sabato 30 marzo 2013

ONE SHOT - GUARDAMI ADESSO


 One shot  -  Guardami adesso


Aotearoa, Marzo 2013
Pov Pana Hema Taylor



Tremo.
Come un ragazzino il giorno degli esami.
Lo ricordo nitidamente, un insieme di sensazioni sgradevoli, la paura di non avere studiato abbastanza, le occhiate di alcune insegnanti, alle quali proprio non piacevo.
Per i miei tatuaggi, la mia irruenza.
Ero un ribelle?
Ero uno stupido, a dire il vero, perché davo retta alle persone sbagliate, a dei falsi amici, che chiamavo fratelli, ma che stavano per spingermi in un abisso, dal quale non sarei più tornato.
La maggiore parte di loro sono in galera, adesso.
L’arte della finzione mi ha salvato: recitare, ecco, insomma calarmi nei panni di qualcuno che non ero.
Volevo accadesse anche nella realtà, ma avevo scelto una via pericolosa.
Salvo per miracolo.

Le memorie post adolescenziali sembrano distrarmi dall’orologio, che non ho mai smesso di guardare, come il tabellone degli arrivi.
Quando ti vedrò spuntare tra altre teste, salutarmi con il braccio sinistro alzato, il sorriso pulito, so che perderò un battito, Daniel.

Vorrei parlarvi di Daniel senza emozionarmi troppo, senza avvertire un nodo alla gola, per il rimpianto di non averlo seguito in America, dove i sogni, a volte, si realizzano.
Certo avevo i miei buoni motivi: un figlio piccolo, una famiglia numerosa da mantenere, sentendomi importante.
Daniel non era stato da meno, in questo.
Ero il centro del suo mondo, senza invadenze, senza pretese.
Mi voleva bene, a prescindere da qualunque ombra potesse allungarsi nei nostri discorsi di mezzanotte.
Mi teneva sul petto, accarezzandomi i capelli, respirandoci nel mezzo, potevo sentirlo sorridere, anche nel silenzio, per la pura gioia di avermi lì, senza che io lo meritassi sul serio, senza dargli nulla in cambio, se non un fiume di parole, dove mi sfogavo, dove fantasticavo, dove mi sentivo libero.
Neppure un bacio, fuori da quel set dove, al contrario, eravamo spesso molto vicini, pelle contro pelle, la bocca dell’uno in quella dell’altro, in maniera focosa, sensuale, che lo eccitava ed io corrispondevo a pieno la sensazione, anche di onnipotenza ed erotismo, tenendolo tra le mie gambe oppure addosso, in qualsiasi modo Daniel decidesse di fare.
A me stava bene tutto, glielo avevo spiegato, senza dovermi ripetere.
Lui si era accontentato di questo: una finzione.
Così vera, però, nei nostri cuori.


Eccolo.
“Pana! Ehi che posto fantastico …”

I suoi entusiasmi, incendiavano costantamente l’aria intorno a noi.
Corro ad abbracciarlo, incurante di chi potrebbe riconoscerci.
E’ proprio un paradiso, Aotearoa.

“Bene arrivato, fatto buon viaggio Dan?”
“Ho dormito poco, forse l’agitazione … Dove andiamo?” – chiedi sorridente, mentre saliamo sull’auto, che ho noleggiato.
“In albergo, magari facciamo una doccia e poi un bel giro, cena fuori, se vuoi andiamo a ballare, ho già visto un paio di locali” – propongo, mettendo in moto.
“Ok, sono il tuo ostaggio per questo fine settimana, fa di me ciò che vuoi” – e ridi, allacciandoti la cintura.
Ti fisso per un secondo di troppo.
“Che c’è piccolo?”
E’ come lo dici, con tutto l’amore possibile, che mi manda il cervello in corto circuito, dovresti saperlo.
“Stai … stai bene … In forma” – abbozzo arrossendo.
“Faccio molta attenzione a stare lontano dai fast food del lungo mare … Ci sono certi locali a Los Angeles, si mangiano cose assurde”
“Lo immagino … Io non ci bado, sono pigro … diventerò un cinghiale come mio padre” – rido forzato.
“No, anzi, forse hai messo su due, tre chili”
“Otto” – preciso, apprezzando le tue amorevoli bugie.

