stava riunendo i propri appunti in casse di legno, oltre a cimeli presi in giro per il mondo, liberando gli scaffali del proprio alloggio londinese, condiviso da molti anni con l’investigatore piú famoso dell’epoca, quel Sherlock Holmes cosí enigmatico, terribilmente complicato, semplicemente straordinario per intelligenza e fascino.
Aveva preso male non solo la notizia del suo trasloco, ma, soprattutto, del fidanzamento con una bella istitutrice, di nome Mary, per la quale il fidato amico se ne sarebbe andato via da lui.
Era insopportabile quel pensiero, ma, ormai, tutto ad Holmes sembró inevitabile.
Watson si insinuó nella sua stanza, quasi timidamente, chiedendo permesso, portando in segno di pace un vassoio colmo di pasticcini e tè bollente.
“Posso? Disturbo…?”
“Quando mai lei disturba dottore…” –replicó mesto, rannicchiandosi sotto alle coltri fredde, come quel giorno di autunno.
“Ancora a letto a quest’ora Holmes?”
“Non avendo di meglio da fare, non potendo cambiare il corso delle cose…Ha da propormi qualche alternativa, in qualitá di mio ex medico, di mio ex collaboratore, di mio ex amico, Watson?”
Lui in risposta fece cadere tutto sul tavolino poco distante – “Co… cosa? Ex amico?... No, dico, è davvero impazzito?!” – esclamó, sentendosi soffocare per il disappunto.
Holmes si mise a sedere ed allungó la mano verso la tazza, che Watson prontamente gli passó, sedendosi sul bordo – “Grazie John.”
“Prego… mi guardi Holmes.”
Lui lo scrutó con quelle chiazze scure e vivaci – “Ecco, la sto guardando Watson, cambia qualcosa?!” – domandó con veemenza.
“E cosa vuole che io cambi?”
Holmes non replicó subito, scese e si cambió.
“Dove… dove sta andando accidenti?!”
“Esco, ho bisogno d’aria, la testa mi scoppia…” – si voltó a fissarlo – “Il cuore…il cuore si contrae in pulsazioni incoerenti…”
Watson aggrottó la fronte – “Potrebbe tradurre questo enigma?”
Holmes rise amaro – “Ha messo via anche la sua perspicacia John in quelle casse tetre, come una tomba? Quella in cui sta rinchiudendo la sua vita, ingabbiandola in ritmi regolari, noiose consuetudini, svilenti disillusioni!”
Watson scattó in piedi – “Ma lei si rende conto di quanto sta offendendo i miei progetti, la mia promessa sposa e…” – “Sposa? Promessa? Lei ed io ci eravamo presi degli impegni, ora che ci penso, con la nostra casa, il nostro lavoro, il nostro cane...”
“Non mi puó fare sentire in colpa perché mi sono innamorato e perché voglio creare una famiglia!”
Holmes fu incapace di fermare il fremito, che si impadroní dei suoi zigomi, tanto meno ricacciare indietro il pianto, che stava per sopraffarlo – “Sai John quale è la cosa peggiore in tutto questo?... Il fatto che io mi stia umiliando, senza la minima speranza di farti cambiare idea.”
Watson gli andó vicino, prendendolo per le braccia, con misurata delicatezza, come se avesse paura di romperlo – “Le… le cose cambiano Sherlock, gli equilibri a volte si spezzano, ma noi resteremo amici, questo non puó rinnegarlo…”
“Quindi sarei io quello che rinnega QUALCOSA!?” – urló, sull’orlo di una sorda disperazione, poi scappó via, incapace di sostenere ancora la luce degli occhi di ghiaccio di Watson.

