martedì 21 febbraio 2017

NAKAMA - CAPITOLO N. 92

Capitolo n. 92 – nakama



JD prese un’altra birra dal frigo ed un succo ai frutti tropicali, per Philip, steso tra divano e tavolino, dove imperava un discreto disordine, per il quale Norman non si sarebbe comunque lamentato.

Lui e Lukas erano in giro a cercare un nuovo casco per le competizioni precampionato del giovane motociclista; avevano legato bene, sentendosi a proprio agio reciprocamente, grazie ai gusti in comune.

Uno su tutti, amare i Morgan.

Il più anziano, si affiancò al figlio, loquace sulla sua intimità con il compagno – “Certo con Lukas devo sempre stare attento, perché il mio cuore non sopporta certi ritmi, è un po’ bradipo, sai?”

JD rise di gusto, scompigliandogli i capelli.

“Mentre tu e lo sceriffo, lo fate spesso, papà?” – chiese adorabile, facendo arrossire l’ex galeotto.

“Dipende … Sì, insomma … Ok, in pratica tutti i giorni” – ammise, paonazzo in volto, mentre l’altro si inabissava nel collo alto, del maglione, che Reedus gli aveva regalato per Natale.

“Oh cavoli, è divertente avere questa confidenza” – rise, senza riemergere, tenendosi il bordo di lana, con le dita affusolate.

“Phil a me va bene la nostra confidenza”

Una tosse improvvisa, interruppe il loro interagire ilare e complice: il ragazzino si mise seduto, mentre le sue gote vermiglie, si riempirono ben presto di lacrime.

“Tesoro, mio Dio bevi un po’ d’acqua!” – Morgan si agitò, passandogli un bicchiere colmo di minerale, che Phil respinse, prendendo dalla tasca dei jeans, una pastiglia microscopica, che, svelto, sciolse sotto alla lingua, superando, anche se in affanno, quella crisi.

JD lo strinse forte – “Stai meglio, vero?” – chiese in angoscia.

Phil annuì, tremando, felice, però, di essere così vicino a lui, presente e forte, ai suoi sensi, da troppo tempo carenti, di quella figura, all’apparenza solida, che Morgan aveva saputo ridonargli, inaspettatamente.

L’arrivo di Norman e Lukas, stabilizzò la situazione, con l’intervento amorevole di quest’ultimo, a rassicurare più Morgan senior, che Phil, ormai tranquillo, abituato a certi inconvenienti, in presenza di emozioni intense.

JD si isolò in cucina, il fiato corto, Reedus alle calcagna, ma a distanza di sicurezza; l’uomo doveva sbollire la rabbia, anche tirando un pugno al pensile, contro al quale aveva incollato la fronte madida.

“Calma … Calmati JD” – Norman lo disse piano, prendendolo a sé, un attimo dopo e, nonostante la differenza di altezza, a favore del più vecchio, Morgan sembrò rannicchiarsi su quel petto ampio e tatuato, sentendosi alla stregua di un bimbo, senza difese e senza armi.

“Non posso aiutarlo, non ci sono mai riuscito!” – ruggì, devastato da un pianto comunque liberatorio.

Quel momento era stato rimandato, quasi per miracolo, sino a quel giorno, dal suo incontro con Philip.

“Ci penserò io, ok?” – Reedus tornò a guardarlo, affettuoso e convincente.

Si baciarono, JD lo baciò.
Con disperazione.
E sconfinata fiducia.





Il soffitto iniziò a dilatarsi, come le loro pupille, fissate su di esso.

Risero.

“Je Jesse, ma dove … Dove hai preso questa roba?” – Rovia ridacchiò, steso supino accanto a lui.

Pinkman diede una seconda boccata, a quello strano spinello.

Poche gocce di un composto, creato da White, uno dei suoi numerosi esperimenti, rimescolato all’erba rollata nella canna, quasi alla fine e il loro mondo, divenne a colori.

Sgargianti, psichedelici.

L’interno dell’officina di Paul, sembrò diventare di colpo una discoteca, ma solo nei loro cervelli alterati dalla droga.

“Fantastica, vero? L’ha creata il mio uomo, questa meraviglia” – Jesse prese un respiro profondo, girandosi sul fianco sinistro, non senza infilare una mano, sotto all’elastico dei pantaloni, della tuta dell’altro.

Anche lui ne indossava una, erano andati a correre sulla spiaggia all’alba.

“Ehi” – Rovia ebbe un lieve sussulto.

“Volevo vedere se eri fatto come me” – scherzò lo studente di Chimica.

Rovia lo lasciò fare – “Come se non lo sapessi”

“Miseria”

“Che c’è?”

