venerdì 29 maggio 2015

LIFE - CAPITOLO N. 125

Capitolo n. 125 – life



Colin lo baciò ancora ed ancora.
Caldo.
Profondo.
Nel buio.

Jared, aggrappato a lui, passò da una sorta di dormiveglia, sfinito dai ripetuti amplessi, ad un sonno tranquillo.

Al risveglio, però, la prima cosa che vide, furono due trolley accanto allo stipite d’uscita, della loro camera.


“Colin …?” – mormorò sorpreso.

“Sì, eccomi”

Farrell uscì dal bagno adiacente, già pronto per uscire, da com’era vestito.

“Dove stiamo andando?” – ed un sorriso di circostanza, celava la sua paura più vivida.

“Veramente sto partendo per il nuovo film, te ne avevo parlato, giriamo in Francia, per un paio di mesi, ma dopo le prime tre settimane, ne avrò una di pausa e rientrerò a Los Angeles” – spiegò apparentemente calmo.

“Tre settimane … Ma … Potrei venire anch’io e”

“Perdonami Jay, ma vorrei stare un po’ da solo”
“Cole”

“Ti chiamerò ogni giorno, promesso” – e si affrettò a controllare i documenti ed inviare un sms a Claudine, già ai cancelli, con due bodyguard della produzione, che li avrebbero scortati durante il viaggio.

Il cantante deglutì amaro, quindi si alzò – “Ok … Ok, come vuoi tu” – asserì provando a mantenere il controllo, quindi abbracciò il marito.

Tremando.

“Arrivederci Jay … Ti telefono appena atterrato, quando sarò in hotel, ok? Qui ci sono i recapiti” – e gli passò un biglietto da visita del resort, dove la troupe avrebbe alloggiato.

Leto era pallido, poi avvampò: la sua pressione, ormai, subiva sbalzi di continuo.

Avrebbe voluto urlare, ma si dominò, sparendo poi nella cabina armadio, per cambiarsi ed impedire all’irlandese di vederlo piangere.

Farrell se ne andò, senza aggiungere altro.

Con la morte nel cuore.




Si diedero appuntamento in un bar del molo dodici: Michael vi giunse con lieve anticipo, trepidante nel rivedere Richard, piuttosto adombrato al proprio arrivo.

“Ehi ciao, avevi da fare?” – chiese il ragazzo, ma Geffen jr scosse la testa, senza togliersi i Ray-Ban scuri.

“No Micki, ma credevo fossi già partito, non ti sei più fatto sentire”

“Il congresso mi ha assorbito, te lo avevo detto, comunque ti ho cercato ed ora siamo qui, perché ho delle novità, ecco”

“Cosa bevi? Dai sediamoci” – e, nel dirlo, l’architetto si guardò attorno, un po’ guardingo.

“Tua moglie è nei paraggi? Sembri sulle spine …”

“No, affatto” – e finalmente lo fissò dritto negli occhi, con i suoi, così belli e luminosi.

“Ok … Senti, so che avrei dovuto parlartene ben prima di ora, però ogni tanto ti davo buca, quando eravamo a Sidney, perché mi ammazzavo di studio, per conseguire una seconda laurea … In giornalismo!” – e sorrise entusiasta.

“Come mai me lo dici adesso?” – Geffen jr rise imbarazzato.

“E’ questa la novità, un … un nuovo lavoro, al settimanale L.A. News” – rivelò elettrizzato, mentre la cameriera disponeva sul tavolino, caffè e brioches.

“Quell’immondezzaio di gossip?” – sbottò acre.

“Ricky … Lo so, non sarà una testata d’élite, ma neppure come la descrivi tu” – obiettò risentito.

“Mio padre li avrà querelati un mare di volte, per tutta la … Lasciamo perdere”

“Il tuo celebre e famigerato papà ha dato spunti di ogni genere, a paparazzi e cronisti, se permetti, poi è un divo, uno che fa spettacolo anche in tribunale”

“No, questo non te lo permetto: mio padre ha mille difetti, però nella sua professione è sempre stato corretto ed integro”

“Corretto? Glam Geffen …? Sarà” – e rise, provando a sdrammatizzare, ma Richard stava già rimuginando oltre a quelle battute scomode.

“Quindi rimani …?”