Il tizio era davvero grosso, troppo per la statura e la stazza di Holmes.
Lui quella sera voleva solo farsi male, cadere sotto ai pugni di quella montagna di muscoli, stramazzare nella polvere, piú in basso di quanto giá non fosse la sua anima.
Esitó prima di impostare la difesa, riuscendo a schivare i primi colpi, ma poi un gancio gli percosse lo stomaco ed il sapore del terriccio gli arrivó in gola.
Tremava, il sudore freddo lo stava attanagliando, ma il dolore piú grande restava ancora un altro: cosí si convinse che uno di maggiore intensitá o violenza, potesse farlo scomparire.
L’avversario lo prese per i capelli corvini, lui urló, ritrovandoselo ad un centimetro da naso: una testata tremenda gli sembró il colpo di grazia, ma rimbalzando contro la staccionata che delineava quel ring improvvisato e clandestino, piazzó un destro micidiale, dal quale l’altro non si salvó, crollando inerme e vinto.
Il delirio della folla apparí assurdo anche ad Holmes, strattonato dagli scommettitori, che gli riempirono le tasche di sterline.
Una zingara gli passó una birra, che lui tracannó esausto.
Voleva solo tornare a Backer Street, ma al momento gli sembró un’impresa impossibile.
Si accasció sui gradini di una chiesa, coperto solo dalla giacca sul torso ancora nudo, i pantaloni sgualciti, le scarpe e le calze consumate, nemmeno un cappello a proteggerlo dalla pioggia battente.
Si voltó, leggendo il nome di quella basilica, ricordando che Watson gliela aveva nominata per un ipotetico sposalizio.
Brindó, ridacchiando, a quel futuro giá segnato.
Passó poi a sproloquiare con un randagio, che dapprima lo annusó, per poi allontanarsi come se lui fosse stato un appestato – “Come si dice… solo come un cane…?” – tiró su dal naso, poi si strinse nella stoffa sottile.
Inizió a singhiozzare silenziosamente, come a non volere disturbare la notte con i propri spasmi interiori, che a tratti si sforzava di ridicolizzare, senza riuscirvi.
Serró le palpebre, frantumando la bottiglietta, ormai vuota, ai piedi di qualcuno che stava salendo verso di lui.
“Holmes…cosa diavolo…?!”
“Vattene… odioso fantasma del passato… venuto a tormentarmi peggio di questo amore senza un domani...”
Watson pensó che stesse vaneggiando, ma era invece lucido e presente a sé stesso.
Gli sfioró le gote indolenzite, prendendolo quasi in braccio, per portarlo in un posto sicuro.
Poco distante c’erano due stanze, che utilizzavano per esperimenti ed elucubrazioni sui casi risolti brillantemente.
Arredate con l’essenziale, un bagno con la vasca, che Watson riempí velocemente, accendendo poi il fuoco nel caminetto.
Spoglió con calma Holmes, che restava aggrappato al suo collo, come un bambino stremato da un gioco piú grande di lui.
Watson lo immerse, baciandolo sulla fronte – “Sono qui Sherlock… non volevo abbandonarti… io… io non ho mai pensato di farlo. Credimi.”
I loro sguardi si incrociarono, ma Holmes era allo stremo delle forze.
“Mi faccio portare della minestra da sotto.”
C’era una bettola, dove, peró, si mangiava molto bene.
Quando tornó, Holmes era piegato in posizione fetale, girato verso il muro, immerso sino al collo.
“Ti lavo la schiena… se me lo permetti Sherlock…”
Lui annuí, sciacquandosi il volto.
“Va meglio?”
“Sí John… uscirei… e vorrei stendermi.”
“Certo, prendo un asciugamano ed una coperta, aspettami qui…”
“Lo faró, ti ringrazio.”

