venerdì 6 ottobre 2017

NAKAMA - CAPITOLO N. 98

Capitolo n. 98 – nakama



“Ma non hai pensato alle tue bambine accidenti!?!”

La voce di JD esplose, appena varcata la soglia di quella camera, in un motel sperduto, al quale si erano fermati, dopo avere macinato decine di chilometri, perdendone il conto.

“E a Philip!? A nostro figlio!!”

Morgan aveva ragione su tutto e le sue urla gli stavano spezzando la schiena, mentre Reedus rimaneva tremante di spalle a lui, le mani artigliate al ripiano di una cucina scassata, la fronte contro gli sportelli del pensile, unto di chissà quante uova e bacon, preparate da qualche disperato prima di loro, in quella topaia, dove nessuno avrebbe fatto domande scomode.

Finalmente si girò, per affrontarlo, con la stessa rabbia, dolorosa e insostenibile.

“Certo che l’ho fatto maledizione!! Abbiamo quindici giorni, dove nessuno mi cercherà, sono in vacanza per il distretto e risolverò anche questo casino!”

JD rise in una smorfia, gli occhi lucidi di pianto e livore – “E così, mentre noi siamo in luna di miele, tu risolverai questo casino?!! Io mi sarei fatto al massimo otto, dei dodici anni della nuova condanna, forse anche meno, per buona condotta, perché avrei rigato dritto, per Philip, per te, per noi!! Ora come minimo mi beccherò l’ergastolo cazzo! Mica mi crederanno quando dirò loro che quel coglione del mio uomo pensava di essere Mad Max!!”

Norman incrociò le braccia sul petto, fremendo, spaesato e sfinito.
JD azzerò la distanza e con un gesto sicuro, ma colmo di tenerezza, lo avvolse – “Tornerò a Los Angeles, dirò che volevano farmi fuori, magari quelli della vecchia banda, ma sono riuscito a fuggire. Tu resta in giro ancora per un po’, magari vai a Las Vegas, ok?” – gli propose, brandendo il suo viso, sfigurato di lacrime e afflizione.

“Tu davvero non capisci … Io non ti voglio in galera, in fondo non hai fatto del male a nessuno, ci sei andato solo di mezzo” – disse piano, come se qualcuno potesse ascoltare le sue parole e scovarli, nel loro nascondiglio.

Morgan lo baciò, intenso, assoluto.

Lo spogliò lento, cercando la sua pelle, la sua carne, bollente e ricettiva, al suo tocco, alla sua bocca, che percorse, appassionato, ogni centimetro del corpo di Reedus, fatto di tatuaggi, sudore e ambra.

Fecero l’amore lì, senza spostarsi, seppure volando.

Via da quel disastro, da un’esistenza complicata e ribelle, per molti versi folle.

Folle, come un amore vero.
Vero da morire.





Geffen posò il bicchiere di whisky, dopo avere riattaccato con Hemsworth.
Chris credeva che Norman fosse in ferie ed era meglio così.
Così com’era meglio, che Philip non sapesse nulla, sulle sorti del padre.
Glam era riuscito a isolarlo da ogni contatto mediatico, pregando Lukas di non informarlo sull’evasione di JD.

Meliti spense il sigaro, grugnendo come al solito, in un’espressione beffarda – “Restane fuori, una volta tanto e poi che ne sai, magari Reedus è davvero a fare baldoria, da qualche parte”

Geffen lo scrutò severo – “Ma dico, scherzi? Quello era lui, armato sino ai denti, pronto a tutto per liberare il suo amante! Quei due bastardi hanno rovinato la vita a Paul, a Philip, alle loro famiglie!”

“Vivono in maniera spericolata, difendono la loro storia, ma qualcosa mi dice, che sia dipeso tutto da Norman, se era veramente lui, come dici tu” – obiettò il patriarca.

“D’accordo o meno, la situazione di Morgan si è ulteriormente aggravata, mentre per Reedus è anche peggio: un poliziotto in carcere, fa sempre una brutta fine”

“Forse nessuno li cercherà, Morgan è già dato per spacciato, perché testimone scomodo, di una rapina, dove solo lui ha pagato per tutti; magari qualcuno ha temuto che non mantenesse il silenzio, vedi, è semplice”

“Antonio sei un inguaribile ottimista” – Geffen rise storto, prendendo una sigaretta, da una custodia in argento, dono di Jared.

Jared, che stava origliando come un ladro, pronto a fare rapporto a Jude, Robert e Colin, imboscati nel salottino, adiacente la biblioteca di Meliti.