“Dio che allegria Ricky! Credevo che … che avresti fatto i salti di gioia, visto che abbiamo ricominciato a frequentarci e”

“No, no, frena”

“Lo so, ti ho piantato quando eravamo in Australia, ero incazzato per la gravidanza di Sonia, ma ci ho riflettuto ed ho provato a costruirmi una carriera qui e non in altre città, tanto meno a casa mia, visto che voglio riprovarci con te”

Geffen jr si massaggiò le tempie.

“Qualcosa non va, Ricky?”

“No … Senti io … Io ben presto chiederò il divorzio”

“Cosa?!” – e la felicità gli salì dal cuore alle iridi, che vibrarono di incredulità e sorpresa.

“L’ho deciso da un po’ di tempo e non … Non per merito tuo, Micky” – confessò onesto.

“E’ per … Per avere una vita senza più bugie, è questo che intendi? Ti sei accettato?”

“No, anzi sì, ma solo in parte … Per il resto ho una nuova storia”

“Un’altra donna?”

“No … NO, accidenti, è un nostro coetaneo e …” – poi prese un respiro – “… l’hai conosciuto, si tratta di Taylor”

“Kitsch, l’attore?!”

Geffen jr annuì, mordendosi le labbra.

Michael si sollevò, andando ad artigliare la vicina balaustra, che dava sull’oceano.

Richard lo seguì, mortificato e confuso.




Jude intrecciò le loro dita, rimanendo disteso sul lettino dell’ambulatorio, dove con Robert stava aspettando l’esito delle analisi, in attesa di sottoporsi alla seduta di terapia ai muscoli dorsali.

“Sai Rob stamattina pensavo all’uomo che, alzando il proprio sguardo, ha visto per primo un cielo stellato … alla sua emozione, capisci?”

“Amore … Sì, dev’essere stato un momento incredibile”

“E’ ciò che ho provato io, appena ti vidi, giuro …” – e chiuse le palpebre, appesantite da un blando sedativo, somministratogli per alleviare le fitte, in lieve peggioramento dalla sera precedente.

“Jude … Tesoro” – Downey lo baciò sulle labbra, appena schiuse, poi sugli zigomi, infine appoggiò la guancia sinistra sulla fronte del consorte, commuovendosi senza freni.

Senza mai lasciargli le mani, fresche e profumate di dopobarba.

Il primario li interruppe, con un colpo di tosse – “Noi siamo pronti, se vuole accomodarsi nella saletta, Mr. Downey, la chiameremo appena terminato, d’accordo?”

“Sì, sì, certo, vado subito … Jude, so che mi ascolti, non avere paura, ok? Io sono di là, con Glam e Kevin”

Ancora un bacio.
L’ultimo, prima di vederlo sparire oltre le ante scorrevoli della zona sterile, dove diversi inservienti stavano preparando un’attrezzatura, che in pochi avevano già sperimentato.

L’americano si sentì la gola asciutta, ma l’immediato intervento di Geffen, con una bibita, lo distrasse da un sicuro mancamento.

“Vieni Robert, stavamo guardando un film, con Kevin, tanto per fare passare il tempo: ci siamo unicamente noi”

“Sì, me ne sono accorto … Questa cura ha un costo assurdo … Lo trovo ingiusto per chi non se la può permettere”

“Hai ragione … Potremmo fare una donazione ed interessarci di coloro, che non possono usufruirne” – Glam provò a farlo concentrare su quel discorso, ovviamente più che serio.

“Infatti … Sì, certo, lo faremo e Jude ne dimostrerà l’efficacia, con la sua guarigione”

“Appunto, è così che devi reagire Rob, pensare positivo” – e lo abbracciò, spiato poco lontano da Kevin, che se ne tornò immediato verso le poltroncine in plexiglass, appena i due puntarono nella sua direzione, per raggiungerlo.




Jared lo seguì a distanza, infilandosi in tutti gli anfratti possibili, per non perdere di vista i movimenti di Colin.

Sapeva l’orario del volo ed arrivò al Lax con un taxi, per non correre il rischio di essere riconosciuto da Claudine o dal celebre fratello.

L’uomo che amava.

Ed ogni volta, che Farrell prendeva certe decisioni, quei sentimenti si rafforzavano in lui, come una dipendenza, come se gli mancasse l’aria.

Eppure doveva lasciarlo andare, del resto non poteva rimproverargli nulla, nemmeno un eventuale tradimento con qualche vecchio o sconosciuto collega.

Il lavoro, per Colin, rimaneva una cosa seria ed era dalla notte dei tempi, che non aveva più avuto alcuna tresca del genere.

Taylor a parte.