“Stai messo come me, è vero Paul” – e lo baciò, sovrastandolo, liberandolo da quell’indumento, con la facilità con cui si sbuccia un’arancia.

Un’arancia blu, come gli occhi di Rovia.

“E’ … E’ un casino, che non lo faccio … così” – gli ansimò Jesse nel collo e nella bocca.

Paul si appese a lui – “Non … non capisco” – sorrise, ricambiando ogni bacio, ogni carezza.

“Ho avuto delle ragazze … un casino di ragazze”

“Wow, ma io non sono una ragazza”

“Lo so, per questo mi piaci” – Pinkman si fermò per un secondo, per scrutare ogni dettaglio, anche se nessuno di loro era veramente lucido.

Rovia gli fece scendere i boxer e il resto, poco sotto ai glutei sodi, che non tardò a conquistare, con i palmi caldi e aperti, quanto lui, in quel punto dove Jesse, ora, stava cercando un varco, ritrovandolo bagnato e ricettivo, come neppure osava sognare.

Cominciò a spingere, febbrile, schiudendo Paul, come se fosse un fiore nel deserto, delle loro solitudini.

Con Walt si era fatto tutto così complicato.

E Jesse si sentiva così stronzo, a volte.
Eppure anche nel giusto, dopo avere subito troppo, da uno come White, che non gli aveva risparmiato nulla.

Certo, lo aveva perdonato, poche ore prima, ci aveva fatto l’amore a lungo, nonostante le difficoltà fisiche, dell’ex prof.

Eppure Rovia era un sogno, di bellezza, di accoglienza, di tenerezza.

Forse Pinkman se ne stava innamorando.
Forse Paul, di lui, lo era già.
Perdutamente.






Alice nel paese delle meraviglie, questo il tema scelto, per il compleanno di Violet e Jared.

Downey bisbigliò a Law chi dei due festeggiati, avrebbe incontrato per primo il bianco coniglio della favola; l’inglese rise, baciandolo, sotto al gazebo delle rose screziate di viola, un nuovo innesto, creato da Mr. Wong, per l’occasione, mesi prima.

“A Jared il vestitino azzurro della protagonista, donerebbe molto, non credi Judsie?” – aggiunse simpatico.

“Ehi, credevo che tu e lui aveste fatto pace, cosa sono questi commenti, Rob?” – e arrise al suo splendore ritrovato.

“Sarà l’età, sto diventando acida” – e sottolineò con una smorfia, le ultime sillabe.

“No, anzi … Ma non cambiare mai, non sarai mai abbastanza caustico, da scandalizzarmi” – e gli cinse le spalle, baciandolo tra le ciocche brizzolate.

“Infatti non voglio cambiare abitudini … Di recente abbiamo provato a risolvere i nostri screzi, alla moda di Colin e Jared, non trovi?”

“Cioè …”

“Scopando, Jude!” – e rise fragoroso.

“Oggi mi darai del filo da torcere, forse per i buoni propositi, in vista del nuovo anno, Rob?”

“Forse … Ma il nostro dialogo, la nostra intimità, nel dirci ogni cosa, da sempre, non dovrà mai venire meno, tesoro, ok?”

“E’ una delle cose, che ho sempre amato di più, nel nostro rapporto, nonostante le burrasche … Nonostante me” – ammise, abbassando lo sguardo di ghiaccio.

“Guardami Jude”

Law lo fece immediato e intenso.

Downey se lo fece bastare.





Norman si stava schiacciando sull’addome il dossier, riguardante Philip, da almeno un quarto d’ora, nella sala di aspetto dello studio Geffen.

Gli uffici erano aperti per un paio di giorni, nonostante le festività, per la chiusura di alcuni casi urgenti.
Le impiegate elegantissime, sfilavano tra mobili antichi e oggetti preziosi, mentre Denny e Marc ciondolavano in corridoio, in attesa che la porta del regno si aprisse, come aveva sussurrato Hopper a Reedus, dopo avergli offerto un caffè.

Il legale e lo sbirro, si conoscevano da anni: il primo lo aveva preparato ad una testimonianza, in un caso difficile, dove uno dei loro clienti era stato incriminato ingiustamente.

Dopo qualche ulteriore chiacchiera, Marc rispose ad una chiamata di Jamie, tornando alla sua postazione.

Denny sbuffò – “C’è Rob, da Glam, con Pepe” – e sembrò giustificare il suo boss.

“Nessun problema … Siete stati gentili a ricevermi” – replicò, quasi timido Norman.

“Glam era curioso di conoscere i dettagli, quando lei ha parlato di un caso di vita o di morte”

“Era con lui, quando ho telefonato?”