Il sorriso di Scott si spense, appena li vide.
Addormentati, come due cuccioli, intrecciati quanto un destino, al proprio inevitabile divenire.

Il medico, posò sulla mensola caffè e croissant caldi: aveva appena smontato dal turno di notte, nessun party per lui, ma solo emergenze e ricoveri urgenti, per sbornie da coma etilico.

Geffen rispose subito alla sua telefonata, dopo essere uscito sulla terrazza centrale, per una boccata d’aria e fumare in santa pace, lontano dalle lagne dei suoi ex.

“Auguri Scotty” – sorrise.

“Ne ho davvero bisogno”

“Come mai questa voce?” – si incuriosì.

“Possiamo … Possiamo stare un po’ insieme?”

“Che succede?” – ora era preoccupato.

“Succede che sto di merda, Glam” – e ingoiò un singulto scomodo, del quale vergognarsi, alla sua età.

Con la sua esperienza.

“Dove sei?”
“Al lavoro, ma ho finito, stavo andando a casa, ma non ho nessuna voglia di andarci”

“Va bene, troviamoci lì, vuoi?”

“Ci vieni per davvero Glam?”

“Certo. Promesso.”





“A me loro sono sembrate brave persone, li ho visti con Philip”
Jared si stava mangiando le pellicine, infagottato in un plaid, davanti al camino, decorato e scoppiettante.

Jude sbuffò – “Per me Norman si è cacciato in un vicolo cieco”

Robert annuì mestamente, seguendo il loro interagire, mentre Colin, alla terza tisana digestiva, faticava a connettere lucidamente.

“Suo padre, JD giusto? Ecco, era dolce con il figlio e poi si è costituito” – proseguì, per poi zittirsi, al palesarsi di Geffen.

“JD Morgan ha abusato per anni, in carcere, di Rovia, l’ex di Norman per giunta e Paul, colmo dei colmi, appena se l’è visto davanti, quell’aguzzino, ha sorriso, come se gli fosse apparso un Dio in terra!” – affermò rigido, restando sulla porta, mentre si allacciava il cappotto corto e modaiolo.

Leto sgranò i suoi zaffiri – “Spesso si finisce per amare, chi ci ferisce, perché anche quella è una forma di attenzione, molto distorta, è ovvio” – asserì intristendosi.

Colin perse un battito.
Così Jude.

Robert andò a consolare Jared, estremamente felice di averlo ritrovato, amico e complice, quanto un tempo, dopo tante incomprensioni.

Forse quel nuovo anno, stava già portando loro, qualcosa di buono.





Pinkman rispose assonnato alla chiamata di White, mentre Paul si stiracchiava.

“Ciao Jesse, stavi dormendo?” – domandò l’ex prof, un po’ concitato.

Forse non voleva farsi sentire da Skyler o dai figli, pensò subito il giovane.

“No, cioè sì … Ma che ore sono, lì da te?”

“Quasi le sei, Jesse” – continuava a ripetere il suo nome, appiccandosi il cellulare all’orecchio, per ascoltarne anche i respiri.

“Dunque qui è ora di pranzo”

“Non hai fatto colazione?” – chiese più apprensivo.
Pinkman era talmente magro, che White lo sgridava sempre, quando saltava i pasti.

“Qualcuno l’ha portata …” – ma fu un sussurro, che un’interferenza provvidenziale, impedì all’altro di capire.

“Come scusa?”

“No niente Walt, come stanno i tuoi?”

§ Ma non sono i miei, non li sono stati mai §
Lo pensò, senza riuscire a dirlo.
C’era di nuovo un muro, tra loro.
Lo aveva rialzato lui, era evidente a entrambi.

“Scioccati direi nel rivedermi”

“Lo immagino, ma adesso devo salutarti, ho un appuntamento in centro, ciao” – e chiuse secco, senza dargli modo di aggiungere altro.

Jesse voleva non farselo importare.
Rovia sorrise.

“Perché non vai da lui?”

“A New York? Ma scherzi, a fare cosa?” – replicò brusco, mettendosi seduto sul bordo.

Paul lo baciò lieve tra le scapole, cingendone poi la vita sottile.

“A dirgli che lo ami, che lui è tutto per te” – pronunciò in un soffio, la guancia appoggiata alla spalla destra dell’altro.

Pinkman si girò – “A chi lo vorresti dire tu, invece?”

Rovia fece spallucce – “A nessuno … Tu sei fortunato, qualcuno ce l’hai”

“E io non conto niente?” – si lamentò adorabile.

