giovedì 28 luglio 2016

ONE SHOT - UN ALTRO VOLO, UN ALTRO ADDIO

One shot -  Un altro volo, un altro addio


Pov Jared Leto – San Diego, luglio 2016


Scendi, lambendo il mio viso, con i tuoi baci ispidi, che si rimescolano alle mie guance, nascoste, come le tue, da una barba ben curata.

Colin, tu non cambierai mai.

Mi stringi, come nessuno, perché è il tuo calore, a fare la differenza.
La tua disperazione, che è anche la mia.
Sempre.
Per sempre.

Il tuo amore, lo sarà, certo, ma solo nei miei sogni e in parole, che suonano ormai vuote.
Eppure ti lascio fare, in questo angolo di mondo, dove ci siamo rifugiati.
Neppure siamo arrivati ad un hotel decente.
Chiusi in un’auto della produzione, che tu hai guidato, sino ad un parcheggio deserto.
Sta diluviando ed il crepitare della pioggia, sembra un unico suono, con le tue pulsazioni, nelle nostre bocche.

È una sinfonia superba, come il tuo corpo, stanco di viaggi, dai quali torni solo.
Come me.
E dobbiamo persino sembrare felici.
Perché abbiamo cose, che altri non hanno, senza sapersi ricchi, perché, intorno a loro, vicino a loro, dentro di loro, possiedono quello che, il denaro non potrà mai comprare.

E tu ed io, Cole, non lo avremo mai.
L’occasione, sarà costantemente, la prossima volta.
L’anno prossimo.
Quando accadrà o meno qualche cosa, quando cresceranno i tuoi figli, quando avremo vinto ulteriori premi, quando la nostra carriera sarà al sicuro, ma da cosa, esattamente, Colin?

Dalla verità, pesante, che noi ci amiamo.

Premi, con il tuo busto, nudo, la camicia aperta, sul mio, la maglietta di Snoopy alzata.
Vorrei essere un bambino e non essere qui.
Non più.
Anche se ogni volta ritorno da te, che mi cerchi, che mi supplichi, rendendoti persino patetico.
Ed io non ti voglio così.
Voglio … vorrei un uomo solido, accanto a me.

Qualcuno ha scritto, che riempio i social, di arcobaleni.
Sono timido?
Sono furbo?

Può darsi.

Sono triste, questo sì.

Risali.
Mi baci lento, per farlo durare il più possibile e, anche se non stiamo facendo l’amore, non come vorresti tu, mentre io non lo desidero più, mentendo, alla fine piangi.

Ti cullo.
O sei tu a farlo.

“Ti amo Jay …”

Come se non lo sapessi.

“Anch’io ti amo Cole”

E muoio.

Non avremo mai pace.
Sospesi, falliti, per non avere saputo volare, quando avevamo le ali.

Un altro volo, un altro addio.

Vedo New York dagli oblò, del jet privato, che un amico mi presta ogni tanto.
Tu mi stai chiamando, ma non ho voglia di risponderti.
Per dirci cosa?

Poi un sms.

§ Quando rientri a Los Angeles dobbiamo parlare … A presto, tuo Cole §

Mai lette tante cose sbagliate, tutte insieme.
Anzi, impossibili.

Tu non sarai mai mio.
Quando sarò lì, tu avrai da fare e ti inventerai scuse ridicole, che non voglio più ascoltare.

Preferisco non rasarmi, intossicato dal tuo dopo barba, duro a svanire.

Preferisco tenerti qui con me, così.
Senza che tu ci sei.
Così è.
E non cambierà nulla.
Nulla, Colin.



The End





martedì 26 luglio 2016

ONE SHOT - DI CARTA E POLVERE

One shot - Di carta e polvere



Fragile e vinto.
Ecco come si sente, ora, Hannibal Lecter, armeggiando con una siringa, chiuso a chiave, nella biblioteca del suo castello in Europa.
I primi giorni di dicembre, acuiscono la malinconia.
Il clima, in compenso, gli amplifica i dolori alla schiena, sempre più insopportabili.
Sta peggiorando e l’effetto della morfina sembra indebolirsi, quanto lui, che, miseramente, se la inietta, tra le dita dei piedi, come il più squallido dei tossici.

Will non deve sapere.

Questo pensa, stupidamente, lo squartatore di Chesapeake.



Un venditore di Sky è arrivato anche lì.
Un mercante del nulla, che oggi sembra così importante, di un effimero, che, in realtà, soddisfa unicamente i palati meno avvezzi alla cultura, pensa Hannibal, a quei rozzi arrivisti, che hanno una carta di credito, sulla quale fare addebitare il canone mensile, del canale satellitare.

“Dove posso quindi fare domiciliare il pagamento”

“Di cosa, scusi?” – lo interrompe brusco lo psichiatra, tornando a scrutarlo, non più distratto dalle sue chiacchiere vuote.

“Ma dell’abbonamento” – e sorride, convinto di averlo convinto.

