martedì 26 gennaio 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 43

Capitolo n. 43 – nakama





Tre giorni prima di Natale


“Questa è una decorazione, l’unica che ho tenuto per me, tanto cara a mia madre”

Mikkelsen lo rivelò assorto, tenendo tra le dita un fiocco di neve stilizzato, in prezioso cristallo di Boemia.

“E’ fragile Mads …”

“Lo so amore, cosa non lo è, al mondo?” – e lo guardò con tenerezza, mentre se ne stavano seduti, a gambe incrociate, ai piedi di quell’enorme albero, acquistato da Gelson’s, il market dei divi di Hollywood.

“Dove la mettiamo?” – Will sorrise.

“Qui, un po’ nascosta, come le emozioni, che ci aiutano a vivere, ma che, spesso, non riusciamo a esternare” – anche il chirurgo sorrise, guardandolo.

“Ogni riferimento al sottoscritto è puramente casuale”

Risero.
Complici.




Pepe rovistò in fondo allo scatolone, stampato di orsi e babbi Natale, trovando il puntale giallo oro ed esultò, mentre lo sventolava sotto al naso di Glam e Robert.

Geffen lo prese sulle spalle, esortato anche dagli altri bimbi, tutti impegnati a decorare l’abete, nel salone di villa Meliti.

“Ok campione, compi il tuo dovere!” – disse allegro l’avvocato, senza sapere di essere spiato da Jared, fermo, quasi nascosto, sulla soglia di quell’ambiente vasto e lussuoso.

Peter non se lo fece ripetere e fissò l’estremo addobbo, su quel capolavoro di colori e luci.

Jude cinse da dietro il futuro marito, baciando Downey nel collo – “Ti amo tesoro” – gli disse piano ed amava ogni cosa di lui.

Robert quasi si commosse, mentre Glam faceva tornare sulla terra ferma il pestifero di casa, applaudito da Lula e dal resto dei familiari, riuniti per preparare una cena leggera, prima di mettersi in viaggio verso Aspen, alle prime luci dell’alba successiva.


“Glam sa aiutarti, senza deludere, perché tu sia felice”

La voce di Colin, lo investì in mezzo alle scapole: Leto si girò di scatto, incontrando il tono ed i quarzi sereni di Farrell, che lo strinse a sé, senza aggiungere altro, se non un bacio, caldo, assoluto.




Hemsworth spalancò la blindata, tenendo Tom in braccio, come se fosse una sposa.

Ciò gli sembrò persino bello.
Quanto avvenne poco dopo, assolutamente no.

La veemenza, con cui Chris lo spogliò, cambiò il ritmo delle sue pulsazioni e della sua esistenza, da quel preciso momento.

I suoi baci, voraci, il suo respiro, affannoso e bollente, lo avrebbero inebriato in altri tempi, anche se la rudezza del poliziotto non l’aveva mai del tutto conquistato.

I polsi di Tom cominciarono a dolere da subito, mentre il resto si frantumava, sotto le spinte e l’invasione di un uomo, che nulla più aveva di quel che Hiddleston avrebbe voluto sposare, di quel genitore, premuroso ed attento, che, forse, avrebbe reagito bruscamente ai capricci di Luna, alla prima occasione.

Al ritorno della figlia, ora al sicuro, tra le mura della residenza di Antonio.

“Chris ti … ti prego fermati … smettila”

Gli sembrò di svenire, faccia a faccia con lui, adesso, che lo aveva rigirato, come si fa voltando la pagina di un libro.

Dove non c’è più scritto nulla di buono.
Di amorevole.

“Che … che ti salta in mente … è un pezzo che non scopiamo” – quasi ringhiò, forte di un sovraccarico di energia e veemenza.

“Tu sei mio Tommy … Mio, accidenti!” – ed un singulto lo portò via, da quella stanza, mentre Tom perdeva i sensi e la stima di sé stesso.




“Io prima … Colin, vedi”

Farrell sorrise, sfiorandogli gli zigomi, mentre si erano appartati sopra ad un davanzale, nella biblioteca dell’ala ovest.

I colori del tramonto li stavano investendo, inevitabili e bellissimi.

Come Jared.

“Questo padre, che tu ancora cerchi …” – quasi un sussurro, la riflessione dell’irlandese, mentre il cantante lo stava fissando o semplicemente ammirando – “… posso capirti Jay e non è più una guerra, tra Glam e me … Lui è parte dei nostri giorni, del … del nostro amore, sai?”

“Hai detto una cosa così speciale Cole” – e si appese a lui, come un cucciolo impaurito.

