One shot – Il quarto chiodo
Jude molleggiava le dita, incastrate nel reticolo della sua racchetta da tennis.
Fissava quel groviglio di fili biancastri, fissati a quell’arnese di legno, che in realtà detestava, ma che gli permetteva di frequentare il club dove era iscritto anche Robert Downey Junior.
Avevano lavori diversi, abitudini letteralmente opposte, solo il denaro e quel posto li accomunavano.
“Allora ti darò la rivincita, ma se perdi questa sconfitta ti costerà un Martini doppio Judsie!”
La risata di Downey rendeva l’atmosfera elettrizzante e carica di aspettative per l’altro, che sbuffando gli sorrise – “Sai che sono una schiappa …”
“Sì … in effetti … Allora come mai spendi quattrini per essere socio qui?” – domandò allacciandosi le scarpe.
Jude avrebbe voluto dirgli la verità, era davvero frustrato.
“Come … come sta Susan?” – tentò comunque di cambiare discorso.
“Susan chi?”
“La … la ragazza di cui mi parlavi l’ultima volta …”
“Svanita, dopo la cena da Rules, forse non ha gradito le ostriche!” – e rise di nuovo, correndo ad abbracciare il biondo, che si irrigidì arrossendo – “Su muoviamoci, tra poco farà un caldo insopportabile Judsie!”
Era un giugno splendido, in quella Londra a metà degli anni trenta.
In due set Robert stracciò l’amico, come previsto.
Il locale era affollato e Robert scelse un tavolino sulla terrazza, protetto da siepi di bosso.
“Hai letto le ultime novità Jude, in Germania intendo …” – disse sfogliando un giornale.
“Sì, nulla di buono … eppure i miei cugini a Berlino sembrano così entusiasti del loro nuovo … leader.”
“I figli della sorella di tua madre, vero?”
“Sì, zia Amanda, ha sposato un industriale del posto, quando ha lasciato l’Inghilterra era terribilmente triste.”
“In America abbiamo altri problemi, non come questo Hitler, comunque …” – concluse assorto, riponendo il quotidiano.
“Forse torneranno tutti qui, gli affari stanno peggiorando, c’è molta discriminazione, verso gli Ebrei come noi, la loro fabbrica si è vista dimezzare le commesse … hanno licenziato diversi operai.” – replicò mesto.
“Mi dispiace Jude … Avanti, beviamo un altro drink e poi andiamo al cinema, cosa ne pensi?”
“Penso che … sia fantastico.” – ed arrise al solo pensiero di potere trascorrere anche la serata con l’amico.
Il film era dell’orrore.
“Adoro Boris Karloff, ma lo preferivo in Frankenstein … questa mummia era piuttosto inverosimile …” – disse Jude, scrutando la luce dei lampioni, ingabbiata tra le fronde degli alberi.
Stavano passeggiando, le mani in tasca, lungo il viale che portava alla residenza dei Law.
Downey abitava invece da solo in un meraviglioso attico del centro, dove Jude era stato solo una volta, ad un pranzo dove si sentì un pesce fuor d’acqua per tutto il tempo.
Gli amici di Robert erano stravaganti e snob, molti artisti, che si mescolavano a figli di banchieri, come lui e signorine altezzose e superficiali.
“Io lo trovo sempre all’altezza Jude e che … altezza! Ahahahah”
“Sono arrivato, vuoi salire?”
“No, ma i tuoi sono ancora alzati …”
“Sì Rob hai ragione, è strano … Mi accompagneresti, ho paura che sia successo qualcosa …”
“Certo Jude, andiamo.”
Appena varcarono la soglia, un ragazzo poco più che ventenne corse incontro a Jude – “Jared …? Jared!”
Si strinsero, roteando felici per essersi ritrovati, così almeno immaginò Downey.
“Sei cresciuto in fretta! Rob ti presento mio cugino.”
“Salve, sì Jude mi ha parlato di te … e … quello è tuo fratello?” – domandò notando un altro ragazzo, all’apparenza coetaneo di Jared, seduto su di una poltrona poco distante.
“No … no lui è Colin, il mio … il mio migliore amico, ecco … Cole senti, ce l’abbiamo con te … E’ timido …” – sussurrò.
Era moro, ben piazzato, iridi scure e liquide.