Devo respirare e finirla di puntarti, come se esistessi solo tu, in questo universo in cui mi sento così solo, da quando ci siamo salutati.
Quel giorno faceva freddo, anche se il sole camminava con noi sino all’aeroporto.
Tornavo ad Auckland, tu, invece, decollavi verso la California, da Sidney, dove mi avevi ospitato per una settimana, durante la quale molte cose mutarono, per il lavoro e la carriera.
Volevi la tua occasione ed io che fossi felice, Dan.
Eppure avevi insistito un minimo,  con il timore di turbarmi, di infastidirmi.
Lo capivo, dalla delicatezza con cui affrontavi gli argomenti su nuovi ingaggi, improbabili nella nostra Australia.
L’abbraccio che ci vide salutarci, fu una matassa di dolore e rabbia.
La mia.
Per non avere seguito l’uomo, di cui mi ero innamorato, senza avere trovato la forza di confessarglielo.


“Bella questa camera …”
“Era l’ultima Dan”
Forse sono viola.
L’hotel è semi deserto.
“E noi dormiamo lì, Pana?”
Un letto quadrato, enorme, di stile orientale.
“Se vuoi io mi piazzo sulla moquette” – faccio lo spiritoso, Dio che buffone mal riuscito che sono.
“No, in terrazza ahahahah” – e mi stringi – “No dico scherzi, Pana?”
Il profumo del tuo dopobarba mi intossica, le tue ali mi avvolgono ed io mi perdo nel tuo petto, poi sollevo un po’ il volto verso il tuo collo, mentre mi stai cullando, intenso.
“Quando mi hai invitato qui, il mio cuore è come esploso: sei il migliore amico potessi trovare, non riesco a legare con nessuno, come è successo con te, Pana” – riveli, con un candore ben noto.
Sei un ragazzo pulito ed onesto, Daniel ed io ho il terrore che tu possa cambiare ad Hollywood o che, peggio, tu possa essere stritolato dai suoi meccanismi perversi.

Annuisco – “Anche per me è così Dan …”
Fai un respiro profondo, distaccandoti – “Mi lavo per primo, ti dispiace, Pana?”
“No, no … certo … Io guardo la tv”
“A proposito, ti ho portato dei regali, in questa valigia, guardali, spero ti piacciano” – e mi accarezzi la schiena.
“Non dovevi” – sorrido come un bambino, i miei occhi pizzicano.
Tu avvampi, poi sparisci nel bagno.


“Stasera voglio abbuffarmi”
“Ci speravo, almeno non mi sentirò troppo in colpa Dan”
Arriva il pesce, un piatto unico, nel quale scegliamo tra scampi e crostacei vari, frammentati da spicchi di limone e bacche di colori vivaci, seduti ad un tavolino rotondo, in un angolo spettacolare di questo ristorante,  a picco sopra l’oceano.
Ho riservato una saletta solo per noi, così da non essere importunati, ma i turisti sono scarsi anche qui.

“Allora gli altri come stanno?” – chiedo, ma non mi interessa granché dei colleghi con cui dividi il loft ad L.A.
“Tirano avanti, come me … Serate mondane, spesso benefiche, talvolta promozionali …”
“Ho visto le foto in rete … Tu e quei cuccioli, a cui mettevi gli occhiali”
“Sì, adoro i bimbi, il tuo come sta?”
“Bene, lo vedo regolarmente”
“Meno male”

C’erano stati dei casini con la mia ex.
Daniel ne è a conoscenza.

“E la tua ragazza, Pana?” – domandi più incerto, trafficando tra tovaglioli e vino.
“Andata … Non era destino” – scherzo, per poi tossire, quasi mi strozzo.
“Ehi, non mi morire qui” – ridi, ma ti preoccupi al volo, sei cristallino.

Un po’ sono già morto dentro, Daniel, da quando sei andato via.
Vorrei unicamente trovare il coraggio di dirtelo.
Tu, in compenso, lo trovi per farmi l’ennesima confidenza.