La sua età, l’esperienza, la caparbietà, che Jared aveva messo in tante cose, durante il suo cammino, spesso complicato ed impervio, crollavano e si arrendevano ai sentimenti, che Farrell gli ispirava.

Da sempre.

Il suo slancio, sincero e presente, fece tremare Colin, che lo cullò.
A lungo.
Poi le sue mani, scivolarono sino all’addome di Leto, sotto al suo maglione intrecciato, nei colori dell’arancio e del viola, i suoi palmi, spalancati sul domani e sui rispettivi sogni, realizzati ogni volta, tra il sudore, le lacrime, per un legame, in grado di rinascere, anche dal peggiore degli incendi.

“Vuoi sposarmi, Jared Joseph Leto?” – chiese improvviso.

Efestione annuì.
Quella scena, girata per gioco, sarebbe finita in coda, alle decine di riprese, che Oliver Stone aveva realizzato esclusivamente per il suo diletto personale.

La troupe fece un applauso.
Colin James Farrell, l’Alessandro Magno preteso dal regista più controverso del ventunesimo secolo, stava baciando il suo partner lavorativo.

O di letto, come i più acidi, rumoreggiavano, da quando si erano spostati in Marocco.

Un contatto a stampo, che Colin avrebbe voluto trasformare in qualcosa di più intimo.
E bagnato, come il suo inguine.
Peccato che Jared gli fosse sfuggito, come una piuma nel vento torrido, di quel pomeriggio, ormai volto al termine.

Farrell lo rincorse.
Ostinato.

E soffocante nei modi.
Era di nuovo ubriaco.

“Ma dove scappi?!” – esclamò ridacchiando, mentre gli afferrava la vita sottile.

“Lasciami andare, cazzo!”

Leto era nervoso, probabilmente incazzato, pensò Colin, per la sera prima.
L’ennesimo litigio.
Perché la cocaina non era sparita, dal mobile nel bagno del “coglione di Dublino”, come lo aveva ribattezzato Shannon, nelle e-mail, che si scambiava con il fratello.


“Io … io non ti lascerò più andare via, da me, Jay” – disse, estatico, come rapito da quel ricordo.

Jared lo baciò, non senza avergli detto l’ultimo  “sì”.




La colonna di suv giunse verso l’ora di pranzo, nel piazzale del resort, che Geffen aveva prenotato quasi completamente.

Lui, però, non c’era.

“Ma dove cavolo è finito Glam?” – domandò Tim, cercando con lo sguardo anche Niall.

“Arriverà nel pomeriggio: un impegno di lavoro imprevisto” – replicò Kevin, facendo scendere con cura, Lula, Pepe, Thomas e Layla.

Horan era rimasto a Los Angeles, promettendo ai figli di raggiungerli per la vigilia.
Il bassista lo aggiornò anche su questo dettaglio.

“Niall non l’ha detto a me, ma a Glam” – spiegò sottovoce, per evitare i quesiti scomodi dei più piccoli.

Mads aveva parcheggiato dietro di loro.

Will si guardò intorno: era un luogo incantevole.

“Dio che freddo!” – brontolò il più anziano, andando a calargli sul volto arrossato, un berretto con tanto di pon pon in cima.

Buffo e simpatico, come l’espressione di Graham.

Poi la fronte di Mikkelsen si aggrottò, in direzione dell’ingresso a porte scorrevoli: ne erano appena usciti un giovane ed un signore più maturo.

Il ragazzo lo puntò, come se si conoscessero; in effetti era così.

“Da non credere … L’imperatore del bisturi: hanno forse aperto dei bordelli ad alta quota? I miei amici non mi hanno avvisato” – esordì, avvicinandosi, mentre il suo accompagnatore e presunto cliente, stava prenotando delle motoslitte, poco lontano da loro.

Mads deglutì a vuoto, mentre Will si era cristallizzato, tra bagagli e snow board.

“Ci conosciamo?” – bissò gelido l’uomo, reggendo la sua occhiata, tra la sfida e lo spregio.

“Amore qualcosa non va?” – Graham si fece coraggio ed azzerò la distanza, con fare comunque garbato.

Anche Vas si palesò, con la sua stazza imponente e qualche pessima intenzione, ritenne quello sfrontato, che si allontanò, togliendo Mikkelsen da quell’odioso imbarazzo.

“Vieni Will, andiamo!” – sbottò, prendendo il fidanzato per mano, senza più voltarsi indietro.




Boo era stato taciturno per l’intero pranzo.

Ora, aggrovigliati sotto al piumone, lui e Harry si stavano studiando, senza decidersi a chi dovesse parlarne per primo.