Paul lo baciò.
L’aveva fatto per ore, sbirciando i fuochi d’artificio, avvinghiato nudo a Jesse, oltre le vetrate della sua stanza alla Foster.

Forse era stato solo un sogno.






Senza neppure sapere come, erano arrivati a letto, continuando ad appartenersi, come se non fosse accaduto nulla di irreparabile.

JD gli diede un ultimo bacio e non sarebbe mai stato così.
Loro sarebbero stati per sempre, da qualche parte, in quell’universo parallelo, fatto di polvere da sparo, di deserto, infine di stelle, perché morirne, di un amore incomprensibile al mondo, là fuori, era la destinazione già segnata.

Di sicuro lo avevano pensato, lui e Norman, più di una volta.

“Non … Non uscire da me, non ancora … Non farlo” – quasi gli pianse nel collo, Reedus, appendendosi al suo sembiante più massiccio, ma altrettanto vulnerabile.

“Io rimarrò accanto a te, anche quando non ci sarò tesoro … Lasciami andare, lascia che risolva io, il nostro casino …” – lo implorò.

“No, non può finire così”




Riposare sul suo petto era così rassicurante.
Su quel cuore, ricamato di cicatrici, dentro e fuori, dove Scott aveva persino messo le mani, salvandolo in più di un’occasione.

Eppure Geffen non gli era grato solo per questo: il suo modo di non amarlo, era, forse, un sentimento più onesto di molti altri.

“Stai meglio?” – chiese piano, l’uomo dalle mille vite, dai troppi misteri.

Scott fece un cenno di assenso, senza spostarsi.

“Volevo proteggerlo da Pinkman, così tu da JD, ma Paul, probabilmente, subisce il fascino della corruzione, dell’illegalità, magari è colpa di ciò che gli ha fatto subire il padre, un paladino della giustizia”

“Non sapevo di avere appena fatto l’amore con Laurie e non sceglierei Hugh, è ovvio” – scherzò Glam, mettendosi speculare, per guardarlo.

Ancora un bacio.

Scott era quello giusto, ma lui non l’avrebbe ammesso mai.

Il suo cellulare iniziò a vibrare e Geffen rispose di malavoglia.

Un numero sconosciuto.

“Sì?”

“Parlo con Glam Geffen?”

“Sono io, chi parla?”

“Sono l’assistente del senatore Palmer, glielo passo”

“Ok …”

“Glam?”

“Ciao Adam, quanto tempo” – disse perplesso.

“Già, secoli e mi dispiace disturbarti oggi, ma se ti cerco è per un problema davvero grave” – bissò angosciato.

“Ti ascolto”

“Si tratta di mio figlio, Josh, ha solo sedici anni, è sparito, capisci?”

“Ma forse è in giro e”

“No, ho già ricevuto una richiesta di riscatto e questa chiamata te la sto facendo da una linea riservata” – chiarì, in piena fibrillazione.

“Come posso aiutarti?”

“Non ne ho idea, ma non voglio sbirri e tu hai risorse illimitate” – poi fece una pausa – “… direi inspiegabili.”




Rovia firmò per le dimissioni volontarie, contro il parere dell’aiuto di Foster.

La luce di quel sole pallido lo infastidì.

Jesse lo sorresse un minimo, sino al primo taxi disponibile, stazionato davanti alla clinica.

Salirono.
Paul si morse le labbra – “Prima vada al Lax, poi al molo quindici, grazie”

“Ma”

“Taci brutto imbecille” – disse lieve, l’unico erede della dinastia Nelson, sorridendo, mentre lo guardava.

Pinkman abbassò i propri cieli, incantevoli, da bruciare l’anima.
Quella di Rovia era un abisso di colori e luci.

Specchiarvisi, per Jesse, era stato facile, dal primo istante.

Era stato così bello.

“Soldi ne hai?”

“Sì Paul … Ma cosa faccio, quando sono là?”

“Qualcosa ti inventerai: ne sono sicuro.”

Passarono davanti ad un cartellone pubblicitario, l’ennesimo, prima dell’uscita per l’aeroporto.

Spiccava tra tutto il resto, che sembrava come spento.

Un arcobaleno ed una scritta cangiante.

Make love your go.











mercoledì 4 ottobre 2017

NAKAMA - CAPITOLO N. 97

Capitolo n. 97 – nakama




L’alba del primo gennaio, ocra e argento, per la coltre di smog su Los Angeles, sembrò ficcarsi nelle iridi di Jesse, impalato davanti alle vetrate del Lax, mentre guardava decollare l’aereo di White, destinazione New York.