“Sai Pana, ho conosciuto … una persona” – asserisci timido.
Deglutisco e la gola mi brucia.
“Una … persona?”
In tutta franchezza non mi hai mai nascosto la tua omosessualità, Dan, ma debbo constatare che sei stato contaminato dalle espressioni equivoche, tipiche dello showbiz, dove fare coming out è spesso controproducente.

“Sì un ragazzo” – sorridi imbarazzato.
Forse per come ti sto guardando, perché un fremito è partito dal mio addome, sotto la t-shirt attillata, che mi hai donato, sino alle mie palpebre inquiete.
“Ah ecco” – sorrido e sono disperato.
Voglio sapere tutto.
Sono patetico.
“E’ bravo a letto?”
Mi correggo: sono orrendo.
Un idiota orripilante.

“Veramente abbiamo preso solo un caffè, dopo la palestra, è un personal trainer … Sai che non sono quel tipo di …”
Sembri deluso.
“Perdonami Dan …” – mi alzo, non ho più fame ed è tempo di finirla con questa pantomima.
“Dove stai andando Pana?” – chiedi allibito o almeno così mi sembra.
Mi soffermo, affacciandomi al balcone, stritolando la balaustra in ferro battuto.

Arrivi alle mie spalle, ma prima scatta un clic: la chiave della porta, che ci isola dal resto del locale.

Mi cingi la vita, con tenerezza, lasciando che il tuo corpo aderisca al mio.
Con il mento sposti i miei capelli, quindi posi un bacio caldissimo sulla mia nuca.
Ho un brivido e percepisco il tuo desiderio.

“Serviva una stupida bugia, per ottenere la tua verità, Pana?”
Il tono di Daniel è deciso, non mi dà scampo.
“Ecco, io …”
“Guardami adesso” – e porti il mio sguardo nel tuo, girandomi.
“Sì … ti sto guardando Dan”
“Sono perdutamente innamorato di te, Pana, dal primo istante in cui ho ascoltato la tua voce al telefono”

Era vero, il nostro primo contatto, poi via chat, al pc, quando ci confrontavamo sul copione e le parti assegnateci in Spartacus, piuttosto scabrose.

“Ed io … io ti amo Daniel”
“Era così difficile?” – fai il simpatico, ma sembri sul punto di svenire, TU, il mio gigante, davanti a questo piccolo uomo.
Il mio cuore è ovunque, rimbomba in questo ambiente ed arriva alle stelle, come un’aurora boreale di rara bellezza.

Ci baciamo, salvandoci da tutto ciò apparirebbe inopportuno dirsi, dopo essersi detti tutto.


Mordo il mio secondo hamburger e tu ringhi, gettando il bilanciere a lata della panca per gli addominali.
Rido di gusto.
“Non  è colpa mia, Dan! Troppo sesso, di notte, di giorno …”
“Sei incinto? No, perché mangi per tre!”
“Allora saranno due gemelli …”
“E come li chiameremo, Pana?” – domandi, inginocchiandoti, leccandomi il mento, dove alcune gocce di ketchup è precipitato dalle mie labbra eternamente felici, da quando viviamo insieme, noi due da soli.

Rifletto pochi secondi.
“Agron e Nasir!” – esclamo.
Scoppiamo a ridere, complici.

E’ ciò che vogliamo entrambi.
Dei figli, sposarci, essere liberi …
Ce la faremo Daniel,
a testa alta.
Come sempre.

The End






venerdì 29 marzo 2013

ZEN - CAPITOLO N. 80


Capitolo n. 80  -  zen


Kurt raccolse i giochi di Martin, riunendoli nello zainetto, che il bimbo gli teneva aperto.
“Sei stanco cucciolo?”
“No papà, posso restare anche a pranzo? Carmela fa le frittelle!” – chiese allegro.
Kurt acconsentì, notando poi Geffen steso al sole, a bordo piscina, intento a consultare il tablet, prima di recarsi in aula in tarda mattinata.