“Buonasera … chiedo scusa, ma sono ancora frastornato dal viaggio, siamo venuti via da Berlino davvero in fretta …” – si giustificò, presentandosi poi in modo gentile.
“I Farrell, i genitori di Colin, hanno una magnifica sartoria, ma vogliono venderla e tornare nella natia Irlanda …”
Jared sorseggiava una bibita fresca, insieme agli altri, seduti sul tappeto della camera di Jude.
“Gli zii ti hanno mandato qui, la mamma mi ha accennato qualcosa, ma credo mi abbia nascosto la verità Jared …”
“Hanno paura … si sentono strane storie in giro Jude … mi hanno spedito da voi, non so neppure io veramente il perché, ma il partito nazionalsocialista ha idee poco rassicuranti, anche se io non ci voglio credere.”
“Credere a cosa?” – domandò Robert inquieto.
“Alcuni studenti facevano girare a scuola degli opuscoli sul predominio della razza, sui popoli inferiori … una sequela di sciocchezze!”
Jude si sentì gelare, come se un brutto presagio gli stesse attanagliando il cuore.
“E quali sarebbero questi popoli inferiori?”
“Gli Ebrei … gli zingari, ma anche gli omosessuali …”
“Ma loro non sono un popolo …” – disse sorridendo Colin, rimasto in silenzio sino a quel momento.
“Loro sono dei diversi, degli indegni secondo quelle menti bacate! Io … io non la penso così e voi …?” – chiese timidamente Jared.
“Per me siamo tutti uguali.” – intervenne Jude, sostenuto anche da Robert, che annuì convinto.
“Bene … sono sollevato … e come dice Colin … non siamo un popolo …” – e lo prese per mano, avvicinandosi a lui – “Ecco Jude noi stiamo insieme … ci amiamo moltissimo.” – rivelò con trepidazione.
Farrell sorrise – “Ve lo stiamo confessando perché abbiamo capito che siete … comprensivi …”
Robert rimase senza parole, mentre Jude si commosse – “Sono … così felice per voi … avete fatto bene a fidarvi, non permetterò mai a nessuno di farvi del male.” – e li avvolse, rassicurandoli.
Jude aveva compiuto trent’anni da poco, due meno di Robert, il più adulto del gruppo.
Downey si unì a quell’abbraccio corale – “La penso come Jude. Contate su di me … Per qualunque cosa.”
“Dormono?”
Robert lo chiese con una dolcezza nella voce, che emozionò Jude.
“Sì, erano distrutti … hanno unito i letti gemelli e si sono come … accuccio lati l’uno nell’altro, sono davvero … bellissimi, non … non posso dire altrimenti.”
“Sì, sono due splendidi ragazzi, dentro e fuori Jude … sai, sono davvero orgoglioso di te o meglio di averti nella mia vita.” – affermò deciso.
“Ed io di te Rob … Adesso vado a coricarmi anch’io … spero che starai comodo qui …”
“Starò bene, tranquillo … del resto avevo troppo sonno per mettermi alla guida.”
“Certo … sì, certo, ora … ora vado …” – disse agitandosi nell’allineare delle statuine sopra alla mensola del caminetto.
Jude sentì dei passi leggeri e poi un clic.
Robert aveva spento le luci.
Il chiarore della luna piena filtrava dai vetri delle finestre rimaste aperte.
Downey le socchiuse, tirando i pesanti tendaggi.
“Jude … se ti chiedessi una cosa, tu saresti sincero con me?”
“Quale cosa?”
“Una cosa di te, molto personale … forse non dovrei permettermi una simile confidenza, ma ho bisogno di sapere.”
Erano bloccati l’uno di fronte all’altro, in una rigidità inconsueta.
“Chiedimi ciò che vuoi Robert, ti prometto di non nasconderti nulla.”
“Ok … Tu sei innamorato?”
Jude sbarrò le palpebre, per poi strizzarle, infastidito dalla fiammella della candela, che Robert accese sul tavolino.
Un riverbero sfumato di arancio sembrava animarsi dietro a Robert, per la tonalità delle carta da parati.
“Innamorato …?”
“Sì Jude.”
“Lo … lo sono.” – ammise, incrociando le braccia, in una debole difesa.
Downey la sciolse, con delicatezza – “Mi diresti di chi? … quale persona è così fortunata, nell’essere destinataria del tuo amore?”
Jude aveva il cuore in gola, poteva percepirlo come un martello impazzito.