Sbaglia grossolanamente, senza rendersi conto di Graham alle sue spalle, del coltello, che ha nella mano destra.
La lama affilata, fende prima l’aria e poi la sua gola, ben rasata e in vista.
Gli schizzi di sangue arrivano alla camicia intonsa di Hannibal, che rimane quasi immobile, sulla poltrona, davanti al camino scoppiettante d’oro e alabastro.

“Scusami, te la laverò subito” – dice Will, quasi ringhiando, mentre infierisce, sul volto di quel tizio, senza ragione.

Se non una pura crudeltà, che eccita Lecter, come nulla al mondo.
O quasi.

“Amore non dovresti”

“Cosa?” – e si gira di scatto, il suo ragazzo, che non appassisce, quanto lui, gli occhi grandi, che non sorridono più, da quando Rebecca è distante da loro, anche se hanno preso l’abitudine di scriverle entrambi, lunghe missive, su pergamena, striata d’avorio.

Cose d’altri tempi.
Come quel posto sperduto.


Hannibal scatta in piedi, trovando la forza, nell’ultima dose di un veleno, che gli crea innumerevoli effetti collaterali.

“Scendi alle cripte, fino alla cella di mezzo: lì troverai una botola, aprila e gettalo dentro, l’acqua del fiume lo porterà al largo!” – intima severo.

“Sì, certo … Potresti aiutarmi, almeno?”

Lecter gli passa oltre, rigido e scuro – “Tu hai fatto il danno, tu lo rimedi” – sibila aspro, poi svanisce oltre all’uscio, rimasto aperto.




Will è affaticato, ma fiero, mentre si gratta via dalle unghie, con veemenza, il sangue rappreso, di quel petulante imbonitore.

È nel bagno padronale, dove il consorte si è appena immerso nella vasca, per tentare di rilassarsi.
Se solo potessero bastare, un po’ di acqua calda e i sali, acquistati durante un viaggio in Marocco, l’ultimo abbastanza lontano dai loro incubi, per lenire le sue fitte.

“E’ stato un lavoro semplice, quanto fargli togliere il disturbo, mi dava sui nervi, con quella risatina supponente” – dice frenetico Graham, gettando i vestiti sporchi nella stufa; ce né una anche lì, in ghisa e maioliche verdi.

“Non devi giustificarti” – mormora l’altro, tendendogli le mani.

Will prende un lungo respiro – “Non adesso, non ne ho voglia” – dice a sorpresa, infilandosi nel box doccia.

Un rifiuto puerile, ma non irritante.

Un flebile stimolo, per le sue membra logore, ma non abbastanza per non spalancare le ante, in vetro molato, per ammirare la nudità di Graham, la sua bellezza un po’ trascurata nei dettagli, perché non necessario.

Scrutarlo è eterno, mentre aderisce alla parete di piastrelle, già annebbiate dal vapore, che reagiscono, al contatto della sua pelle, come l’erezione di Hannibal, avvinghiato, all’istante, a lui, che è più importante dello stesso respirare.

“Tesoro adorato” – e si commuove, quel deserto arido, che Graham ha saputo irrigare e poi inondare d’amore puro.

Consumarsi in un amplesso sarebbe così faticoso e lo farebbe scoprire, nel suo male, risvegliatosi, mesi dopo, quel volo dalla scogliera.
Prima o poi sarebbe accaduto.

Le vertebre stavano perdendo il loro allineamento strutturale: nulla, che un intervento mirato, non potesse risolvere.
Portandoli, però, pericolosamente allo scoperto.

Will lo bacia, intenso, poi si inginocchia, facendolo godere.

Poi ride.
Poi piange, aggrappandosi alle sue cosce, stringendole come un bimbo impaurito – “Se solo potessi lenire il tuo dolore, Hannibal … Credi non me ne sia reso conto?” – e gli sfiora le caviglie, poi scorre, d’arabesco e pioggia, sotto il getto aperto al minimo, in un tepore surreale, sino a quei lembi di pelle, martoriati e malcelati.

“Io non volevo farti preoccupare”

“Come potrei non esserlo, per te, per noi?” – ed è già riemerso, da quell’abisso, ma senza sconforto – “Ti stai spegnendo, anche per lei, per la nostra Rebecca, perché io non ti basto più”

E questa è rabbia.

Rimescolata a tutte le cose non dette, in lunghe settimane, dopo essersi riappacificati e perdonati.
Per cosa poi?
Per averla lasciata a Chiyo?

Fa male.
Da morire, non averla più, come se l’avessero salvata da loro, da ciò che sono.
Quasi un paradosso.
Mai avrebbero rinnegato la natura, che li saldava in una simbiosi unica.
Irripetibile, tra il resto dell’umanità.


Pensare in fretta, questo è ciò che distingue Lecter dalla media, dai mediocri.
Purtroppo accade anche nel rapporto con Will.

“L’abbiamo voluto insieme!” – tuona il più anziano, tra le sue scapole, bagnate di sudore e sale.

