domenica 30 ottobre 2011

GOLD - CAPITOLO N. 286

Capitolo n. 286 - gold


Jamie scese velocemente, dando l’impressione a Marc di avere un demonio alle calcagna.
“Cosa ti prende? Sei in ritardo per un appuntamento?” – chiese Hopper rivestendosi a malapena.
“No! … No, devo prendere le medicine … un farmaco ciclico, dovrebbe essere qui …” – disse nervosamente, frugando in un cassetto, dove regnava un notevole disordine, a dispetto della circostante perfetta essenzialità di quell’appartamento.
La disciplina di Cross si rifletteva anche nelle sue abitudini, ma quel piccolo contenitore in legno, sembrava l’espressione concreta della sua malattia o forse del suo approccio alla stessa.
Una condanna del genere non gli apparteneva, era troppo distante dalla sua bellezza interiore e dal suo carattere, che un tempo era più solare e carico di aspettative: Jamie non aveva ancora raccontato molto di sé a Marc e questi, come per ogni angolazione del loro legame, non schiacciava mai sull’acceleratore della curiosità.

“Cazzo non le trovo!! Devo assolutamente … io devo cazzo!!” – ed estrasse il contenuto, spargendolo sul pavimento, tremando in quella ricerca spasmodica.
“Tesoro non agitarti … ne andiamo a comprare altre …” – disse esitante Marc, tenendosi a distanza.
“NO NON ABBIAMO IL TEMPO, MI MANCA LA PRESCRIZIONE ACCIDENTI!!”
Il suo grido era un misto di disperazione e richiesta di aiuto, ma Hopper si sentì impotente.
Lo abbracciò, quasi avventandosi su di lui, affinchè non gli sfuggisse: “Jamie … sfogati … avanti …”
Raccolse il suo pianto, stremato dalle difficoltà e da quell’imprevisto: lo baciò sulle tempie sudate per il caldo e lo stress.
“Senti guardiamo nel resto del mobile, forse troviamo qualcosa … cosa ne pensi?” – domandò con calma.
Aprì uno sportello, vedendo un cestino in vimini, con dei blister.
Jamie tirò su dal naso, inspirando – “Eccole … sì ci sono … mi sembrava di non averle finite …” – il suo tono sembrava di scuse, ma Marc sorrise, correndo poi a prendergli dell’acqua.
“Grazie … sono davvero uno stupido …”
“No Jamie, hai solo paura e sei stanco … cosa ne dici di una vacanza, tu ed io, solo il fine settimana, dove vuoi, stacchiamo la spina e …”
Il ragazzo sorrise mesto, scrollando la testa spettinata – “Purtroppo questo veleno è il peggiore … avrò nausea per almeno due giorni e dovrò controllare i globuli bianchi … solitamente scendono e devo andare in ospedale per un’iniezione, altrimenti mi riduco uno straccio … anzi, succede comunque, vedrai che spettacolo schifoso … Ma perché rimani qui, Marc? … Perché non te ne torni dai tuoi amici ricchi e famosi …?”
Hopper strizzò le palpebre: con un altro avrebbe reagito nel peggiore dei modi, forse prendendolo a pugni.
Con lui, tornò semplicemente a stringerlo sul cuore, cullandolo appoggiati alla parete – “Sì Jamie, sei davvero uno stupido, se mi giudichi così … ma io ti dimostrerò che non hai capito molto di me …” – e sorrise, baciandolo poi per davvero.


Poche ore furono sufficienti a ridurre Jamie nel modo che aveva preannunciato ad Hopper, che si prodigò per fargli mangiare comunque qualcosa e soprattutto idratarsi.
Centrifugò della frutta, si procurò del gelato, ma le corse in bagno a vomitare aumentarono, soprattutto durante la notte successiva.
Marc non lo lasciò mai da solo, sostenendolo come poteva, sia con i gesti che con le parole.
Jamie verso l’alba si addormentò, dopo avergli parlato di come voleva prepararsi alla successiva audizione, dopo il fallimento di Chicago.
“Ho due settimane … certo a vedermi ora, nessuno mi darebbe la parte …”
“Sarai in forma per quel giorno Jamie.”
“Non ci credi neppure tu …” – e rise nascondendo il volto nel cuscino.
“Vedo che la tua fiducia aumenta di ora in ora!” – replicò Marc scherzosamente, ma ormai Jamie era crollato.
Hopper andò in terrazza, nascondendo le proprie lacrime, rannicchiandosi in un angolo, dove soltanto le stelle potevano guardarlo in quel momento triste.


Il barbone era sempre lo stesso: ciondolava dalle macchinette alla panchina, seduto sulla quale, Jamie lo aveva salutato.
“Quel tizio cerca sempre qualche tranquillante e qui le infermiere lo liquidano con un pacchetto di sigarette due volte su tre, sai …?” – spiegò flebile, piegandosi verso la spalla di Marc, che lo avvolgeva, senza mascherare la propria preoccupazione.
“A che numero sono arrivati?” – chiese stranito, sollevando la fronte da quella di Jamie, che scrutò di sottecchi il display del triage.
“Quaranta … noi diamo il cinquantadue … Cristo che casino oggi … eppure devo farla quella maledetta puntura …”
“Sì certo … anche le analisi, giusto?”
“Servono per il dosaggio Marc … dopo starò meglio … ora faccio solo schifo.”
“Smettila di … perdonami Jamie …”
“E di cosa? Non me l’hai attaccata tu questa merda … e non trovo giusto che TU ne subisca le conseguenze … anche se ti bacerei dalla testa ai piedi per essere qui … ci vengo sempre da solo ed è … lasciamo perdere …” – si asciugò gli occhi lucidi, con la manica della camicia.

