venerdì 29 aprile 2016

ONE SHOT - FLORENCE

One shot – Florence



Le figure, armoniose e statiche, della Primavera del Botticelli, sembrano spettatrici del loro dialogo, da ormai dieci minuti, durante i quali, Hannibal Lecter e Will Graham, hanno celebrato il loro ritrovarsi.

Hannibal, con parole emozionanti, al cuore di Will, che lo scruta, assorto, a corto di ossigeno.
Forse ha ancora paura di lui, senza sapere, cosa il futuro riserverà loro, portandoli sull’orlo di un baratro, a picco sull’oceano, dove riusciranno a morire e rinascere, in modo quasi incredibile, per entrambi.

Adesso, sono come sospesi, tra il senso di giustizia ritrovato, da parte di Graham e l’ovvia necessità, da parte di Lecter, di sfuggirgli.

Eppure è bello guardarsi, senza sfiorarsi, non ancora, mentre il più anziano lo vorrebbe stringere a sé, per cullarlo, nel suo dolore, che egli stesso ha procurato a Will, vittima e carnefice, pur di catturarlo, in un passato prossimo, non ancora archiviato.

Sarebbe del resto impossibile.

Troppe morti, ma se anche fosse stata una sola, lo psichiatra meriterebbe il carcere a vita, pensa il più giovane.

E poi si chiede, se deve ancora rifletterci, rimuginare sul da farsi.
In fondo, la possibilità di scappare, Will, gliela aveva servita, un anno prima, su di un vassoio d’argento, come quelli usati da Lecter, che gli aveva riservato, però, una sorpresa ingestibile.

Abigail Hobbs, in carne e ossa, come avrebbe sogghignato Jimmy Price, del laboratorio FBI, agli ordini di Jack Crawford.

Questi, è impegnato in una conversazione inconcludente, nel salotto toscano, di Bedelia De Maurier, senza sapere dove sia sparito Graham, come un fantasma, dall’alloggio occupato dall’avvenente psicologa e da Lecter, sotto mentite spoglie, dove si sono consumati ulteriori omicidi.

Ordinaria amministrazione o semplice necessità per sopravvivere.

Le bugie portano al delitto, come logica conseguenza all’esigenza di libertà.
Rinunciarvi, potrebbe essere un sacrificio tollerabile unicamente per Will.
Nella testa di Hannibal, questa convinzione sta prendendo forma, perché è stanco di scappare, di mentire, di reinventarsi, ogni volta.

Ogni maledetta volta.

Con Bedelia, quel marito per finta, quell’eminente professore per finta, era stato spietatamente sincero, durante il soggiorno fiorentino.
Ciò che egli provava per Graham era semplicemente amore.
Se mai avesse perduto una parte di sé stesso, Lecter l’avrebbe ritrovata in Will, completandosi a vicenda, anche se il profiler non era ancora capace di accettarlo.

Ora aspetta, lo squartatore, dopo avere chiuso il quaderno, dove stava disegnando.
Ora è Graham a dovere fare la prossima mossa.
Alzarsi e andarsene, senza più voltarsi indietro, dando a Hannibal una seconda possibilità di mettersi al sicuro dalla polizia locale e da Mason Verger, che l’ha sapientemente corrotta oppure arrestarlo, consegnandolo a Jack, come un agognato trofeo.

Sarebbe un trionfo professionale non indifferente, dopo che proprio il caso Lecter, aveva portato Crawford ad un passo dalla sospensione o, addirittura, di un’inchiesta interna, che l’avrebbe poi umiliato pubblicamente.
Bella era morta, tutto quanto sopra, non gli importava affatto.


Lecter prende un respiro.
Anche se ama anche i silenzi, tra lui e Will, è arrivato il momento di prendere una decisione.

Sembra così esortarlo, con un mezzo sorriso.
Sono malconci, fisicamente, dopo incontri sgradevoli e burrascosi, anche in questo si ritrovano identici.

Graham si solleva e così Hannibal, senza mai smettere di guardarsi.

“Una cosa …” – anche Will cerca un po’ d’aria – “… una cosa, io devo dirtela, però, prima di andare, Hannibal”

“Ti ascolto”

La sua voce è pacata, il suo sguardo innamorato.

È così semplice amare Will Graham, perché è come amare sé stessi, in un equilibrio emotivo ed esistenziale, ambito da molti, raggiunto da pochi.

“Io … io ho compreso il tuo disegno Hannibal” – e si compiace di ripetere il suo nome, perché è come una carezza calda, che gli sale dallo stomaco, gli vibra in gola, si espande ovunque, sino alle sue dita magre, che infine si posano sugli zigomi, dell’uomo che l’aveva marchiato, con una lama sottile, a Baltimora, sul principio di una notte senza fine.

L’ennesima mattanza, con un’unica perdita irreversibile.