Denny non gli rispose, scattando all’apertura delle ante in radica, tra le quali spuntarono Geffen, il suo celebre ex e il loro cucciolo, in braccio all’attore.

Glam diede ancora una coccola a Pepe, gongolante tra loro – “E non fare i capricci, ok amore?”
“Lo stai dicendo a me o al nostro tesoro?” – scherzò Downey, attirando su di sé un’occhiata amorevole, da parte dello squalo del foro, che nulla aveva di minaccioso, in quel particolare istante, che colpì Reedus, per l’ennesima volta.

Denny si infilò, per annunciare Reedus, impacciato nel salutare Robert, che svanì verso gli ascensori, mentre Glam socchiuse appena, lasciando uno spiraglio, sul suo interagire con Glover.

Incurante di essere spiato, come in effetti stava avvenendo, Geffen cinse i fianchi di Denny, baciandolo nell’incavo sotto al mento, bollente e sensuale – “Ti ho già ringraziato per la notte scorsa, piccolo?”

“Mi sei grato per cosa? La sera prima te la sei spassata con Scott o pensi che nessuno se ne sia accorto?” – e rise, abituato ormai alla costante inaffidabilità del suo capo.

“Sono in un periodo di transizione”

“Tra un ex e quello successivo? Sì, mi pareva … Di là c’è Norman Reedus e sembra davvero preoccupato”

“Bene, fallo accomodare e se vuoi, resta, ok?”

“Ok … Tenente Reedus, prego”

“Grazie … Buongiorno signor Geffen”

“Salve, non diamoci del lei, evitiamo i convenevoli, tu mi stai davvero sullo stomaco, per quello che hai fatto a Paul, quindi non prendiamoci in giro: non ho idea di quale sia il tuo problema, Reedus, ma dovrà trattarsi di qualcosa di veramente toccante, per evitare di sbatterti fuori a calci da qui, chiaro?” – esordì duro, l’avvocato dei divi.

“Chiarissimo” – replicò Norman, senza scomporsi, per poi porgergli la cartellina in tinta avorio, dov’era contenuta tutta la vita di Philip.

Geffen la analizzò velocemente, concentrandosi, però, sulla cartella sanitaria del ragazzo.

“Questo è l’archivista dell’Ucla, io lo conosco” – disse infine Glam, tornando a fissare il suo interlocutore, che perse un battito.

“Non ne avevo idea …”

“E’ amico delle mie gemelle e non solo … Inoltre l’ho selezionato per l’assegnazione di un alloggio, nel nuovo quartiere post sisma, considerata la sua situazione familiare e di salute: non ricordavo fosse così grave”

“E’ di questo che si tratta: Phil ha bisogno di un’operazione molto particolare, ma la sua assicurazione non è sufficiente a coprirne i costi esorbitanti”

Glam annuì – “Come mai mi sottoponi tu, questo caso?”

Reedus deglutì a vuoto – “Conoscevo la madre, Dana, si chiama così … Arrestai il marito”

“Aspetta un attimo, il marito? JD Morgan, quello che ha ricattato Paul, per non parlare del resto … Guarda che so cosa è successo!” – sbottò acre.

Forse sarebbe stato meglio dirgli la verità, ma Norman non se la sentiva di correre un tale rischio.

“E’ acqua passata, è stato un episodio assurdo, che ha posto fine alla mia relazione con Paul, però questa è un’altra storia ed è maledettamente più importante!”

Denny li stava analizzando, in quel confronto, che stava per animarsi eccessivamente.

Glam inspirò greve – “Ho la massima simpatia per Philip, non so come possa essere figlio di un bastardo simile, ma del resto lo sono anch’io: per certi versi, mio padre non è stato migliore di JD Morgan” – e stinse i pugni, sopra la scrivania.

Reedus aveva il cuore a mille.

“Phil è solo, sua madre l’ha abbandonato per colpa di Morgan, dei suoi casini, ma ho saputo da Philip stesso, che JD agì per procurarsi il denaro per farlo curare”

“Un padre deve fare il possibile per garantire il benessere ai suoi figli, su questo posso capirlo, ma non giustificarlo: a proposito, che fine ha fatto JD Morgan?”

“Era evaso, ha lasciato la città, con il denaro di Paul: non so dove sia finito e non mi importa, a me importa di Philip, ok?”

“Perfetto, ma io cosa centro in tutta questa storia?”

Norman sorrise di sbieco – “Tu puoi tutto, vero? Io oggi ti chiedo un gesto di solidarietà, perché Phil potrebbe morire, a causa della sua malformazione cardiaca”

“E’ quindi peggiorato?”

