mercoledì 25 aprile 2018

NAKAMA CAPITOLO N. 99


Capitolo n. 99 – nakama



 https://www.youtube.com/watch?v=8GrXKr8Sr70


Anno nuovo.
Vita nuova.

Forse non era proprio così, pensò Jesse.
Contrariamente a lui, Mads, lo pensò.

Si scontrarono, guardando, il primo, il cartellone delle partenze per New York, mentre il secondo era concentrato su quello dei voli verso l’Europa.

“Professor Mikkelsen”

Mads lo scrutò – “Pinkman … Jesse, vero?” – e gli fece un sorriso strano, di chi aveva pianto, allergico a qualunque contatto, almeno in quel frangente.

Un collega del Pasteur, gli aveva confidato che Will era stato appena assunto all’istituto francese, per un periodo di prova di tre mesi, sezione ricerca cardiologica.

Il ragazzo annuì – “Proprio io, sì”

“Ho una certa fretta, ma mi ha fatto piacere vederti” – lo tagliò svelto il chirurgo, allontanandosi.

“Ok” – mormorò Jesse – “… buon anno doc” – e anche lui proseguì, al lato opposto, senza sapere che stavano soffrendo sotto lo stesso cielo d’inverno.




JD, affossato nel divano, dalle molle cigolanti, accese la tv, stupendosi del suo effettivo funzionamento.
C’erano pochi canali, con televendite e spot inutili, solo un tg sembrò interessante.

Nonostante gli sforzi dell'entourage di Palmer, la notizia del rapimento del figlio era trapelata e decine di cronisti si erano precipitati davanti ai cancelli, della sua lussuosa residenza californiana, sperando in una qualche esclusiva.

“Accidenti, alla fine, l’ha fatto …” – mormorò l’ex galeotto e, proprio al suo periodo di reclusione, la sua mente volò veloce.

Quei ricordi, contorti e sporchi, si interruppero subito, alla vista di Reedus, appena uscito dal bagno, con addosso unicamente i jeans strappati e piuttosto aderenti.

Sembravano tanto ad un paio di quelli indossati da Philip, forse glieli aveva passati proprio lui, notando la sua rinnovata magrezza.

“Che succede?” – chiese roco il poliziotto, senza avvicinarsi ancora, infastidito dalla luce di quel giorno, che avrebbe voluto rimanesse un ieri e mai un domani.

Morgan si ossigenò, fissandolo; Norman gli era entrato nel sangue, gli ribolliva nello stomaco e nel cervello stanco.

“Prima vieni qui, poi te lo dico, ok?” – disse intenso, tendendogli la mano sinistra.

Norman adorava quei momenti, inutile negarlo.

Adorava perdersi in quel contatto ispido, tra la barba incolta e i capelli, entrambi brizzolati, di JD.

Sigarette e dopobarba, avrebbe portato con sé quel ricordo di lui, di loro, nell’eternità, anche se lo avesse perduto.
Per sempre.

“Ti amo” – pronunciò, soffocato dal pianto e dall’abbraccio dell’altro, che gli aveva sceso quei jeans sgualciti, sbiaditi, non certo paragonabili alla loro storia, fatta di battiti, di vita vera, da fare male ad ogni respiro.




Scott spalancò la blindata, senza controllare chi avesse suonato.
Rovia lo aveva fatto quasi timidamente.

I cieli, intrappolati nei suoi occhi, si sgranarono in una luce vivida, sulla figura mezza nuda, che Scott, aveva avvolto in un asciugamano posticcio.

“Paul?!”

“Ciao”

“Cosa ci fai fuori dall’ospedale?” – chiese con stupore, senza preoccuparsi del fatto, che Glam potesse spuntare dal corridoio centrale, inopportuno e poco vestito, quanto lui.

Accadde.

Rovia lo guardò, sorridendo appena – “A quanto pare ho interrotto i miei zii preferiti, nei loro festeggiamenti per Capodanno”

“Ciao Paul” – lo salutò Geffen, in palese imbarazzo.

“Tesoro non è come pensi” – l’uscita di Scott suonò davvero infelice e ridicola.

Nessuno rise.





JD condivise l’ennesima sigaretta con lui.
Adesso era pieno giorno, forse avrebbero dovuto mangiare qualcosa e decidersi, a fare qualcosa.