Doveva essere bellissima, la grande mela, al primo risveglio di quel giorno.

Forse.

Percepire il profumo di Downey, fu la sensazione successiva, a quel malessere, che nel cuore del ragazzino, stava prendendo il sopravvento.

Pinkman si voltò ed era davvero incredibile, che l’attore avesse risposto al suo messaggio.

“Stavo tornando a casa” – spiegò poco dopo l’uomo, appena saliti in auto – “per le medicine di Camy, le deve prendere sempre, sono per la sua sindrome di Angelman”

Durante il breve tragitto, Pinkman, lo stordì con una ricca cronaca dei fatti recenti.


“Torni a villa Meliti, quindi?” – chiese infine, incolore, lo studente, scrutando ancora l’orizzonte, come se il volo di Walt potesse rientrare da un momento all’altro; ma di sorprese, quel mattino, ce ne erano già state a sufficienza.

“Sì, sono tutti dal nonno …” – Robert prese fiato – “Jude, le bimbe, il resto della famiglia insomma” – sorrise, parcheggiando.

“Ti aspetto qui” – Jesse tirò su dal naso, buffo, inerme.

Downey gli diede una carezza, sulla gamba, abbandonando il volante, ma non lui.

Si sporse, per un bacio casto, sulla guancia ispida del giovane.

“Faccio schifo, vero? Devo rasarmi” – e sembrò fare fatica persino a respirare, a vivere.

“No, affatto: Jesse ascolta, lui tornerà, è solo un periodo storto, di crisi, ma anche tu con Paul, non sei stato del tutto corretto, anche se dovrei solo starmene zitto”

Jesse sorrise finalmente.
Era bello, arruffato e confuso, nei suoi anni, ai quali era miracolosamente scampato.

“Facciamo solo cazzate, vero? Non riusciamo a essere stabili, non so perché Rob, eppure ad Albuquerque funzionava, eravamo solo noi … contro tutti” – e si contorse le mani, sentendole fredde, come il resto di sé.

“Preferivi quella vita?”

“Temo di sì, anche se è stato allucinante”

“Non ne so molto, a parte qualche cosa, generica, dai rimproveri di Glam”

“Sul fatto che ci siamo frequentati?”

“Infatti … E’ stato surreale”

“E solo nella tua testa Robert” – rise divertito.

“Già … Forse un monito, forse no”

“E ti piacevo?” – domandò a sorpresa.

“Certo” – ammise l’artista, senza pensarci un attimo.

Era terribilmente vero e forse, quella relazione, se mai fosse accaduta nella realtà, avrebbe potuto mandare in pezzi il suo matrimonio con Law, una volta per tutte.

“Mi gratifichi, però io tornerò sempre da Walt e tu da Jude”

Downey inspirò – “Hai ragione piccolo: torno subito, ok?”






Jared rise sonoramente – “Tu sei matto a fare il bagno a quest’ora Glam!”

Geffen emerse dalla piscina ovale della residenza di Antonio, lasciando che timidi raggi di sole, accarezzassero il suo corpo solido e ben allenato, mentre si avvicinava a Leto, pronto a offrirgli un candido e ampio accappatoio.

“Tieni, rischi un raffreddore” – disse più incerto il cantante.

“Di solito sono io a farti certe raccomandazioni Jay” – Glam sorrise, tamponandosi.

“Dovrei chiamarti senatore” – lo canzonò, riaccomodandosi sui cuscini tinta avana, del primo lettino a tiro.

“Dovresti essere a letto con tuo marito” – il legale cambiò discorso, restando in piedi.

“Era un po’ brillo ieri sera, poi troppe melanzane e burrito, russava come un tricheco spiaggiato”

Risero.

“E tu con chi dovresti essere a letto, Glam?” – bissò provocatorio.

“Con Lula e Pepe, che sono ancora sotto al piumone” – rispose tranquillo, senza raccogliere, mentre si sedeva al suo fianco.

Leto si guardò in giro, non c’era anima viva, il menu di Pam aveva steso tutti.

“Che succede Glam?”

“Niente”

“Al veglione eri assente, distante, di solito sei il re della festa”

“Ho perso un po’ di pezzi, ho perso un po’ di me, forse” – ammise stanco, all’improvviso.

“Ti manca Denny?”

“Perché proprio Denny?”

“Non si è visto”

“Non ho una relazione con lui, non so più come dirtelo” – rise tirato.