“Robert … tu lo sai benissimo … ma se ti puo’ fare piacere sentirtelo dire …” – “Sì. Sì mi farebbe davvero piacere … sentirtelo dire.”
Jude lo baciò, lasciando che le parole traboccassero da quel gesto, prima che dalla sua voce.
Le loro dita si incastrarono tra le reciproche chiome, per poi impossessarsi delle loro nuche, premendosi a vicenda, come a sigillarsi, in un’unione armoniosa ed irripetibile.
Robert riprese fiato, ansimando per quanto il suo corpo gli stesse parlando, consegnandogli un’unica verità: “Ti amo dal primo giorno Jude …”
“Ed io dai miei sogni, di quando aspettavo qualcuno da amare e che mi amasse, accettandomi come fai tu … mi fai stare bene Robert … mi fai provare tutte le emozioni … mi dai la vita, vivendola insieme a me …” – e tornò a baciarlo.
Si addormentarono nudi, intersecati in un arabesco casto, ma provocante.
Le carezze erano state audaci, ma l’aspettativa sull’appartenersi subito, fu rimandata.
Erano così sconvolti da quella vicinanza, da non riuscire neppure più a pensare lucidamente.
Jared tornò dal bagno, svegliando Colin.
“Perdonami …” – e lo baciò nel collo.
Farrell vibrò, infilando i palmi caldi sotto alla casacca del pigiama di Jared, che curiosò tra le sue gambe – “Ti voglio …” – gemette, mentre l’irlandese lo stava divorando di baci.
Si strapparono quasi gli indumenti, per la foga e la gioia di avere un posto sicuro dove amarsi.
Jared amava ricevere Colin tra le sue membra, inebriandolo di ansiti, nel raggiungere insieme l’orgasmo, sempre più devastante.
Vivevano nella costante angoscia di perdersi, senza saperne il motivo concreto.
Robert aprì il telegramma, davanti agli altri tre, riunitisi sulle panchine in mezzo al parco antistante l’abitazione di Jude.
“E’ di mio zio … mi conferma che ha trovato una sistemazione, per tutti e quattro … un impiego al suo giornale, forse non è il massimo, ma ci darà da vivere a New York e permetterà a Jared e Colin di terminare gli studi, se vorranno …” – disse scrutandoli: nessuno sembrava convinto.
“New York … sognano di andarci da quando avevo quattro anni …” – mormorò Colin, per poi fissare Jared, che stava rannicchiato sulla panchina.
“Stiamo solo fuggendo … mentre i nostri fratelli e le nostre sorelle sono rimasti, per fare valere il loro diritto alla libertà.” – disse Jared disperato.
Erano trascorsi due anni, durante i quali il panorama europeo piombò in un clima oscuro ed opprimente.
“Venti di guerra … non leggo altri titoli sapete?” – intervenne Jude, ripiegando un settimanale, per poi gettarlo sul tavolaccio, dove si era appoggiato anche Downey.
“Io torno a Berlino Colin … la mia famiglia è là ed io sono rimasto al sicuro per troppo tempo …”
Farrell deglutì a vuoto – “Se è questo che vuoi, io ti seguirò amore …”
Pronunciava quella parola con una spontaneità disarmante.
“Grazie … Grazie!” – replicò Jared, appendendosi a lui, come un naufrago.
Robert si rivolse a Jude, con aria stranita – “Leggo nei tuoi occhi la stessa intenzione … dimmi che sto sbagliando …”
“No Rob … no, non stai sbagliando … Forse lo faremo per affermare il nostro credo, le tradizioni, ma specialmente per onorare anche la nostra natura … persino gli zingari, sai, hanno una dignità da assentire … Conoscete la storia del quarto chiodo amici?”
“Il quarto chiodo …?” – disse Colin.
“E’ legata alla crocifissione di Cristo. C’erano appunto quattro chiodi: i suoi aguzzini piantarono i primi tre, ma quando fu il momento di mettere l’ultimo, si accorsero che mancava. Lo aveva rubato uno zingaro, impedendo così che Gesù venisse trafitto anche al cuore: per questo Dio diede il diritto al loro popolo di rubare … Non pensate che anche per gli uomini come noi, esista un quarto chiodo? Forse saremo noi, nel nostro agire seppure limitato, a metterlo sul tavolo della storia.”