Styles prese fiato, anche se avrebbe voluto approfittare dell’assenza di Petra, già alla pista di pattinaggio con il resto della ciurma, in ben diversa maniera, facendo l’amore con Boo il più possibile.

“Lo so che ti manca, ok?” – disse sommesso il ricciolo.

Tomlinson si morse le labbra, adorabile e puro.

“Sono già rimasto orfano, ci sono abituato”

“Ma stanno tutti bene e ti vogliono bene, Lou, da tuo padre, a tua madre … a Vincent” – e sorrise, assecondando quel suo periodo di afflizione, che sembrava non volere finire mai.

“Pensi davvero che stia bene?”

Spezzava il cuore, con quei suoi cieli limpidi, verso i quali, le farfalle, che Harry percepiva nello stomaco, potevano librarsi in ogni attimo di loro.

Qualcuno bussò.

“Io non ho voglia di scendere, di andare a sciare, scusami Hazza”

“Idem, ma vado io ad aprire, tu rimani qui, ok?”

Oltre quell’ambiente, c’era un salottino, che Styles attraversò veloce, per poi rimanere fermo, immobile, dopo avere aperto la porta.

Senza parole.




“Mads …”

“Non adesso ok?”

La sua reazione era prevedibile.

Graham aveva capito tutto.

“Ecco vedi Will, questo è il tipico esempio, di come un certo passato mi tormenterà senza soluzione di sorta!” – esplose, al centro del living.

Avevano mangiato senza muoversi dalla suite, in un silenzio greve, doloroso.

“Se te la prendi con me, per queste cose, non risolverai mai niente, Mads” – bissò serio e composto.

Mikkelsen si passò le mani tra i capelli lisci e dai riflessi dorati – “Mio Dio … Io non volevo tesoro … Io non so più quello che dico, perdonami” – e quasi scoppiò in lacrime, abbracciandolo, con disperazione.

“Sfogati … e non avere paura di piangere, Mads” – disse con dolcezza, massaggiandogli la schiena ampia e virile.

Si diedero un bacio.

Sentendosi, finalmente, un po’ meno soli.













sabato 23 gennaio 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 42

Capitolo n. 42 – nakama



Hugh si grattò la nuca, sbuffando al tavolo della colazione, preparata da Jim, ancora intento ad impacchettare la merenda per Nasir, scatenato sul suo tappeto musicale, al centro del salotto, antistante la zona cucina.

“Ultimo giorno di scuola, eh monello?” – esordì il più anziano, con un sorriso colmo di tenerezza, mentre guardava il figlio, che esclamò un “Yipiii!” – in un’esplosione di simpatia irresistibile.

Mason scosse il capo, ben pettinato – “Dobbiamo deciderci per la montagna, Glam mi ha mandato una e-mail, con la prenotazione codificata … Ci ospita, sai com’è fatto” – e rise, accomodandosi.

Laurie gli versò del caffè, ormai tiepido – “Re Mida al confronto era un novellino … Già … Farà un freddo cane ad Aspen, come al solito” – si lamentò buffo.

“Cos’hai Hugh?” – chiese dolce l’oncologo, imburrandosi un panino.

“Ma, sai, sempre le solite stronzate del clan, ora ci sono Tim e Niall in crisi: occhi blu mi ha chiesto di parlare ai loro bimbi, a Thomas e Layla, spiegando che i rispettivi papà ci saranno sempre, anche se separati etc etc”

“Occhi blu?” – Jim rise.

“Horan o come si chiama … L’ho spedito da mio fratello, tanto con quei baffoni sembra già un clown, li farà ridere, anche senza naso di pezza rosso ed io ho risolto!” – sentenziò.

“Strano”

“Cosa?”

“Che ti arrenda così”

“Ma che dici Jim?! Francamente non li reggo quando fanno così, da uno all’altro, come marionette senza controllo, escono ed entrano dai letti di ex o meno, con una leggerezza deprecabile!” – ringhiò a mezza voce, per non farsi sentire da Nasir.

In fondo anche Thomas e Layla erano i suoi cuginetti e, con il primo, il loro cucciolo andava particolarmente d’accordo.

“Io comprendo Hugh, il tuo discorso è logico, ma se una persona ti chiede aiuto, tu di solito non ti tiri mai indietro, ecco”

“E questa volta è andata così … Ok …?” – replicò improvvisamente mogio.

“Quindi ora sputa il rospo” – bissò più serio il compagno.