Avvolto nel tepore di quel giaciglio scarno, ma comodo, assaporava la brodaglia di verdure e carne con appetito.
“Buona… come riescano a fare qualcosa di decente da Barny resterá un mistero inestricabile anche per me Watson.” – sorrise.
“Sí… temo di sí. Qui c’è anche il cartoccio con fish and cips che le piacciono, Holmes.”
“Troppo buono…”
“Devo farmi perdonare.” – abbassó i topazi screziati, verso il petto tonico dell’amico.
Vedeva i suoi battiti pulsare nelle vene del collo solido e repentinamente vi posó le labbra, dandogli un bacio profondo, succhiando piano quella vita indomabile e circoscritta sotto a quella porzione di pelle profumata, mentre con la mano destra lo cingeva dal lato opposto.
Holmes non si scompose, ma raccogliendo l’insistenza di quel gesto, cercó di ossigenarsi, ansimando per il piacere che Watson gli stava dando generoso.
Si spostó, facendogli posto – “Vieni John… ti prego…”
“Non devi pregarmi, lo desidero anch’io…”
“E se non corrispondesse a ció che desidero io?” – ribatté insolente, iniziando a spogliarlo.
Watson arrise a quei modi per lui abituali, ma che avrebbero irritato un santo.
Spense le poche candele, lasciando che il riverbero del focolare si prendesse cura dei loro sembianti ormai abbracciati, perduti, in un primo bacio, bocca a bocca, le lingue curiose, avide, come le dita del dottore, che percorrevano con metodo e lentezza snervante per Holmes, ogni centimetro di quest’ultimo.
La sua testa sprofondava nel cuscino, le gambe di Watson tra le sue, gli inguini bollenti, i carboni che assorbivano il mare cristallino, fiammeggiando in quel chiarore convulso, come le reciproche carezze.
Holmes si impadroní dell’erezione di Watson, massaggiandola fino a sentire la sua punta bagnarsi – “Non… non è abbastanza John…”
Lui gemeva, scompigliando le ciocche del compagno, aprendolo per possederlo senza rimandare oltre.
“Hai… hai ragione…asp…aspetta…”
Un misterioso unguento troneggiava sul comodino, inodore ed incolore – “Ti fidi di me?”
“Sí John… da quando ci conosciamo… da quando mi sono innamorato di te…ahhh…!”
Era dentro di lui. Gli sembró incredibile, che quel momento tanto agognato nelle proprie fantasie, si stesse realizzando.
Watson si fermó piú volte, indietreggiando, per poi incedere piú convinto ed in maggiore profonditá.
Lo stillicidio che annebbió la vista di Holmes, andó a morire sul petto di Watson, al quale si era appoggiato, resistendo per non respingerlo istintivamente: lo stava invadendo e lui soccombeva, provando un meraviglioso, ma incontrollabile smarrimento.
“Ti amo… ti amo John…” - le parole scivolarono, mentre i suoi fianchi si ergevano verso Watson, per riceverlo completamente.
Il medico infiló un guanciale sotto alle reni di Holmes, inclinandosi sul lato, cadenzando il ritmo divenuto alla fine simbiotico.
Mescolarono il loro sudore, mordendosi, leccandosi – “Aggrappati a me amore…” – “Sí… sí John…”
Holmes si avvinghió completamente, mentre l’altro brandiva le sbarre della testata in ferro battuto, puntandosi sulle ginocchia, colpendolo incessantemente, sentendo il proprio sesso ingrossarsi.
“Ommioddio… Sherlock… Sherlock!!”
Era al limite: spasmodicamente riprese a baciarlo, sollevandosi per vederlo godere insieme a lui.
Pochi affondi, poi dilagó, svuotandosi in piú direzioni, tra cui quella piú sensibile in Holmes, che inizió a gridare, supplicandolo di non smettere, nella speranza che prolungasse quell’orgasmo all’inverosimile.
Lo accontentó allo spasimo di ogni energia, appagando ogni suo senso.
“John…John…”
“Ripeti il mio nome… voglio sentirtelo dire all’infinito…” – gli sussurró all’orecchio, perdendosi poi sui suoi capezzoli, turgidi come il membro di Holmes, che Watson decise di accogliere tra le sue labbra arrossate e gonfie.
Si riveló bravissimo in quell’arte amatoria, Holmes si soffermava su tutti i dettagli, segnando le guance di Watson colme di sé, commuovendosi per tanta devozione.
Lo portó sino all’estremo confine, sublimando quel gesto nutrendosi del suo piacere, completamente.
Holmes sentiva il fiato spezzarsi e rinascere, in un continuo divenire.
Watson lo voltó con estrema dolcezza.
Si allungó sopra di lui, aderendo alla sua pelle madida ed accogliente – “Ho… ho bisogno di averti di nuovo Sherlock…”
“Fai ció che vuoi di me…”
“Grazie…” – la sua voce precipitó nella nuca di Holmes, che inizió a succhiare, mentre lo penetrava dapprima con due dita, dilatandolo, per poi riaffondare con un’unica spinta.