E fu proprio l’interprete della serie di telefilm, che li vedeva protagonisti, appena ultimata, che si palesò, con l’agente ed il pr di fiducia.

Kitsch, però, fece il check-in per Chicago, probabilmente per un ruolo appena ottenuto oppure un’audizione importante: al leader dei Mars, questo  non antagonista, apparve piuttosto allegro ed impaziente di decollare.

Come del resto si dimostrava Colin, in ogni gesto e sguardo al cartellone delle partenze.

Jared abbassò gli zaffiri verso il pavimento lucido e pulito, poi li rialzò, annebbiati verso quello scenario, dove esclusivamente Farrell gli sembrò nitido, mentre il resto degli astanti, gli ricordò degli spettri in movimento.

Fu come un’allucinazione, della durata di un attimo.

Perché non c’era più nessuno.

Colin era andato via per davvero.

Senza di lui.




 JARED




 MICHAEL



giovedì 28 maggio 2015

LIFE - CAPITOLO N. 124

Capitolo n. 124 – life



Ruffalo si schiarì la voce, prima di entrare, al seguito di Geffen, nel locale mansarda, dove Kevin stava strimpellando svogliato alcune note, alla chitarra acustica.

Appena si avvide di lui, il bassista tremò, spostando lo strumento alle sue spalle, per sollevarsi dal parquet, dove Lula aveva sistemato cuscini e bibite, oltre ai propri giochi.

Il bimbo sorrise, prendendo poi per un polso Glam, per condurlo nuovamente in corridoio – “Noi siamo di troppo papi, ciao zio Mark” – e gli fece un cenno simpatico.

“Ciao tesoro” – replicò lui, fissando, però, Kevin.

“Che sorpresa …” – mormorò il più giovane, andando poi a chiudere la porta – “… potevi telefonarmi e risparmiarti questo viaggio” – aggiunse più rigido, parandosi davanti all’ex infermiere.

“Ci ho provato, ma la cavalleria si è messa di mezzo” – bissò pacato e con un sorriso.

“Hai l’aria stanca …”

“Ho preso tre voli e detesto i cambi in aeroporto, troppa confusione … Come nella tua testa, ora, Kevin o sbaglio?”

“Può darsi, ma non sono affari tuoi, non più, dopo quello che ho visto in università”

“Il nostro passato non si può e, a mio parere, non si deve cancellare: tu, con Glam, non puoi dire di avere un legame distaccato ed innocuo, ad esempio”

“Noi abbiamo un figlio, un matrimonio finito, una lunga convivenza e così tanto da raccontare e probabilmente dimenticare, che mi posso permettere di avere un rapporto ancora importante con il mio ex, non credi?”

Kevin teneva duro, non voleva sciogliersi in alcun ulteriore pianto e tanto meno cadere tra le braccia di Mark, così tenero e presente, quando amava qualcuno.

Purtroppo, però, il musicista si sentiva al secondo posto, per l’ennesima volta, nel cuore e nella vita di un nuovo compagno.

“Niall ed io dovevamo sposarci: a questo punto non vorrei mettermi in gara con i tuoi trascorsi, ma, a mia volta, ho abbastanza argomenti per motivare il mio attaccamento a lui, che, comunque, non ha nulla di morboso e qui Geffen fa la differenza”

Kevin rise amaro – “Lui la fa sempre … E’ il suo marchio di fabbrica, ma non credermi già arreso alla sua corte oppure ai suoi progetti, non sono così idiota e sprovveduto” – precisò secco, andando a versare qualcosa da bere per entrambi.

“Quindi ne ha, su di te, intendo”

“Certo, vorrebbe tornare  a casa, ma è debole di memoria oppure vergognosamente ottimista”

“No, lui è un perfetto stratega e conosce l’avversario o meglio … la vittima, dei suoi giochi, dei suoi piani”

“Pensala come vuoi, su di me, su di lui, ma io avevo delle aspettative, su di TE! Le vedi queste?!” – ed afferrò il cofanetto delle vere, rimasto su di una mensola.

“Mio Dio …” – mormorò Ruffalo, esterrefatto.

“No, Dio non centra nulla! Eravamo noi a dovere fare andare bene le cose Mark! Corro da te, dopo essere stato dal gioielliere, certo forse un po’ avventato, me lo sono ripetuto per ogni metro di quel dannato percorso, ma poi mi sono concentrato sulle ultime ore, su quello che mi avevi detto, su un mare di stramaledette cose e mi sono precipitato, per chiederti di impegnarti seriamente con me! E cosa mi ritrovo?! Niall! SEMPRE NIALL!” – ruggì livido.

