martedì 30 luglio 2013

ZEN - CAPITOLO N. 160

Capitolo n. 160 – zen


Shannon guidava nel traffico intenso, verso Palm Springs, in silenzio, con l’idea che una qualsiasi conversazione avrebbe importunato il suo passeggero.
Sbagliava.
Geffen avrebbe voluto dirgli molte cose.
Innanzitutto un grazie speciale, per averlo fatto sentire benvoluto ed assistito, in un pomeriggio davvero complicato per lui.

“Tomo è di una dolcezza, disarmante, almeno quanto sei tu, vi sono grato”
“Figurati” – gli sorrise sincero – “Con tutto quello che hai fatto per noi, Glam, da sempre”
“Mai abbastanza, forse …” – mormorò deluso, rannicchiandosi un po’ sul sedile.
“No assolutamente … Lo dici perché certe persone non hanno riconosciuto i tuoi sacrifici od apprezzati sino in fondo. Come mio fratello.”
“Jared ha fatto le sue scelte e spesso le ho fatte io per lui o per Kevin …”
“Sì, hai un carattere particolare” – rise complice.
“In materia di casini senza dubbio …”

Si fermarono ad un semaforo, il rosso era appena scattato.
Shannon lo fissò.

“Tu ami ancora Jared?”
“Sì, non smetterò mai” – replicò guardandolo, con una fermezza assoluta.

“Sai Glam, agli inizi, spesso ho desiderato spaccare la faccia a Colin, tu non sai quante volte … E Jared tornava sempre da lui, appena chiamava o frignava, drogato perso od ubriaco fradicio. In fondo erano inferni, che anch’io conoscevo bene, ma Jared salvò il sottoscritto, così avvenne con Farrell”
“La storia la conosco, c’ero anch’io dietro le quinte, ero il legale di Colin, attraverso il suo manager, che mi aveva assunto sia per i contratti, sia per i guai combinati dalla sua perla irlandese” – sorrise, rammentando qualche episodio, senza rivelarlo.
“E di Jared cosa sapevi?”
“Onestamente dopo il loro film, il Marocco ed il resto, mi ritrovai un Farrell diverso, molto preso dal suo collega, mi accennò qualcosa, ma non capii o meglio non accettati quella strana novità, finché non lo conobbi, ma accadde molto tempo dopo … E fu incredibile” – quasi si commosse.
“Colin gay non era credibile?”
“Con quello che si calava, avrei considerato anche l’ipotesi di vederlo uscire a cena con un paracarro, comunque …” – sospirò divertito.
“Certo che siamo due stronzi Glam ahahah”
“Già … Voglio bene a Colin”
“Sì … Alcune cose, però, non gliele perdonerò mai, non ci riesco, anche se la serenità in famiglia è basilare e poi lui è cambiato senza finzioni e tratta Jared come un Dio in terra, anche quando non lo merita”
“Forse non si dovrebbe mai amare per compensazione … Tornando al discorso iniziale, Shan, ciò che ho fatto per Jared non aveva la pretesa di un tornaconto” – ammise onesto e senza alcuna enfasi.
“Gli avresti dato una bellissima famiglia, sarebbe stato felice …” – ribatté malinconico.
“Io … l’ho sposato … Ed ho voluto il meglio, persino in qualità di padre, anche se anagraficamente è un’assurdità, per il resto è autentica anche questa sfumatura del nostro rapporto … Od è come il nostro matrimonio, una bugia vera e bellissima” – e si rilassò, ripercorrendo mentalmente la sequenza di quel giorno sulla spiaggia, dove tutto sembrava fiabesco.

“Sei stanco …?”
“Sì Shan … Come mai prima d’ora … Chiudo gli occhi un attimo, ti dispiace …?”


Louis si guardava intorno, nello studio di Geffen, notando mille particolari, mentre aspettava Harry, impegnato nella stesura di un’arringa insieme a Denny.
“Vi porto un caffè?” – chiese improvviso, grattandosi gli addominali sotto la t-shirt aderente.
“Sì grazie Lou” – gli sorrise il fidanzato.
“Ok datemi un minuto” – e si avviò a spalancare la porta, chiusa ermeticamente, affinché nessuno li disturbasse.

Il sorriso da canaglia di Lux si stampò su quello del giovane, che si bloccò all’istante.
Poi le labbra di Vincent ebbero un lieve tremolio, così le sue iridi, di colpo liquide e contemplative.
“Salve … Ho quelle informazioni … Per Geffen”
“Buonasera … Io non lavoro qui, c’è il … il mio Harry” – e lo indicò.
Il giovane si alzò, salutandolo freddamente – “Credevo telefonasse, Glam lo sa?”
“No … Piacere sono Vincent Lux” – e diede la mano a Louis, impacciato, ma incuriosito – “Sono Louis …” – disse piano, ma Harry sembrò frapporsi tra loro, in qualche modo, che Denny notò con un sorriso.