Laurie inspirò, puntando il soffitto, con i suoi cieli lucidi – “La gamba … sono tre notti, che mi fa impazzire … Contento?”

“No. Io non sono contento nel saperti soffrire, in silenzio, per giunta” – obiettò partecipe.

“Scusami Jim …”

“Lascia che parli con Mikkelsen, tanto verrà anche lui in Colorado”

“A proposito di che? Di quel farmaco?!” – sbottò nervoso l’analista, fissandolo.

“Certo! Il Kolestor H può darti sollievo!”

“Il Kolestor H mi cuocerebbe il fegato e”

“Non al minimo dosaggio e sarebbe sufficiente per calmare i tuoi spasmi, accidenti Hugh!”




“Come diavolo si chiama quel … Aspetti Geffen”

L’ispettore capo lesse in fretta il dossier Graham/Rattler, già archiviato.

“Kolestor H mi pare: cosa centra con la sua telefonata?”

“Lei, nel frattempo, ha avvisato il suo assistito?”

“Io curavo la difesa di Will, non di Vincent Lux …” – disse stanco.

“Mi spiace di non averla aspettata ieri sera, ho avuto un’urgenza”

“Nessun problema, come vede siamo entrambi mattinieri, però io ho bisogno di garanzie, ok?”

“E’ ovvio … Dunque, le dicevo, è stata la compagnia assicurativa a sollevare il problema: nel caso di morte per ragioni di salute, il premio sarebbe stato quello pattuito, all’atto della stipula, ma, se Rattler fosse deceduto per cause violente, come un omicidio, allora l’importo andava a raddoppiarsi e parliamo di una cifra a sei zeri, capisce?” – e rise, come divertito.

“Fin qui è tutto chiaro: quindi l’autopsia è stata ripetuta”

“Infatti: quel medicinale aveva alterato i valori, ma, una volta dissoltosi, le analisi hanno dato un riscontro a sorpresa, ma esaustivo, perché verificato anche da un perito degli eredi: Rattler è stato ucciso da un infarto, almeno due ore prima il colpo di pistola, sparato dal suo amico francese, pazzesco vero?”

“Tecnicamente Vincent Lux ha  giustiziato un cadavere … Sì, è pazzesco”

“Non è il primo caso, direi che per me è il secondo: una volta un tizio aveva”

“Sì, d’accordo, lei è davvero loquace, potrebbe rubarmi il mestiere, ma i documenti per fare rientrare Vincent, senza rischi, dove sono?”

“Eccoli qui … Appena firmati dal procuratore: tutto regolare Geffen, vede?”

Glam lesse i due fogli con attenzione.

“Perfetto … Spero che Lux non la consideri una trappola”

“Per questo abbiamo interpellato lei: so che sa essere convincente”

“Oh su questo può contarci: grazie, la terrò informata” – e gli strinse la mano, per poi andarsene, ancora frastornato da quell’incredibile svolta.




Mads incrociò le braccia muscolose, ad X, intorno al busto di Will, restando incollato alle sue spalle, sotto alla doccia, dove si erano persi a baciarsi e fare l’amore, da almeno una ventina di minuti.

Si erano presi dieci, meritati, giorni di ferie dall’ospedale e dai molteplici impegni di Mikkelsen, sempre più restio a lasciare Los Angeles, per simposi e convegni, mete di fuga, un tempo, soprattutto da sé stesso e dal dolore di non avere Graham nella propria vita.

“A … amore … io”

Will si piegò in avanti, cercando un appiglio, mentre l’amante gli stava vivendo dentro, come l’infrangersi di onde continue, contro agli scogli immaginari del suo piacere.

“Ma … Mads” – balbettò nuovamente, sorridendo, mentre venivano copiosi ed unisoni.

“Anima mia” – gemette il chirurgo, in un groviglio di singulti, pronti a precipitare in un abisso, dal quale non sarebbe tornato volentieri, se non fosse stato per rivolgere a sé Will e baciarlo.

Baciarlo così tanto.


Ora c’era silenzio, tra loro, abbracciati e nudi, avvolti da una coperta leggera, sul terrazzo dell’ala sud, al riparo sotto ad un gazebo.

“Prima di andare, dobbiamo addobbare l’albero, che ho comprato da Gelson’s” – esordì Mads, ridendo piano, mentre giocava con le dita dell’altro, adorando il luccichio delle rispettive fedi di fidanzamento.

“Quando partiamo?”

“Domani all’alba …”

“Possiamo portarci Rambo e Laika?”

“I nostri randagi più in forma? Certo Will” – e si guardarono.