“Sì e non vive, lui rinuncia, rinuncia a tutto, per evitare le crisi respiratorie, capisci?”

“Certo …” – e si alzò dalla poltrona – “Lo aiuterò: il professor Mikkelsen effettuerà l’intervento, io lo persuaderò a farlo, senza alcun addebito, così Phil non mi dovrà nulla, ma mai avrei preteso qualcosa, d’accordo?”

“Ti ringrazio Glam …” – e gli tese la mano, sollevandosi a propria volta.

Geffen la strinse deciso, quasi a convalidare definitivamente, l’impegno appena preso – “Venite da Mads nel tardo pomeriggio: Denny organizzi tu, la cosa?”

“Va bene, lo faccio subito, arrivederci tenente”

“Arrivederci …”












giovedì 9 febbraio 2017

One shot – Non morire, tu non piangere

One shot – Non morire, tu non piangere



Los Angeles, una sera, accaduta mai



Jared rigira la scatoletta, di velluto avorio, tra le dita affusolate.
Mani d’artista, sua mamma glielo dice ancora adesso, quelle di Jared Leto.

Respira.
Ci prova, almeno.
Poi la apre.

Una catenina, di fattura semplice, pulita, con appeso un ciondolo.
Qualcuno penserebbe ad un cornetto, di quelli italiani, lungo, sottile, a punta, come il corpo di Jared e come le sue parole, affilate, dolorose, quando serve.
In oro bianco o argento, ma non ha importanza.

Lui pensa unicamente che sia identico a qualcosa di visto poco prima, che arrivasse in quell’hotel, in quella stanza, passando dal retro, accompagnato da un bodyguard, che non è il suo.

Lo conosce, quel tizio, che non parla mai, però è affidabile, forse uno dei migliori e fa sempre, ciò che gli si chiede di fare.
O glielo si ordina.

Era stato sufficiente un biglietto, dentro la confezione di quel gioiello, per farlo salire in auto, insieme a lui.

Jared pensa, che sa appena il suo nome, forse neppure ne è sicuro, Dan o Ray.
Di certo, da anni, Dan o Ray o come diavolo si chiama, lavora per Colin Farrell.

È al suo collo, che quel gingillo penzolava, poche ore prima.
Jared gli è arrivato talmente vicino, tirato per il braccio sinistro dell’irlandese, per poterlo notare.

Il moro aveva preteso un selfie, rompendo una regola, fondamentale, tra loro, da anni, anche se non si vedevano da mesi.

Mai uno scatto, mai una parola.

L’amore vuole il silenzio.
L’amore vero, è esigente e severo.
E’ doloroso e puro.

L’amore.
Sì, l’amore.


La porta, alle sue spalle, si riapre e poi si chiude.

Silenzio.
Ancora silenzio.

“Se pensi di cavartela, chiedendomi una foto con te” – Jared non riesce a stare zitto.

Buon segno.
Vuole dire che non è davvero arrabbiato.

Diversamente, Farrell lo sa bene, l’americano riesce a stare muto e riflessivo, mentre ti osserva, per giorni, tenendosi nello stomaco anche litri di rabbia.

Un mondo liquido, il loro, dove tutto scorre, in un percorso obbligato.
Da pr.
Agenti.
Sponsor.


Bisognerebbe andare oltre, superati i quarant’anni e avere raggiunto certi traguardi.
Eppure il gioco di prestigio, non riesce ancora a nessuno di loro.

Il motivo, si attorciglia, come un serpente, in una spirale di scuse, di imbarazzanti timori, di insicurezze più o meno giustificate.

Allora non è, amore vero.

L’ultima litigata si era chiusa con questa frase.
Lapidaria.
Dallo stomaco di Leto, ormai esploso, al petto di Colin, contro il quale Jared aveva scagliato un anello, che nessuno aveva mai visto, perché mai lui lo avrebbe mostrato in pubblico e neppure in privato: Farrell ne aveva la piena esclusiva.

Eppure non in quanto privilegio, bensì come atto di ulteriore vigliaccheria di entrambi.

Inutile raccontarsi favole.
La mezzanotte della loro vita, era passata.

Forse.


“Il mio regalo ti è piaciuto? Posso aiutarti a metterlo, Jay?”

Appoggiato alla tappezzeria, le mani in tasca, la giacca aperta, sulla camicia sbottonata a metà, un po’ sotto al cuore, un po’ più sopra del suo ombelico, forse è lì, il posto migliore, dove Jared abbia mai dormito.

Jay lo posa, sul comodino, il suo regalo, poi si siede sul letto, scalciando via le scarpe griffate, di serpente e strass.