“Prego si accomodi, lo avviso io” – disse fermo e Louis sparì.
Quando tornò, accolto da un’occhiata benevola di Vincent, che si affrettò ad aiutarlo con il vassoio, c’era tra i caffè anche una bibita – “Spero le piaccia signor Lux”
“Certo, grazie, troppo gentile”
Lou arrossì.

“Glam non è raggiungibile” – sbottò Harry.
“Nessun problema, qui c’è il dossier e qui i miei numeri” – e porse a Louis un biglietto da visita, che Harry quasi gli strappò dalle dita – “Ok, le faremo sapere noi, per ora la ringrazio anche a nome del boss” – e sorrise a fatica.
“Sì … ok … E’ stato un piacere … salve” – si congedò, assurdamente timido per la sua indole.
Nella stanza calò un gelo, che Denny tentò di mitigare, senza riuscirci.


Jared sbucò dal bagno, con un asciugamano sul volto, e le spalle curve.
Colin lo sostenne, dandogli un bacio tra i capelli spettinati e lunghi.
“Amore vieni, ho preparato del caffè”
“Dio Cole … Sono troppo vecchio per queste stronzate …”
“Bere il mio caffè?” – rise sonoro.
“Cavoli la mia testa …” – si lamentò il cantante accasciandosi sul divano.
Quindi si guardò nella specchiera a parete, inorridendo.
“Cazzo … Sto uno schifo”
Le sue occhiaie, il colorito spento, gli zigomi segnati, in effetti non rendevano merito al suo fascino, ancora solido.
Di sicuro non quel mattino.
Farrell gli passò la brodaglia nera e fumante, invitandolo a trangugiarla sino all’ultima goccia.

Leto fece una smorfia al solo sentore di quell’aroma, per lui, pungente e fastidioso.

“Voglio morire …”
“Si dice sempre così … Almeno quando si riesce a parlare” – l’attore rise ancora, più pacato.
“A proposito Jay, ti è cascato il cellulare nel bagno e Justin lo sta portando qui, spero non ti dia noia, so che è essenziale per te quell’aggeggio”
Jared sorrise mesto, pensando acre § … e forse, per te, lo è lui, essenziale, ora? §
La gelosia gli stava corrodendo lo stomaco.
Scorgere poi nel parco, un Justin in piena forma, sulla propria bici, sorridente nei jeans neri, bomber modaiolo, scarpe in tinta e sorriso cangiante, su quel viso arrossato dall’inverno imminente, ma su di lui amplificatore di una freschezza intonsa, fu per Jared un’ulteriore, piccola, umiliazione.

“Oh eccolo” – Farrell gli fece un cenno dal davanzale, andando alla blindata senza indugiare.
Justin si fermò sul vialetto, salutandolo allegro e restituendogli immediato il telefono di Jared, che li spiava attento.

Dai loro gesti, il leader dei Mars capì che Colin voleva trattenerlo, ma Justin aveva molta fretta.

Con Brian non si sarebbero di certo riposati dopo l’inaugurazione del pub: la sera stessa avevano ingaggiato una band, come incentivo per la clientela, che si auguravano numerosa e pagante.

Colin si sporse quindi per stringerlo e lasciarlo andare dopo un bacio sulla guancia: Jared si sentì perso, anche se l’atteggiamento del marito era innocente.

Salì così al piano superiore, provando un’amarezza nuova, alla quale, secondo lui, doveva abituarsi ormai.


Le grida di Harry arrivarono sino a Malibu.
Louis era stampato contro il muro della cucina, a sorbirsi la sua ira, senza muovere un muscolo, nell’attesa che sbollisse.

“E cosa stavi pensando, che ti saresti sistemato a vita??!! Eh Louis?? Quello ti scopava con gli occhi e tu a fargli i sorrisini, ad avvampare come una quindicenne, per COSA?? Fargli credere che sei un ingenuo, un fiorellino del prato sotto casa?? Sei una puttana SOLO QUESTO OK??!!”
La misura era colma: partì un ceffone, da Louis ad Harry.
Ne seguì una spinta, con cui Haz atterrò Lou, schiacciandolo con la sua statura più massiccia, ma il compagno era agile e schizzò via o almeno ci provò.
Venne infatti riacciuffato per una caviglia e le dita di Harry gli sembrarono una morsa.
Altre sberle, un po’ ovunque, tranne che sui loro visi, stravolti da quel male recondito, sul quale non si erano mai confrontati: era ciò che Harry pensava di Louis, senza tenere in considerazione le sue motivazioni.
Anche dopo avere saputo di suo padre e del fratello, Haz non riusciva a staccare la spina dal pregiudizio maturato verso Lou: questi era pronto a tutto pur di fare il salto di qualità, mettendosi persino con uno come Steadman.