“Eri pronto a darmi una casa e … e una famiglia, la nostra casa, la nostra famiglia, tua, mia e di … Abigail” – e tutto si frantuma in lui, le palpebre gli si chiudono, le lacrime sgorgano dai suoi occhi, di un blu zaffiro incantevole.

“Nostra figlia, Will”

Anche per Lecter è difficile non commuoversi, in quel ricordo.

“Siamo padri, un giorno l’hai detto” – Graham riprende con foga il dialogo – “lo eravamo almeno!”

“Almeno finché io non te l’ho portata via per la seconda volta, vero?”

Un istante di estrema lucidità, di confronto non più evitabile.

“Per colpa mia!” – ruggisce Will.

Disperato.

Allo stesso modo lo abbraccia, appendendosi a Lecter, che resta inerme, per un secondo.
Graham potrebbe persino ucciderlo, con quel coltello, di cui l’altro sa, nella tasca destra di Will.

Will che sente tremare tutto intorno a sé, mentre Hannibal lo sta baciando, dopo essere scivolato lungo il suo volto ispido, ma bellissimo.

E lo avvolge, mentre lo bacia insistentemente, inclinando il capo a destra e poi di nuovo a sinistra.

Graham lo segue.
L’ha sempre fatto.
Anche quando Lecter lo prende per mano, portandolo all’esterno, da un’uscita laterale.
Ormai è sera, le vie brulicano di passanti frettolosi di tornare a casa.
Sta per scoppiare un temporale.
Nessuno sembra notarli, in quel loro incedere lento, assorto, ma determinato.

E poi la pioggia.
Alcuni portici, deserti, li proteggono dalle intemperie, ma un vento gelido e improvviso, li esorta a ripararsi meglio.

Un anfratto, una rientranza, creata davanti ad un antico lavatoio.
È sufficiente.

Hannibal lo tiene a sé, sul petto, la guancia sinistra di Will appoggiata sul proprio cuore, che ha ritrovato una ragione, per andare avanti.
O perché tutto finisca.
Accanto a lui, che ascolta le sue pulsazioni e chiude gli occhi.
Al sicuro.

“Guardami”

La sua richiesta, incisiva, desta Graham come da un’assurda quiete interiore.

“Guardami mentre sto per toccarti Will” – e le sue mani corrono sotto agli abiti sgualciti dell’ex professore, dell’ex agente speciale, perché dopo il lungo ricovero e la convalescenza, a riparare la sua barca, Graham si era lasciato alle spalle tutto.

O si illudeva di averlo fatto.

Il suo corpo ferito, segnato, lacerato dentro e fuori, si irrigidisce, poi prova a rifiutarla, quell’invasione cruenta e virile, da parte di Lecter, che ricomincia a baciarlo, perché si rassegni, più dolcemente, al suo desiderio di lasciargli anche questo ricordo.

Le falangi da pianista di Hannibal, frugano, entrano, salgono blandamente umide, quindi febbrili ridiscendono, grondanti di umori, imprigionando poi l’erezione di Will, in un doppio assalto, simbiotico, bollente.

Graham si arrende, reclinando il viso, bagnato da un pianto vivido, come il suo sorriso ansante.

Infine si rifugia, prossimo all’orgasmo, nel collo di Lecter, che lo devasta di baci sulla tempia destra, mentre, avvinghiati, gemono felici.

Hannibal, per averlo portato su quell’altare immaginario di lussuria.
Will, per esserci arrivato insieme a lui.

“Non permettere mai a nessuno, di toccarti così Will” – ringhia nella sua bocca, ma sta per piangere.

“Te lo prometto Hannibal” – annuisce il ragazzo che giocava con i cani, tra la neve, arridendo alla loro accoglienza, limpida e sincera.

Quel fotogramma, accompagnava Lecter, verso l’oblio, ad ogni imbrunire italiano, dopo che si erano lasciati tanto brutalmente nel Maryland.

Un ultimo bacio.

Taciturni, riprendono il cammino, allo scoperto, dove Chiyo può controllarli dall’alto.
E proteggere Hannibal Lecter, con il suo fucile di precisione.


E sparare.

Se necessario.



The end







mercoledì 27 aprile 2016

ONE SHOT - PURPLE RAIN

Purple rain



Londra, aprile 2016
Pov Robert Downey Jr






Il clamore della folla, si è spento da ore.

E adesso sono qui, seduto, su questo muretto, in un posto lontano, da ogni posto possibile.
Aspetto.

Sento i tuoi passi, anche a milioni di anni luce, da quando, troppo distanti, non riusciamo più a dirci niente, da mesi.
Mesi senza di noi.
Di te, Jude.

Guardo l’orizzonte e tutto si colora, più intenso, intorno alla tua sagoma magra, che si avvicina.