Quello sì, è stato un dono gradito, a quanto pare, pensa Colin, perché le indossa spesso.

Dettagli.
Farrell non se ne perde uno.

“Cosa fai?”
Chiede, deglutendo a vuoto, le mani ancora in tasca, quando anche la casacca di Leto vola sulla moquette, lasciandolo mezzo nudo e scalzo.

“Se siamo qui per scopare, tanto vale non perdere tempo, no?”

E lo sfida, con una saetta di zaffiro e luce, puntandolo come una preda o come un carnefice, scambiarsi quel ruolo, è stata quasi una regola, per un’eternità, mai sbocciata, mai vissuta.

“Sì, forse siamo qui anche per questo, ma non subito, non senza”

“Oh ti prego!” – e ride, una risata squillante e lambita da un accenno di disperata commozione.

O commiserazione reciproca.

“Jared”

“Jared cosa?! Basta stronzate!” – e si rialza, con un guizzo, poi riprende i suoi vestiti.

Prova ad andarsene.
Sapendo, che sarebbe rimasto lì per sempre.
Con un ricordo, l’ennesimo, che gli farà così male, da non trovare pace, in alcun luogo, neppure il più remoto.

“Dovevo girare, per questo non mi sono fatto sentire tanto e”

“Come se qualcuno te lo avesse chiesto!” – Leto lo fronteggia, faccia a faccia.

A muso duro.

“No, nessuno me lo ha chiesto, Jay, però tu non sei mica rimasto in esilio ad aspettarmi!”

Difesa debole.
Stupida.

Ossigeno.
Tempo.
Jared Leto ne ha bisogno, per non precipitare di nuovo.

Per non arrendersi e dare ancora una chance a quell’agonia.

“Ho provato a vivere una vita, la meno odiosa, che mi fosse possibile, ok?” – ringhia e muore.

Di rabbia.
Di rancore.

“Ti sei quasi ammazzato! Devo sapere di te, seguendo i social, come un coglione, mentre tu bivacchi sospeso o ti arrampichi, con quei tuoi amici del cazzo!”

Uno schiaffo, è ciò che echeggia nell’ambiente, in risposta a quell’ennesima offesa.
A Colin Farrell, gli amici di Jared, non sono mai andati giù.

Cortigiani e servili, solo per approfittarsi di lui.

Quando, paradossalmente, Colin si riferiva a sé stesso, senza neppure rendersene conto.

“Muoio dalla voglia di baciarti Jay”
Colin quasi lo sussurra, così vicino a lui, da poterlo afferrare quel sogno.

Per il volto, percependo gli zigomi di Jared vibrare, mentre lo bacia, febbrile e sconvolgente.

Riesce ancora a esserlo.

Impedirglielo, sarebbe impossibile, come fermare il vento, quando spalanca una finestra.

E così inutile.

Infine, Farrell interrompe il contatto, con un distacco netto, senza più fiato in gola.

Lo fissa, poi lo lascia andare, senza liberarlo mai, dalla propria catena, in realtà.

Infine respira.

“Non morire Cole”

“E tu non piangere”

Fa un ulteriore passo indietro, verso il centro della camera.

“Sai Jay, è stato come avere il mondo tra le mani, sapendo di poterlo mandare in pezzi o lasciarlo galleggiare tra le stelle!”

I suoi occhi divampano di soddisfazione e onnipotenza.

“Hai ricominciato …”
La voce di Jared è un soffio, mentre lo sta guardando, notando vecchi segnali, che sono come pugnalate.

“A fare cosa?”
Colin ridacchia, lisciandosi i capelli all’indietro, ciondolando per la stanza, fino al mini frigo.

Lo apre e ne pesca un liquore.
Lo beve.
Una dose ridicola, per chiunque, ma non per un ex alcolista come lui.

“Un goccio, ogni tanto, che sarà mai?” – e ride ancora, passandosi il dorso sinistro sulla bocca, ancora arroventata da quel bacio, dal sapore dell’altro.



Los Angeles, la stessa notte, accaduta mai

Le dita affusolate, da pianista, di Jared Joseph Leto, scivolano sui tasti, accennando una melodia sconosciuta.

Zedd sorride, scrutandolo, mentre se ne resta seduto, allo stesso pianoforte.

Forse lo sta ammirando, non riesce a farne a meno, quel ragazzino, con cui Jared ha fatto l’amore un solo pomeriggio, di una vita, un po’ meno odiosa in quegli istanti, per poi trascorrere il giorno dopo, a chiedergli scusa.

“Scusa di cosa?”
Il suo sorriso, il suo candore, la sua gioia di vivere, erano la conferma, che Zedd avrebbe conservato, dentro di sé, una memoria preziosa, quanto incredibile.