“Ma a me, Glam, non devi mica dire nulla o giustificarti”

“Ecco bravo” – e si rialzò.

“Comunque sei antipatico, iniziamo bene” – brontolò infantile.

Geffen lo fissò.

“Ti voglio bene Jay” – e se ne andò, senza ascoltare alcuna replica, che arrivò in ritardo, sommessa.

“Ti amo Glam.”





Reedus aveva compilato i rapporti, appena dopo la mezzanotte, sbrigativo e con il cuore spezzato, mentre i complimenti del capo della polizia, collidevano, nella sua testa, con il discorso, che JD Morgan gli aveva fatto, prima di costituirsi volontariamente.

Il gesto del latitante, avrebbe fatto buona impressione al giudice.
Certo non nell’immediato, visto il periodo di festività, quindi il trasferimento al carcere della contea, venne disposto per il pomeriggio stesso, nonostante fosse capodanno.

La coppia rimase poche ore al distretto, per impostare il fascicolo con l’avvocato d’ufficio, irritabile e alle prime armi; Norman non li aveva mai lasciati da soli, con la scusa dei moduli da compilare, per quell’arresto dai lati oscuri; ma nessuno aveva voglia di indagare a fondo.

Morgan non aveva resistito e il fare visita al figlio, aveva dato l’opportunità al nuovo tenente della sezione persone scomparse, presente alla Foster quasi per caso, di convincerlo ad arrendersi.

Reedus era troppo stimato, per sollecitargli inutili chiarimenti.

Reedus, che si procurò un furgone, con paraurti rinforzati, abbastanza capiente per contenere due HD, con il serbatoio pieno e ruote anti foratura di ultima generazione.

Reedus, che stava seguendo, da almeno quindici minuti, il blindato, diretto al penitenziario di Chino, all’estrema periferia della città.

Reedus, che per amore di JD Morgan, inconsapevole della sua folle iniziativa, si stava cacciando in un guaio senza ritorno.





Pinkman salutò frettolosamente il suo autista speciale, una volta fermatisi nel parcheggio dell’ospedale.

“Ti ringrazio Robert e … E ti auguro il meglio, con Jude e le vostre cucciole”

Downey lo abbracciò, affettuoso – “Andrà tutto bene Jesse, ma tu vacci piano con Paul: non ha bisogno di ulteriori delusioni, ok?”

“Ok” – sospirò amaro, poi se ne andò.

Come un gabbiano, tra il mare e il cielo.


Rovia stava riposando sereno.

Pinkman sorrise, avvicinandosi al suo capezzale.

Paul schiuse le palpebre, avvertendo la sua presenza.

“Lo vuoi uno spinello?” – chiese Jesse, come divertito, ma così emozionato.

Poi si strinsero.

“Cos’hai fatto, brutto imbecille” – sussurrò Pinkman.

“Una stronzata … Una più, una meno” – si stavano guardando adesso.

Baciarsi era ciò che restava da fare.
Da vivere.




 https://www.youtube.com/watch?v=Ri7-vnrJD3k


Speronarli fu semplice, appena dopo avere imboccato quella via laterale.

Quindi scendere, indossando già un casco integrale, per renderlo irriconoscibile, ma nessuno degli agenti ci sarebbe riuscito, dato lo shock appena subito.

Un lacrimogeno acuì la confusione e l’arma semiautomatica, imbracciata da Norman, fece il resto, ma solo per far saltare la serratura del portellone sul retro del mezzo, ribaltatosi su di un fianco.

Nessuno venne ucciso.

Morgan, tossendo e imprecando, ne uscì, sconvolto e incredulo.
Aveva capito.
Era assurdo, ma stava succedendo sul serio.

“Presto muoviti, metti questo e non respirare!” – gli urlò Reedus, esortandolo poi a scaricare le moto, grazie alle quali si sarebbero allontanati in fretta da quell’inferno.

Verso uno nuovo, JD ne fu certo, tragicamente certo.




I tg serali diedero ampio spazio a quell’evasione.

La testimonianza dei poliziotti, rimasti illesi, fu praticamente priva di particolari utili alle indagini.

Nessuno notò peraltro l’assenza di Reedus, che aveva preso ferie arretrate per le due settimane successive.
Più che meritate dopo la cattura di Morgan.
"Chissà come si sarà incazzato", commentarono i colleghi, appena saputo di quella clamorosa fuga.


JD si era fatto amici pericolosi ai tempi della detenzione.
Forse aveva qualche segreto o bottino, nascosto in quella metropoli di pazzi.

Tutto era possibile.