Qualcosa di loro, che avrebbero potuto avere un quotidiano, fatto di normalità, focolare domestico, udienze dai professori, orari di lavoro da poliziotto e bancario; strisce grigie, in un cielo, dove altri arcobaleni vivevano di una luce, che a Reedus e Morgan, non sarebbe appartenuta mai.

Si ritrovarono, invece, a fuggire, in una notte, dove entrambi, però, erano riusciti ad accenderli gli arcobaleni.

Buffa la vita.

“Sinceramente non ricordo il suo nome, era davvero uno squilibrato e lavorava per Palmer; poi venne sorpreso a rubare i fondi per le elezioni e lo stronzo venne sbattuto fuori dallo staff: promise di farla pagare al futuro senatore e così è stato, capisci Norman?”

“Ma potrebbe essere chiunque, non credi?”

“No” – JD rise senza allegria, spegnendo la Marlboro nel piattino del caffè bevuto la sera prima – “… Per me è lui e sai una cosa? Io credo di sapere dove tiene il ragazzo”

“Ma stai scherzando?!”

“Assolutamente” – e si alzò, andando alla finestra – “… Jordan, ecco come cazzo si chiamava, mi parlò di un magazzino, dove aveva portato le cose del suo alloggio, roba preziosa, diceva: si vantava di continuo quel coglione”

“Accidenti, conosci l’indirizzo?”

Morgan si massaggiò le tempie – “Dammi un minuto, ok?”






“Adam farò il possibile per aiutarvi” – Geffen scrutò i volti di Palmer e della moglie, sconvolta e in affanno, al pensiero dell’unico figlio, finito nelle mani di qualche maniaco, ne era convinta.

Vas e Peter si erano resi disponibili a qualsiasi iniziativa di Glam, ma i coniugi Palmer li stavano osservando turbati.

“Non abbiate paura” – Geffen sorrise – “loro risolvono, quando gli altri scappano” – e provò persino a scherzare, ma fu inutile.

“Josh è ancora un bambino, è fragile, questo trauma lo distruggerà!” – sbottò la donna, versandosi l’ennesimo cognac.

Il senatore la affiancò, togliendole il bicchiere – “Ora basta Katy, non serve ubriacarsi, non oggi almeno” – e c’era del rimprovero profondo, in quella grave asserzione, pronunciata a mezza voce dal consorte.

Senza preavviso, Lula si palesò, accompagnato dagli zii Kurt e Dave.

Rossi era un esperto in rapimenti.
Infine Glam presentò soldino ad Adam e Katy, che gli offrì, affettuosa, una bibita.

“Il famoso Lula, tu sei speciale vero?” – le chiese in piena apprensione, stemperata, però, da una nuova speranza.
Quindi puntò Geffen – “Ho letto delle cose strane, su questo bimbo, ma sono vere?” – domandò alienata.

“Lula è un bambino speciale, ma uguale a qualsiasi suo coetaneo” – puntualizzò il legale, infastidito.

Mai e poi mai avrebbe permesso a qualcuno, di considerare soldino come un fenomeno da baraccone.

“Josh sta bene” – Lula sorrise, poi fece un cenno al padre.

“Che c’è amore?” – Geffen gli si avvicinò, certo che si trovassero ad una svolta.

“Rispondi al cellulare papà”

“Non sta suonando e”

Glam sbagliava: un trillo improvviso fece sobbalzare i presenti.

“Si pronto!”

Silenzio.

All’altro capo, qualcuno si decise a parlare, agitato, almeno quanto Geffen, seppure concentrato a non perdersi una sola parola di quello, che pensò fosse un miracolo.

Riattaccò.

“Vas, dobbiamo andare: David, se vuoi venire con noi” – e fissò Rossi, che accettò prontamente.

“Lula, tu rimani qui con Kurt e Peter, ok? Io torno prima possibile”

“Ma cosa diavolo ti prende Glam?!” – Palmer esplose, corroso dalla tensione; ma non ottenne risposte.





Scott versò la tisana, in due buffe tazze, a forma di Babbo Natale, in camice bianco e con tanto di stetoscopio penzolante, dono di qualche infermiera.

“Ti ringrazio, ma ho una certa fretta” – sussurrò Rovia, soffiando sulla bevanda fumante.

“Di andare dove o di fare cosa?” – chiese l’altro, accomodandosi accanto a lui.

“Vorrei partire: questa città mi soffoca ormai”

“Mi dispiace Paul”

“Non è colpa tua, anzi: non sto scappando, è una scelta” – rise, sorseggiandone pochi sorsi, per poi desistere.