Harry se ne vergognò, più volte, ma voleva sputarglielo in faccia quel peso.
Louis conosceva i propri limiti, ma mai come in quell’attimo si sentì così sporco, da fuggire in lacrime, senza che l’altro potesse impedirglielo.

Fuori pioveva.


Kevin salì alla mansarda, ritrovando Glam girato sul fianco, verso la finestra.
Sentendolo arrivare, l’ex nascose qualcosa sotto al cuscino, per poi voltarsi ed accoglierlo sul proprio petto.

“Ehi …”
“Ciao daddy … Shan mi ha detto di te e”
“Kevin, calmati” – gli sussurrò, stringendolo piano.
“Come stai ora?” – chiese fissandolo.
Stava tremando.
Geffen gli diede una carezza, carica di attaccamento a lui e di amore pulito.

“Tesoro sto facendo una cura con effetti collaterali … multipli” – si sforzò di sorridere.
“Lo so, ho telefonato a Scott … perdonami”
“Scherzi? Hai sempre avuto cura di questo coglione …” – e spostandosi rivelò ciò che stava scrutando.
Le fedi nuziali, utilizzata per Kevin, quella per Robert, rimasta senza destino e la triad, dono di Jared, durante quella cerimonia davanti al mare, in cui Glam pensava di avere gettato tutto l’amore del mondo.

“La tua Kevin … E’ quella che mi turba maggiormente, sai?” – ammise, con gli occhi lucidi.
“Daddy …”
“Non smettere mai … di dirlo e di amare Tim” – e gli baciò l’anello, che egli stesso, con Lula, scelse per le nozze con il suo giovane sposo: Kevin si emozionò a tale punto da non respirare.

“Lo amo da morire, Glam …”
“E’ la tua fortuna, il tuo domani … Vorrei aveste anche un bimbo vostro sai? Ma … Ma dovreste farmi un immenso favore … Pensare ai gemelli, di Pamela, come se fossero vostri: è egoistico, probabilmente da parte mia, anche se”
“Cosa sono questi discorsi daddy?” – domandò angosciato.
“E’ ciò di cui avrò bisogno … Lula penserà a me, non temere” – e sorrise.

Soldino restava in veranda, a giocare calmo, coinvolgendo anche Ivan ed Amos, senza alcun disagio verso l’indisposizione del padre.
Questo aveva tranquillizzato Kevin.
O almeno così credeva.









lunedì 29 luglio 2013

ZEN - CAPITOLO N. 159

Capitolo n.159 – zen


Dreaming dreams and dreamers



L’idea di quell’appuntamento era venuta a Robert.
Certo, per i regali di Natale poteva essere presto, ma a Glam faceva piacere trascorrere qualche ora insieme a lui, parlare delle bimbe, di quell’adozione, ormai insperata, sentire il cuore di Rob scalpitare nelle parole di gratitudine, affetto, quasi ammirazione per l’uomo, che gli aveva permesso di realizzare un sogno.
Parole anche di Jude.
Geffen non se ne dava alcun merito, semmai ripeteva che Diamond era stata fortunata e Mrs Gramble intelligente abbastanza, da contribuire al suo futuro semplicemente radioso.
Come gli occhi di Robert.
Un po’ meno incantevoli quelli di chi quasi li spiava, criticando quell’amicizia spesso finita in prima pagina, sui tabloid di gossip, soprattutto i peggiori, che morbosamente lucravano vendendo fantasie, basate su scatti rubati alle loro vite.
Il prezzo della notorietà, ma Geffen non l’ambiva e tanto meno amava.
Lui amava Robert.
Forse in un modo diverso, senza più rimpianti, sensi di colpa, nostalgiche conversazioni.
Almeno così credeva, finché l’attore non gli chiese di svoltare verso una strada laterale, che puntava dritta ad un resort, dove egli stesso aveva prenotato una suite.

Dalle loro risate, nel snocciolare aneddoti sulla nuova arrivata a quella visione di Rob, totalmente diversa, seduto sopra le sue gambe, piegate a fargli da comodo appoggio, quando lui si rilassava un minimo, per sentirselo dentro, sino alla fine del proprio cuore, mentre ondeggiava, saliva, scendeva, custodendo il membro di Glam, come il bene più prezioso ed agognato.
Anche questi rimaneva addossato alla testata imbottita d’avorio setoso, madido quanto lui, che si sentiva scoppiare un dolore al centro del petto, dove le mani di Robert si erano posate, puntandosi quasi, mentre si baciavano e quel dolore sembrava sparire, distratto dai singulti del suo amante, che lo cavalcava, venendo nel medesimo attimo, ebbri di un piacere mai dimenticato.

La fitta tornava, ma i turchesi di Glam cercavano quanto di più attraente c’era in Downey: il suo volto appagato; poi quanto di più eccitante, con l’imbarazzo della scelta, ma i suoi capezzoli turgidi, gli sembrarono abissi vibranti, così che il semplice sfiorarli, da parte dell’avvocato, provocarono un orgasmo più intenso di quello precedente nel moro, che stava perdendo i sensi.
“Rob … Robert io …”
Si strinsero forte.