“Sansone e Briciola meglio lasciarli alla signora Crawford: la tua governante ci sa fare con i cani” – disse allegro, facendo aderire le loro fronti.

“La nostra gov”

“Ok Mads!” – Graham rise, ma non gli servivano certe puntualizzazioni, per capire quanto fosse importante e profondo il sentimento che li univa.

Per sempre.




Reedus fece un cenno a Tom e questi lo seguì nella saletta per i visitatori.

Chris era stato trasferito nel reparto di Medicina, senza più divieti particolari; Mikkelsen aveva promesso di passare a visitarlo prima di andarsene a sciare, così aveva riferito loro il primario di Cardiochirurgia, appena prima di pranzo.

Un pasto, che Hemsworth stava consumando, con una voracità impressionante.


“Fa così da stanotte … Cioè, non proprio, non è che lo abbiano assecondato subito” – rivelò Tom, l’aria triste.

“Ehi, ma sei preoccupato per cosa? A me sembra che Chris stia una favola!” – e rise allegro – “A parte le richieste di pizza e birra, da fuori di zucca, a mezzanotte ovvio!”

“Mi dispiace, io gli avevo detto che vi avrebbe disturbati, a te e”

“Ma no, ero in servizio ed ho fatto sbellicare anche i miei soci, durante l’appostamento, un vero fiasco: ci manca il vichingo, lo ammetto, con le sue intuizioni, la sua … fortuna” – ed ammiccò simpatico, scegliendo una bibita dalle macchinette.

“Penso che tornerà presto” – ed inspirò, vedendo una chiamata in arrivo, sul visore del suo Samsung.

Era Geffen.

“Scusa, devo rispondere Norman”

“Ok … Io torno dall’assatanato, ti aspetto in stanza” – ma fece solo finta di allontanarsi.

Era troppo curioso di origliare, durante quella conversazione scarna.

“Ciao Tommy, ho letto la tua e-mail, vuoi che ti raggiunga?” – chiese paterno Glam, dopo avere parcheggiato l’Hummer nel viale principale di villa Meliti.

“No, ti ringrazio, ma io sono sconvolto, lo ammetto” – e si tamponò una lacrima, rannicchiandosi in un angolo, contro le finestre, lato parcheggio, della clinica.

“Penso unicamente che il cuore nucleare stia funzionando a pieno ed il fisico di Chris abbia reagito al meglio, non credi?”

“Non lo so Glam … C’è qualcosa di … di strano” – obiettò a mezza voce.

“Tipo?”

“Un trapiantato non reagisce, così, nella norma intendo”

“Ma qui siamo al cospetto di un intervento rivoluzionario, me lo hai spiegato tu, rammenti?” – e scese, vedendo in lontananza Lula e Pepe avvicinarsi di corsa, felici nel rivederlo, come d’abitudine.

“Glam io ho avuto una sensazione di … di paura, non riesco ad essere felice per questa rinascita, per il vigore, che Chris sta dimostrando … E’ … è aggressivo”

“Temo sia stufo di starsene rinchiuso lì … Senti, se ve la sentite, unitevi a noi, domani o dopo, dico a Vas di aspettarvi e salite ad Aspen, con tutta la brigata” – propose solare, inginocchiandosi per stringere a sé i suoi gioielli.

“Zio Tom vieni, vogliamo Luna con noi!” – esclamò Pepe, mentre Lula sembrava perplesso.

“Ci penserò … Per adesso grazie Glam … Per tutto”

“Se ti servo, fammi un fischio, io arriverò subito … O quasi” – Geffen rise, poi salutò Hiddleston, senza essere riuscito a sollevargli il morale.

Reedus si dileguò alla svelta, non senza provare un turbamento fastidioso.

Le frasi di Tom lo avevano colpito e c’era del vero, in ciò che il fisiatra aveva appena confessato al legale dei vip, quell’odioso Glam Geffen, sempre così affettuoso, pensò Norman, da dargli la nausea.

O semplicemente una viscerale invidia, per come tutti gli davano retta o sembravano venerarlo.




Mikkelsen passò i risultati delle analisi a Will, che inarcò un sopracciglio.

“Ottimi … anche troppo, direi, Mads, non trovi?”

Si erano appartati nello studio del luminare.

Questi, non riusciva a distogliere il proprio sguardo dal profilo di Graham, concentrato su grafici e cifre, che davano la misura di quanto Hemsworth fosse in perfetta forma.

“Sei magnetico, oggi … Anzi, sempre Will” – sospirò, dandogli un bacio sulla spalla destra.

L’altro inclinò il capo, verso le labbra del compagno, ricevendone un ulteriore bacio, perdutamente innamorato.