Mi alzo o forse resto ancora qui, seduto, su di un muretto, dove abbiamo inciso le nostre iniziali, fuori da due cuori, divisi, tra le nuvole, che, tu, amore, hai aggiunto alla fine.

“Se non su questa terra, almeno lassù, da qualche parte Rob, riusciremo a ritrovarci … forse.”

L’avevi detto con il pianto in gola, spezzato dai miei errori, dalla lontananza, da ciò, che non avevo saputo darti.

Nulla è cambiato, sai?
Eppure io non riesco …
Io non ci riesco, Jude, a separarmi da te.

E sto provando a cambiare le cose, ma è complicato.

Il mio cellulare vibra, con il nome di Chris, accanto alla bustina dei messaggi – “Dove sei, Robert?”

Da nessuna parte.
In ogni abbraccio, io cerco di te, Jude, anche con lui, che è diventato un amico sincero, affidabile, paziente.

Nulla di più, non credere alla tua morbosa gelosia, che è solo la metà, della metà, della metà … della mia …

Amore
Ti sto correndo incontro, anche se una parte di me è perennemente lì, ad attenderti, anche se non verrai.

Eppure tu sei qui.

Mi stringi forte.
Lacrime viola, come pioggia, nei riflessi dei tuoi occhiali, dalla montatura stravagante …
O sono i miei …?

Riflessi, speculari, noi rimaniamo un’unica persona.

Un’unica cosa, che, seppure sbagliata per molti, a noi sembrerà sempre la migliore.

Ti amo …

Mi baci.
Mi perdoni?

Ti prego perdonami …


The end …







venerdì 22 aprile 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 57

Capitolo n. 57 – nakama



“Ecco mio nonno … Mi ha regalato lui questa casa”

La voce di Paul era dolce, davanti a poche foto di famiglia, in fila su di una mensola: si era accovacciato, per arrivare alla quota di Sandra, la minore delle figlie di Norman, che lo stava ascoltando, come incantata.

Beatrice, invece, rimaneva in disparte, un po’ diffidente.
Rovia le lanciava qualche occhiata simpatica, di tanto in tanto, per metterla a proprio agio.

“Quante rughe, sembra una ragnatela!” – rise Baby, così i genitori l’avevano soprannominata, per via di un gioco, per il quale Sandra impazziva letteralmente, un paio di anni prima.

Bea aveva iniziato la scuola da poco e le vacanze di Natale, per lei, erano state tristi: seppure già abituata a vedere di rado il padre, aveva compreso quanto stava accadendo con Sara.

Sara che aveva preteso un incontro e di sapere dove Reedus fosse andato a cacciarsi, pensando si trattasse di un’altra donna, come detto a Hemsworth.

Sbagliava.
E Norman glielo stava spiegando, come meglio poteva, poco distante, sulla spiaggia.

Al tramonto, anche del loro matrimonio.

“Litigano …” – disse sommessa Bea.

“Vuoi un gelato, una bibita?” – propose Rovia, con un sorriso amichevole.

Eppure lei, al contrario di Baby, non voleva dargli confidenza.

Anche se quegli occhi grandi, la incuriosivano.

“Tu sei amico di papà?” – chiese improvvisa la maggiore, puntandolo inquisitoria.

Paul perse un battito, ma tentò di dare il meglio di sé, per non farle una brutta impressione.

§ Calma Paul … calma § - pensò, prima di risponderle.

“Sì, siamo amici”

“E vi conoscete da tanto?”

“No, da poco …”

“E la tua mamma, il tuo papà?” – si intromise Sandra, prendendogli il polso sinistro.

Paul ridiscese, spostandole i capelli, ai lati del volto incantevole – “Sono volati in cielo … Insieme, pochi giorni fa”

“Cavoli … Mi dispiace” – e gli si appese al collo, dandogli un bacio sulla guancia destra, mentre il giovane si risollevava lento, tenendola a sé, come un dono prezioso.
Quindi prese per mano Bea, invitandola a seguirlo sul retro, nel giardino, dove la madre aveva collezionato piante rare e fiori tropicali.

“Ci sono anche i pesci?” – chiese, più malleabile.

“C’è l’acquario in effetti” – Rovia rise – “… ma è vuoto: dovremmo riempirlo, che ne dite?”

“Sìì!” – esclamò Sandra, mentre Bea passava l’indice, sui bordi di alcune ciotole in cristallo, piene di sassi e candele bianche, silenziosa e attenta a molti dettagli di quel luogo.

Infine si girò di scatto – “Papà è venuto a vivere qui, perché divorzia da mamma?”

“Norman ecco … Ecco lui può rimanere, finché vuole” – replicò Paul, in imbarazzo, sentendo la situazione, scivolargli via.

“Mami e papi non ci vogliono più bene?” – si inserì Baby, i fanali accesi già di lacrime.