La scena mutava; lo sguardo di Glam era riflesso nello specchio del bagno.
Da lì poteva sentire nitidi i singhiozzi di Robert.
In essi, ora, non c’era più niente di gradevole.

La sua faccia, contorta dal rimorso, quasi schiacciata nei suoi palmi, che sapevano di Geffen, tanto da intossicarlo.

“A cosa …?”
“Glam …”
“Glam? Sai dire solo questo?”
Era davanti a lui, ormai rivestiti entrambi.
Che squallore, pensò l’uomo più controverso di Los Angeles: quello che in aula chiamavano ancora lo squalo: per quanto tempo?

“Glam io dovevo farlo accadere”
“Che ti stai inventando? Per ottenere quale risultato? Aggiungere il nulla al nulla più assoluto?!! Rispondi!!”
Geffen stava urlando: che sentissero tutti, quanto erano patetici ed orrendi.
“Glam …”

“Glam …? Glam!”
“Sì … Rob …”
Il suo sorriso era incantevole.
“Glam ti sei addormentato in auto” – rise – “Abbiamo fatto benzina, tempo di prendere questo per Dady e Camy e tu”
L’artista gli stava mostrando due peluche buffi, ma Geffen, sotto il giaccone, provava un disagio ben preciso.

“Non mi sento bene … Dovrei … Dovrei cambiarmi … Queste medicine mi stanno prosciugando” – si lamentò, preoccupando immediato Downey, che rimise in moto, dirigendosi verso il quartiere dove abitavano Shannon e Tomo, i primi che gli vennero in mente, per consentire a Glam di riprendersi in un ambiente familiare.
Le restanti residenze erano troppo distanti, per non parlare di Palm Springs, dove Geffen doveva comunque tornare entro sera: Kevin, Tim e Lula erano attesi per cena, anche per discutere di eventuali aggiornamenti su Ivo e presentare i nuovi bodyguards a Glam.
Una serie di programmi, che gli sembrarono talmente ingestibili, in quel frangente, da deprimerlo in una maniera sconosciuta.
Avrebbe voluto gridare e spaccare il vetro, contro il quale stava appoggiato con la tempia destra, pulsante e gelida, come le sue dita, vuote di Robert, al di là dei sogni.


“Fumi?”
“Ciao Colin … Ne vuoi una?”
“Sì, ma veloce, sai che Jared mi sgrida” – rivelò complice ed a Justin sembrò un dejà vu.

Sorrise, porgendogli una Camel, dopo averla accesa personalmente, senza che a Farrell desse fastidio.
La sensazione fu oltremodo positiva, come appartarsi nel retro del locale, dove impazzava una festa troppo assordante ed alcolica, per l’irlandese, ormai sobrio e pulito da tempo.
Un tempo in cui Justin era cresciuto, come notato da Jared, durante quella video chat di alcuni giorni prima; Jared, che adesso si trovava al centro di una pista improvvisata, avvinghiato ad Eamon, brillo quanto il cognato, che ridacchiava nel constatare come Steven avesse un’aria truce, su quel look da “collegiale”, come l’aveva definito il cantante, sotto voce al marito, appena salirono sull’auto di Mannion, per recarsi all’inaugurazione del pub.

“I tuoi guys si divertono” – scherzò Justin, indicando oltre il vetro Jared e soci.
“Sì, ci voleva … Ultimamente Jared è un po’ in crisi, non che sia una novità”

Quella confidenza, però, gli apparì subito fuori luogo, soprattutto nel notare come l’altro lo stava scrutando, imbarazzato.

“Si risolverà tutto, Jared ha una forte personalità, Colin”
“Certo … Lo amo anche per questo”
Sembrò rimarcarlo, come se avesse uno scopo, mentre Justin cercava con lo sguardo Brian, tra la folla esaltata dall’ottima birra, offerta senza badare a spese.

“Tu come stai?”
“Bene Colin, niente più casini, niente più botte, con Brian …”
“Botte?”
“All’inizio era così … Cioè ci si azzuffava … Ecco” – ed avvampò.
“Non lo sapevo … O non lo rammentavo … Scusa” – e deglutì.
“Per cosa?” – sorrise dolce – “Del resto era un problema che dovevo risolvere io: quando inizi a credere di meritarlo, allora sei finito. Ho lavorato su me stesso, sull’autostima perduta, nel lasciarmi assorbire così tanto da Brian, da annullarmi … Non è stata una passeggiata, però ci amiamo così tanto che ne valeva la pena”
“Lui aveva tra le mani un tesoro e lo buttava via, così …?” – chiese assorto.
In pratica era come avere tracciato un parallelo tra le rispettive relazioni: anche lui, con Jared, aveva sbagliato spesso e volentieri, dimostrando un’indole aggressiva, immatura, a tratti bestiale.
Colin strizzò le palpebre, sentendo un vuoto allo stomaco.
Era traumatizzante ripercorrere ogni volta quella maledetta notte ad Haiti.
Se fosse esistita una pillola per cancellarla dalla memoria, l’avrebbe presa al volo.