“Kevin …”

“No, non esiste modo di blandirmi! Tu ce l’hai mescolato nel sangue quel ragazzino! E correrai ogni volta dovesse cercarti ed avere bisogno di te! E’ una tua priorità il suo benessere e ti sbrodoli, appena lui ti fa un complimento, una carezza!”

“Tu sei sconvolto e … e così severo con me, neppure consideri il mio essere qui, il mio amore per te … Non te ne frega niente” – ribatté senza alzare i toni, come arresosi all’evidenza di quella durezza inattesa.

L’artista strinse i pugni, andando poi al davanzale, per osservare il buio oltre ai vetri.

“Torna da lui … Volevi riconquistarlo, vero Mark? Così io Tim, ma adesso, credimi, mi date tutti, OGNUNO DI VOI, un senso di nausea, Glam incluso, non temere.”




“Ho sentito dei rumori, delle voci …”

La voce di Downey gli trafisse un punto preciso, tra le scapole, facendolo sussultare.

“Robert …”

“Che succede di sopra?”

Geffen si era fermato al piano intermedio dello chalet, in un salottino appartato, dove di solito sbrigava pratiche di lavoro o semplicemente si rilassava, ammirando il panorama esterno, ora inghiottito da un’oscurità umida di pioggia e vento primaverile.

“Mark si è materializzato questa sera, ma temo sia ormai un fantasma, agli occhi di Kevin” – rispose composto, rimanendo seduto sopra un divano dalle tinte vivaci.

L’attore gli si affiancò, massaggiandosi la nuca.

“Stai bene Robert?” – ed il suo palmo sinistro si posò su quella schiena un po’ ricurva, mentre l’addome del moro si contraeva per quel contatto così delicato ed amorevole.

“Sì!” – uno scatto tradì le sue emozioni.

“Sì Glam … Sto bene … Insomma” – e sorrise tirato.

“Jude?”

“Ha preso l’antidolorifico, ora dorme … Si è lamentato parecchio, non ha mangiato granché e sono in ansia per domani”

“Scott ci aveva preparati a queste crisi, risolvibili vorrei ricordartelo” – replicò sereno.

“Tu la fai semplice” – e si rialzò nervoso, per poi inginocchiarsi ai piedi di Geffen, scusandosi – “… non ragiono più, a vederlo così e”

“Tesoro ehi … Ma cosa fai?” – gli domandò con tenerezza l’avvocato, portandoselo sul petto, mentre si stava sollevando anche lui – “Ti ho promesso che andrà tutto bene, ok?”

“Glam tu non perdi mai le speranze?”

“Una volta è successo … Ma Lula mi ha smentito … Clamorosamente” – rise, con gli occhi lucidi al solo pensiero di soldino, che apparve come un folletto, interrompendoli.

“La cena è pronta! Ci sono minestrone e polpette!” – affermò entusiasta il bimbo, andando poi a stringersi a quell’abbraccio.

Pepe arrivò un secondo dopo, sporco di cioccolato sul mento – “Io ho già assaggiato la torta! Non resistevo, ops …” – e sgranò i fanali blu cobalto, davanti alle espressioni buffe dei suoi genitori, che lo avvolsero senza esitare.

Ruffalo vide la scena, un attimo prima di imboccare le scale, per uscire dal retro della residenza.

Senza fare rumore.




“Mi dispiace Mark …”

La voce di Leto era distante e disturbata da un fastidioso ronzio.

“Tu come stai Jared?” – chiese il docente, tirando su dal naso, incurante che gli astanti lo stessero spiando, in quella sua telefonata con il leader dei Mars.

“Ho avuto una brutta discussione con Colin, gli ho detto di Glam, però ora siamo a casa, lui mi ha … mi ha perdonato, spero” – ed inspirò, rannicchiandosi meglio sulla poltrona della biblioteca, dove di solito era Farrell a sistemarsi, per leggere copioni e lettere dei fans.

“Non ne sei certo?” – Ruffalo sorrise, tamponandosi le guance nel ricomporsi come meglio poteva, rintanato in un angolo della sala di aspetto, in attesa del volo di ritorno.

Per fortuna ne aveva trovato uno diretto per Los Angeles senza scali intermedi.