“Ciao Glam … Posso?”
“Buongiorno Kurt, prego accomodati, sei qui per Martin?”
“Sì, credevo di portarlo fuori a mangiare, ma vuole rimanere”
“Tra poco arriva anche Lula” – disse sorridendo, riponendo i suoi fascicoli.
“Volevo … volevo chiederti scusa”
“Scuse accettate” – lo interruppe con un sorriso – “Cerca di andare avanti e di capire che noi ci siamo quando hai bisogno, anche di sfogarti, ok?”
“Ok Glam … E per Scott, l’hai più visto?”
“So che con Jimmy hanno fatto pace e che lui andrà in terapia, ma è una confidenza, per rassicurarti sul tuo amico … Ah, parli del diavolo” – e con un cenno salutò il medico, appena arrivato per visitarlo.
“Oh cazzo …” – sussurrò Kurt.


Colin aprì la posta elettronica, corrugando la fronte.
“Mio Dio …”
“Che succede amore?” – chiese Jared preoccupato.
Stavano facendo colazione sulla spiaggia.
“Si tratta di Robert, ha avuto una recidiva ...”
“Cosa …?”
“Può curarsi, Jude scrive che andrà tutto bene …”
“Vuoi chiamarli?”
“Lo farò dopo Jared, magari non hanno voglia di parlarne con nessuno, se Jude mi ha scritto … Cosa ne pensi?”
“Ok, gli invio un sms, in effetti sono momenti in cui spiegare non è semplice” – disse mesto.
“Sono sconvolto, sembrava che stesse bene”
“Robert se la caverà, ne sono certo” – ed andò ad abbracciarlo, passando dalla sua parte, a quel tavolo sistemato sulla spiaggia e circondato da cuscini ed ampolle colme di fiori tropicali.
Un paradiso dal sapore improvvisamente amaro e rovinato da quella notizia così triste, da risultare come estraneo ai loro sensi.
Decisero di tornare a Los Angeles, sentendo una forte malinconia per i loro bimbi e gli amici, che avrebbero consolato al meglio delle loro possibilità.
Come sempre.


Scott si avvicinò lento, poi salutò sia Kurt che Glam, prendendo dalla valigetta lo sfigmomanometro.
“Come ti senti?”
“Un leone … spelacchiato” – Geffen rise, cercando di smorzare la tensione.
Kurt era come cristallizzato sulla poltrona in vimini, senza parole.
“La pressione è a posto, hai preso le pastiglie?”
“Sì doc … Oggi me li mastico e poi li sputo, quei fottuti esperti, che stanno contestando la relazione di Foster su Matt” – rivelò impaziente.
“Ma scherzi? Pensano che stia fingendo?”
“L’accusa ci prova a smontare la nostra linea di difesa, in compenso non hanno prove per l’omicidio di Mendoza ed inizio a credere che Alexander mentisse sul serio a proposito di quella maledetta notte”
“Certo sarebbe un sollievo: in fondo ne uscirebbe come un buffone, oltre che bugiardo esibizionista, però a Lula avrebbe fatto di certo del male, non dimenticartelo” – ribatté in tono di rimprovero.


Camminavano allacciati in riva all’oceano, indossando abiti molto comodi, scalzi e con occhiali scuri, eleganti sui loro visi ispidi, ma sereni.
Jude indicò un volo di gabbiani e Robert sorrise, stringendosi maggiormente al suo busto, fermandosi.

“Inizia a fare caldo …” – disse l’inglese, baciando Downey tra i capelli.
“Io ho ancora freddo, Mason dice che è … normale”
“Allora non preoccupiamoci. Hai appetito tesoro? Britney sta apparecchiando i tavoli.”
“Magari del pesce alla piastra, tanto limone”
“Ok, tanto limone” – e lo baciò complice.
“Tu mangi la pasta con le vongole?”
“Sì” – rise – “Così mi imbratto la maglietta e tu mi sgridi”
L’americano si tolse i Ray-Ban, rivelando i suoi occhi lucidi e rapiti dall’amore, che nutriva sempre più intenso verso Jude, che fece altrettanto, scrutandolo amorevole.
“Come una vecchia zia?” – replicò, non molto convinto della sua battuta.
“No, come fa e farà sempre mio marito, Rob. L’uomo che amo, il padre di nostra figlia … Io non ti lascerò andare, ok? Io non lo permetterò” – e lo baciò con un vigore rassicurante e bellissimo.