“Brian sa chi sono … anzi, cosa siamo noi … ed è bellissimo” – confermò sereno.
“Sì … E’ il minimo” – sorrise inquieto.
“Devo rientrare … E dovresti farlo anche tu, Colin, per salvare Jared da Steven: credo se lo voglia mangiare” – rise allegro, facendo strada.
Farrell spense in fretta la cicca sul muro e lo seguì, in silenzio.


Shannon li accolse premuroso.
Tomo preparò del caffè ed una tisana, la preferita da Geffen, che, seguito amorevolmente anche da Robert, si ritrovò nella camera degli ospiti, con il batterista alla ricerca di un cambio nella cabina armadio, dove metteva piede di rado.

“Sai ci sono un mare di indumenti ancora imbustati, è Jared ad accumularli qui … Rob guarda un po’ questi” – e gli lanciò un completo intimo di pregio.
“Scommetto che tu non butti nulla, come me …” – osservò Downey, mascherando la propria ansia, senza successo.
Leto lo fissò – “Ehi, che c’è?” – domandò con il suo tono caldo.

Glam si stava facendo una doccia, dopo avere infilato i vestiti nella lavatrice, con una discreta disinvoltura: gli piaceva stare lì.

“Sono amareggiato … Per la salute di Glam: temo di avergliela rovinata a mia volta e … Non so, io” – si commosse.
Shan gli si avvicinò e sopraggiunse anche Tomo.

“Lui ti vuole così bene, Robert, non penso abbia un senso la tua teoria … Semmai Jay …”
Il croato, però, gli lanciò un’occhiata di rimprovero.

“Voglio il meglio per Glam, anche se poi ne sarei geloso” – sorrise tirato.
Geffen si palesò in accappatoio, tamponandosi i capelli cortissimi.

“Cos’hanno trovato i miei angeli custodi?” – domandò scherzoso, ma un po’ pallido.
Tomo lo scortò in poltrona – “Beverone e biscotti, abbuffati, ok?”
“Ok …” – replicò lui perplesso, ma compiaciuto.
Shannon scovò finalmente una tuta e Rob dispiegò boxer e vogatore, neri, sul bracciolo, dove Glam gli fece spazio – “Ehi tu, vieni qui …” – lo invitò ad accomodarsi, con fare simpatico.

Tomo e Shan uscirono.

“Quei farmaci Rob …” – esordì sommesso.
“E’ di questo che si tratta?” – bissò tormentandosi le mani.
Geffen sorrise – “Sei incagliato nel mio inconscio, sai?”
“Come …?”
“Prima ti ho … sognato, durante la mia … catalessi” – rise amaro – “E … ed è era così vero, reale Robert … Io sono”
“Glam”
Lo interruppe, sentendosi terribilmente stupido.

“Perdonami, io devo andare e”
“Non avrei mai voluto vederti così, Robert, in fuga da me, dalle mie … scomode esperienze”
“Tu sbagli, sai quanto ci tengo a te”
“Ma le tue priorità sono altre, lo so Rob” – si alzò, mentre Robert l’aveva fatto da un pezzo.

Erano al centro della stanza, nel vuoto più assurdo avessero mai dovuto affrontare.

“In me c’è qualcosa che non va … Ed io comincio ad esserne spaventato a morte: questa è la verità, che non ho mai voluto nasconderti Rob” – affermò schietto, sebbene scosso.
Downey gli volò al collo e caddero sul parquet, così come avvenne su quella sabbia, quando unicamente lui perse le forze, davanti al gesto di Glam, nell’affidare le loro fedi nuziali all’oceano.
Sembrava anche quello un frammento onirico, al seguito di una meteora impazzita, quale era Glam Geffen, nella galassia dei sentimenti falliti e senza futuro, in cui anche mr Iron Man era stato coinvolto, ma non distrutto.
Lui esisteva, nella sua integrità, anche di padre, che voleva correre dalle figlie.
Adesso.


Jared lo trascinò nella toilette.
“Come in Marocco” – gli soffiò nell’orecchio il leader dei Mars, bollente ed alticcio, ma Colin non sembrò gradire a pieno quell’iniziativa.

Erano un po’ grandi per farsi beccare in quella maniera, per di più da amici, che li avevano invitati per un evento simile.

Ormai era tardi e la serratura scattò, tra le risa di Jared e la musica, filodiffusa sino a lì.