“Con lui a volte è così, non si … verbalizza per filo e per segno, magari si fa l’amore, ma non stavolta … Forse non gli piaccio più ed a guardarmi allo specchio, sinceramente, lo capisco: sono uno straccio”

“E’ solo un pessimo periodo, dovreste fare una vacanza, riprendere il controllo e l’equilibrio, ecco”

“Qui è lo psichiatra che parla” – Leto sorrise, più rilassato.

Gli piaceva parlare con Mark.

“No, anzi … E’ quello che avrei fatto io con Kevin, se solo …” – poi sbuffò greve – “… lasciamo perdere”

“No sfogati, se ti va”

“Magari lo farò di presenza, ti invito a pranzo, che ne pensi Jared? Così ti stresso ancora un po’ con i miei disastri sentimentali” – provò a scherzare.

“Volentieri … Ma niente locali, a me va bena anche un’insalata, a casa tua, se non ti disturbo, non voglio invadere la tua privacy oppure vieni tu al mio loft di Malibu, così ti faccio ascoltare le mie nuove canzoni, prima di tutti, non ne sei onorato?” – rise più giocoso.

“Prima di Colin ed addirittura di Shannon? Accidenti sì” – Mark resse il gioco, distraendosi un minimo da quel dolore, che gli attanagliava lo stomaco.

“Veramente ne ho finito solo una … Ma è carina … Temo il giudizio di Colin ed anche di quell’animale di mio fratello … Di solito è a Tomo, che riservo l’anteprima … E’ una ballata romantica, una cosa strana per me” – spiegò più assorto.

“Ispirata dal momento? Sei ancora così innamorato di lui …”

“Non voglio neppure chiederti di … lui

“Diventa così odioso quanto ti si mette contro, ma avresti dovuto vederlo, con i suoi bambini … Dio, sembra trasformarsi … Si … Si illumina di una dolcezza incredibile” – rivelò, evitando cautamente di inserire Robert in quel commento, visto quanto l’ex lo trattasse come un essere prezioso ed adorato.

“Glam è fatto così … Per questo o lo ami o lo detesti …” – replicò tranquillo il cantante, con una nota di malinconia nell’esprimersi.

“Non farò mai parte del suo harem!” – ironizzò Ruffalo, sentendo chiamare il proprio volo.

Finalmente.

“Jay devo andare, ti telefono appena arrivo, posso?” – chiese fiducioso.

“Assolutamente sì, tu sarai sempre il benvenuto: buon viaggio Mark.”




Dimitri gli si svuotò dentro, con scarsa delicatezza.

Grugnì qualcosa in russo e poi crollò sul busto di Matt, in crisi di ossigeno, per l’orgasmo ed il peso dell’altro, sul proprio corpo più esile, anche se palestrato.

“Ehi che modi Dim” – ansimò, scocciato dalla sua rudezza.

“Stai zitto … Non ho voglia di sentirti frignare o lamentare” – bofonchiò il mercenario, l’alito appestato di alcol.

Miller provò a dominarsi – “Perché continui a bere, eh? A cosa ti serve?”

Dimitri lo lasciò lì, scostandosi brusco – “Mi serve a non pensare alla vita del cazzo che stiamo facendo, ecco a cosa mi serve alzare il gomito ogni tanto, miseria schifosa!”

Le sue reazioni erano sempre più rabbiose, da alcuni giorni.

“Dirò a Meliti di non rifornire più il nostro mobile bar, così almeno eviterai di ridurti così! Anch’io ho il diritto di vivere meglio che posso questa situazione, non credi?!”

L’ex militare lo scrutò, con aria sarcastica – “Tu fallo e ti rispedisco alla tua amata clinica, ok Matt? Mi basta dire al vecchio che hai ricominciato a dare fuori di matto, anche se non è vero, quindi sei avvisato!” – ringhiò minaccioso.

Miller si rivestì, senza agitarsi.

“Sei un coglione Dim … Un vero coglione” – e se ne andò, uscendo nel parco, mentre stava albeggiando.

Antonio era in veranda, a bersi il primo caffè della giornata, un’abitudine a lui molto cara.

Gli piaceva viversi quel paradiso, alle prime luci del sole, quando tutti erano ancora nel mondo dei sogni.

Quasi tutti.

“Buongiorno signor Meliti …” – Matt gli sorrise, avvicinandosi.

“Signor Meliti? Quanta formalità …” – ridacchiò, accendendosi un sigaro.

“Non dovrebbe, se la vedesse Carmela …”

“Non accadrà e conto sulla tua riservatezza figliolo … Hai una faccia, cosa ti prende stamane?”