“Come se fosse vero!” – e si volta, l’ex profiler, il burattino di Jack Crawford, colui, che, all’apparenza, non decide mai niente.

Lecter lo spinge a terra, lo sovrasta e si prende, ciò che ritiene suo di diritto.

Graham non si arrende, non subisce; lui lo accetta.
Da sempre.
Lo accoglie, di nuovo in lacrime, più silenziose, meno dei gemiti, cadenzati e devastanti, nel collo del suo amante immortale.

E’ così, che deve essere.
E lui, così, di carta e polvere.




Parigi illuminata per il Natale alle porte, uno spettacolo di colori e luci, ai quali è impossibile abituarsi, pensa Lecter, mentre viaggiano in taxi, verso l’abitazione di Chiyo.

“Siamo arrivati” – gli arride, nella semi oscurità dell’abitacolo, Will, mentre Hannibal paga il dovuto.
Ci sarebbe arrivato di corsa, tenendo per mano Graham, come sta comunque facendo, mentre il coniuge suona all’unico campanello di quello stabile, eretto su tre livelli.
Al piano terreno risiedono Rebecca e la zia nipponica.
Ai restanti, sigillati da tempo immemore, abiterà la coppia di mariti assassini.
Con la loro piccola.

Becky si precipita ad aprire, già in pigiama, mentre sullo sfondo di un living enorme, troneggia un albero gigantesco, ma privo di doni.

E’ ancora presto.

Lecter la avvolge e così fa con Will.
Sono di nuovo insieme.
Finalmente.




Un luminare; era ciò che serviva, per risolvere il problema di Lecter.
Il professor Norman Reedus, gli sembrò perfetto allo scopo.

“Ho esaminato il suo fascicolo, ma non conosco questa clinica privata” – esordisce, dopo un lungo silenzio, all’altro capo della scrivania in radica, ma dalla foggia moderna.

“E’ di un mio conoscente, prematuramente scomparso”

“Sì, comprendo signor Bausen”
Un cognome valeva un altro, Hannibal aveva cambiato così spesso identità e documenti, da avere quasi esaurito le opzioni, più o meno credibili.

Le sue bugie, non dovevano durare a lungo, nella testa di inconsapevoli testimoni.

“Le sue lastre mi preoccupano sa? Se vuole posso fare entrare sua moglie”

“Non la è” – Lecter sorride compiaciuto, non sa neppure di cosa.

Pregusta un divenire, che difficilmente potrà stupirlo.

In questa occasione è Chiyo, ad averlo accompagnato, mentre Will e Becky sono al parco, ad attenderli fiduciosi.

“D’accordo, io credevo”

“E’ la mia segretaria, ma sopperisce anche alle funzioni di autista e bodyguard, nel caso servisse, è esperta in arti marziali e non solo” – Hannibal snocciola particolari, come se non ci fosse un domani, direbbe ilare Graham, senza sapere quanto sia nel giusto.

Reedus sorride, giocando con il ciuffo ribelle, che gli copre parte della fronte ed una cicatrice: il suo aspetto è trasandato chic, direbbe invece Bedelia; chissà che fine ha fatto, lei.

“Questo intervento è complicato, ma non per me, anche se potrei gettare la spugna o mandarla da un collega, se ne esistesse uno, più esperto, del sottoscritto, in materia”

“Perché mai dovrebbe farlo e rinunciare ad un compenso così ingente?” – domanda incuriosito l’analista.

“Perché potrei non volere avere nulla a che fare, con lei, dottor Lecter” – e nel dirlo, gelido, il medico estrae dalla cartellina tinta azzurro vivace, un foglio stampato in bianco e nero, dove la scritta FBI, spicca su tutto il resto.

“Una foto, che non le rende giustizia” – ridacchia Norman, senza scomporre la lucidità del suo interlocutore, che annuisce.

“Bene, di cosa stiamo parlando? Di un ricatto oppure”

“Assolutamente no!” – lo taglia secco il chirurgo – “In realtà ho una proposta da farle”

“Sentiamo”

Reedus inspira l’aria greve, che si è fatta intorno.

Quindi espone la sua richiesta, dopo essersi spostato al davanzale.

“Questa città, l’ospedale, che vi ho costruito, i miei collaboratori, le mie amanti, le ex mogli, sono divenuti un tale tedio, una spirale senza vie d’uscita”

“Non ha figli?”

“No” – e lo fissa, improvviso – “… forse, se ne avessi, non le chiederei una cosa del genere, dottor Lecter”

“Arrivi al punto”

“Ho catturato la sua attenzione, ne sono orgoglioso, sa? Ad ogni modo, si tratta di partecipare ad una delle sue cene, ecco” – espone più timido.

“Interessante”

“Il cannibalismo mi affascina, da quando avevo dodici anni” – aggiunge, persino un po’ infantile.

E il pazzo sarei io, sta pensando Hannibal, che già elabora mentalmente una strategia, per accontentarlo.

“Nessun problema, sarò felice di ospitarla, dopo che mi avrà operato: glielo prometto” – ed allunga la mano, in segno di impegno.