Matt stava facendo un cruciverba, stranamente senza manette.
I suoi accompagnatori della clinica erano cambiati ed anche gli agenti in aula.
“Ciao … Marc è in ritardo?”
“Glam, ciao … Pare di sì”
“Come ti senti?”
“Sveglio direi …” – sorrise, accarezzandogli la gamba sotto il tavolo, dove Geffen appoggiò portatile e valigetta.
“Matt oggi tocca a te, lo sai?”
“Sì … Come sta Robert?”
“Deve fare delle cure, ora meglio, grazie” – replicò imbarazzato.
“Salutamelo” – disse spontaneo, per poi mordersi il labbro inferiore, in quella maniera infantile e, senza dubbio, affascinante.
“Sì, lo farò … ah ecco Marc”

Hopper si scusò, ma aveva scortato Jamie ed i figli a fare delle vaccinazioni.
“Me le dimentico sempre, spero provveda Pam”
“E’ il tuo angelo custode” – Marc rise bonario.
Geffen rimase assorto per alcuni secondi e Matt lo notò al volo.
“Sei pronto ad interrogarmi Glam?” – domandò ansioso.
“Sì. Vorrei sapere se lo è anche Alexander …”
“Non ne ho idea … mi dispiace”
“Stai tranquillo, ok?” – gli disse dolce e Matt fece un sorriso incantevole.


Robert gli aveva chiesto di farlo in auto, sopra alla scogliera, in una piazzola piuttosto isolata.
I vetri oscurati avrebbero contribuito a preservare la loro privacy e, comunque, non gli importava molto del resto del mondo.
Il suo, era lì, adesso, a muoversi tra le sue gambe, scrupoloso, ma non compassionevole, Rob lo avrebbe odiato per questo.
Jude, invece, mescolava una passione contemplativa ad un coinvolgimento assoluto nel possedere il suo eterno ragazzo.
Temeva unicamente che l’intensità dei loro orgasmi, potesse esaurire le già limitate energie di Downey, ma sbagliava.
Colmandolo di sé, era come se Robert attingesse ad una fonte vitale ed indispensabile, per sentirsi vivo ed ambito, come mai prima.


“Signor Miller, lei ha memoria dei fatti sin qui citati dal procuratore?”
Matt deglutì a vuoto – “Si riferisce ad Haiti …?”
“Sì, certo” – ribatté deciso Geffen.
“Vagamente … sono ricordi confusi …”
“In effetti non la riguardano”
“Io sono innocente …”
Il giudice lo riprese – “La sua dichiarazione iniziale è già stata raccolta da questa corte, si limiti a rispondere in modo preciso alle domande del suo legale, grazie.”

“Lei ha ucciso Carlos Mendoza, signor Miller?”
“No”
“Eppure è quanto ha dichiarato in presenza di testimoni, tra cui il tenente di polizia Hemsworth”
“Io non ho mai detto nulla del genere!” – poi si schiarì la voce – “Mi … mi perdoni … il fatto è che non posso rammentare ciò che fa o dice mio fratello Alexander”
“Ma suo fratello Alexander è morto, ho qui il certificato, che lo attesta inequivocabilmente”
“Il … il suo corpo è morto in un incidente d’auto, ma la sua anima … la sua cattiveria è qui, dentro di me …!” – quasi singhiozzò.
“Sa cosa le dico signor Miller, che nessuno le crederà, tra  la giuria, mentre se ne sta lì a frignare, vaneggiando su suo fratello, che tra parentesi è sempre stato un grandissimo vigliacco!” – esclamò, puntandolo con aggressività.
“Taci bastardo!!”
Matt si elevò, roteando gli occhi, inquietante e malvagio, ma due poliziotti lo bloccarono prontamente.
Le sue iridi sembrarono persino mutare di colore, mentre fissava i membri di quel collegio giudicante, uno ad uno e tutti turbati da quella repentina trasformazione, anche nei toni.