“Ho … Ho dei problemi con Dimitri e … E mi chiedevo se ci fosse una stanza per me, da qualche parte nella tua reggia nonno, per starmene un po’ lontano da lui”

“Tu passi da un estremo all’altro, chiamami Antonio e la chiudiamo qui, ok?”

“Ok … Anche per un nuovo alloggio, solo per me?”

“Ci sono quelli sopra le scuderie, se proprio ci tieni ragazzo …”

“Dim potrebbe raccontarle delle sciocchezze, su di me, ma sono tutte falsità, ok?” – esternò teso.

“Tipo?”

“Tipo che ho sbroccato, per farmi internare!”

“Non dire cavolate, quel somaro della steppa ti ama” – e rise gioviale.

Matt avvampò.

“Ed anche tu …” – sospirò il patriarca – “… Discuterò la faccenda con Geffen, dobbiamo trovarla una soluzione, non siete in ostaggio … A dire il vero non so più nemmeno perché siete finiti qui”

Miller rise, in imbarazzo – “Vi abbiamo creato qualche problema” – sussurrò timido, le mani in tasca.

“Puoi ben dirlo, però, da quel che so, non è davvero colpa tua Matt” – disse paterno.

Miller lo abbracciò, con spontaneità e candore.

Si sentì al sicuro, come raramente gli accadeva.








 RDJ






giovedì 21 maggio 2015

LIFE - CAPITOLO N. 123

Capitolo n. 123 – life



Leto barcollò sino alla blindata, senza neppure controllare dallo spioncino, chi avesse suonato.

Era Farrell.

“Ehi … e tu cosa ci fai qui? Già finito di lavorare con il tuo pivello?” – biascicò, aggrappandosi al maniglione in acciaio satinato.

“Cristo Jared, ma cosa …?!” – e l’irlandese fece appena in tempo a sorreggerlo, senza finire la frase, prima che il marito rovinasse giù per gli scalini, che dividevano l’ingresso dal living in penombra.

L’artista non aveva alzato completamente le tapparelle elettroniche, limitandosi ad accendere diverse candele ovunque ed un abatjour Tiffany, dono del fratello, di ritorno da un viaggio in terra di Francia.

Un oggetto inusuale per quel mastino di Shannon, come lo apostrofò Jared, ringraziandolo per il pensiero.

Tempi lontani.
Sbiaditi.

Come la bellezza di Jared, che stava sfiorendo, minacciata dagli eccessi, in cui era ricaduto da qualche settimana.

Pasti saltati, vitamine al posto del cibo, alcolici ad ogni orario del giorno e della notte, lontano dalla vista di chi gli voleva bene e qualche sonnifero, per rifugiarsi in un oblio, dove non era costretto ad ascoltare più nulla.

E nessuno.

Come ora stava accadendo con Farrell, sbigottito davanti a quel suo stato penoso.


Jared era stato bravo a fingere, in sua presenza, con i figli, i parenti.

Eppure tutto gli moriva dentro, perché nulla lo rendeva più felice e motivato a stare nel mondo.

Un mondo senza Glam Geffen, che stava diventando un’ossessione per lui.
Del resto neppure in sua compagnia, Leto si sentiva più a suo agio.

Era come una forzatura, un contentino, che l’uomo gli concedeva, forse per farlo stare zitto, per non sentirsi dire quanto avessero fallito entrambi, almeno a livello sentimentale.

Colin si fece forza, perché teneva ancora alle reciproche promesse.
Almeno alle proprie.


“Tesoro vieni, stenditi, tanto che preparo un caffè, ok?” – disse sconvolto, adagiandolo sul divano.

“Ma perché sei qui …? Come mi hai trovato …?” – cominciò a piangere, in una sbornia triste, dalle tinte amare.

“Me l’ha scritto Robert, in un sms” – rivelò senza remore.

“Quello non si fa mai i cazzi suoi … mai … è … è uno stronzo, come … come il suo degno compare … Ti ricordi, Cole, quando mi dava della puttana, il tuo adorato UK buddy??!” – e rise sguaiato, provando a raggiungere con la mano destra, la bottiglia di tequila semi vuota e lasciata sul tavolino del salotto.

Farrell la afferrò, vuotandone il contenuto nel lavandino, con rabbia, ma determinazione.

“Che fai, era l’ultima!!” – gli urlò tra le scapole il coniuge, dopo essere avanzato verso di lui come un fantoccio, pronto a cadere di nuovo.