Reedus la stringe, soddisfatto – “La ringrazio: ho già firmato il foglio del ricovero, per dopo domani e la rimetterò in piedi la sera stessa, è la mia prassi”

“Con pieno successo, mi auguro”

“Non ha nulla da temere, dottor Lecter, ha la mia piena assicurazione.”




Will sta spingendo Rebecca sopra un’altalena, mentre parla, sorridente, con un’avvenente ragazza, che sembra lì per caso, con il suo cane irrequieto, verso ogni passante.

Tranne che con Lecter, apparso, tra una folata di vento e foglie, con il fiato corto, a disegnare l’atmosfera invernale, di sbuffi bianchi ed evanescenti.

“Hannibal!” – “Papà!”
Entrambi gli corrono incontro e lui li raccoglie in un abbraccio caloroso.

Juliette, si chiama così, si avvicina, con noncuranza, con il suo pechinese al guinzaglio – “Lei piace anche a Mosquito” – dice sciolta, ma senza guardarlo negli occhi.

Le palpebre di Lecter si sono assottigliate, per un attimo sfuggente.

“Lui è”

“Hai già detto il mio nome, amore, così io ho appena pronunciato il tuo” – gli sorride, ma quella distrazione, potrebbe non essere banale.

“Vi lascio, ho un appuntamento, arrivederci William, ciao Rebecca” – e sembra avere fretta, tanto che quel nome, lei non lo ripete.

“Era simpatica” – dice la loro principessa, senza perderla di vista, finché Juliette non scompare nella Metro lì vicino.

“Il suo Inglese zoppicante, non lo era affatto, sai? Mentre il suo Francese, davvero penoso” – dice sommesso Hannibal, esortando la bambina di farsi un ultimo giro sullo scivolo, davanti a loro.

“Tu pensi quindi, che sia un’agente?”

“Tornerà a cercarti qui: fatti trovare, ma senza Becky; per il resto, sai cosa fare, vero Will?”




Carboni ardenti, poi stille di ghiaccio, sensazioni contrastanti, post operatorie.

“Tutto previsto, decorso regolare” – lo rassicura Reedus, con una velata impazienza.

“Avanti, si alzi, non abbia paura dottor … Signor Bausen” – l’infermiera è indaffarata con le medicine e la flebo da togliere, così il suo aiuto, che neppure se ne accorge di quella gaffe mancata.

Hannibal si mette seduto, poi si erge, con ritrovato vigore – “Sto meglio così, ha ragione”

“Vede com’era semplice?”

“Sì professor Reedus, più di quanto lei creda.”




Chiyo guida concentrata sul viale degli Champs Elisées, con a bordo, sui sedili posteriori, due passeggeri speciali.
Uno convalescente, l’altro trepidante.

“Quindi, lei e Will vi siete sposati”

“In un certo senso”

E’ a tratti paradossale, quella conversazione.

“Siamo arrivati”

“Splendido quartiere, molto elegante” – sussurra Norman, fantasticando sul suo interno, senza rimanerne deluso.

E’ adrenalina pura, quella che gli scorre nelle vene, così champagne di annata egregia, pochi minuti dopo, tra il palato e la lingua asciutti, per un minimo di tensione latente.

Graham ha preparato un delizioso aperitivo, lo corteggia Hannibal, cingendolo da dietro, per baciarlo sulla nuca: sono loro tre e basta.

Chiyo è ridiscesa al suo alloggio, mentre di Rebecca, nemmeno l’ombra.

“Cosa si mangia?” – domanda nervoso Reedus, rompendo quel tacere, reciproco e assorto.

Will e Hannibal si guardano, memori di un qualcosa di loro – “Mai chiedere, è una sorpresa” – sentenzia Graham, poi schiude le porte, su di una sala adiacente, dove un desco spazioso, apparecchiato con stile, sembra attenderli.

Completamente privo di cibo, questo salta subito all’occhio di Norman, che ne rimane come indispettito, pensando di vedere chissà cosa.
Aveva letto avidamente ogni articolo, ogni reportage, sui crimini di Lecter, sul suo modo di presentare piatti magnifici, che celavano un orrendo segreto.

Eccolo lì, il segreto, scritto con ciliegie, intinte nel cioccolato, al centro di un piatto ovale, al posto, riservatogli da Lecter.

E’ il suo nome, Norman Reedus.



Un tripudio di fiammelle accese e profumi, aromi speziati.
Tutto è mutato.
La cena è servita.

Quante ore saranno trascorse, prova a chiedersi il professor Reedus, legato ad una sedia, per i polsi e l’unica gamba rimastagli, la sinistra.

“Ma … ma che cosa mi avete fatto?!” – urla disperato, la voce impastata, seminudo e stordito da una forte anestesia.

Sul ripiano in ebano, spicca un lungo vassoio, ma oltre ad esso, un corpo esanime, decorato di grappoli d’uva, melograni e pesche succose, disteso su di un letto di foglie d’edera e palma.