Lo teneva per un polso, guidandolo in quel groviglio di piccoli loculi fatti di maioliche e pietra, tirando poi una tendina e richiudendola, per custodire il loro segreto: “Adoro questo bagno turco Sherlock…”
Si immersero tra vapori speziati, baciandosi con foga e poi via via piú teneramente, masturbandosi a vicenda.
Si concedevano solo quel tipo di amplesso, in un luogo che appariva incantato ai loro sensi, cosí lontano dal mondo gretto e grigio, in cui si muovevano tra austeri lord e finti perbenismi.
“Ti amo John…” – “Ti amo Sherlock…”
Era un mormorio cristallino, ricambiato con altrettanta sinceritá.
Bació ancora il suo sorriso, la visione piú bella della sua intera esistenza.
Per sempre.

THE END


SI RINGRAZIA L'AMICA LADYWHO PER L'IMMAGINE DI HOLMES E WATSON

GOLD - Capitolo n. 111

Capitolo n. 111 – gold



Mancava solo una settimana al b.day di Colin.
Jared nel frattempo si era dedicato alla fondazione a pieno ritmo, completando la raccolta di pezzi musicali nel tempo libero.
Evitava educatamente Geffen, dedicandosi un minimo anche a Syria, che aveva fatto ancora un controllo.
“I valori delle analisi sono buoni… cosí mi ha detto Sebastian… Anche la Roy è tranquilla.”
“E tu Syria?”
“Sí… ma sono in pena per te, non posso nasconderlo Jared. Sei sempre cosí triste.”
“Mi manca Colin… ed i nostri figli, ma mi tormento ancora per Glam.”
“Lui ti adora e potrai sempre contare su Glam.”
“Questo lo so, l’ho sempre saputo, anche quando credevo che lui fosse morto.”
“Sí la conosco la storia, me l’ha raccontata Pam… Lei ed io parliamo molto…” – sorrise.
“Paradossalmente fu il periodo migliore per me e Colin, cioè ci sentimmo davvero vicini, nell’amore che sentivamo per Glam… Colin forse non lo ammetterá mai, ma credo che ne fosse innamorato in qualche modo. Gli è davvero affezionato e soffre per come la nostra famiglia si sia letteralmente sfasciata. Poi c’è mio fratello, Tomo con Chris, questo Owen che non mi convince… è come un mazzo di carte, che il destino ha voluto rimescolare e poi buttare per aria, come in un gioco di prestigio… e sono tutte lí, sospese… come noi.”

Owen accompagnó Josh a fare le vaccinazioni.
Shannon era come sempre in fibrillazione, quindi decise di sostenerlo, ma alla fine entró lui dal medico, con il piccolo.
“Come siamo rimasti d’accordo campione?”
“Che mi fai un super super regalo se saró buono zio Owen…”
“Perfetto. Eccoci qui dottore, pronti.” – sorrise, ma era piú terrorizzato di lui, odiava le iniezioni.
Lo fece sedere sul lettino.
Josh spalancó gli occhioni, aggrappandosi al collo di Owen, che non sapeva piú dove voltarsi, sconvolto sia da quegli occhioni profondi, che da quell’ago minuscolo, ma minaccioso.
Fu tutto molto veloce ed appena finito Rice tiró un sospiro di sollievo – “Bravo tesoro… bravissimo, andiamo dai, papá sará svenuto nel corridoio.” – rise nervosamente, defilandosi tenendolo sempre in braccio e dandogli molti baci.
“Dio avete giá finito, meno male!” – esclamó Shan, abbracciandoli.
Telefonó subito a Tomo, per dirgli che era tutto a posto e che avrebbe riportato Josh all’indomani – “Ti dispiace?”
“No Shan… stai sereno e dí a Josh che lo adoro…”
“Sí… anch’io… A presto.” – disse sommessamente.
Nel giardino della villa di Los Feliz troneggiava un mega pacco, che Josh corse a disfare: era una jeep elettrica.
Inizió a saltare pazzo di gioia.
L’aveva chiesta il Natale precedente, ma era ancora un po’ presto per averla, cosí il dono era stato rimandato.
“La desiderava tanto… grazie Owen…”
“Mi dá una felicitá immensa questo monello… gli voglio cosí bene…” – lo strinse, baciandolo – “Ti amo Shan… ti amo da morire.”