“Voi … luridi pezzi di merda!! Cosa ne sapete di me?? Credete di scoprirlo attraverso le parole di questo parassita??!!” – ringhiò esaltato.
Glam non si scompose, andandogli più vicino possibile.
“Alexander, eccoti qui, dunque non sei una mia fantasia o strategia”
“Fottiti Geffen” – sibilò, ormai ammanettato.
“Ora non ho tempo, trovo sia più divertente smascherare le tue menzogne”
“Di cosa parli stronzo?”
“Di Mendoza: non esiste una sola prova a tuo carico eppure hai voluto farmi credere di averlo assassinato.”
“Nessuno mi ha estorto una confessione, è stata spontanea ed è VERA!” – urlò.
“Eppure, ripeto, ci sono troppe discrepanze, nessun reperto utile a confermare la tua versione. Sentiamo come hai fatto a procurarti l’arma? Di sicuro non puoi essere sbarcato con un coltello d’assalto di 30 cm nella valigia, al tuo arrivo dagli Stati Uniti”
Le ciglia di Matt iniziarono ad avere una sorta di tic – “L’ho … l’ho comprato sul posto, è ovvio, nei bassifondi di Port au Prince si trova di tutto! Ed io non ho certo problemi di soldi” – e rise beffardo.
Anche Geffen rise.
“Credo si trovi anche il machete usato per sventrare ed assassinare Mendoza, sai Alexander? Un attrezzo di cui tu non hai minimamente idea, perché non ti sei mai avvicinato all’ufficio dello spacciatore, che ti vanti di avere liquidato” – e nel sottolinearlo, Glam gli mostrò la foto dell’arnese ritrovato in un pozzetto di scarico, a due chilometri dalla scena del delitto, solo pochi giorni prima.
Hopper sorrise: la trappola aveva funzionato.
Matt/Alexander si ammutolì.
“Tu odi così tanto Matt, da macchiare la sua vita di questo abominio?”
“Il mio odio è per te, Glam Geffen, che me lo hai portato via, te l’ho già detto e te lo ripeto” – disse acre, senza guardarlo.
“Il dramma è che non riuscirò mai in questo intento, sebbene lo voglia con tutto me stesso, per ciò che gli hai fatto subire ingiustamente, da vivo e da morto, per le tue vessazioni, i tuoi egoismi malati, Alexander.” – replicò affranto.
Il giovane lo squadrò di sbieco, ridacchiando – “Il mio posto è qui. Rassegnati. RASSEGNATEVI TUTTI!!” – e scattò nuovamente in piedi, dimenandosi.
La sua furia, dopo qualche istante, venne arginata, sino a portarlo via.

Glam si appoggiò al banco dei testimoni, cristallizzandosi in un’espressione cupa.
“Signore e signori della giuria, vostro onore, io ho concluso. Grazie.”





mercoledì 27 marzo 2013

ZEN - CAPITOLO N,. 79


Capitolo n. 79  -  zen


“Un attimo, apro in un secondo”
Il tono di Jude era sollevato, mentre Robert, sorretto da Geffen, guardava entrambi con estrema gratitudine.
“Dov’è Camilla?”
“Con Pamela, Glam, è venuta a prenderla subito Phil, è stato gentilissimo … come tutti voi” – disse aiutando Downey a togliersi il pullover, prima di stendersi sul divano.
“Tesoro mi daresti qualcosa da bere?” – chiese l’americano, ancora affaticato per quella giornata vorticosa.
“Certo, anche tu ne vuoi Glam?”
“Sì, quello che vuoi, poi vado da Antonio. Se volete riaccompagno qui la vostra principessa domani mattina”
“Sarebbe perfetto, vero Jude? Cosa le hai detto, a proposito?”
“Le ho spiegato che dovevi fare una visita e che avrebbe dormito con i cuginetti dal nonno, ci sono anche i figli di Jared e Colin”
“Sì vero … E Lula?”
“E’ con Kevin e Tim, lo vedrò domani, dopo l’udienza di Matt”
“Che domenica … ho sonno …”
Law posò il vassoio sul tavolino, distribuendo bibite fresche e ristoratrici.
“Ora riposati Rob … E tu riprenditi, ok?” – disse gradevole Geffen, prima di congedarsi, non senza abbracciarli forte entrambi, assicurando la sua assistenza, in qualunque momento.