I passi di Glam e Colin erano spediti.
“Eccoli … ehi Marc, siamo qui, possiamo andare. Ciao Jamie, vuoi una sedia a rotelle, ce la fai?” – disse Geffen con un sorriso.
“Ma che succede … ciao Colin … Glam …”
“Tranquillo, ti porto in una clinica dove mi sono disintossicato … Ho parlato con il primario, si occupa anche di mio figlio James, è un ricercatore, mi ha ordinato di portarti da lui.” – disse risoluto, ma in modo simpatico.
Jamie sembrò rassegnarsi alla loro iniziativa, anche per via della spossatezza, che lo faceva sembrare più vecchio di dieci anni, pallido, smagrito e con la barba incolta, come se una mutazione malvagia si stesse accanendo su di lui.
Hopper sembrò rinascere, nel vedere quanto Glam e Colin si stavano prodigando per il suo piccolo Jamie.
Le sue occhiate erano colme di gratitudine, ancora prima delle parole, che disse ad entrambi, appena Jamie fu ricoverato in una camera sterile, assistito con estrema cura e gentilezza dal personale del dottor Foster.
Il medico lo sottopose ad un’accurata serie di domande, completando un’anamnesi, che gli fece rilevare quanto il protocollo, a cui Jamie si sottoponeva da oltre un anno fosse obsoleto e nocivo.
Raggiunse Hopper ed i suoi amici, che ascoltarono con attenzione il discorso di quel luminare, spesso ostacolato dalle case farmaceutiche.
“E’ la solita storia signor Hopper. La via più semplice è spesso la meno redditizia, quindi mi ritrovo a finanziare il laboratorio di tasca mia o con generose offerte.” – e sorrise, indicando Farrell e Geffen.
“Quindi Jamie potrebbe anche guarire un giorno?”
“Direi che ha ottime possibilità, ovviamente se vorrà sottoporsi ad una serie di trattamenti sperimentali. Ci sto lavorando dal duemila ed ho ottenuto risultati confortanti, ma, nel frattempo, la terapia che gli prescriverò non consumerà i suoi globuli bianchi e non altererà le sue funzioni vitali. La glicemia è a rischio, quindi sospenderei il trattamento attuale, cominciando subito quello che io chiamo sistema Enter five, un nome di fantasia, il numero dei tentativi intendo …” – e sorrise.
“Penso che Jamie sarà entusiasta …”
“Lo stiamo reidratando, domani mattina controlleremo i livelli ematici, penso che martedì potrà tornarsene a casa, voglio monitorarlo per quarantottore, durante le somministrazioni, di cui le parlavo.”
“Ora glielo spiego … posso andare da lui?”
“Direi di sì … Ci aggiorniamo.” – e si allontanò, rispondendo ad una telefonata.
Marc abbracciò Glam e Colin, che avevano seguito quella conversazione, provando un misto di euforia e speranza.
“Andrà tutto bene Marc … ora vedi di convincere il tuo ragazzo a farsi aiutare, ok?”
“Sì Glam … lo farò, stanne certo. Ti ringrazio … e grazie anche a te Colin … sei stato come un angelo custode per noi.”
“Figurati … Non vedo l’ora di vederlo su quel palco a saltare e divertirsi … abbi cura di lui, mi raccomando.”


Erano le sei di sera, la strada trafficata, il caos del venerdì, gente che voleva solo cercare una via di fuga in quella Los Angeles infuocata.
Geffen guidava con cautela, senza dire nulla di particolare, Colin guardava fuori dal finestrino aperto.
“Puoi fermarti un istante …?”
“Che succede Colin?”
“Non … oh miseria …” – e portandosi una mano sulla bocca, saltò dall’hummer, per andare dietro ad un cespuglio a dare di stomaco.
Glam lo raggiunse allarmato – “Colin stai bene?!”
“Sì … hai qualcosa da bere …?”
“Certo … pensi di farcela a risalire in auto?”
“Ci provo … è la tensione … non so cosa … oh grazie.” – ed afferrò la minerale, offertagli da Geffen, scolandosela in pochi secondi.
“Ehi campione, ho già avuto abbastanza emozioni per oggi, non credi?” – e rise poco convinto, dalle espressioni smarrite dell’irlandese, che tornò sul mezzo blindato, schernendosi.
Era commosso e sconvolto – “Jamie sta affrontando un inferno e Marc … lui è così convinto … lo ama davvero.”
“Penso siano due anime ritrovate, qualcosa di raro Colin …”
“Hai ragione Glam …”
“Senti, adesso metto in moto e … “ – “Non … non voglio tornare a casa …”
“E dove vorresti andare Colin, scusa?”
L’attore si ammutolì, ma poi fissò l’altro in modo strano – “Portami dove stai con lui. Dove andate tu e Jared.” – domandò deciso.
“Che diavolo dici Colin??”
“Voglio vedere il posto! Per favore …”
Geffen volle riflettere su come dissuaderlo, ma poi preferì offrirgli una mezza verità.
“E’ distante … sulla scogliera …”
“Ok andiamoci, non ho impegni.”
“Ma io sì, voglio tornare da Kevin e Lula, accidenti!”
“Ti aspetteranno … Loro lo fanno sempre.”
“Come vuoi, è solo un locale.”
“Che genere di locale?”
“Lo vedrai. Sbrighiamoci.” – e digrignando i denti, ripartì.

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