“Mai avrei creduto, che tu ti accorgessi di me …”

Un mendicante di attenzioni, forse così lo avrebbe insultato Colin, se solo lo avesse saputo.

Un giorno.

Jared ha la mano sinistra in tasca, mentre di nuovo suona qualche cosa.
Che è solo nella sua testa triste.

“Tutto ok?”

Zedd lo chiede, perché neppure sa come mai il front man lo ha reclamato lì, a quell’ora, per un misterioso arrangiamento a un pezzo, da sottoporre a una casa discografica, che, probabilmente, neppure esiste.

Jared lo guarda.
Finalmente.

“Non volevo rimanere da solo, ho bisogno di un amico, che ascolti e poi dimentichi”

Zedd fa un mezzo sorriso, adesso.

“Allora raccontami la tua storia o cosa ti è successo stasera” – domanda, senza girarci intorno.

Jared sfiora il ciondolo, che si è lasciato appendere al collo, dopo essere andato a letto con Colin.

“Ho visto morire un sogno …” – inspira, a palpebre chiuse – “… ecco cosa mi è successo, questa sera Anton”







The end





Jared Leto and Anton Zaslavski  (Zedd) 




sabato 4 febbraio 2017

NAKAMA - CAPITOLO N. 91

Capitolo n. 91 – nakama



Entrarono in casa senza urgenza, tenendosi per mano, dall’uscita dell’ascensore alla soglia, mentre Norman apriva con le chiavi, tenute insieme da un ciondolo della sua HD.

Glielo aveva dato Paul, era tra i numerosi gadget, di una delle prime forniture, della loro ditta.

Reedus, in compenso, non aveva ancora letto una raccomandata del commercialista di Rovia: la comproprietà dell’officina era rimasta in sospeso e lo sbirro doveva prendere una decisione in merito, presto o tardi.

Meglio tardi, pensò, dopo le feste.
Rivedere Paul, era l’ultima delle cose, che l’uomo avrebbe voluto affrontare in quel momento.

Si sentiva vulnerabile, dopo lo sgradevole episodio al Gelson’s e la stessa sensazione, ora, albergava in JD, nonostante quella confessione d’amore, pronunciata da Norman, tra il tavolino e il divano, in casa di Lukas e Philip.

Quest’ultimo, si era ripromesso di fare visita al padre il giorno dopo: il periodo di vacanza, per entrambi, sarebbe stato breve e lui voleva trascorrere più tempo possibile insieme e Morgan.

Lukas e Norman, avrebbero capito. 





Jared scartò il regalo di Geffen, con una certa trepidazione.
In certi gesti, che il legale dei vip, trovava adorabili, Leto non era mai cambiato.

“Wow un bracciale indiano”
Era in argento massiccio, con delle turchesi perfette e rare.

Un gioiello molto simile, a quello che Glam indossava sempre, anche con una certa dose di scaramanzia.

“E’ un portafortuna Jay, con me ha funzionato spesso: sono contento ti piaccia” – e sorrise affettuoso, mentre gli spostava i capelli, a lato del volto fresco e concentrato su di lui, adesso.

“Ti ringrazio … Sì, ne ho bisogno, di fortuna, intendo”

“Hai qualche problema, tesoro?”

“No, ma vorrei tornare in sala di incisione, fare un mini tour, insomma sai, quelle cose, che ti fanno sentire parte di un mondo, che ti manca, ecco” – rivelò sincero, gli occhi puliti.

“Sinceramente credevo ti riferissi ad altro … Ho parlato un po’ con Stella” – anche la sua, era una sorta di ammissione, ma non di colpevolezza.

“Ah … Capito” – Jared arricciò il naso, simpatico – “… E’ giusto, perché sarebbe il fratellino o la sorellina di Syria, sempre se sarò d’accordo a portare avanti questa idea di Colin”

“Appunto, è una sua idea: tu cosa ne pensi, sinceramente?” – domandò più serio Geffen, versando una seconda tazza di tisana digestiva a entrambi, dopo il pranzo luculliano, preparato da Miss Wong, Pam e Carmela.

“Penso sia una cosa bellissima”

“Per principio, la appoggio a pieno” – Glam rise solare – “… tu sei un papà fantastico, dovresti averne cento di figli, sai?”