Tranne l’impossibile.











martedì 3 ottobre 2017

NAKAMA - CAPITOLO N. 96

Capitolo n. 96 – nakama



Come pugili, su di un ring immaginario, adesso stavano, ad angoli opposti, Glam e Scott, contro Norman e JD, all’interno della saletta di attesa, del primario Foster, in persona.

Gli addetti alla sicurezza, lo avevano informato, circa la rissa intercorsa tra Geffen, Reedus e Morgan, sedata a fatica non solo da Vas, ma anche dal diagnosta, amico storico dell’avvocato più famoso di Los Angeles.
Un neo senatore, per giunta, ma Glam sembrava essersene dimenticato, mentre i reporter, delle principali testate cittadine, lo stavano come braccando, per avere conferma della sua nomina, da parte di Michelle Obama.

“Bene, potete accomodarvi: vi siete calmati, era ora!” – sentenziò il proprietario della clinica, facendoli passare nel suo studio privato.

“Vorrei andare da mio figlio, se permette” – esordì cauto JD.

Foster lo squadrò, severo – “Lei è un pregiudicato, da quanto ne so, dovrebbe essere in manette e lei” – si rivolse a Reedus – “… Lei ha in custodia il signor Morgan, giusto?”

Geffen si morse le labbra, ma non proferì parola.

“Infatti e sono dispiaciuto per questo equivoco, mi creda” – provò a giustificarsi il tenente, a sguardo basso.

Si sentiva come un topo in trappola.

Avrebbe voluto telefonare a Chris, ma Hemsworth lo avrebbe sbranato, una volta saputa la verità su lui e JD, alquanto mortificato e ansioso di riabbracciare Philip.

“Comunque, suo figlio è in osservazione, tutto procede nel migliore dei modi, ma non si sveglierà prima di quarantott’ore, come minimo” – spiegò più calmo Foster, sedendosi in poltrona.

“Io vado da Paul” – Scott scattò in piedi – “Penso tu non abbia nulla in contrario, John”

Foster annuì – “D’accordo, è al terzo piano, camera 304”

“Ti ringrazio” – e si dileguò.

Glam prese un lungo respiro, controllando il palmare – “Se non vi dispiace, andrei anch’io: sono il suo tutore legale”

Foster fece una smorfia indecifrabile - “Ed io ho una cena di gala, con il sindaco: quindi, Reedus, come pensa di procedere?”

“In che senso?” – chiese frastornato.

“Nel senso che non può girovagare per la struttura, senza agenti di rinforzo: vuole chiamare il suo comando? In caso contrario, dovrà ricondurre in carcere il signor Morgan e chiedere dei permessi speciali, dovrebbe saperlo” – sibilò irritato e stanco.

Norman annuì – “E’ ovvio: il detenuto è una mia responsabilità e lo riporterò al distretto immediatamente; buonasera a tutti” – e, strattonando JD, dopo avergli bloccato i polsi rapidamente, entrambi uscirono in corridoio, con il cuore in gola.




Paul voleva unicamente essere lasciato in pace.
Peccato non riuscisse a comunicarlo a nessuno, per quanto si sentiva intontito, dopo la lavanda gastrica.

Deglutiva a fatica, così che Scott gli passò dell’acqua, in modo affettuoso, quanto il suo tono – “Bevi piano … Ci hai fatto prendere un tale spavento, sai?” – e strizzò le palpebre, su quegli spicchi di cielo, così luminosi, nonostante la penombra, in cui la stanza era immersa.

“Vi importa davvero di me?” – domandò flebile.

“Certo tesoro” – “Zio Glam …”

Il sorriso di Geffen, incontrò il suo sguardo triste.

L’uomo prese posto, al suo capezzale, accanto a Scott.

“Nessuno, Paul, merita il tuo gesto, sai?” – disse con dolcezza, sistemandogli il lenzuolo sul petto glabro – “Hai freddo?”

“Un po’ …”

“Scott ti prende una casacca, ok?”

L’amico annuì, andando a cercarne una, nell’armadietto, sotto alle finestre.

Rovia si girò del tutto sul fianco destro, come per guardarlo meglio.
Glam scosse il capo rasato, ossigenandosi, per trovare la forza di dirgli la verità, una volta per tutte, così da convincerlo a dimenticare Norman e, forse, persino JD.

Scott tossì, come per troncare il discorso sul nascere, dopo avere intercettato le sue intenzioni e Geffen tacque.

“Perché non andate a festeggiare, zio?”