Will, seduto in fronte a Hannibal, con Norman sistemato a capo tavola, sorride, mentre infilza ingordo un lembo di coscia, ancora fumante, che il compagno gli ha servito, con patate novelle e topinambur marinati all’aneto.

“Sì, Juliette era davvero simpatica e … decorativa” – dice masticando, appagato, l’ex consulente speciale dell’FBI.

“O comunque si chiamasse” – bissa Lecter, per poi rivolgersi a Reedus, tremante ed esausto.

“Mio Dio, lasciatemi andare, non dirò niente, non vi tradirò, vi supplico” – ansima, sudato e febbrile, un po’ patetico, pensano i suoi ospiti.

“Per fare cosa? Tornare alla sua routine? Ma non ne era così assuefatto e infastidito? Ora è con noi, si diverta, si goda la novità … Tra poco la imboccheremo, così la sua esperienza sarà completa … Per la nostra, chissà, decideremo in seguito, giusto Will?”

“Sì … Giusto, amore.”




Rebecca sgattaiola nel salotto di Chiyo, facendola sobbalzare.
Lei era in attesa di ordini.
Per sbarazzarsi di quella Juliette e di Reedus, prima possibile; perché correre inutili rischi, del genere poi?
Natale è prossimo e abbandonare la dolce Francia, così ingiusto, pensa, osservando la bimba.

“Cosa stai facendo, tesoro?” – chiede incolore.

Becky sistema una bambola sul tappeto, poi un cestino da pic nic, minuscolo, ma colmo di frutta e non solo.

Una ciotola di argento, contenente una mousse e delle cialde salate.

“La merenda di mezzanotte!” – esclama lei, assaggiandone un primo cucchiaio – “… me l’ha data papà”

“Eri quindi di sopra, con loro?”

“No, ero in camera mia” – spiega, più attenta al suo pasto, che alla curiosità di quell’insolita istitutrice.

Chiyo ha un brivido, per la prima volta.

E non sarebbe stata l’ultima.



The End …







giovedì 21 luglio 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 70

Capitolo n. 70 – nakama



Paul esitò, prima di passare oltre a Scott, che gli sfiorò la schiena, con un accenno di carezza.

“Ehi dove scappi?” – disse mesto il doc, dagli occhi azzurri quanto il mare, così simile a quelli di Rovia, da potersi rimescolare al suo di celeste, agitato e confuso da mille incertezze.

Il giovane si voltò con uno scatto repentino, indietreggiando, sulla difensiva – “Non toccarmi … tu … tu non mi devi toccare, ok?” – disse brusco, i pugni chiusi, quanto il suo stomaco.

“Volevo aiutarti”

“E come? Molestandomi?”

“Ma Paul, cosa”

“La devi smettere, ok??!” – sbottò, agitandosi in maniera spropositata.

La sua reazione, attirò l’attenzione di Brendan Laurie, poco distante da loro.

L’analista si avvicinò svelto, intuendo quanto stava accadendo al compagno di Norman, che aveva appena parcheggiato la sua HD, oltre ai cancelli della villa di Geffen, affacciatosi al balcone, dopo essere rientrato a cercare qualcosa da bere: la discussione con Scott lo aveva amareggiato parecchio, ma vedere Paul in quello stato, peggiorò le sue percezioni in modo più che negativo.


“Io non ho fatto un bel niente!” – reagì con veemenza il medico, ma Laurie sembrò liquidarlo con un’occhiata storta, mentre si frapponeva tra lui e Rovia, al colmo di un’inquietudine, non più gestibile.

Reedus corse ad abbracciare il suo ragazzo, ma questi lo respinse, in lacrime – “Vale anche per te, sono stanco di essere usato!”

“Tesoro, cosa stai dicendo, accidenti!?”

“Credo che Paul abbia bisogno di un po’ di pace e di parlare con qualcuno, se vuole ovvio” – sembrò zittirli Laurie e il figlio del defunto e mai compianto giudice Nelson, annuì, rifugiandosi sotto la sua ala.

Norman si sentì andare il cuore in fiamme.

“Non significava nulla, ok? Quel bacio, intendo, con Sara, è stata lei a darmelo, se è questo il problema!”

“Abbassa la voce” – gli chiese educato Brendan.

L’ex tenente non gli diede retta, lambendo con i polpastrelli della mano sinistra, le ciocche di quel ragazzino trentenne e spaesato.

“Tu ed io, Paul, siamo in grado di chiarire, senza sostegni esterni, ok?” – aggiunse con dolcezza, ma anche con successo.

Rovia si allacciò a lui, prendendo un lungo respiro – “Portami via di qui” – disse sommesso.

Norman lo accontentò.
Senza esitare.




Quel colpo di clacson, alle sue spalle, mentre Louis percorreva lento il lungomare di Los Angeles, sembrò colorare l’aria.

Tomlinson non ci fece caso, ma il ripetersi del suono, ancora più vicino a lui, lo fece voltare finalmente.