Jared decise di anticipare la partenza ed avvisó Colin – “Se mi vuoi tra i piedi volo da te amore…”
“Tra i piedi? Tutta la vita angelo mio… Quando arrivi?”
“Ho l’aereo tra quattro ore… per cena direi… mi aspetti?”
“Ti faró preparare tutte le cose che preferisci da miss Wong… a dopo allora… ti amo Jay, ti amo…” – sembrava arridere verso l’infinito.
Jude alle sue spalle gli sorrise – “Sono contento che stia arrivando… sembri rinato Colin.”
“Lo pensi davvero Jude?” – domandó quasi con apprensione, aveva bisogno della sua conferma.
“Sí, sono sincero. Per te voglio solo il meglio buddy.”

“Cazzo anche i taxi dovevano scioperare!” – sbottó, mentre richiudeva il trolley.
Decise di chiamare Glam, che passó a prenderlo dopo pochi minuti.
“Ti ringrazio… ero proprio nei guai…”
“Dopo domani parto anch’io… Potevi aspettarmi.” – disse parcheggiando, togliendosi poi gli occhiali scuri, alla Matrix.
“Sono impaziente di rivedere il mio uomo ed i nostri cuccioli.” – replicó Jared deciso, ma calmo.
“Ottimo. Porta i miei auguri a Colin ed i saluti a tutti allora.”
“Lo faró, ci vediamo Glam, salutami Kevin quando lo vedrai.”
“Sí … certo.”
Jared scese, prendendo il bagaglio, senza girarsi, ma poi si bloccó.
Geffen era appena ripartito, senza mai smettere di scrutarlo dallo specchietto retrovisore.
Frenó, riaccostando in una piazzola, pensando che si fosse dimenticato qualcosa, ma sui sedili non c’era nulla.
Vide Jared correre verso l’auto, in lacrime.
Aprí lo sportello, ma lui salí dall’altra parte, volandogli al collo.
“Jay…”
“Ti amo… ti amo Glam… e non cambierá mai questa cosa che ho nel cuore…Ogni volta che ci salutiamo, è come morire… per me…” – si stava soffocando, talmente era agitato, ma Geffen riuscí a placare la sua ansia, accarezzandogli la schiena, poi la nuca, i capelli – “È tutto a posto Jay… non ci lasceremo mai davvero… vivremo anche lontani, ma saremo sempre un ricordo indelebile, forse il rammarico piú grande, ma nessuno potrá cancellare l’amore che ci unisce…è impossibile, almeno quanto stare insieme, sai?” – gli sorrise, asciugando quelle gocce preziose, con dei baci fugagi e poi via via piú intensi.
I vetri scuri celavano i loro gesti: Glam sfiló la maglietta a Jared, che aveva iniziato ad accarezzarlo, tormentando la sua erezione attraverso la stoffa dei pantaloni di lino.
Lo spoglió piegandosi tra le sue gambe, per dargli un piacere incredibile con quella bocca perfetta, con quel suo modo indomabile di fare delle scelte anche avventate, come un treno in corsa, che non riusciva a fermarsi mai.
Geffen reclinó di poco il proprio sedile, mescolando le dita ai capelli setosi e castani di Jared, che succhiava e leccava, tornando a guardarlo di tanto in tanto, fondendosi nei suoi occhi celesti ed innamorati.
Si aprí la camicia, lasciando spazio agli arabeschi disegnati da Jared, che risalí a baciarlo, finendolo dopo qualche istante, ritornando giú ed ingoiando fino all’ultima goccia di lui.