Cominciarono a baciarsi, ma nel cervello di Farrell sembrarono affiorare altre immagini, meno concrete del marito, quasi nudo, che si era già inginocchiato tra le cosce del suo Re d’Irlanda, per spogliarlo senza esitazione alcuna e fargli “… ciò che mi riesce meglio Cole” – gemette, ammirandolo da quella prospettiva scomoda.
Farrell annuì a corto di ossigeno, chiudendo gli occhi e vedendo un Justin più acerbo, che si appendeva a lui, mentre scopavano nell’appartamento del grafico.

L’odore intorno sapeva di erba ed in effetti qualcuno si stava facendo uno spinello ad un metro da loro, ignorandone la presenza.

Colin si riprese, ma abbandonarsi a quelle fantasie, mentre il proprio sesso affondava nella bocca, ancora perfetta di Leto, aveva il sapore di una trasgressione innocua, anche se poco edificante.

Il busto esile di Justin, però, con quelle scie di sudore, saliva ed umori, che si lasciava impalare, dopo che Colin gli era venuto tra le labbra ed il giugolo, tanto generoso da traboccare, lo investirono nuovamente.

Un’eccitazione progressiva, che non gli dava tregua e Justin non chiedeva di meglio, perché il suo fisico gli permetteva ogni azzardo, sregolato o romantico, senza mai andare in carenza di energie; semmai sembrava tirarne fuori in quantità smisurata dal proprio amante, in quel caso Farrell.
Ogni angolo di quel loft sembrava l’ideale per quell’amplesso, che forse non era mai neppure avvenuto realmente tra i due, ma, ormai, fantasia e realtà erano fuse all’unisono, come Colin e Justin … Ops, Jared.

Le guance di lui, piene, caparbie, le dita di Colin sotto il mento del coniuge, rischiando di soffocarlo, mentre lo colmava di sé.
C’era una minima costrizione, ma a Jared non importava, confuso dall’alcol e dal volerlo stupire, in una rinnovata e mai spenta intesa.
Peccato che Colin stesse pensando ad un altro, intontito dal fumo passivo della marijuana consumata da uno sconosciuto, così come percepiva sé stesso, in quel contesto, verso un Jared tremante ed incerto sulle gambe, che non tardò a perdere i sensi, come un fantoccio, che non serviva più a nessuno.









venerdì 26 luglio 2013

ZEN - CAPITOLO N. 158

Capitolo n. 158 – zen


Il cottage era in ordine ed immerso nelle nebbie mattutine: Jared preparò la colazione, in un silenzio ovattato.
Sul ripiano in quercia, solido e massiccio, ma anche nodoso in qualche tratto, restava aperto il suo tablet, sulla pagina Twitter e sulla posta personale del cantante, entrambe in continuo aggiornamento.
I toni erano stati esclusi, così da non turbare quella quiete, ma a Jared piacevano tutti quei bip, identificandoli come un segnale di approvazione necessaria, anche se proveniente da quegli effettivi sconosciuti, che lui chiamava ancora famiglia.
Parole di Laurie.
L’analista gli aveva fatto alcune raccomandazioni scherzose, prima del decollo, in presenza di Jim.

“Tu gli vuoi bene, Hugh …” – gli disse assorto, appena rimasero soli nello studio dello psicologo.
“Può darsi, ma non è etico e poi … Poi subirò il fascino alieno di questo qui, che mi fa solo tribolare, sai?”
Risero.
“E’ una causa persa, Jim, questa è la verità … Oppure io non sono abbastanza bravo, that’s all!”

“Questo è l’aroma che preferisco …” – Colin si stava stiracchiando, avanzando in cucina – “Sempre dopo la visione di te, ovvio …” – sorrise, avvolgendo il marito, per baciarlo, caldo e premuroso.
Jared si scioglieva in mille rivoli e ricordi, quando Farrell aveva così cura di lui: ultimamente non aveva mai smesso e la sua pazienza sembrava interminabile.
Sembrava, appunto.


Harry aveva raccolto i dati disponibili, ma sia a lui che a Geffen risultarono insufficienti.
“Vieni, facciamo un giro” – propose l’avvocato, prendendo la giacca dalla poltrona.
“Dove andiamo?” – chiese lui, spiazzato da quell’iniziativa.
“Voglio parlare con un amico, perché Antonio forse non basterà per risolvere i problemi di Sylvie”

Una volta in garage, Glam gli tirò le chiavi con un sorriso – “Guida tu la mia bella, vuoi?” – ed indicò la Ferrari, lucida e fiammante nel suo colore rosso.
“Non so se”
“C’è sempre una prima volta … E poi, con questi colpi di sonno improvvisi, meglio che io faccia il passeggero …” – concluse mesto.
“Ok … Wow che rumore …” – mormorò Harry appena la accese.
“E’ un suono, è musica, è un segno di vita questo capolavoro … Parere personale, ovvio” – rise – “Questo è l’indirizzo … se vive ancora lì …” – ed impostò il navigatore.
Si avviarono, con estrema cautela da parte di Haz, concentratissimo sulla strada e sul resto del traffico.