“E’ una vera schifezza, giusto?” – anche Scott rise.

“Già …” – il ragazzo si guardò in giro – “Ti sei scelto un bel covo”

“Trovi? Pensa che volevo traslocare”

“Dunque sarà l’anno dei cambiamenti”

“Può darsi”

“Con Glam sarebbe ora: o dentro o fuori, non credi Scott?”

“In che senso?”

“O te lo sposi oppure la smetti di scoparci” – bissò schietto.

Scott si grattò la nuca – “Non le mandi a dire … Sono ridicolo, a questo punto, vero?”

“Giusto un pochino”

“Il problema è che mi fisso sempre con l’uomo sbagliato … Anche con te, sai?”

“Ma io sono troppo incasinato, una causa persa”

“No Paul, sbagli: tu saresti perfetto … Se solo imparassi a volerti un po’ bene”

“Avrei bisogno di un insegnante dalle aspirazioni suicide …” – e si alzò.

Scott gli prese il polso sinistro, trattenendolo.

Fu semplice.
Rovia non voleva andarsene da nessuna parte; non più, ormai.



Il luogo dell’appuntamento, lo decise Reedus.

Geffen si guardò intorno e lo stesso fece Rossi, controllando poi il palmare.

“Le coordinate sono esatte Glam”

“Sì, ma loro non si vedono, forse sarebbe meglio richiamarli”

“No, aspetta, eccoli la” – e Dave indicò l’incrocio, in fondo all’unica via di accesso a quell’area industriale, abbandonata da anni.

Il rombo delle HD dei due fuggitivi, rimbombò in lontananza, come se si stesse avvicinando un temporale.

Vas era rimasto sull’Hummer, in attesa di istruzioni.

Norman scese, posando a terra un revolver, alzando poi le mani e così fece Morgan, alle sue spalle.

“Lui è disarmato” – precisò il tenente, restando fermo.

Rossi annuì, dimostrando che anche lui e Glam non avevano pistole e tanto meno microfoni.

“Siamo soli Reedus, come ci hai chiesto” – esordì l’ex profiler.

Geffen azzerò la distanza – “Mi hai detto di sapere dove è tenuto prigioniero Josh: credo non ci sia un minuto da perdere, se quel Jordan, è fuori di testa come asserisce il tuo socio”

Durante la telefonata, quelle erano state le poche, ma esaustive indicazioni dell’agente.

A Glam non restava di meglio che credergli, vista la situazione senza sbocchi.

Il rapitore, infatti, non si era ancora fatto vivo e quindi la sua rivalsa, contro Palmer, poteva significare un unico epilogo; il peggiore per l’ostaggio.


“Non siamo qui a caso” – si inserì JD.

“Vorresti dire che”

“Sì Glam, nella zona H, quella verso l’oceano, dove ci sono i moli di attracco per le navi cargo, vennero costruiti anche una serie di box, di quelli che si noleggiano, hai presente?”

“Certo, anche il mio studio ne ha diversi in centro, per gli archivi ormai in disuso; quindi Josh potrebbe essere lì?”

“Jordan me lo diceva di continuo, che ci avrebbe fatto marcire Palmer, appena libero; dopo il sisma, anche lui è evaso, approfittando della confusione”

“Come hai fatto tu, del resto” – Geffen si lisciò il capo rasato, teso, ma pronto ad agire – “Ok, ma senza una squadra d’assalto ed un negoziatore, come facciamo uscire vivo Josh, da quella trappola?”

“Ci parlo io con lui” – asserì convinto Morgan, ma l’occhiata del suo compagno lo incenerì.

“Scherzi, vero?! Quello come minimo ti ammazza, come pensi di poterlo convincere o distrarre?”

“Se riuscirai nell’intento, Palmer ti concederà la grazia: ti do la mia parola” – replicò Glam, senza esitare.

“A me basta potere lasciare questo inferno, con Norman, Philip e Lucas, avere soldi per rifarci una vita altrove e una fedina pulita, ok?”

Geffen scrutò Rossi – “D’accordo” – e gli tese la mano.

Morgan gliela strinse.

“JD … Mio Dio” – mormorò Reedus, impotente, verso le loro decisioni, ormai irrevocabili.



 https://www.youtube.com/watch?v=qgmXPCX4VzU


Jared riordinò i giocattoli dei gemelli, per l’ennesima volta.