Quando in realtà, era precipitato già del tutto.

“Dio, sembra di essere tornati indietro nel tempo, sai Jay? Solo che c’ero io al posto tuo e solo standomene, ora, da questa parte, mi rendo conto di quanto sia svilente aiutare qualcuno che non ne vuole sapere di essere salvato, miseria schifosa!” – sbottò, riportandolo ad accomodarsi, aggrappato a lui.


“Mi … mi dispiace Colin … Ma devo dirti una cosa …” – singhiozzò inerme, senza staccarsi dal suo collo, appeso a lui come un bambino impaurito.

“Il motivo per il quale ti stai riducendo in questo modo?” – mormorò l’attore, esausto, ma allo stesso modo timoroso nel dovere ascoltare, ciò che già immaginava.

Leto annuì.

“Non … non ne uscirò mai … Come quando mi drogavo, la sensazione è quella” – ammise, senza più difese ed improvvisamente lucido.

“Glam …”

E fu un sussurro, quello di Farrell, anche di rassegnazione.

“Abbiamo ricominciato a frequentarci”

“Forse … Forse esisteva ancora, sai, un briciolo di me, che avrebbe voluto non crederci, dandoti fiducia Jared” – la voce gli tremò, mentre si rialzava, facendosi scivolare da dosso il sembiante esile ed emaciato del compagno, che non aveva mai smesso di guardarlo, gli zaffiri sgranati e tremuli, come una goccia di rugiada, che non si decide a cadere dal fiore, al quale si sente legata da una simbiosi inspiegabile.

Come il loro amore, sopravvissuto a troppi temporali.
Ad autentiche tempeste, ad essere obiettivi.


“Non c’è più niente, in te, Jay, che merita di essere considerato, se dopo quanto abbiamo vissuto e condiviso, rimani ancora così legato a Glam Geffen, se ci fai l’amore, quando io sono al lavoro oppure in ogni fottuto posto, lontano da te!” – e sul finire, il tono si alzò, come il ribollire del sangue, che Colin si sentiva scorrere dalle tempie al collo.

Gli mancava l’aria e si affrettò ad ingerire una micro capsula, che teneva sempre nelle tasche dei jeans, per gli sbalzi di pressione, così dannosi per chi, come lui, aveva superato un ictus davvero grave.

Peccato non esserci riusciti anche con Jared Joseph Leto, con il dolore che unicamente quest’ultimo, sapeva provocargli, ad una profondità tangibile, per quanto faceva male.

Come in quel preciso momento.




Il bussare, in principio, fu lieve, poi più deciso, visto che nessuno, evidentemente, aveva sentito il suono della campana, che Ruffalo aveva usato, per farsi accogliere nello chalet di Geffen.

Fu lui ad aprirgli.

Mark aveva la barba incolta, lo sguardo stanco, per il jet lag, ma anche l’aria di chi non si sarebbe arreso facilmente, senza parlare con Kevin.

Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato, ma anche contemplativo, da parte di Glam.

“Hai fatto un viaggio a vuoto, professore, anche se la tua mossa è di grande effetto” – e lo fece accomodare.

“Lui dov’è?” – chiese secco l’ex infermiere, guardandosi intorno.

L’enorme camino in pietra era acceso e scoppiettante, sulle poltrone i bimbi sonnecchiavano, avvolti in plaid scozzesi, con la tv accesa su di un canale di cartoni, che ormai nessuno più seguiva, da almeno mezz’ora.

Le luci erano spente, tranne i faretti nei corridoi laterali e lungo la massiccia scala a chiocciola, in legno tinta miele, che portava ai piani superiori.

Fuori pioveva.

“Ti accompagno da Kevin, così la facciamo finita subito” – replicò scuro in volto il legale, facendogli strada – “E’ in mansarda, sta componendo un pezzo alla chitarra, si distrae così, è una sua abitudine”

“Lo so” – disse mesto Ruffalo, tallonandolo.




Jared si stava tormentando i polsi, con le dita frenetiche e gelide, senza avere più il coraggio di sostenere lo sguardo severo, ma sconfitto, di Farrell.

“Ho tanta … tanta paura, sai …?” – riuscì a dire flebile, ma Colin non si mosse, in piedi a pochi passi da lui, sprofondato tra cuscini tinta porpora e nei suoi sensi di colpa.