Leto scrollò le spalle magre, sotto la camicia a scacchi blu e bianchi – “So che tu ci saresti, anche per questo bimbo, il che mi rassicura, così come per Cole, che non ha mai fatto mancare nulla alla nostra ciurma: siete i due punti fermi della mia vita e, in certi momenti, anche in questo periodo, non mi sento con i piedi per terra, lo riconosco … Ne parlavo un po’ con Kevin”

“E’ preoccupato per te, me lo ha detto”

“Sei il confessore di tutti Glam” – anche il cantante rise – “… Lui e Tim sono molto felici, ma anche grazie all’equilibrio che Kevin ha raggiunto con te”

“Te lo ha detto lui?”

“Sì vostro onore!”

Geffen prese un respiro – “Siamo una grande famiglia, anche se alcuni componenti mi danno da pensare” – e lanciò un’occhiata a Paul, poco distante, impegnato a parlare con Scott, seduti entrambi davanti al camino centrale, del salone dedicato alle feste, all’interno della End House.

Farrell si avvicinò al consorte – “Bene, avete flirtato abbastanza, ora mi riprendo Jay!” – scherzò l’irlandese, avvolgendo il leader dei Mars, come la cosa migliore avesse al mondo.

Geffen arrossì leggermente – “Vi lascio soli, non combinate guai, ok?” – anche lui stette al gioco.

Del resto, non aveva molte alternative.





“Philip è innamorato di te: lo capisco”

Reedus ruppe finalmente il silenzio, mentre se ne stavano davanti alla tv, una birra a testa, a non seguire per niente un incontro di basket, piuttosto monotono.

“Morirei per lui” – asserì convinto, per poi inginocchiarsi tra le gambe del compagno, dopo avere posato la lattina sul parquet – “… e per te, Norman”

“Non ho dubbi su questo” – e gli si mozzò il fiato, davanti al suo volto sofferente.

“Perché anch’io ti amo”

Reedus annuì, tramando dentro, poi gli prese tra le dita gli zigomi, facendo aderire le loro fronti – “Eri bellissimo con tuo figlio, oggi”

“Nostro figlio … Posso pensarlo, così?”

“Certo” – e due lacrime solcarono le sue guance ben rasate, in un contrasto seducente, con la sua chioma spettinata.

Si baciarono, annullando ogni barriera, ogni rancore.

Norman gli fece spazio tra le gambe, anche se Morgan sembrò limitarsi, con pudore, a semplici carezze.

“Io voglio farlo l’amore con te, JD”

Si spogliarono, continuando a baciarsi, con foga crescente.

Collisero.

Ricominciando.
Ancora una volta.





Paul non riusciva a reggere il suo sguardo, anche un po’ inquisitore.

Scott avrebbe voluto scoprire subito le proprie carte, ma, fare i conti, con l’ennesima delusione, non era certo nei suoi programmi.

“Quel Pinkman è un tipo intrigante, ma i suoi precedenti sono inquietanti, non trovi?”

“I miei no, invece?” – bissò provocatorio il ragazzo.

Ascoltarlo sminuire Jesse, lo fece infervorare all’istante.

Tasto sbagliato
1 a 0 per Pinkman.

Il problema, quindi, era lui.

“Per te è una cosa diversa …” – abbozzò il medico.

“No Scott, sapevo quello che stavo facendo e sono finito in carcere, come un delinquente in piena regola, come tu pensi sia Jesse!” – affermò schietto.

Scott sorrise – “Difendi ciò in cui credi, senza mezzi termini, ti fa onore: Jesse è fortunato”

“Jesse ama il suo uomo, noi siamo solo amici” – puntualizzò, senza sapere il perché.

“Walter White, sì, l’ho avuto in cura, un tipo spigoloso e scostante, ma profondamente legato al suo complice: sono stati davvero pericolosi in New Mexico, Paul, te lo sto dicendo per il tuo bene, stai alla larga da Pinkman e se ti sembro invadente, perdonami, però non cambierò idea o atteggiamento nei suoi riguardi, ok?” – e si allontanò, anche per rispondere ad una telefonata.

Era Geffen.

“Finito di fare prediche al vento?” – Glam rise, mentre lo stava spiando dal piano superiore, affacciato sul salone.

“Ehi … Senti chi parla!” – Scott rise, mettendo una notevole distanza tra sé e Rovia.

“Mi occuperò di White a tempo debito e non solo: per quanto riguarda Paul, ho un conto in sospeso anche con quel Reedus” – disse più duro.

“Finiscila di fare il super eroe: Norman lo ha mollato, se mai dovessi scontare tu certe scelte, saresti già confinato in Alaska” – ironizzò il diagnosta, salendo ormai verso di lui.

Geffen chiuse la chiamata.

“Ce lo facciamo un giro Scotty?” – domandò scanzonato.

L’altro accettò, constatando che Rovia era sparito.