Sorrise, trovando sotto ai letti, dei vecchi peluche di Isotta, che lo stava spiando.

“Che c’è principessa?”

Isy rise fragorosa, correndo poi ad avvinghiarsi a lui, come un cucciolo portatore di gioia.

“Ciao papà! Posso aiutarti?” – e si misero seduti al centro della camera di Ryan e Thomas.

“Certo … Ti ricordi di questo?”

“Come no, è Samuel, il babbuino feroce!” – e la sua allegria, in quel ricordo, colorò l’ambiente, anche grazie alla sua sconfinata bellezza.

Somigliava sempre di più al celebre genitore, ma anche alcuni tratti di Syria, che sorrideva da una fotografia, appesa alla parete, con altre cento almeno, erano impressi nel volto e nei capelli della bimba.

“Dio, che splendore che sei, tesoro” – disse spontaneo Jared.

Farrell si aggregò a loro – “Se c’è da lavorare me ne vado subito!” – e anche sul suo volto, la serenità si animò di sfumature calde e rassicuranti.

Il leader dei Mars sarebbe impazzito, se solo avesse perduto, anche un solo pezzo di quell’esistenza, insieme a lui e ai loro figli.

Era meglio non pensarci.





L’efficienza di Garcia, alla sede dell’FBI, dove Rossi lavorò per anni, fornì dati fondamentali a Geffen, per individuare la tana di Jordan Hacker, come la definì l’informatica, senza la consueta vivacità, perché altrettanto in ansia, per le sorti di Josh.


Un paio di sassi, lanciati contro alla serranda del box numero 1980, fecero sobbalzare sia il figlio di Palmer, che il suo aguzzino, armato di una vecchia Beretta, eredità, mai denunciata, di uno zio italo americano.
JD attese qualche interminabile attimo, poi si avvicinò, tenuto d’occhio dai suoi amici, poco distanti e ben nascosti.

“Ehi Jordan, non si apre ai vecchi colleghi di gattabuia?!” – gridò, il cuore in gola.

Morgan pensò agli occhi di Philip, al suo affetto, che i trascorsi del padre, non erano riusciti a cancellare.

Un cigolio lo riportò sulla scena, di quella situazione assurda e pericolosa.

“Che mi venga un colpo, JD Morgan … Da quale fogna sei riemerso, ti credevo in Messico, figlio di puttana” – e sghignazzò, accogliendolo in quella maniera confidenziale e volgare.

JD allargò le braccia – “Ho sentito alla radio di Palmer e ti ho pensato”

Hacker uscì guardingo, ma di poco, dal suo nascondiglio – “E che cazzo vuoi, sentiamo”

La canna della sua arma, luccicò minacciosa.

Reedus perse un battito.

“Aiutarti e dividere il bottino, è ovvio”

Jordan tirò su dal naso – “Aiutarmi? A farmi il moccioso?” – rise ancora, più sinistro – “Ci ho pensato, sai? E’ molto carino, vuoi vederlo?”

“Certo che sì … Sbattiamocelo pure e poi prendiamo i soldi, lo liberiamo e”

“Non dire stronzate JD! Questo non ci torna a casa! Palmer mi ha rovinato, non dimenticarlo, cazzo!”

Stava sudando troppo, era di sicuro fatto di coca o di qualche anfetamina.

“Ok ora datti una calmata: ho dei contatti, ti faccio uscire pulito e con un sacco di grana, Palmer pagherà qualsiasi cifra e tu lo sai, non fare l’idiota, non sprecare questa occasione d’oro Jordan! Perché sporcarti le mani del sangue di questo Josh?”

Hacher strizzò le palpebre, già tremolanti.

“Non era questo il piano”

“E noi lo riscriviamo, il tuo piano del cazzo, Jordan!” – JD rise, strozzato dall’angoscia, di non sapere come uscirne.

“Ehi signore, mi sono perso, può aiutarmi?”

La voce di un bambino risuonò al lato opposto, rispetto a quello, in cui Morgan se ne stava impalato, da almeno dieci minuti.

Anche la sua figura minuta, non si mosse, mentre quella di Geffen ebbe un tremito convulso – “Lula!?!”

Hacker guardò nella direzione di soldino, distraendosi per il tempo sufficiente a JD di volargli addosso, per sopraffarlo.

Lula si dissolse in una folata di polvere e luce.

Glam e gli altri si precipitarono, rendendosi conto che era stata come un’allucinazione collettiva.