“No, tu non ne hai mai avuta, Jay, di perdere me od i nostri figli, questa è la verità: sapevi che sarei puntualmente tornato, che avrei ceduto, che ti avrei perdonato!”

“Io … io l’ho fatto Cole … sempre” – e due lacrime gli segnarono gli zigomi scarni.

“Questo non è un bilancio, non costringermi a rivangare certi periodi, ma se davvero vuoi saperlo, la maggiore parte delle volte eri TU a spingermi tra le braccia di altri!” – ribatté chiudendo i pugni.

Leto annuì debole, la vista offuscata, non solo dal pianto.
Ora le sue falangi sottili, erano salite agli avambracci, come in un raccogliersi e chiudersi, verso ciò che stava succedendo.

“Ok … Rimarrò qui … Non ti disturberò, non … non esisterò più Cole, se non per i bambini, spero …” – e deglutì a vuoto, tornando a scrutarlo – “… spero tu non vorrai negarmi di vederli ed accudirli”

“Come potrei …?” – e si sentì venire meno, perché, nonostante il tormento interiore, Jared non era mai mancato ad una recita, una vaccinazione, un colloquio a scuola, una gita, quando Farrell, al contrario, era impegnato più che mai su nuovi set.

Probabilmente anche la carenza di ingaggi, per Leto, era stato un fattore determinante in quella sua crisi esistenziale o almeno così volle giustificarlo mentalmente il consorte, in quel frangente così drammatico ed all’apparenza senza soluzione alcuna.


“Po potresti dire loro che … che li vedrò domani o dopo, magari tra qualche giorno, quando starò meglio? Potresti farlo, Cole?” – domandò senza enfasi, con una dignità ritrovata, quando si trattava del suo ruolo di genitore, ineccepibile.

Farrell si strofinò la faccia tirata e vermiglia, con la voglia di spaccare ogni cosa si trovasse nel raggio di pochi metri.

Ogni cosa, ma non la più preziosa esistesse ancora per il suo cuore provato.

Meglio andarsene, andare via da lì, accettando la sconfitta più cocente, dopo la stupida e perpetrata illusione di avere Jared tutto per sé, dopo infinite e logoranti battaglie, a volte vinte, a volte perse.

“Vuoi il divorzio, Colin?”
Con quella richiesta, improvvisa, Farrell ebbe come un sussulto, come se si ridestasse da un catarsi dolente ed oscuro: per lui, il leader dei Mars, restava un punto di riferimento, anche quando non c’era o lo abbandonava o lo tradiva.

Era un rimescolio di riflessioni, di sensazioni scomode ed ingombranti, che ormai si stavano addensando come le nubi di un uragano, nella sua testa confusa e smarrita.

“Non lo so … non dire stronzate” – sibilò, a corto di ossigeno, la sua figura ormai rivolta verso l’uscita, le gambe che se ne fuggivano da sole, come alla disperata ricerca di una via di fuga.

Di una salvezza insperata.

Un secondo dopo, il tonfo della porta, inondò l’ambiente di un rumore molesto.

Fu la volta di Leto di percepire una sorta di scossa, come se avesse ricevuto uno schiaffo alla nuca.

Chiuse le palpebre, pervaso da un gelo, che gli arrivò nelle ossa, cristallizzandolo in quell’istante, in cui aveva perduto Colin.

Provò nausea, un capogiro, forse sarebbe svenuto e sarebbe stata la cosa migliore, riuscì persino a pensarlo.

A crederlo.

Mentre invece gli sarebbe sembrato impossibile, percepire un calore, intorno al busto tatuato, contro la propria schiena e poi via via dappertutto, avvolto dalla presa virile e disperata di Colin, che non se ne era andato affatto.

Il suo ragazzo di Dublino, aveva aperto e poi sbattuto quella barriera, senza varcare la soglia, oltre la quale non avrebbe più avuto l’istinto di tornare indietro da Jared, dominato dalla razionalità e dal buon senso, di porre fine ad un rapporto così deleterio per entrambi, a volere essere realistici.

Eppure essere folli, nel restare in quella tortuosa spirale di sentimenti, gli apparve come l’unico vero senso, da donare alle loro vite.

“Sono così innamorato di te Jay … Così maledettamente innamorato di te, accidenti” – gli respirò e pianse nella bocca, mentre lo cullava, sotto ad una coperta, restando vestiti, ma intrecciati, di nuovo.

 Senza alcuna garanzia che sarebbe durato per sempre.












 COLIN FARRELL IN CANNES 2015