“E smettila di frignare!” – la rimproverò la sorella: era davvero troppo matura per la sua età.

“Non fare così Bea, vieni qui … E anche tu cucciola, non essere triste”

Beatrice si avvicinò, l’aria rancorosa.

Rovia prese un lungo respiro, guardandole – “Mamma e papà vi vorranno bene per sempre e saranno orgogliosi di voi, come neppure immaginate: ci saranno periodi, come questi, in cui avrete paura, lo vedo, ma non ce n’è motivo, sapete?” – anche le sue iridi si incresparono vivide – “… se posso darvi un consiglio, non chiudetevi mai, al loro amore, alla loro presenza, perché, seppure io non conosca la vostra mamma, sono certo sia una persona in gamba, una bella persona … La mia, ha sofferto molto, perché io non riuscivo a tornare da lei e adesso darei qualsiasi cosa … qualsiasi cosa per …” – poi un singulto.

“Per averla qui?” – disse Bea, partecipe e comprensiva, nonostante le iniziali ritrosie.

Paul annuì, mentre Sandra gli asciugava le lacrime, con un fazzoletto, preso dalla sua borsetta a forma di farfalla, rossa, a pois bianchi.

Ora le stringeva sul cuore entrambe – “Siete meravigliose …” – mormorò emozionato.

Almeno quanto Norman, a pochi metri da lui, affiancato da Sara, che si stava mordendo le nocche mancine, dove un minuto prima si era tolta la vera, tirandola addosso all’ex marito, infuriata per la sua rivelazione.

Lui amava Paul e, dolorosamente, la donna aveva capito anche il perché.




L’alloggio di Lux, era stato ricavato al terzo piano, della palazzina, dove si trovava il suo locale.

Vi si accedeva attraverso una scala esterna e retrostante l’edificio, ristrutturato in poche settimane, dal suo arrivo a Buenos Aires; molte cose, per lui, erano cambiate in fretta.

Harry e Louis, indecisi sugli scalini, da almeno mezz’ora, si stavano preparando a quell’incontro e al confronto, sulle bugie di Vincent, che ne sarebbe scaturito.

Inevitabilmente.

Ad aprire loro, dopo che Boo convinse il consorte a non tergiversare oltre, fu un ragazzo, spettinato, atletico e dal sorriso contagioso – “Salve … Accomodatevi, prego”

“Ciao …” – bissò stranito Styles, mentre Louis rimase senza parole.

Lo sconosciuto aveva fisico e viso da copertina, forse era un modello, a giudicare dalle numerose immagini, anche un paio di poster, piazzati in zone strategiche del grande loft.

Lux li stava aspettando in terrazza, tra bottiglie di champagne, vassoi di tartine, ampolle colme di caviale, immerse nel ghiaccio, rimescolate a decine di ostriche, già pronte da gustare.

“Mon petit … Harry, benvenuti, saluteremo il nuovo anno da qui, se non vi dispiace; ma Petra dov’è?”

“E’ rimasta con Lula e non solo” – spiegò Tomlinson, sbirciando cosa facesse il tizio alle loro spalle.

“Avete già conosciuto Marlon? … Ehi Marlon, ti presento i miei … Sono come figli, direi” – quasi bisbigliò, avvampando.

Il giovane si avvicinò, allacciandosi a lui, per dargli un bacio nel collo – “Guarda che me ne hai parlato parecchio di loro” – sorrise complice – “… è un piacere incontrarvi, finalmente” – e tese la mano, mentre la terra, si stava come aprendo sotto ai piedi di Boo, rimasto impietrito da quella scoperta.

Styles si rivelò più disinvolto.
Addirittura sollevato e questo, Louis lo percepì nitidamente.

“Vi siete … Ecco non so come dire” – accennò il ricciolo.

“Innamorati” – lo interruppe Marlon, mentre seguiva le reazioni di Tomlinson – “a prima vista direi” – e rise, staccandosi dal francese, per porgere agli ospiti qualcosa da mangiare.

“No, ti … ti ringrazio” – balbettò Boo – “potrebbe andarmi di traverso”

E fuggì via.




Reedus se lo ritrovò sul marciapiede opposto, a quello dove sfociava il vialetto di accesso alla villa di Paul.
Chris lo aveva avvisato con una telefonata.
Sara e le figlie, erano rimaste con Rovia, mentre Norman si recava a quell’appuntamento a sorpresa.

“Come mi hai trovato?” – chiese brusco l’ex tenente.

Quello, che ancora lo era, stava appoggiato al cofano del suv, che lo avrebbe portato a Palm Springs, per incontrare anche Tom, quella sera.

Hemsworth glielo disse in un soffio, oltre a specificargli, che aveva pedinato letteralmente Sara.