“Perché non ne abbiamo alcuna voglia, piccolo” – Glam sospirò, pensando che il loro clan si era riunito a villa Meliti, senza programmi precisi, dopo un rapido scambio di sms, per brindare insieme, prima dell’alba.

“Io resto qui” – puntualizzò Scott, riaccomodandosi, dopo avere aiutato Rovia a vestirsi.

Un lieve bussare, distolse i loro sguardi dal ragazzo, direzionandoli verso la soglia, dove Morgan, a sorpresa, si palesò, con alle spalle Reedus, incapace di farlo desistere, da quell’idea balorda, di andare proprio lì, da Paul.

Paul che sorrise, spontaneamente, perché quello gli stava dicendo il suo cuore.

Nulla di più.
Nulla di meno.

“Ciao, posso parlarti solo per un minuto?” – domandò JD, timido e assorto sul giovane.

Aveva troppi ricordi e nessuno veramente bello.
E solo perché era stato lui, a sporcarlo.

Paul acconsentì, rannicchiandosi, senza guardare oltre Morgan, ignorando quasi la presenza di Reedus, che si spostò in corridoio, accerchiato da Scott e Glam, ostili, nel loro ostentato silenzio.

“Sei in arresto?” – chiese tossendo, accorgendosi delle manette.

“Sì, torno dove dovevo restare” – ammise JD, sedendosi lento.

“Non capisco come mai tu sia qui …”

Morgan sorrise – “E’ per Philip, mio figlio, è stato operato … E’ una lunga storia, ma tutti i miei guai, sono partiti dalla sua situazione di salute precaria, anzi disperata, un cuore malato ecco”

“Non mi hai mai detto nulla su di lui”

“Forse non volevo apparirti debole oppure giustificarmi inutilmente, del resto non lo sapeva nessuno in galera, ero considerato un duro, ricordi?”

“Come potrei dimenticarlo … Philip sta meglio?”

Morgan arrise al suo interesse sincero – “Tu sei incredibile Paul e io ti ho fatto solo del male … Ero come impazzito, ero diventato un autentico mostro, ma vedi, sembra che anche ora, voglia trovare delle scuse e”

“Succede spesso, anch’io l’ho fatto, dando la colpa a mio padre, ai suoi abusi” – riconobbe lucido – “ma potevo prendere strade diverse dalla droga: sono stato un idiota” – e quasi rise, più rilassato.

“Anche oggi hai fatto una sciocchezza a quanto pare”

Rovia fece un cenno di assenso, mordendosi le labbra ben disegnate.

“Mi sento in colpa, Paul, anche per questo, sai?”

“Mi hai mai voluto un po’ di bene?” – chiese diretto, guardandolo intenso.

“Io …”

“L’hai voluto a Norman, vero? Gliene vuoi sul serio, lo capirebbe anche un cieco, così lui” – affermò calmo.

“Paul”

“Un attimo fa, prima di lasciarti solo, Norman ti ha dato una carezza, in mezzo alle scapole e c’era così tanto amore, in quel gesto”

“Siamo stati due folli”

Rovia sorrise – “Gli innamorati lo sono”

“Io ti voglio bene, Paul, adesso io te ne voglio, riesci a credermi?”




Stella prese due bicchieri di punch caldo, avvicinandosi poi a Jared, per porgergliene uno.

“Grazie” – Leto sorrise – “Dove sono gli altri?”
“Un po’ ovunque” – anche lei rise solare – “… c’è una tale confusione per casa oggi” – e si accomodò al suo fianco, sul Chester verde bosco, nella biblioteca di Meliti.

“Stella, ascolta, volevo parlarti del progetto” – Jared si morse le labbra – “… sì insomma”

“Sarebbe bello, se tu lo definissi nostro, ma temo che l’idea sia stata unicamente di Colin, vero?” – replicò con serenità.

Il cantante annuì.

“Dare una sorellina a Isy e Syria, cioè a tutti i nostri figli”

“Oppure un fratellino” – lo interruppe allegra.

Leto inspirò – “Già, infatti … A proposito, anche Glam ne è entusiasta” – rivelò, lasciando intatta la sua bevanda fumante.

“I tuoi uomini, in sostanza” – concluse lei, guardandosi in giro – “… i tuoi amori, a dire il vero, Jared” – e tornò a fissarlo.

Leto non aveva mai smesso: Stella era bella, in forma, perfetta per la maternità surrogata.

“L’anno prossimo prenderò la mia decisione”

Risero.

“Cioè domani, Jared?”

“Pressappoco … Sì, è giusto che anche tu conosca le mie intenzioni, una volta per tutte; salute!”