GOLD - Capitolo n. 110

Capitolo n. 110 – gold



Glam bussó alla porta di Jared al tramonto, di quella giornata lunga, fatta di impegni con diversi responsabili di organizzazioni internazionali, che gli avevano fatto molte promesse.
Jared corse ad aprire, con in mano il blocco degli appunti.
“Ciao … non ti aspettavo…”
“Ciao Jared, sí scusami per non averti avvertito… ho portato la cena, posso entrare?”
“Certo…accomodati.” – sorrise.
“Cosa stai facendo?” – chiese guardandosi intorno. C’era piú confusione del solito.
“Compongo, sono ispirato… vuoi ascoltare qualcosa? C’è un pezzo anche per te…” – lo riveló, come se non potesse rimandare oltre quel momento.
Geffen sorrise a propria volta, incuriosito.
Si piazzarono sul divano, dove Jared spostó la chitarra ed il portatile.
Spiegó poi la struttura ed il significato del pezzo Gold.
“É… è un onore…” – replicó Glam imbarazzato.
“Sicuro? Mi pare che …” – “No, no, anzi, mi ha colpito… ed affondato.” – rise.
Sembró poi riflettere, respirando intensamente – “Lo… lo faró sempre Jared.”
“Che cosa…?”
“Tenerti tra le mie braccia…”
Jared si alzó, nervoso – “Consolante…” – ribatté tormentandosi le palpebre, con le dita leggermente tremanti.
“Tu sei stato una delle persone piú importanti della mia vita Jay…”
“Sí… ti ho fatto aprire gli occhi…Cosa ci fai qui Glam?”
“Ero preoccupato per te.”
“Ma io sto bene, ho questo momento di ispirazione e finalmente mi distraggo un minimo da questa tortura.”
“Quale tortura?”
“Quella di non viverti, cazzo…! Ci prendiamo in giro? Siamo proprio due stronzi allora!” – protestó rabbiosamente, stringendosi nelle spalle.
“Jared non sono qui per litigare… volevo solo farti compagnia e…” – “In che modo? E poi perché?? Non sono malato, sono solo disperato!” – il tono della sua voce cominció ad alzarsi, cosí come Glam a quel punto, deciso ad andarsene – “Ok, è stata una pessima idea Jared…”
“Ma certo che lo è stata!! Non faccio che pensarti e tu lo stesso Glam! E non riesci a starmi lontano… cosí io da te, poco ma sicuro!” – strinse i pugni, per poi asciugarsi due lacrime, che rendevano i suoi zaffiri ancora piú scintillanti.
Glam era ormai alla porta – “Ci sentiamo, scusami.”
“No, non ti scuso!!” – gli si scaglió contro, bloccandolo contro alla blindata ancora chiusa.
“Jared adesso calmati io..” – ma fu zittito da un bacio, irruente ed inaspettato.
Geffen provó a resistere, ma poi raccolse sul proprio cuore Jared, prolungando quel contatto delle loro bocche il piú possibile.
Quando si sottrasse ad un principio di soffocamento, Glam scese nel suo collo, risalendo poi sul suo mento e di nuovo si perse, cercando le sue labbra, inebriato dal suo profumo.
Jared sembrava respirare meglio, ma poi si rifugió nell’incavo della spalla di Glam, ansimando – “Facciamo l’amore… non… non diró niente… né a Kevin e tanto meno a Colin…”
“Jared… non… non posso, anche se lo vorrei con tutto me stesso…perdonami.”

Guidó per piú di un’ora, senza meta, per poi finire sulle colline, tormentato dallo sguardo di Jared.
Deluso, amareggiato, era davvero un massacro e lui non faceva nulla di concreto per porvi una fine definitiva.
Cercó Kevin, ma era irraggiungibile.
Si ricordó poi che lo aveva avvisato via sms, che lo sarebbe stato per diverse ore, a causa di un’ospitata in un programma televisivo.
Voleva tornare da Jared e stare con lui, sentendosi davvero un vigliacco per essere fuggito, tanto era quello che entrambi volevano.
Pensó al sorriso di Lula, nel lettone tra lui e Kevin e decise di andarsene a casa a giocare con il figlio, era la cosa migliore, ma, ad essere sinceri, uno sterile ripiego.

Colin e Jude si guardarono un film, nella sala di proiezione della End House.
Era Iron man, un successo datato di Robert, che era impegnato, per il resto del pomeriggio, con i produttori del film da girare in Messico.
Pop corn e caramelle ovunque, oltre a beveroni di diet coke.
“Ma quanto era figo? Ahahahh” – esordí Farrell, prendendo a gomitate l’amico.
“Da morire ahahahha ma non stavamo ancora insieme… è successo l’anno dopo…”
“Nove anni?”
“Sí quasi… è stato amore ed alchimia a prima vista…”
“Perché non adottate un bambino Jude?”
“Non è escluso… ma abbiamo i nostri ritmi, senza contare tutti i figli che giá ci sono…”- sorrise fissandolo.
“A me piacerebbe averne un altro con Jared… magari adottando un piccolo ad Haiti.
“Davvero? E lui cosa ne pensa?”
“Non lo sa ancora… glielo diró per il mio compleanno.”
“Un bebé?”
Colin rise, per come lo disse, era buffo, il modo con cui aveva sgranato gli occhioni azzurri – “Pannolini e pappe notturne? Perché no… Andiamo a fare un giro Jude?”
“Ok… dove?”
“Dovrei vedere delle persone per il cattering della festa…”
“Ok andiamo.”