Un sortilegio risolutivo.

La colluttazione tra i due ex detenuti, fu violenta e drammatica.

Un colpo risuonò cupo, mandando in frantumi i fotogrammi di quegli istanti terribili.

JD si accasciò.

Norman, ancora in corsa, sparò al petto di Jordan.

Un colpo dritto al cuore.

Come quello, che aveva appena colpito il suo uomo.

Il suo amore maledetto.














mercoledì 18 aprile 2018

One shot - E non arriverai al mare


One shot -  E non arriverai al mare





Pov Jared Leto
Los Angeles on avril, 2018



La pelle del volante è liscia, ben cucita, ne seguo i bordi, così le insenature regolari, come dune, dove le mie dita solcano le curvature, il fondo, risalendo poi per le estremità arrotondate e perfette.

Fisso la sequenza di entrambe le mani, dimentico di respirare.

Un cigolio, poi un colpo secco e asciutto; ho i finestrini abbassati, fa caldo.

Alzo lo sguardo e ti vedo.

Finalmente.

Sali.

Inspiri, espiri, fissi davanti a te quel cancello, non dici niente.

“Claudine, forse, si sarà arrabbiata” – esordisco, senza guardarti ancora.

“No, figurati, era entusiasta invece”

Sorridi piano, gli occhi bassi, ora.

“Dove ti porto, allora?”

“Grazie per essere venuto, Jay”

Mi osservi, tirando su dal naso; armeggi con una sacca, è sempre la stessa, ci tieni di tutto, quando viaggi, quando ti sposti in aereo, perché hai ancora paura di volare.

In ogni senso.

“Di nulla, Colin”

“Avevi di sicuro da fare, con la band, i set” – divaghi, tremando nella voce, riguardandoti in giro, come a cercare una via d’uscita.

Credevo fossi contento di vedermi, sono passati mesi.

Anzi, anni.

Due, circa.

Come è possibile?

“Sei felice?” – ti chiedo, scrutandoti adesso, perché voglio vedere ogni centimetro del tuo volto contrarsi o distendersi, a seconda di cosa mi racconterai.

Di nuovo bugie?

Forse.

Ridacchi.

“Oh cazzo Jay”

“Potresti chiamarmi Jared?”

“Che stronzata”

Siamo duri allo stesso, identico, modo, nello scambio delle ultime due battute eppure nessun regista ci darà lo stop.

Siamo abituati a massacrarci.
A non volerci bene affatto.


“Se lo fossi stato, sarei qui?” – una contro domanda esaustiva.

La mia, in compenso, era davvero idiota.

Ti conosco così bene, Colin James Farrell, da potere persino prevedere cosa farai tra un secondo.

Cercherai una sigaretta, nel giubbotto stinto.

Senza trovarla.

Accade.
Te ne offro una io, estraendola dal vano porta oggetti del mio nuovo Suv bi-power.


Sfioro il tuo corpo e ti contrai un minimo, poi sorridi di nuovo.

“Grazie Jay o Jared o come diavolo vuoi”

“Non c’è motivo di incazzarti e non con me” – replico fermo nella mia stupida convinzione, che, almeno questo giro, non ricadrò in vecchi errori.

E tu qui, in questa clinica, ci sei corso per fare altrettanto.

Motivo?

Stress da lavoro.
Claudine ha raccontato la stessa balla a me, peccato non fossi un giornalista qualunque.


“Scendi se proprio non puoi farne a meno, di fumare intendo, fallo nel parcheggio”

“Credevo andassimo via subito” – e la nascondi in una tasca, del tuo bagaglio.

“Sì, ma dove, Cole?”




Ti ho portato a casa mia.
Ogni minuto che passa, credo sia stata, questa sì, una vera stronzata.

Mi accomodo in una poltrona qualsiasi, tu studi ogni dettaglio, di quell’ambiente sconosciuto.


“Ma allora è vero … Un ex base militare … Bella la piscina” – pensi ad alta voce, mentre il riverbero dell’acqua, oltre la vetrata, sembra animarsi nelle tue iridi scure.

Anch’io ti sto analizzando, anche se ti conosco come nessuno al mondo.

Un mondo, dove un posto, per te e per me, Colin, non esisterà mai.
Le rammento bene, le tue motivazioni, la rabbia, durante l’ennesimo litigio.

Quindi l’ennesima tua … Decisione?

Tu, che non hai mai deciso davvero nulla.