Pamela lo aspettò con la cena sul tavolo della camera dove di solito dormiva: Geffen sorrise, notando i suoi cibi preferiti.
“Ehi senorita … che vista magnifica”
“Mi or piatto?” – Pam rise di gusto, prendendogli la giacca e facendolo accomodare, accese anche due candele.
“Uh romantica”
“Maldido, sempre a combinare guai? Jude mi ha avvisato, ora ti stima e venera?”
“No … Non so, le cose cambiano in fretta Pam” – disse riflessivo.
“Come sta Robert?” – domandò sedendosi al suo lato sinistro, versandogli del vino rosso fuoco, come il suo abito scollato.
“Ti ringrazio … poco, perché oggi ho avuto un malore anch’io”
“Madre de Dios …”
“Tranquilla, sono ancora qui”
“Tu ci sei sempre Glam, chi ti ammazza?” – sorrise tirata.
Geffen le accarezzò i capelli – “Sei bellissima, anche quando ti preoccupi di questo vecchio catorcio”
“Tu sei il padre delle nostre gemelle!” – protestò amorevole.
Geffen annuì sereno – “Vi amerò per sempre …”


Jared gli stava massaggiando la schiena con un olio essenziale dall’aroma stimolante.
Colin arrise a quelle attenzioni generose, strofinandosi il naso nell’avambraccio destro – “Sono in paradiso Jay … Devi farti perdonare qualcosa?” – mormorò scherzoso.
Leto perse un battito – “Forse”
“Allora deve trattarsi di una cosa dannatamente seria, perché mi stai mandando in orbita tutti i sensi, anche quelli che non sapevo di avere …” – ribatté ridendo, girandosi piano, per sistemare Jared sulle proprie gambe.
Erano nudi, sistemati tra cuscini setosi, sopra ad un tappeto morbido, intrecciato di fili dorati e verde smeraldo, la stessa tonalità del mare, oltre le finestre aperte su di una terrazza panoramica, all’ultimo piano di quel resort esclusivo e blindato.

“Faresti una cosa per me, Jay …?” – disse con la sua voce roca, che mandava in estasi Leto, sempre nello stesso straordinario modo, come la loro prima volta.
“Tutto … io potrei fare di tutto per te, Cole” – replicò tremando.
“Toccati … e lascia che io ti guardi … Fallo sino alla fine e fa che sia nella mia bocca … Non voglio perdermi nulla di te”
Le loro erezioni erano già turgide da alcuni minuti, ma nell’ascoltarlo, Jared rischiò di venire subito, tanto si sentiva eccitato.

Cominciò a masturbarsi lentamente, poi ebbe un sussulto, accorgendosi che Colin lo stava filmando.
“Non smettere … sei una visione Jay …”
“Io … non riesco a …” – gemette poi più intenso, sporgendosi in avanti, per colmare le labbra di Colin, come ambito da Farrell, che ormai aveva appoggiato il palmare, usato per quelle scabrose riprese intime.

Jared si svuotò quasi completamente, aiutato anche da Colin, che succhiò avido ogni goccia della sua essenza bollente, finché l’altro non si ritrasse sensuale, piegandosi su di lui, per ricambiare.
Colin gli accarezzò la nuca, spingendogli dentro il suo membro, già bagnato di umori, tra la lingua succosa ed il palato, riempiendogli le guance, in un’immagine estremamente arrapante.
“Voglio … voglio scoparti Jay”
Leto non si staccò, non subito.
Pompò e leccò, abile e virtuoso.
“Come mi vuoi?” – disse ancora sconvolto dal precedente orgasmo, dopo essersi sollevato repentino e lascivo.
Farrell guardò verso l’esterno, immerso nel buio, interrotto qui e là da piccole fiaccole, sparse intorno alla piscina, a loro esclusiva disposizione.

“Là fuori … contro la balaustra, sotto la luna … Ti prenderò da dietro”
“Ok fallo e basta, senza dire niente, non amarmi, fottimi e basta Cole”
“Contaci”

Lo scopò forte, durando il più a lungo possibile: l’irlandese confermò una virilità sconvolgente, replicando l’amplesso anche una volta immersi in quello specchio cristallino e tiepido, che sembrò amplificare i reciproci ardori.

Quando gli esplose dentro, Colin lo baciò, saldando ulteriormente il proprio corpo a quello di Jared, che vedeva ciò che li circondava vorticare come in una spirale di piacere e confusione totali.
“Ti amo Jay … ora posso farlo? Amarti, piccolo mio?” – chiese dolce e profondo.
“Non lasciarmi … Cole non lasciarmi” – disse debole.
“Jay ...? Tesoro ti senti bene?”