Reedus rise storto – “Addirittura, guarda che io non mi nascondo, bastava chiedere”

“Non parliamo più molto, tu ed io, ultimamente” – replicò mesto il biondo.

“Lo so”

“Norman ascolta, io non so come porvi rimedio: inutile girarci intorno, ma i medici, mi hanno spiegato che non ero in me, come se fossi drogato, capisci?”

Reedus impallidì: era ovvio che l’altro era lì per un unico motivo; fare ammenda, recuperare, mettendo in atto un tentativo disperato, per riportarlo nella propria vita.

Almeno lui.

“Sei rude anche quando chiedi scusa” – osservò Norman, il cuore in gola.

Per tanto amore provasse verso Paul, adesso Chris lo stava destabilizzando, proprio come aveva previsto e, accettato, il nuovo compagno.

“Sono semplicemente io, un ammasso di errori imperdonabili! Vorrei morire, qui, in questo momento, per quello che vi ho fatto, a te e Tom, accidenti!” – divampò, sincero, diretto.

Come un colpo in mezzo al petto di Reedus, che avrebbe voluto abbracciarlo e piangere, come stava facendo ora il collega prezioso di un tempo, inghiottito da un incubo, senza soluzione apparente.

“Norman ho parlato con Sara, so cosa è successo e se è per causa mia, dovrò portarmi questo ulteriore peso, che mi sta ammazzando, almeno quanto la separazione da Tom” – rivelò amareggiato.

“Non … Non lo so se è per … Per quello che mi hai fatto”

“Come posso aiutarti? Anzi, aiutarvi?”

“Non puoi”

“Dammi una possibilità … Una sola e ti prometto che”

“Io sono stato salvato da un angelo e lo amo” – lo tagliò deciso Reedus.

“Ma di chi stai parlando?” – chiese sbigottito Hemsworth.

“Il suo nome non ha importanza e … E quello che hai combinato, è acqua passata, io non voglio più parlarne!”

“Lui lo sa?”

“Certo! Di Paul mi fido ciecamente e lui di me”

“Paul? Ma Paul chi, lo conosco?!”

“No … NO cazzo e fammi un piacere, sparisci!”

Era fuori di sé, confuso e costernato.

Un mix pericoloso, che lo stava come soffocando.

Voleva unicamente tornare da Rovia, stringerlo forte, illudendosi che al mondo esistevano loro e basta.

Purtroppo non sarebbe stato così semplice.




Miriam entrò nel salone, indossando una tunica dalle tinte solari.

Portava con sé un cesto di dolci, che tutti gradirono, tranne Glam: “La mia glicemia è sempre in bilico, comunque grazie, sembrano ottimi”

“Lo sono” – la donna rise magnetica, guardandosi attorno – “… Ma Lula?”

“E’ nella sezione giochi, con il resto della ciurma: voi quando iniziate?”

“A breve Mr. Geffen”

“Se ne sono avanzati, li distribuisco ai bimbi”

“C’è del liquore nel ripieno, non penso davvero sia il caso”

“Sì daddy, direi piuttosto forte … Buonasera Miriam”

“Ah Kevin, giusto? Benvenuto nella nostra terra … Anche se sento che lei non apprezza il mio contributo alla salvezza dell’anima di soldino” – lo salutò tranquilla.

“Si sbaglia: nostro figlio è da sempre fonte di gioia e amore purissimi, ma anche di fenomeni surreali, che metterebbero a dura prova chiunque”

Miriam aggrottò la fronte spaziosa, sovrastata da un turbante vivace e setoso – “Tutti tranne Glam Geffen: lei, la sua malattia, il salvataggio di Lula, insomma una leggenda, che la precede, ovunque vada, sa?” – e tornò a guardare l’avvocato dei divi, che, distribuiti intorno a loro, la stavano ascoltando.

“Risolviamo questa cosa Miriam”

“Al calare del sole: appena vedrete accendere i fuochi, in riva all’oceano, venite con Lula”

“Verrò io soltanto, con soldino” – precisò Geffen, ammutolendola.

Miriam sorrise più forzata – “Perfetto: a tra poco, dunque … Arrivederci a tutti e auguri” – e se ne andò.

Jared si avvicinò a Glam, teso quanto una corda di violino.

“E’ per questo che prima mi hai cacciato?” – gli sussurrò, senza astio.

“Sì Jay, perdonami”

“Ma per cosa … Spero che Miriam sia la soluzione giusta” – e lo abbracciò affettuoso.

Geffen lo strinse, incurante delle occhiate di Colin e Tim, che preferirono uscire all’unisono sotto al porticato, dove alcuni monelli stavano armeggiando con petardi e fiaccole.


“Continua a farti incazzare, l’ex marito di Kevin, vero?” – domandò il neo laureato, accendendosi una sigaretta.