Vincent Lux accolse i due con un’espressione da canaglia.
“Non credo ai miei occhi … Glam!”
“Ciao, scusa se non ho avvisato, ma ho perso il tuo numero” – disse salutandolo.
“L’ho cambiato … Prego, accomodatevi … Il tuo nuovo ragazzo? Molto carino” – esordì con un sorriso malizioso, puntando Harry come uno squalo.
“No, è un mio collaboratore”
“Oh bièn, ho perso un po’ il conto delle tue … dolci compagnie” – rise, offrendo sigari.
Erano in un living di marmi e colonne in marmo bianco di Carrara, dai riflessi dorati, di un lusso sfrenato, come gli arredi.
Sul fondo transitò una signorina, avvenente e poco vestita.

“La tua nuova ragazza?” – bissò Geffen.
“No, è la mia badante” – ridacchiò l’uomo, sulla cinquantina scarsa, non bello, ma tremendamente affascinante, magnetico.

“Ok, è sempre bello scherzare con te Vincent, ma adesso devo chiederti un favore”
“Bene, sei in credito giusto di uno, così andremo a pari, finalmente … Sediamoci, un drink?”
Harry se n’era stato zitto sino a quell’istante, impacciato.
Accettò una bibita, così Glam, che espose velocemente la situazione.
Vincent prese appunti sul proprio palmare e poi inviò una e-mail.

“Ora vediamo … Dammi ventiquattro ore comunque …”
“Certo, il tempo che vuoi, non abbiamo fretta, spero che Alain non sia in pericolo, nulla me lo fa supporre”
“Sì, ma ha una famiglia, cosa credete di fare, Glam?” – domandò incuriosito.
“Queste persone si sono comportate malissimo con Sylvie: decideremo al momento o meglio, vedremo come sta il bimbo, se ne hanno cura e lei … Forse si rassegnerà”
“Tu credi? Una madre non lo fa mai”


Christopher varcò i cancelli della Joy’s House, salutando Vas e Peter con un sorriso raggiante.
Scese dal suv con gli spartiti ed un basso nuovo, che avrebbe donato a Kevin; lui lo stava aspettando al terzo piano, nello studio di registrazione, dove Tim curiosava tra i cd, inserendo quelli più vecchi dei Red Close, i suoi preferiti.

Ivan stava facendo un giro di ricognizione, alternandosi ad Amos, come fu disposto da Vas, per amplificare al meglio la sorveglianza dell’abitazione.
Era un’occupazione semplice, anzi, piuttosto noiosa.
Ad Ivan piaceva l’azione, non certo menare le mani, però non si era mai tirato indietro nelle risse, uscendone sempre quasi illeso.
Quando incrociò i cristalli di Christopher, rimase immobile, chiedendosi chi fosse quel giovane.

“Ehi ciao, tu devi essere il nuovo body guard di Kevin, io sono Christopher, lavoriamo insieme, in una band, sono il cantante” – glielo disse con un sorriso splendido, facendo cadere tutto ciò che aveva tra le braccia.
Ivan si precipitò ad aiutarlo.

“Sì … Siamo in due …” – spiegò imbarazzato l’uomo, arrossendo.
“E tu sei …?”
“Ivan”
“Ok …” – e si rialzarono.
“L’accompagno da Kevin?” – chiese senza pensarci.
“Volentieri … Ma conosco la strada, non credo mi succederà niente” – replicò solare, anche se quello, per Ivan, era un rifiuto bello e buono.
Si chiese mentalmente perché stava ragionando in quel modo.
“Mi scusi …”
Christopher corrugò la fronte, pensando di essere stato maleducato a dargli del tu, spontaneamente.

“No è che … Possiamo darci del tu? …”
“Certo” – Ivan sorrise.
Un evento, pensò Amos poco distante, che, assistendo alla scena, rimase quasi sbigottito dall’atteggiamento del suo socio.

Decise di farsi avanti e completare le presentazioni.

“Ciao, io sono la sua metà” – rise, fulminato dallo sguardo torvo di Ivan.
“Salve …” – ribatté stranito Christopher.
“Solo sul lavoro, sai, incompatibilità di carattere, lui russa come un bufalo!”
“Non è vero!”
Al che Ivan, si sentì un coglione, nel contestare la burla di Amos, che non sapeva più dove guardare, per nascondere la propria ilarità.
“Siete … simpatici e … Massicci” – Chris rise, poco convinto – “Ok io vado, ciao ciao, ci si vede in giro!” – e si allontanò.