Downey era allibito, anche se affascinato da quel racconto – “E’ una follia Jude!! Io ti amo!! Ti amo, non posso permetterti di andare …” – esclamò in lacrime, brandendo i suoi fianchi, per attirarlo completamente a sé.
“Allora vieni con me Rob … sei l’unica persona che vorrei accanto a me … ti amo da impazzire e qualunque cosa dovesse succedere, non avrò più paura se ci sarai tu al mio fianco, credimi!”
Downey fece cenno di sì, scosso da un brivido lancinante.
>Londra, 1947
Era una vecchia ferita di guerra, ma Jude Law la considerava un’amica.
Un altro principio di estate terso e luminoso, una camminata zoppicante lungo quel sentiero erboso, che portava ad un piccolo giardino di rose ed iris.
L’uomo seduto sulla panca ammirava le ninfee, che galleggiavano nel laghetto: Jude lo avrebbe riconosciuto tra mille.
“Rob …” – sussurrò, cercando nella tasca la busta stropicciata, contenente una missiva consunta ed ingiallita.
“Rob!” – gridò sorridente.
Lui si alzò, annullando la distanza tra loro.
La lunga cicatrice che solcava la sua guancia sinistra, non deturpava il suo volto ancora splendido.
“Glielo hanno strappato dalle mani … Jared gridava così forte, mentre lo caricavano sul camion … Colin ha lottato sino all’ultimo per portarlo via, ma poi … poi quel nazista di merda lo ha freddato con un colpo alla nuca … E’ buffo pensare che di lui non importava niente a quei maiali, visto che era di Dublino e quindi come un turista … un’assurdità …”
“E tu dov’eri …?”
“In fila … pronto a partire nel trasporto successivo … Anche se mi avevano legato per i polsi, sono riuscito a disfarmi della corda ed ho strangolato il soldato che ci controllava … siamo saltati in due, in un fossato, gli altri erano bloccati dal terrore; è lì che mi sono frantumato il tallone. Ho incontrato un nostro parente sei mesi fa, lui si è salvato, ma Jared è morto subito, per una polmonite e gettato in una fossa comune … ancora non li bruciavano …” – iniziò a piangere sommessamente.
Robert lo accarezzò sulla schiena, lasciando che Jude appoggiasse la sua fronte dapprima sulla sua spalla destra, per poi scivolare sino alla tempia di Downey.
“Sono … sono loro che ti hanno fatto questa Rob …?”
“Sì, mi hanno torturato … a Parigi quel tizio, quello dei passaporti, mi aveva attirato in una trappola … c’erano anche due polacchi e non hanno avuto scampo, sono stati fucilati. Per me un anno di carcere, come prigioniero politico e poi il campo di detenzione per americani ed inglesi … Da lì sono scappato e con qualche soldo, mi sono comprato un posto sul piroscafo e sono tornato a casa … dal fratello di mio padre, rammenti? Ora faccio il giornalista, cronaca nera …”
Jude sgranò le iridi impolverate dalla tristezza, ma ancora magnetiche.
Rob si sporse, baciandolo lieve.
“Cosa faremo Jude, adesso …?”
“Nella lettera mi dicevi che lasciavi a me la scelta ed io ho preso una decisione … ti seguirò a New York, con mia madre, non mi rimane nessun altro …”
“Non ti deluderò Judsie …”
“Dio mi mancava questo nomignolo …” – e lo baciò con maggiore intensità.
Nel sollevarsi per andarsene, Downey prese la propria giacca, che aveva appoggiato sullo schienale, a causa del clima afoso.
“Accidenti, si è impigliata in un …” – e si interruppe.
Jared stava seduto proprio lì, quel ricordo gli balenò in mente come una pugnalata.
“Era vicino al simbolo della sua ribellione … della nostra battaglia Jude …”
Law lo estrasse, avvolgendolo in un fazzoletto: “Lo conserveremo e ne faremo davvero qualcosa, prima o poi.”
La fecero.
La realizzazione del centro di ascolto per le minoranze The white nail fu un progetto ambizioso ed ostacolato da alcuni politici, ma Robert e Jude non si arresero mai di fronte agli ostacoli.
Una foto sbiadita, fissata al muro dell’ingresso da quel cimelio arrugginito, rimase il logo di quel miracolo: vi erano immortalati Jared e Colin, seduti davanti ad un campo di papaveri.
Per sempre.
THE END
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