Riempirsi le mani dei suoi seni prosperosi, la bocca delle sue labbra morbide, sembrò come tuffarsi nel passato prossimo, con gioia e passione, com’era, da sempre, il carattere di Pamela.
Glam aveva fatto l’amore con lei così tante volte, senza mai stancarsi, ritrovando in qualsiasi occasione la sua prorompente vivacità, capace di entusiasmarlo anche nei periodi peggiori.
Geffen non rammentava alcun dettaglio delle ex mogli o delle decine di amanti o squillo di lusso, ma di Pam poteva raccontare ogni centimetro della sua pelle, dorata e liscia, che si faceva beffe del tempo, come lui, del resto.
Si erano innamorato di lei e di Syria: così diverse, ma così simili nella propria dignità ed attaccamento alla vita.
Ed a lui, big Geffen.


Law spostò le ciocche di capelli dal volto di Robert, concentrato su di lui.
“Devo … devo chiederti una cosa Jude”
“Ti ascolto angelo mio …”
“Non trattarmi come un malato, anche quando sarò ridotto male, ok?”
“Te lo giuro sulla nostra Camilla, Rob: non accadrà mai” – e sorrise emozionato, gli occhi pieni di lacrime.
“Potresti … anche adesso …” – mormorò, vibrante, sfiorandogli le labbra.
Jude iniziò a spogliarlo con calma, con metodo, preparandolo attraverso dei baci caldissimi sulle tempie, gli zigomi, la bocca.
Gliela schiuse lento e progressivo, rapendo il suo respiro in un bacio carico d’amore puro.
Ne avevano terribilmente bisogno, anche se stavano probabilmente entrando in un tunnel faticoso, ma non senza speranza, senza quasi accorgersi che stavano uscendo da un altro, che quasi aveva ucciso la loro meravigliosa storia d’amore.

Allungandosi tra le sue gambe, Jude fu attento e premuroso.
Un gel dal profumo delizioso, rese tutto più semplice.
Scivolò in Robert, che si aggrappò al suo collo, ricevendolo a pieno, ad una profondità inaudita, in un assoluto abbandono, appagante ed estremo.
Cadenzando un ritmo colmo di tenerezza ed appartenenza, bagnato dai loro baci, Jude lo portò ad un’estasi incredibile.

Affacciati al baratro della fine, loro avevano ricominciato, senza più paure.


La porta cigolò, per poi spalancarsi.
Le ragazze erano abituate a dare la buona notte alla madre ed ormai era passata la mezzanotte, quindi si erano già preparate mille scuse plausibili.
Appena li videro, allacciati ed assopiti, tra lenzuola candide, ma estremamente stropicciate, emisero all’unisono un urletto, che fece sobbalzare di botto sia Glam che Pam.
“Mamma, papà!! Nudi, nel letto!! Oddioo!!” – e fuggirono nel salotto adiacente, come folletti impazziti.
I due adulti si guardarono, scoppiando poi a ridere.

“Ehi guapite, non fatevi strane idee, ok?”
Pamela apparve in vestaglia, esordendo con quella battuta, che all’apparenza deluse le aspettative delle gemelle.
“Sai, credevamo che … insomma, un ritorno di fiamma” – ammisero spiritose.
Lei sorrise, un po’ malinconica – “Vostro padre è fatto così … e poi non ci ha mai lasciate da sole o no?”
“Sì … Non gli si può rimproverare nulla … Papà!” – lo accolsero, andandogli incontro, appena spuntò in accappatoio, dopo una doccia veloce.
Geffen le avvolse – “Vi chiedo scusa, non volevo illudervi …” – disse sincero.
“Tu sei il nostro papi … e magari arriverà un fratellino!”
Glam scrutò Pamela, che fece una smorfia esilarante – “Estás loco?”
“Cucciole non saprei …”
“E’ tecnicamente possibile!” – esclamarono, facendo scuotere la testa ai genitori, che le scortarono alle loro camere, per rimboccare coperte e sedare strane elucubrazioni adolescenziali.
Seppure plausibili.


 Pamela