L’attore gliela rubò dalle dita magre e nervose – “Le sue stronzate non mi toccano più, avevo solo bisogno d’aria: questo clima mi sta arrostendo, da quando siamo arrivati” – e si aprì la casacca, irrequieto.

Tim guardò altrove – “A essere sinceri ho caldo anch’io … Ho buttato giù una tonica, prima, era gelida”

“Stai bene?”

“E’ la reazione … Ora passa Colin” – e si infrattò dietro ad una colonna, spostandosi un attimo dopo, oltre a dei vasi di oleandri giganteschi.

La brezza marina non poneva rimedio a quella sensazione di calura.

Farrell gettò la Camel e lo raggiunse – “Tim come va?”

“Non lo so … Miseria è come avere i carboni ardenti sotto ai piedi”

“Hai nausea?”

“No, affatto, anzi, non mi sento male … Non capisco” – e si sfilò la t-shirt, notando la piscina, oltre un muretto intonacato di bianco.

Anche l’irlandese se ne accorse.

“Forse ci aiuterà, vieni” – e, afferrandolo per un braccio, lo trascinò a tuffarsi con lui, in quello specchio d’acqua cristallina e rinfrescante.

Risero.

Poi si guardarono.

Erano così vicini.
Così vicini, che sembrò inevitabile, a entrambi, baciarsi con passione.

E pura follia.





 Special guest Marlon Teixeira is Marlon


giovedì 21 aprile 2016

NAKAMA - CAPITOLO N. 56

Capitolo n. 56 – nakama



Fu il capo della polizia in persona, Steven Clark, a convalidare le sue dimissioni.
In pochi sapevano, che lui e Reedus, si davano del tu.

“Sei proprio sicuro Norman?” – chiese cupo, all’altro lato della sua scrivania, in quercia massiccia.

Il suo ufficio era lussuoso e funzionale, ben diverso dal marasma, che vigeva al distretto, soprattutto nella sezione antidroga.

“Certo Stevie e poi” – il tenente prese fiato – “… la mia vita, sta subendo dei profondi cambiamenti”

“Allora le voci sono vere …” – bissò perplesso, versandogli un eccellente scotch.

“Quali voci?” – e Norman lo bevve in un unico, vigoroso, sorso.

“Su Sara, che siete in crisi, ecco”

“Confermo” – e tossì, alzandosi, tendendogli la mano destra, che l’altro strinse, con trasporto.

“Sarai sempre il benvenuto, se cambiassi idea, ok?” – Clark sorrise.

“Ok”

“Magari se ti cambiassi di sezione, forse è quello il problema …” – azzardò, in un estremo tentativo di trattenerlo in divisa.

“No, non si tratta di quello, davvero: ti chiamerò ogni tanto, spero di non avere bisogno dei favori” – scherzò, comunque teso.

“Figurati, io per te ci sarò sempre, lo sai”

Una pallottola, lo avrebbe ucciso due anni prima, proprio sugli scalini di quel palazzo, se Norman non gli avesse fatto da scudo, beccandosi una calibro 22 nel polpaccio sinistro.

Un male cane.
Una nuova cicatrice, per la quale i colleghi lo avrebbero sfottuto a vita.
Una vita, che Reedus, non avrebbe più condiviso insieme a loro.
Ormai.




Sara si sentì in disordine, colpita anche nella propria vanità, in imbarazzo davanti a Hemsworth, che si presentò a quell’ora strana, mentre le bambine erano dai nonni materni.

“Scusami, non volevo disturbarti” – esordì educatamente il poliziotto, fermo sulla soglia, oltre la blindata, che la donna chiuse solerte, appena il biondo si accomodò, ad un suo cenno.

“No, anzi, un volto familiare, non guasta, specialmente in questo periodo” – e tornò a rannicchiarsi sul divano, in tuta e infradito.

“Cercavo Norman”

“Lo vedo pochissimo”

“In che senso?” – domandò preoccupato.

“Da quando siete tornati dalla montagna, è rimasto con noi per poche ore, con la scusa del lavoro, dei turni, ma erano balle, giusto? Poi mi arriva questa, ieri” – e gli porse una lettera, di uno studio legale.

Chris ne lesse velocemente il contenuto: “Divorzio … e affido condiviso di Beatrice e Sandra?” – mormorò stranito.

Sara lo puntò severa – “Ha un’altra?! Avanti dimmelo Chris, almeno tu sii sincero, perché LUI continua a mentirmi!!”

Hemsworth si ossigenò, sentendosi così simile a lei, in quell’istante – “Credo che non abbia un’altra, ma di più non so, dovete parlarne voi, qualsiasi cosa gli sia successa, per portarlo a questo” – affermò schietto.

“A te, invece, cosa è  successo? So che Tom ti ha piantato” – replicò brusca e cattiva.