Si immersero nella vasca, prima Walt, aiutato da Jesse, poi questi, con estrema cautela, sospeso sopra di lui, mentre aveva ricominciato a baciarlo, i palmi aperti ai lati del collo dell’ex professore, in piena estasi entrambi.

A occhi aperti, sul reciproco appartenersi.

White si stava commuovendo, per le attenzioni dell’altro, unica sua ragione di vita.

Pinkman si staccò, spargendo ancora baci sfuggenti, su quel viso, che adorava.

“Piccolo …”

“Buon Natale Walter”

“Buon Natale amore” – sorrise, contemplandolo, di rimando al suo identico sguardo lucido e vibrante.

“Ora rilassati” – e cominciò a tamponarlo, con una spugna a forma di stella, uno dei tanti accessori, comprati da Jesse ai grandi magazzini, in una smania di shopping convulso, piuttosto divertente, in compagnia di Paul.

Già, Paul …

Il loro intermezzo intimo, ancora bruciava nello stomaco dello studente di Chimica.

“A che pensi?” – domandò White, sensibile a ogni variazione del respiro di Pinkman.

“A noi” – sorrise, timido.

“Voglio crederti” – e deglutì a vuoto.

Bastava un nulla, per mandare in pezzi l’armonia ripristinata, da sempre.

“Perché non dovresti, Walt?”

“Ehi, non litighiamo” – replicò più dolce.

“Hai cominciato tu” – Jesse uscì dall’acqua – “come al solito!” – sbottò acre, prendendo accappatoio e asciugamani, da un mobile in vimini bianco.

“Sono geloso, ok, cosa posso farci?! E’ normale, accidenti!” – protestò, ma stava come annegando, nella propria stupidità.

Doveva fidarsi, non c’era scampo, soprattutto nelle condizioni in cui era.
Ci sarebbe voluto molto tempo per recuperare, per risalire in auto, guidare, seguire Pinkman, sorvegliarlo, spiarlo.

Jesse era suo.

“Ti chiedo scusa, torna qui, per favore tesoro” – sembrò supplicarlo.

Era patetico.
Ridicolo.

Lui, che gli aveva fatto pesare ogni cosa, penare ogni conquista sentimentale e di coppia.

Lo avrebbe perduto, non poteva permetterlo, doveva rielaborare il proprio comportamento, misurare esternazioni e reazioni.

White doveva ricombinare gli elementi, come in una formula innovativa, per loro.

“Jesse ti giuro che cambierò, ok? Sono stressato da questo infortunio, da questa sistemazione”

“Cos’ha che non va, il nostro loft?” – chiese perplesso, fissandolo, mentre se ne stava appoggiato allo stipite, le braccia conserte sul petto.

“Più che altro non abbiamo il laboratorio, ecco”

“I soldi non mancano, miseria, ne abbiamo anche troppi e ben nascosti, dovremmo smettere, basta rischi!”

“Perché sei così agitato Jesse?” – ribatté più calmo, guardandolo amorevole.

Pinkman si ossigenò – “Anche per me non è semplice, ok? Vederti ridotto così, tu che hai provveduto a me, a noi, senza mai fermarti” – provò a spiegare, ma stava solo tergiversando.

Improvvisava.

In fondo a sé, Jesse Pinkman, aveva voglia di legalità, di porre fine a sotterfugi e traffici illeciti.

Per Paul?

Chissà.





Le spinte di JD, gli sembrarono arrivare dritte al cuore e oltre.

La virilità di Morgan lo destabilizzava e colmava, in ogni vuoto, che Norman si portava dentro dall’infanzia.

Lui era costantemente stato un “diverso”.

Schivo, quando invece ti aspetti vivacità e simpatia da un bimbo, per poi diventare un autentico ribelle.

Incostante, gli studi lasciati a metà e recuperati alle scuole serali, una volta entrato all’accademia, non riusciva mai a tenersi un lavoro, neppure quello come meccanico, che adorava.

Le sue maledette moto, per poco non ci moriva, rompendosi quella zucca dura e piena di chissà quali grilli, gli tuonava il padre, all’epoca dell’adolescenza, quando i suoi pensarono anche di spedirlo in qualche comunità.

Vederlo diventare il paladino dell’antidroga, fu quanto meno scioccante, ma i conoscenti nei bassifondi, lui, Reedus il mastino, non li aveva mai lasciati perdere, anche solo per una bevuta in compagnia.

Cose passate.
A parte Jacob, i suoi contatti erano quasi tutti spariti da Los Angeles, in parte finiti in galera, i più all’obitorio.

Norman si portava dentro un inferno senza voce.
Evitava di parlarne, tranne che con Morgan.

Che adesso, venendo copioso, era diventato il suo paradiso.