“Vincent …”
L’affarista, barba e capelli folti, ma in ordine, camicia bianca aperta, sul petto abbronzato, svolazzante su dei bermuda in tinta, balzò giù dalla sua fuoriserie, con un sorriso da canaglia irresistibile.

“Mon petit!” – ed il suo abbraccio, avvolse Boo, come la brezza di quella giornata stranamente poco afosa.

“Ciao, ma quando sei arrivato?”

“Ieri sera, ho dormito al Palace, nella parte rimasta in piedi, non certo come la mia villa … Sono tornato per l’assicurazione” – si affrettò a chiarire, vedendo l’altro adombrarsi di un imbarazzo palese.

“Sì … Sì, certo, ma potevi avvisarci” – Louis rise frastornato.

“Avrei voluto, ma ho lasciato fare al destino, mi sembrava più giusto, ecco … No, sono un coniglio, ammettiamolo” – e a propria volta sorrise, ma più tirato.

“E Marlon?”

“E’ rimasto a casa”

Quindi la storia, tra loro, continuava ed avevano un punto di riferimento in comune.

“Ho fatto pace con Harry, ci stiamo riprovando, anche per Petra”

“Mi avevi scritto di quel tizio, Keller e di Glam …”

Una e-mail inviata di getto, con rabbia, una sera che Louis aveva fumato una canna di troppo e Arthur lo aveva mollato in asso, stanco dei suoi capricci.

“Acqua passata, ho avuto il mio periodo buio” – e si scostò, cercando l’ombra sotto ad una palma gigantesca, dopo essersi accomodato su di una panchina rovente.

Tutto gli scivolava addosso, annullato dal suo batticuore.

“Lo capisco, mon petit … Ti trovo bene, nonostante questo disastro”

“Nulla in confronto alla mia vita sentimentale” – replicò simpatico, ma sino ad un certo punto.

Lux si ossigenò, scrutando l’orizzonte, dopo essersi affiancato a lui, compostamente.

“Abbiamo sprecato diverse occasioni, ma è inutile recriminare … Oggi siamo diversi, siamo sereni”

“Io sono sempre lo stesso, spero anche tu”

“Non intendevo …” – poi lo guardò sfuggente, ma commosso, i Ray-Ban tra le dita nervose e magre – “… Non so quello che dico, quando siamo vicini Louis, questo dovresti saperlo … Almeno questo”

“Non importa, non più ormai” – e scattò in piedi – “E’ stato bello rivederti, salutami il Brasile, tanto ci tornerai immediatamente giusto?”

La residenza di Vincent era irrecuperabile ed i soldi della polizza sarebbero serviti per un nuovo ristorante, anche se Boo non poteva saperlo.
O, semplicemente, non doveva.

Il francese catturò il suo polso destro, sottile e liscio, come ogni centimetro di Tomlinson.

“Amore ascolta”

Ecco come il cuore, prevarica la ragione, passando come un treno, tra il cervello e la bocca, tramutandosi in parole pesanti, inopportune a volte.

“Oh no Vincent … NO!”

Boo fu brusco, determinato.

“Harry e Petra mi stanno aspettando, ok?” Ho riavuto la mia famiglia e tu sbuchi dal niente, dopo esserti fatto i cazzi tuoi per mesi, farneticando con queste stronzate?!”

Senza permettergli una replica, Louis scappò via.




Mentre camminava verso di lui, sulla battigia, Glam rivide come in un sovrapporsi di fotogrammi, i cambiamenti fisici di Jared o, più che altro, di look.

Lui era ancora così giovane e attraente: il tempo, quel dannato tempo, di cui, in qualche maniera, erano stati derubati, si era come dimenticato del leader dei Mars.

Geffen avrebbe voluto sapere come ci fosse riuscito, perché per lui, rimaneva un concetto impossibile.

Vivace e quasi sbarazzino, mentre roteava sulla sua poltrona dirigenziale, allo studio, alle pedalate sul boulevard, durante le corse in auto verso le colline o la scogliera, tra i banchi del mercato ad Haiti, sulle nevi di Aspen, nei viali di Parigi, Jared era ovunque, non solo nella testa dell’avvocato, che allargò le proprie ali.

Poteva volare via.
Oppure stringerlo a sé.

“Glam …”

Insostenibile, andarsene via, così.

“Io ti proteggerò, ogni giorno della mia vita” – mormorò assorto, ma intenso, Geffen.

Leto rise lieve, guardandolo, il naso all’insù, come quando si ammirano i colori della miriade di palloncini, che dall’ambulante, nessuno gli avrebbe comprato mai.

Jay sbagliava.
Glam Geffen, lo aveva fatto.
Aveva fatto anche questo.




https://www.youtube.com/watch?v=pyi0ZfuIIvo










martedì 5 luglio 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 69

Capitolo n. 69 – nakama


“Sono belli i tuoi tatuaggi, Paul …”

La voce calda di Norman, infranse il silenzio tra loro, stropicciati sul divano, nel retro dell’officina.