“L’hai già visitato?”

“Ma chi?”

“Chris! Oh cavoli Mads …” – e rise, abbracciandolo caldo e bellissimo.

“La comunità scientifica è in fibrillazione, non credono ancora al nostro successo, sai?” – Mikkelsen cambiò discorso, senza irruenza, mentre infilava il camice e recuperava lo stetoscopio, dalla valigetta in cuoio scuro.

“C’è parecchia invidia, non stupiamoci Mads” – adorava ripetere il suo nome.



“Hemsworth scalpita, potremmo convincerlo a trascorrere almeno il week end sui monti, giusto per tenerlo d’occhio, che ne pensi?”

“Anche di più direi, tanto il freddo non potrà nuocere ai suoi progressi, anzi” – sorrise, seguendolo in corsia.

“Perfetto, ho già le dimissioni in tasca, sono pronto a firmargliele e monitorare i suoi ulteriori progressi, tra una cioccolata calda ed una discesa libera: anche Tom ne sarà contento, non credi?”

“Assolutamente sì Mads.”


Assolutamente sì.











martedì 19 gennaio 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 41

Capitolo n. 41 – nakama



Kevin si soffermò a lungo, nell’incavo alla base del collo di Tim, con la testa spettinata e riversa all’indietro, mentre l’altro lo baciava e leccava piano, muovendosi in lui, con la stessa lentezza e contemplazione amorevole.

Vennero a poco a poco, riscoprendosi, come se fossero stati in viaggio da troppo tempo, con la voglia di condividere nuovamente qualcosa di importante.

“Ne vuoi una anche tu?” – Tim lo chiese, dopo essersi girato sul fianco sinistro, per arrivare al comodino e frugare nel primo cassetto, dove teneva le sigarette.

“Fumi ancora?” – Kevin sorrise, imitandolo, speculari, adesso, a fissarsi.

“Di rado, quando” – e si morse le labbra, abbassando lo sguardo celeste e liquido.

“Quando vuoi vincere l’imbarazzo?” – e lo accarezzò, sugli zigomi, trattenendo il fiato.

Tim annuì, poi gettò tutto tra le lenzuola disfatte, Camel, accendino, difese, appendendosi a lui, che non chiedeva di meglio, perché cullarlo, era la maniera per sentirlo davvero vicino, come nessuno.

L’emozione era troppa, per essere trattenuta stupidamente.
E lo sarebbe stato anche lasciarsi, confondersi, esitare: volevano andare sino in fondo, senza più rimandare.

Dal cassettone una foto sembrava guardarli: nello scatto c’erano Niall, Tim ed i bimbi.

Quello era il passato, pensò Kevin, senza turbarsi oltre il necessario: era certo che Tim non lo avrebbe più deluso.

Il bassista, del resto, non gliene avrebbe dato alcun motivo: questo l’impegno, che Kevin si stava prendendo mentalmente, stringendo l’ex a sé, ancora più forte, per poi baciarlo, appassionato e presente, più che mai.




Horan se ne stava rannicchiato sopra un ampio davanzale, il palmare tra le dita gelide, a scorrere immagini, dalla galleria, dove mai aveva cancellato un solo scatto.

Era la sua vita, cristallizzata da un obiettivo e da un momento, divenuto un ricordo, più o meno importante, per lui.

“Ehi, perché non scendi a mangiare qualcosa?”

Il tono di Jared era simpatico, così il suo sorriso maturo.

Niall scosse il capo biondo, gli occhi come fanali, puntati ora sul leader dei Mars, fermo sulla soglia della camera verde.

“Ho lo stomaco chiuso” – e deglutì a vuoto.

“Perché non lo chiami?” – chiese dolce Leto, avvicinandosi.

“Non credo che Tim abbia voglia di sentirmi”

“Io mi riferivo a Mark” – una risata lieve, a quel punto, le mani in tasca, la schiena appoggiata alla parete tappezzata di smeraldo ed oro e quello che fu un mitico Joker nel lontano 2016, sembrò indurlo in tentazione.

“Mark … Temo sia anche peggio” –  Horan si sforzò di sorridere, tirato e stanco.

“Non sono d’accordo … Lui ti ama così tanto” – replicò serio.

“Voglio calmarmi, avere le idee più chiare possibili, Jared, non posso farlo soffrire una seconda volta: non me lo perdonerei, te lo assicuro” – disse fermo.

“Non mi somigli … Per tua fortuna” – l’ennesimo sorriso, più sconsolato.