Qualche secondo dopo, i due si ritrovarono muso contro muso.
“Ti strappo le palle se …” – ringhiò Ivan.
“E’ l’aria di qui, forse? Ma che ti prende? Ahahahah”
“Fottiti” – e se ne andò.
“Che modi, sei antipatico e”
Vassily stava arrivando, quindi Amos la smise subito di canzonare Ivan, ormai sparito dal loro orizzonte.
“Che succede?”
“Niente capo … Il nostro Ivan si è scontrato con un … angelo, dagli occhi di ghiaccio” – spiegò leggero, finendo la frase senza dirla – “Ghiaccio bollente”


“E tu dovevi vedere i pavimenti, le tende!”
Harry sembrava impazzito nel descrivere la residenza di quel Vincent Lux.
Louis ascoltava attento, senza interromperlo.
“E poi ho guidato la Ferrari del boss! E’ stato divertente, vorrei chiedergliela così ti ci porto Lou!”
Il ragazzo storse il nasino perfetto – “Ma come … Tu non eri quello che detestava il lusso, l’ambiente di Geffen ed il contorno …?” – domandò dubbioso, ma con un mezzo sorriso di rivalsa.

“Sì, beh … insomma … Certo che quando ci sei dentro …”
“Ah ci sei stato dentro per mezz’ora e te ne sei uscito soggiogato, tanto da cambiare idea?” – insistette, senza alcuna aggressività, sembrava invece il gatto con il topolino.
Un topolino dagli occhi grandi, liquidi, fissi su di lui e che sembravano già spogliarlo solo in quel modo.
Louis avvampò, perché Haz non gli diceva niente, appoggiato al muro, avvolto solo dall’asciugamano, che si era legato intorno ai fianchi magri, dopo la doccia, fatta nell’attesa di lui, ancora in università.

Deglutì, poi quasi sussurrò – “Toglitelo Haz, ma rimani lì … Non ti muovere” – disse come imbambolato.
Harry lo fece, senza neppure sorridere, troppo preso dalla sensualità della voce roca di Louis, che si avvicinò lento, togliendosi la felpa, le scarpe, le calze, restando solo con i jeans aderenti, che gli segnavano quei glutei alti e perfetti, evidenziando, mentre si inginocchiò, che non aveva l’intimo.

Lou lo scrutò dal basso verso l’alto, prima di inghiottire la sua erezione ed ad Harry sembrò di impazzire.
Le tonsille di Louis erano calde, così la sua bocca, bagnata, lenta e progressiva, nel pompare e succhiare, con sempre maggiore abilità.
Le sue dita affusolate si appoggiarono alle cosce di Harry, dapprima con delicatezza, poi sempre più ad artiglio, confermando un possesso innocente e sfacciato, quanto reciproco.
Harry reclinò indietro la massa di capelli folti e riccioluti, ora anche madidi di sudore, i palmi appiccicati alla tappezzeria, aperti, come le sue labbra, che si umettava ad intervalli regolari, quando si sentiva mancare, poi deglutiva ed ansimava.
Alla fine urlò.
E poi, accasciandosi, pianse.
Di pura gioia.


Justin gli andò incontro portando una cassa di birra, oltre al suo sorriso.
“Ehi ciao! Siete arrivati … Ma dov’è Jared?”
Si abbracciarono.
Colin era emozionato ed anche un po’ confuso nel rivederlo.
“Arriva tra poco, è rimasto con mia madre per vedere la nuova nipotina.
“Che sarebbe …”
“La figlia di mia sorella Catherine … Sono qui con Eamon, te lo ricordi?”
Il fratello di Colin entrò in quel momento, dopo avere programmato il parchimetro.
“Ciao …” – disse guardandosi intorno.

Conosceva quel locale e lo ricordava grande la metà, però Colin gli aveva spiegato quanto fosse cambiato.

“E Brian?”
“E’ dal commercialista … Stasera ce l’inaugurazione, vi posso dare gli inviti, ci sarete?” – chiese speranzoso, fissando l’attore.
“Sì … credo di sì, non abbiamo nulla in programma con Jay … Ah eccolo”
Leto si unì a loro con un sorriso di circostanza.
Lo faceva per Colin, per equilibrare le proprie pecche, quando si ritrovava con Geffen, in un’amicizia, che comunque sperava ben diversa da quella che ancora sembrava unire il consorte a Justin, molto cordiale ed avvenente.
I muscoli ed il fisico asciutto, erano ben delineati sotto i jeans neri e la maglietta a tema, con il logo del pub.

“Vi offro una di queste, arriva dal Belgio, che ne dite?” – propose gentile.
“Ok Justin, accettiamo, vero Jay? Eamon?”
“Ovvio che sì, ma ho visto anche quelle tartine …”
“Fratellone non eri a dieta?” – sghignazzò Colin.
“Jared porta via questo insolente!” – sbottò il cognato, da sempre complice del leader dei Mars, con il quale aveva scambiato più di un’occhiata esaustiva, in quel contesto, in cui neppure lui si sentiva a proprio agio.








 SPECIAL GUEST VINCENT CASSEL is VINCENT LUX



LOUIS ASS ... ;-)