“Vorrei toglierne alcuni” – disse piano il più giovane, accoccolato sul suo petto, dopo avere fatto l’amore per tutto il pomeriggio.
Dopo la visita di Scott.

“Perché?” – Reedus sorrise, dandogli un bacio tra i lunghi capelli, raccolti in una coda, che quasi gli scendeva tra le scapole nude.

“Brutti ricordi” – respirò più intenso Rovia, mentre alzava lo sguardo, verso quello del compagno, che si accigliò, su quella risposta.

“Ah capisco”

“Hai capito, che li ho fatti in galera?” – anche Paul sorrise, ma i suoi occhi erano grandi e luminosi, non solo di appagamento e serenità.

“Se vuoi parlarne Paul … Non lo abbiamo mai fatto, in fondo” – e lo avvolse meglio, girandosi speculare a lui, che tremò, al solo pensiero di quel periodo buio.

“Non adesso, rovinerei tutto”

“Ma non è vero amore: a volte certi spettri bisogna esorcizzarli, sai?” – provò a convincerlo, con estrema calma.

“No … Non lo so, non voglio saperlo” – ed affondò nel suo collo, come impaurito, all’improvviso.

“Ok …” – e senza aggiungere altro, l’ex sbirro lo cullò lento, iniziando a cantare una ballata malinconica, ma ricca di speranza.







Come fotogrammi, al rallentatore, le ore di quella serata, sembrarono scorrere dal tramonto alle tenebre, in una Los Angeles ancora disastrata, ma in piena ripresa.


Pepe avrebbe riconosciuto i passi di Geffen, nel corridoio del reparto di terapia intensiva, tra mille incedere, verso di lui, sollevato leggermente, affinché consumasse il suo primo pasto da solo, assistito amorevolmente da Robert.

“Ehi guarda tesoro, c’è papà” – disse solare Downey, appena l’ex si affacciò sulla soglia.

“Ciao ragazzi”

“Papi io voglio una pizza!” – Peter rise, salutandolo con le manine protese verso di lui, che le strinse subito.

Tra loro la barriera degli indumenti sterili.

“Sembrate astronauti”

“Lo so amore, tutto ok Rob?”

“Sì, anche se questo passato di verdure ha un colore inquietante, ha ragione nostro figlio”

Quel  nostro  racchiudeva così tanta appartenenza e complicità, incapace, però, di ferire nuovamente Law, appena arrivato.

“Papi Jude!”

“Ok ci siamo tutti” – Geffen sorrise affettuoso, andando ad abbracciare l’inglese.

“Grazie per tutto” – disse emozionato il legale.

“Ma non ho fatto nulla, vero Robert?” – reagì avvampando Jude.

“No, anzi … Grazie ad ognuno di voi, perché siamo ancora qui e ce la faremo, anche questa volta, a tornare a casa” – rispose l’americano.

Guardandoli, innamorato e felice.




La End House era stata distrutta solo a metà.

Colin e Jared, tenendosi per mano, percorsero lenti il viale d’entrata, dopo avere lasciato il suv davanti ai cancelli della loro immensa proprietà.

Leto inspirò – “La ricostruiremo … E’ la nostra specialità, vero orso?” – e scrutò Farrell, che rise bellissimo.

“Dobbiamo sempre avere un posto dove tornare, per sentirci bene al mondo, per andarcene, senza il timore di non riuscire a riprenderci il nostro punto di riferimento” – e lo fissò.

“Quando saremo più tranquilli, dovremmo partire Cole”

“Per andare dove, Jay?”

“Là fuori, a cercarci … a ritrovarci … forse”

“A me basta guardarti, per essere consapevole di chi sono e di cosa voglio, per davvero Jared: ed io ti ho sempre voluto, credimi” – e lo imprigionò tra le proprie ali, dandogli un lungo bacio.

Mentre il sole scivolava tra le nuvole, che si sarebbero sciolte, senza portare alcun temporale, quella notte.




Le sedie bianche furono disposte a corolla, intorno al gazebo, che Vas e Peter stavano allestendo, a pochi metri dalla battigia.

“Per domani mattina dev’essere tutto pronto, guapi!” – sentenziò Pamela, divertita dai preparativi, per il matrimonio di Chris e Tom.

Gli altri amici, si stavano dando da fare, nella luce del tramonto, come matti, per installare quanto necessario per la cerimonia.

Harry e Louis sembravano i più solerti, mentre Scott annodava annoiato degli enormi fiocchi bianchi, lungo un cordone tinta argento, tirato ai lati della passatoia bianca, che gli sposi avrebbero percorso verso l’altare.

Jimmy gli si avvicinò timido, inginocchiandosi, per aiutarlo – “E’ da un po’ che non ci vediamo” – lo salutò lui, un po’ freddo.

“Già, volevo rimediare”

“Davvero Jimmy?” – chiese un po’ brusco il diagnosta, puntandolo severo.

Il ragazzo trascorreva molto tempo con Tim e Kevin, per accudire soprattutto i loro bimbi e quella di Niall e Mark, che avevano adottato da poco Angelica.