Ti avvicini, inginocchiandoti.

In un flash back ti rivedo così, a supplicarmi, di tirare fuori l’ultima bottiglia di liquore, perché sei troppo fatto per uscire a comprarne una nuova.

L’avevo nascosta, senza svuotarla.
Poi la tirai fuori, la vuotai, come tu stavi facendo con la mia vita, sempre messa, da me al secondo posto, rispetto alla tua, incasinata più che mai.

Eri così giovane e così stupido.


Mai quanto il sottoscritto, avrebbe detto Shannon.
Se sapesse che sono qui, con te, mi ucciderebbe.



“E tu lo sei, Jared?” – chiedi improvviso, riportandomi in questa stanza.

Ti tormenti gli anulari, forse ci portavi un nuovo anello, forse no.


“Cosa?”

“Felice”

Sbuffo, cercando un’altra prospettiva, rispetto alla tua bocca, che muoio dalla voglia di baciare.

“Ogni tanto Cole, ogni tanto” – e provo ad alzarmi, però tu mi fai desistere.

“Rimani qui, ancora un minuto, perché ben presto mi butterai fuori, questo lo so e lo sai anche tu, Jay”

“Che importa?”

“A me importa”

“E cosa cambierebbe, restare fermo o”

Il bacio arriva, per farmi stare zitto.

Per farmi felice.




Le nostre dita si intrecciano e tu calchi i palmi, sui miei, scivolando per il sudore, ma senza abbandonare la presa.

Non fa male, come il tuo corpo dentro al mio, dopo troppo tempo.

Mai più avuto nessuno.


Che mi facesse soffrire come tu hai fatto.

Che mi amasse, come tu hai saputo amarmi.


Sei ovunque e da nessuna parte.

Questo lo so.
E lo sai anche tu, Cole.


Ti svuoti, come quella bottiglia.

E non arriverai al mare, dopo un percorso lunghissimo, come quel whisky.


Continuerai a ribollirmi, a quella profondità, dove non c’è più spazio per qualcuno, che potrebbe cancellare il ricordo di te.


Come se lo volessi …




Ti rivesti, con lentezza, soltanto i jeans, poi frughi nelle tasche.

“Ho … Ho bisogno di un po’ d’acqua Jay”

E sembri sfinito.

Persino confuso.


“Cosa sono?” –  lo chiedo, incollandomi alle tue spalle.

“E’ … E’ la terapia” – e provi a nascondere un paio di pasticche violacee.

“Ma cosa cazzo ti hanno fatto?” – mi altero.

Prendi fiato e continui a sudare, anche se non stiamo facendo l’amore, come un attimo prima.


“Mi … Mi hanno fatto parlare, ci hanno provato almeno, però non gli raccontavo granché … E poi dormire, mi hanno fatto dormire tanto” – e ti pieghi verso il mio cuore.

Ti abbraccio.

Ti stringo così forte, che potrei anche mandarti in pezzi, come se già non lo fossi a sufficienza.



Piangi.

E’ la reazione migliore, in certi momenti.


Dicono.




Le apro senza fare rumore.

Kelly esita sulla porta, mi sorride appena, è accaldata e in ansia.


“Dai entra” – provo a essere gentile, del resto lei non mi ha portato via nessuno, tanto meno Colin.

“Grazie” – è timida, non come nel suo lavoro; la conosco da tempo, il suo numero era rimasto nella mia rubrica, per dei vecchi concerti fatti con Bono e gli U2, per la quale fa l’assistente personale di The Edge.

Quando scoprii che era lei, “la vita normale, di cui ho bisogno Jay!”, non ci rimasi neppure male.

La morte era arrivata ben prima.
Le umiliazioni, grazie a Colin Farrell, erano state ben altre.


“E’ di sopra, sta riposando” – e vado oltre la soglia, verso l’esterno.


“Ma tu non rimani, Jared?” – domanda smarrita.

“No, io devo andare”

“Ok …”

“Abbi cura di te, addio Kelly”


Ho le gambe come macigni eppure riesco ad arrivare all’auto, ci salgo, riprendo il volante, stritolandone le insenature, appannando il pellame, di sudore e di lacrime.

Sono un tale idiota.


“Idiota, come un qualsiasi innamorato.” – sentenzierebbe mio fratello.

Shan.


Qualcuno da amare mi è rimasto.


Qualcuno, che saprà ascoltare, al quale potrò, per l’ennesima volta, raccontare.



The End