Hemsworth lo stava chiamando da circa venti minuti.

Alla fine, salendo in auto, con al proprio fianco JD, Reedus rispose.

“Sì pronto!” – sbottò esausto.

“Norman ciao, sono io” – la voce del suo socio suonò perplessa.

“Scusami Chris, ora non ho tempo”

“Tempo per cosa?” – il biondo rise – “Volevo solo invitarti a cena da noi, per festeggiare o sei in servizio?”

“Sì lo sono” – confermò più calmo.

“Ok … Hai una voce strana, tutto a posto?”

“E’ stata una giornataccia” – e guardò Morgan, che non sembrava neppure più respirare, per la tensione.

Dagli ascensori uscì Geffen, che puntò dritto verso di loro.

“E non è ancora finita, temo.”




Scott, alla fine, dovette cedere.

Rovia gli aveva chiesto di cercare Pinkman e di avvisarlo, in qualche modo.

Un sms sembrò la soluzione migliore.

Jesse non sapeva quale scusa trovare, per uscire; la cena era pronta, il catering del Dark Blue l’aveva appena consegnata e White si era persino messo in giacca e cravatta, per l’occasione.

Camminava incerto, con le stampelle, ma era davvero migliorato.

“Tesoro vieni? Se no si raffredda!” – lo reclamò il più anziano, armeggiando con una bottiglia di champagne.

Pinkman rispose veloce, facendo scorrere le dita affusolate e minute, sulla tastiera del suo tablet – “… dopo mezzanotte o domattina, non so come fare adesso: salutami Paul, digli che sarò da lui prima possibile; mi dispiace, davvero … JP”

“Eccomi! Uh quanta roba Walt … Lascia fare a me, dai”

“No, me la cavo” – brontolò – “… Un brindisi, Jesse?”

“Certo” – e lo assecondò, affiancandolo, più per sostenerlo, che per alzare i calici, in vista dell’imminente capodanno.

“A noi” – White inspirò, turbato.

“A noi Walter” – e ne bevve un sorso breve, interrotto dal bacio, improvviso, dell’altro.

Si distaccarono guardandosi.

“Sono così disperato Jessy” – ammise l’uomo, gli occhi lucidi e fissi su di lui.

“Ma va tutto bene, ok?” – Pinkman tremò, senza andarsene via da lui.

“Scopi con qualcuno?” – chiese secco.

“No, ma che ti inventi!?” – ora c’era almeno un metro, tra loro, in realtà un abisso.

Di bugie.

White sorrise mesto – “Arrossisci ancora, quando menti, incredibile, sai?” – e c’era tenerezza, in quell’amara constatazione.

“Ma cosa pretendi da me?! Qualunque cosa io dica, tu non mi credi?!”

“Infatti: io non ti credo” – replicò, stranamente più calmo.

“Fai come ti pare Walt …” – sbuffò, in imbarazzo.

“Lo farò Jesse.” – ancora un respiro – “Domani vado a New York, da Skiler, dai nostri figli”

Quel nostri, lo lacerava ancora così tanto, ma non quanto apprendere quell’inaudita novità.

“Cosa?!”

White deglutì a vuoto, reggendo i suoi opali vividi di rancore.

“Forse non vorrà vedermi, non importa, ma ho bisogno di stare con loro, con Junior specialmente e poi con la bimba è ovvio” – sembrò puntualizzare, come se fosse normale tutto ciò.

Invece non lo era e Pinkman glielo avrebbe voluto urlare in faccia.

Peccato che non gli uscì neppure una parola.




Reedus sgommò via, prima che Geffen si avvicinasse abbastanza per impedirglielo, chissà in quale maniera, si domandò mentalmente il poliziotto.

Un colpo di clacson, distolse l’attenzione di Glam da quella prospettiva, spostandola verso l’arrivo di un’auto, che gli lampeggiò.
Era Downey.

“Robert” – e gli sorrise.

“Ho ricevuto il tuo messaggio, sono in ritardo?”

“No, anzi” – e salì.

“Quello chi era? Sembrava avere una fretta del diavolo”

“Era Norman, con JD, il padre di Philip”

“Ah … Come sta?”

“E’ stabile; ce ne andiamo Rob?”

“Ho già accompagnato Jude e le bimbe dal nonno, ci stanno aspettando, c’è anche Jared”

“Ok” – Geffen stava guardando il traffico.

“L’ho visto parlare con Stella, mentre uscivo”

Glam non disse niente.

Fino a destinazione.