Shannon riordinó i giocattoli di Josh nel salotto della casa di Tomo, che era rimasto in mansarda a lavorare.
Salí per salutarlo.
“Io vado… grazie per oggi.”
“Per cosa?” – domandó senza guardarlo.
“Per avermi lasciato con nostro figlio qui da te.”
“Nessun problema. Buona serata.” – disse freddamente.
“Tomo ascolta… per come ho reagito per la notizia di Chris… mi dispiace.”
“Non importa Shan.”
“Ormai… ormai non ti importa piú niente di quello che dico o penso a quanto pare.” – ribatté mestamente.
Tomo si spostó, avvicinandosi a lui – “Questo non è vero, ma credo che con un minimo sforzo potremmo almeno restare in rapporti civili e decenti.”
“Io… io non ho mai smesso di amarti Tomo.”
“Sbagli. Per un lungo attimo dev’essere successo, perché se no non ci saremmo ridotti cosí e tu non avresti buttato via tanti anni di gioia, rispetto e… amore, amore pulito ed intenso, a volte complicato, con qualche errore, ma che abbiamo sempre risolto … tranne questa volta… perché questa volta era impossibile.”
“Allora la renderó possibile…” – disse trattenendo un pianto triste.
“E di Owen? Cosa ne sará?”
“Voglio lasciarlo. Non ha piú senso, anche perché io rivoglio la nostra vita e la famiglia, che abbiamo costruito…”
“Vuoi fermarti un attimo e chiedermi se anch’io sono d’accordo?!” – protestó, passandosi le mani tra i capelli.
“In fondo a te lo sei, anche se ora non lo ammetteresti mai Tomo! Sará anche per l’infatuazione che provi per Chris, posso capirti…”
“Oh sí certo, perché tu ci sei passato per primo, il brivido della novitá, del proibito! Io… io non sono come te, a Chris ci tengo e non solo perché è bellissimo, ma anche per molte altre ragioni!” – gli inveí contro, con una furia sempre piú ingestibile.
“Hai fatto l’amore con me, dov’erano finite tutte queste ragioni del cazzo!??” – gli urló ad un centimetro dal viso.
“Era solo sesso! Semplici scopate! È chiaro?!” – sibiló tra i denti stretti e minacciosi.
“OK! Raccontatela pure questa bella favoletta, ripulisciti la coscienza Tomo!”
“Non ne ho bisogno io…” – ma un rumore dal piano sottostante li interruppe: seguí un pianto e degli strilli.
“Josh!!” – esclamarono all’unisono precipitandosi da lui.
Era semplicemente inciampato e si era sbucciato un ginocchio, precipitando sui giocattoli, che aveva ripreso per continuare a divertirsi da solo.
Lo presero in grembo, insieme, ricoprendolo di attenzioni, soccorrendolo – “Ora mofo papi ti mette un cerotto… e papá ti disinfetta, vero? Shan lo spray è nel mobile basso del bagno…”
“Sí lo prendo subito! Ecco…non piangere tesoro…” – lo disse con gli occhi lucidi – “E se ma lo fai tu per primo Shan… hai visto Josh, papá non è coraggioso come te… il nostro cucciolo giá se la ride.”
“È vero, sono una frana!”- disse singhiozzando.
Gli diedero molti baci, mettendo il pigiama, poi preparando del gelato, che Shan portó sul lettone, dove si erano riuniti.
“Grazie Shan…” – mormoró, accarezzandogli il volto stravolto, allungandosi per dargli un bacio, dapprima sulla guancia arrossata, poi spostandosi, ritrovando il suo sapore, mentre Josh si era rannicchiato tra di loro, sorridente nel vederli cosí in armonia.