“Essere impulsivi, istintivi, dona grande fascino, lo ammetto, però …”

“Però non ti fa crescere mai, Niall, hai perfettamente ragione”

“Ok … Magari un’insalata” – e si alzò, mettendo via il cellulare nel giubbotto, appeso ad una sedia – “… lo lascio qui, tanto nessuno mi cercherà, stanotte.”




Geffen sorseggiò un paio di aperitivi, scrutando il giardino, affacciato ad un’ampia vetrata della biblioteca Meliti, senza accorgersi dei passi alle sue spalle.

“Ciao Glam, posso disturbarti un attimo?”

“Louis … Ciao, come stai? Ma certo, vuoi da bere?”

“Cos’è?”

“Prosecco italiano, fresco e piacevole” – e lo guardò più incisivo, tracciando una palese similitudine.

Boo non ci fece caso, accomodandosi in poltrona, mentre il più adulto gli porgeva un calice dorato ed invitante.

“Ho una sete … Grazie”

“Prego … E Harry? Petra?”

“Sono giù con gli altri … buono … E’ … è per Vincent, ecco” – ed arrossì.

“Ti ascolto” – e si mise seduto, sul divano oltre al tavolino da fumo, che li separava.

“Tu sai dove si trova?”

“Ho preferito evitarlo, per non creare dei problemi, con la polizia, capisci? Se mi interrogassero, la mia coscienza potrebbe vacillare”

“Sul serio Glam?”

“Dopo quanto accaduto, Louis, la cosa migliore è prendere le distanze da Lux, per il bene di tutti”

“Ma tutti chi?! Lui non è un assassino!”

Geffen si massaggiò la nuca – “Purtroppo la sua confessione ed i fatti, oggettivamente non lasciano alternative e questo lo sai anche tu, piccolo”

Un colpo di tosse e la figura slanciata di Styles si palesò – “Il nonno sta sbroccando, vi aggregate o no?” – domandò brusco.

Tomlinson scattò in piedi – “Chiedevo notizie di Vincent a Glam, non incazzarti” – e gli cinturò la vita.

Harry lo avvolse – “Dobbiamo andare avanti senza di lui, ne abbiamo parlato o sbaglio?”

“Sì … Non è semplice, non dopo avere deciso di convivere, in armonia”

Glam aggrottò la fronte spaziosa – “Una circostanza un po’ strana …” – osservò senza pregiudizio, anche se poteva sembrare il contrario.

Styles lo guardò con un guizzo – “Vincent è la nostra famiglia, molto meno stramba di questo clan, ok?”

“Mi associo alla richiesta di Louis: non incazzarti, ok? E non con me, sai che vi ho sempre appoggiato, in un modo o nell’altro e Vincent è uno dei miei più cari amici”

“Noi lo sappiamo Glam” – Boo gli si avvicinò, staccandosi dal proprio compagno, per poi uscire dalla stanza, in silenzio.

“Mi dispiace, per la mia reazione, per Vincent, per come si sente Lou, anche Petra ne soffre, è un casino in cui Lux non doveva metterci, anche se posso comprendere le sue ragioni!” – scattò sfogandosi il riccioluto legale, che a Geffen mancava come collaboratore.

“Torna in studio da me, trasferitevi in uno dei miei alloggi sul boulevard, cambiate aria, rimettiti in sella Harry e dai una svolta al vostro matrimonio: cosa ne pensi?” – propose il più anziano.

“Ci … ci penserò” – replicò esitante il ragazzo, quindi seguì Louis, tornando al piano inferiore.

Geffen sbuffò; poi ricevette una telefonata.




Colin appoggiò i palmi aperti, sulla stoffa a quadri della camicia di Jared, che sorrise, addossato al muro, contro al quale l’irlandese lo aveva bloccato.

“Credevo stessi morendo di fame, Cole” – gli respirò tra le labbra, che l’altro gli aveva appena fatto assaporare, con un bacio suadente e bagnato.

“Infatti … Siamo qui” – e rise leggero, mentre gli slacciava la casacca, in un gesto fluido, aprendosi una visuale completa, sul busto del cantante, asciutto, tonico e tatuato.

Farrell ne baciò e succhiò ogni centimetro, intorno ai capezzoli turgidi, mentre Jared gli artigliava dolcemente i capelli e la nuca.

“Non … non possiamo farlo qui Cole” – balbettò in crisi di ossigeno – “… nei garage del nonno”

“Io volevo portarti via, infatti” – l’attore lo scrutò, senza smettere di accarezzarlo tra l’ombelico e poco più sotto, dove i jeans di Leto, si erano schiusi, come d’incanto, grazie alle manovre del moro.