Lo sbirro si alzò – “Infatti … Comunque, se incroci il tuo ex, dagli il mio messaggio, per favore: devo parlare con lui, grazie”

“Ma non avete più gli stessi turni?”

Chris la fissò – “Non lo sai, allora … Norman si è licenziato, me lo hanno detto stamani i ragazzi”

“Che … che cosa??!”




Louis si guardò intorno, con aria vivace, seduto al bancone del bar.

Poi la vide.
Quella signora, che Vincent le aveva mostrato in foto, con le sue bimbe, che, ora, forse, lo stavano già chiamando papà, rimuginò Boo.

Lei si avvicinò, asciugandosi le mani in uno strofinaccio pulito.
Era più paffutella, rispetto a quell’istantanea.
Anzi.
Sembrava incinta.

Tomlinson perse un battito.

“Desidera?” – chiese gentile.

“Un … non saprei, qualcosa da bere, di forte” – e deglutì a vuoto, spalancando quei fanali azzurri, che potevano fare innamorare chiunque.

O ucciderlo …

“Temo di non poterla accontentare …” – rise – “… per i cocktail, l’esperto è mio marito, io potrei farle una spremuta” – stranamente non dava confidenza agli avventori, seppure sembrasse socievole.

“Vincent fa il barman?!”

Lei inarcò un sopracciglio – “Vincent …?! No, Augustin veramente … Monsieur Lux è il proprietario, si arrangia appena con i caffè, vede: si è fissato a fare gli espressi all’italiana, lui che è di Parigi, buffo, vero?” – e rise più disinvolta.

Louis avvampò.

“Ma … Io, io sono amico di Vincent”

“Ah, la sua cricca, di Los Angeles, il boss vi ha chiamati così, mentre mi faceva registrare le vostre stanze: volete salire? Dov’è il resto della ciurma?”

“Miseria …” – la voce di Styles, gli trafisse la nuca.
Louis si girò di scatto – “Hai capito Hazza, lui ci ha”
“Ok, OK, adesso andiamo a rinfrescarci e poi lo cerchiamo!” – sibilò il ricciolo, palesemente incazzato.

Boo lo seguì senza obiezioni, scoppiando di gioia dentro di sé.




“Domani è il grande giorno, vero daddy? E meno male che Tim e io, abbiamo lasciato Layla e Thomas, da Mark e Niall!” – sbottò Kevin, buttando i bagagli di Geffen in un angolo, di quella camera disadorna, ma immacolata.

“Dov’è Tim?” – chiese lui, senza scomporsi, mentre si accendeva un sigaro.

“Ma cosa fai?!”

“Fumo, non si vede?” – e rise, nonostante provasse un certo nervosismo.

“Tim è con Lula, ovvio! Sono in spiaggia” – e si strofinò la faccia, crollando sul bordo di un sofà, verde mela.

Glam gli si fermò davanti, accarezzandogli i capelli dorati e corti.

“Vai a riposarti … Chiamerò Miriam prima di cena” – disse pacato.

“No, voglio prendermi una sbronza in anticipo sul veglione e scopare mio marito fino all’alba!” – ruggì, scattando in piedi.

Geffen rise sonoro – “Mi raccomando, non confonderti tra ex, meglio se resti sobrio!”

“Ma va al diavolo, Glam!” – e gli diede uno strattone, facendosi strada verso l’uscita, ma il più anziano lo trattenne, con un gesto caparbio e poi voluttuoso.

Ad un centimetro dalla sua bocca, Kevin poteva percepirne l’alito insaporito dal costoso tabacco, arrotolato a mano, oltre al dopobarba, che Geffen non aveva quasi mai cambiato, negli anni.

“Daddy …” – fu un sussurro.

Glam lo lasciò andare.
Solo dopo averlo abbracciato.
Con sconfinata tenerezza.




Un asciugamano, steso tra un gruppo di scogli, scomodo da raggiungere e quindi discreto.
Perfetto, per ciò che Farrell, desiderava dall’atterraggio a Buenos Aires.

Durante il trasferimento in taxi, dall’aeroporto a lì, non aveva mai smesso di toccare Jared, nascondendo le sue manovre intime, sotto ad una vecchia camicia di jeans, che l’irlandese si era sfilato da subito, restando mezzo nudo, in jeans strappati ed espadrillas multi colore, appena comprate al duty free.

“Cazzo che caldo!” – si era lamentato al checkout, imperlandosi di sudore, che Leto avrebbe leccato, affossato sul sedile di quel catorcio giallo canarino, accodatosi ad altre quattro auto simili, per giungere al locale di Lux.

Adesso, la brezza marina, aveva asciugato i loro corpi, scaldati da altri piaceri, più lascivi e intensi.

Le spinte di Colin, aumentavano, allo scoccare di ogni minuto, mentre si ingrossava in lui, invocandone il nome all’infinito.