Anche loro meditavano da un po’ di allargare il loro nucleo e convolare a giuste nozze, ma questi progetti andarono in fumo, a causa dei numerosi impegni di Scott, che non riusciva a dare alcuna stabilità ad un legame, mai stato davvero solido.


“A quanto pare me lo hai insegnato tu, a starti distante, visto che sei un vero maestro!” – sbottò il ragazzino, per poi fuggire via in lacrime.

Scott si alzò di scatto, con l’intenzione di inseguirlo, ma qualcuno lo trattenne per un braccio.

Era Brendan.

“Dove stai andando, lui ha ragione!” – lo investì severo, come la sua occhiata.

“Nessuno ha chiesto il tuo parere!”

“Già, in compenso sto cercando di arginare qualche azione ipocrita da parte tua, Scotty” – replicò acido.

“Ipocrita?!”

Laurie ridacchiò, mollandolo – “Hai la memoria corta, doc”

“Se ti riferisci a Paul, ne ho tutto il diritto!”

“Ma di fare cosa, sentiamo?”

Scott soffiò dalle narici, come un toro imprigionato alle proprie responsabilità, da un cappio di acciaio.

Ciò nonostante, il desiderio di raggiungere Jimmy, riuscì ad infrangere quell’inutile impedimento.




Un parlottio sottile, destò Paul da una sorta di dormiveglia, nel quale era caduto, senza neppure rendersene conto.

C’era qualcuno in negozio.

Strofinandosi le palpebre, come un cucciolo, avvolto nella maglietta a maniche lunghissime, di Norman, troppo grande per lui, sbirciò cosa stava succedendo.

Era arrivata Sara, forse per dire qualcosa a Reedus sulle loro bimbe.

Stavano discutendo, cercando di non alzare i toni, forse per non disturbarlo, su raccomandazione del compagno, cosa che di sicuro aveva fatto innervosire ulteriormente la donna.

Lei, che con un guizzo, senza preavviso, baciò d’impeto l’ex marito.

Gelando Rovia, perché Norman non la respinse, non subito, non con abbastanza solerzia e risolutezza.

Forse sarebbe sempre stato così?

Un quesito tanto scomodo, da fare male.
Da farlo andare via subito da lì.




Le iridi di Jimmy erano inchiostro, mescolatosi al sale, da qualche minuto: il suo pianto era composto, dignitoso, così le sue parole, appena Scott provò a farlo ragionare.

“In fondo mi hai sempre considerato una nullità, vero genio?! E lo sei, sei così alto nella scala di certi valori sociali, che non poteva di certo bastare che tornassi in università, che ti fossi fedele, che volessi con tutto me stesso un figlio insieme a te!” – divampò come un incendio di rabbia e livore, su quell’ultima considerazione.

Disperatamente.


“Jimmy ti sbagli, io”

“Ma dove cazzo starei sbagliando, su avanti dimmelo! Hai fatto la tua buona azione, rimettendo sulla buona strada un reietto, un piccolo rifiuto di un mondo, di cui non sai niente, NIENTE!!”

Un’ombra, ingigantita dalla posizione del sole, sembrò invadere il loro campo di battaglia.

Era Geffen.

“Oggi per me è stato un giorno fantastico, vorrei che tutto andasse bene e vedervi così, mi spezza il cuore, credetemi” – disse sincero, sperando di distrarli da una così evidente amarezza.

“Glam …” – Jimmy lo raggiunse, aggrappandosi a lui, come se fosse un porto sicuro – “… non ne posso più della sua indifferenza: so che Scott è il tuo migliore amico, però c’è un limite a tutto ed io vengo sempre dopo, dopo ogni fottuta riunione o collega o simposio …”

“Mi dispiace, ma nulla è irrimediabile” – provò a consolarlo Geffen, mentre Scott li fissava con aria oltre modo incazzata.

“Gli ho dato molte possibilità, ma ero così scontato” – e tornò a guardare il suo partner – “… io non gli donavo prestigio o fama … Gli avevo donato il mio amore, però era così poca cosa … Inutile cosa” – e si allontanò, commuovendo Glam.

“Lacrime di coccodrillo, queste sì che mi mancavano!” – sbottò il medico.

“Ma che diavolo ti prende, Scott?!”

“Ah e questa è la domanda in cima alla top ten delle stronzate, che ho dovuto ascoltare in queste ultime ore, sai Glam?! Ma no, TU non puoi saperlo, perché quello scontato, con te, ero io! Prima di me c’era Jared, poi Robert, quindi i tuoi amanti in erba e le tue sgualdrine!!”

Un ceffone del suo interlocutore, interruppe quella sequenza di improperi.

Scott si massaggiò lo zigomo sinistro, senza reagire fisicamente – “Mi hai fatto di peggio, ma non te ne è mai importato … Mai” - e si dileguò, riprendendo il cammino verso la villa, sul quale incrociò Paul.

Sconvolto almeno quanto lui.







 JIMMY


 GLAM



 ROBERT