“Andarsene così”

“L’abbiamo sempre fatto Jay … sempre” – ed affondò le dita, sotto ai suoi boxer, cercando un punto, ben preciso, dove risalirgli dentro e farlo gemere forte.

“Ti voglio Jay … è … è troppo tempo che”

“Lo so … mioddio Cole … mi fai venire così” – e lo attirò a sé ancora più saldamente, non senza ricambiare le sue premure, giocando esperto con la sua erezione, ormai libratasi oltre i pantaloni eleganti, che Farrell aveva indossato, sotto a una polo celeste, che gli stava una meraviglia.

Dei rumori improvvisi, li bloccarono, ma erano distanti a sufficienza, perché chi stava transitando, non si accorgesse di loro.

Era Geffen, concentrato al telefono, in una conversazione incomprensibile, per il suo tono basso e circospetto.

L’avvocato azionò il comando degli enormi portelli ad oblò quadrati e salì sull’hummer, avviandosi poi deciso verso il viale d’uscita della villa.

Jared e Colin ripresero a baciarsi, come adolescenti, complici e sintonizzati, su quella lunghezza d’onda, capace di amplificare il loro legame, ad un livello irraggiungibile, da chiunque.

Il mondo, adesso, poteva andare avanti, anche senza di loro.




Tom percepì un brivido lungo la spina dorsale e, come se avesse appena fatto un brutto sogno, spalancò le palpebre, incontrando la semi oscurità della camera, dove Chris stava riposando, ad un paio di metri dalla sua poltrona scomoda, sulla quale, ormai, il terapista trascorreva gran parte delle proprie notti, in attesa che il compagno venisse finalmente dimesso.

Il corpo di Hemsworth ebbe come un tremolio, poi il poliziotto scattò a sedere, alla stregua di un burattino, a cui avevano appena tirato i fili, senza preavviso alcuno.

Tommy ne fu sorpreso, specialmente dalla richiesta verbale, che ne seguì: “Ho fame”

“Chris …?!” – sussurrò, azzerando la distanza.

“Ho una fame tremenda, cazzo” – insistette lo sbirro, togliendosi i sensori dagli avambracci, con movenze insofferenti.

“Chris calmati” – Hiddleston accennò un sorriso, anche se scosso – “… ora chiamo qualcuno, ok?”

“Sì, ma che mi porti da mangiare!” – lo investì, prepotente, fissandolo, dopo avere acceso le luci.

“Ho paura che tu non possa ingerire cibi solidi, non come vorresti” – obiettò, sporgendosi poi oltre la soglia, controllando se l’infermiera di turno stesse arrivando.

“Ma se sto benissimo!” – e si alzò, armeggiando con un paio di ciabatte sterili, ancora confezionate in una busta di plastica, dimenticate su di una mensola, lì accanto.

“Chris accidenti! Torna a stenderti, potresti avere un capogiro!” – e lo sostenne, come se ce ne fosse bisogno, ma Hemsworth era saldo, sulle gambe e solido, anche nel guardarlo, oltre modo irritato.

Miss. Jensen si affacciò, brontolando un paio di rimproveri – “Torni dov’era, non vorrà mica andarsene in giro e farsi venire una crisi?”

Lei aveva inquadrato il carattere di Chris dal principio e non si sarebbe fatta intimidire dagli improperi, che ne seguirono, senza farsi attendere.

Ciò nonostante, il tenente si coricò, insistendo sulla necessità di alimentarsi, con qualcosa di sostanzioso.

“Ora sento il primario e poi il professor Mikkelsen, va bene? Nel frattempo si accontenti di un budino di soia, al cioccolato, ovviamente!” – e sparì.

“Ecco vedi” – proseguì Tom, con dolcezza – “… un po’ di zuccheri ti faranno bene”

“Soia? Ma scherziamo?!”

“Chris abbi un minimo di pazienza, ti prego”

“E finiscila con questa lagna, Tom! Ora chiamo Norman e gli chiedo di portarmi una pizza ed una birra, che ci vuole?” – e ridacchiò, componendo il numero di Reedus.

“Ma sveglierai tutti”

“Lui per me ci sarà in eterno, ok? E non farti paranoie, d’accordo pivello?”

Hiddleston si riaccomodò, composto, sopra ad uno sgabello, lo sguardo basso – “D’accordo …” – replicò in un soffio.

Quel miglioramento aveva un che di inquietante.

Ciò, che avrebbe dovuto confortarlo e fargli fare salti di gioia, lo aveva appena sconvolto.

Irrimediabilmente.