“Jay … Mioddio Jay … eccomi”
Un morso, un suono più gutturale, un ansito salato ed umido, poi l’eclissi.

Il cantante si era appeso al suo collo, dove baciava e succhiava, in piena estasi, mentre venivano copiosi e simbiotici.

Fu uno splendido modo, per anticipare quella fine d’anno, così travagliato e complesso.




Paul stava preparando dei sandwich, un po’ troppo vegetariani, per i gusti di Norman, che gli arrivò silenzioso alle spalle, per poi farlo sussultare, come una molla, mentre lo cinturava da dietro, sollevando, quasi Rovia fosse una piuma.

“Ehi!! Non voglio morire a 33 anni di infarto!”

Reedus lo fece roteare, baciandogli il collo liscio – “Come Gesù? Un po’ gli somigli!” – lo canzonò, ridendo come un quindicenne.

Ed era così, che Norman si sentiva: innamorato, il cuore a mille, lo stomaco leggero.

“Bentornato a casa …” – disse piano il giovane, baciandolo poi con dolcezza.

In fondo, voleva rimandare certi quesiti impellenti, ma poi non volle evitarli oltre.

“Hai fame? Ho fatto questi …”

“Senza prosciutto?”

“Io ci tengo alle cosce dei maialini!” – e rise, giocoso, solare.

Bellissimo.

“Ok Paul” – sospirò, afferrandone uno – “… mi abituerò anche a questo”

“Ti dispiace?” – replicò il ragazzo, sedendosi su di uno sgabello alto, appoggiando i gomiti alla penisola della cucina.

“No” – Reedus lo guardò, penetrante, oltre ogni considerazione.

“Come è andata?” – chiese cauto.

“Prima parte del film bene, direi … Il secondo tempo, con Sara e le cucciole è solo rimandato di poco” – masticò amaro – “… diciamo che mi preparo al gran finale, ecco”

“Ti massacrerà?”

“Non mi ha ancora detto niente, per le carte della separazione, ma so che le ha ricevute”

In quell’istante, un cellulare suonò.

“E’ il mio … Cavoli è lei … E’ Sara” – e lo guardò in ansia.

Paul incrociò le dita, mostrando quel gesto bene augurante al compagno, che, dopo una prima esitazione, si decise a rispondere.




Soldino rientrò veloce, per cambiarsi e scendere a mangiare con Glam, già pronto da almeno un quarto d’ora.

“Monello, arriveremo in ritardo” – esclamò, restando nell’antibagno, arredato con mobili in vimini bianco, essenziali, ma pratici.

“Arrivo subito! Pista!!” – e ripassò, sotto al naso dell’avvocato, per fiondarsi verso un cassettone, dove i suoi vestiti erano stati riposti al meglio da Kevin.

Qualcuno bussò.
Era Jared.

Geffen lo accolse gradevole – “Ciao entra pure … Tutto a posto?”

“Sì, a posto … Colin sta divorando mezzo buffet, temo che non ci resteranno che le briciole” – sorrise, notando l’abbigliamento di soldino.

“Che belle tonalità Lula, sembri un arcobaleno”

Lui sembrò non dargli retta, restando fermo, tra il comodino ed una sedia, senza voltarsi.

Glam aggrottò la fronte, poi si avvicinò al figlio – “Lula …”

Di nuovo quello sguardo, vitreo e opalescente, capace di destabilizzare Geffen in maniera totale.

“Jay è … è meglio che tu vada”

“Perché?” – il leader dei Mars rise, addentando una mela, presa dalla cesta di benvenuto.

“Vattene accidenti!” – esplose, guardando Leto, come non aveva mai fatto prima.

“Ok …” – Jared indietreggiò, senza comprendere, poi gli ubbidì, senza ulteriori repliche.

Un lieve rantolo, poi una risata stridula – “Davvero lui non si arrende, sai? Ti pensa ancora, ti vuole ancora, ma resterà una puttana, immeritevole dei tuoi sentimenti”

“E tu mi vorresti difendere anche da questo?! Da lui? Dai miei ex?!” – protestò l’uomo, inviperito e mortificato, per l’occhiata turbata, con cui Leto lo aveva tacitamente salutato, prima di sparire.

“Sono più pericolosi di un terrorista armato” – e si avviò alla finestra, per scrutare l’orizzonte, il capo inclinato verso oriente.

“E in cambio di cosa, mi offri la tua protezione, sentiamo?!” – Geffen lo tallonò, più risoluto.

Lula o meglio, ciò che si era impossessato di lui, lo fissò – “Restare qui … Vivere … Respirare”

Poi svenne.

“Mio Dio! Lula!!”

Glam lo raccolse, amorevole, disperato.

Il bambino schiuse le palpebre, in affanno – “Mandalo via papà … Mandalo via”

Lula, ora, sapeva.