One shot – The eagle tales > La notte prima di partire
Pov Esca
Marcus ha un sapore dolce.
Lo sento ancora scorrermi nella gola: neppure il vino, che il servo di suo zio Stefano, mi ha offerto, riesce a cancellarne il senso, che si fa strada dentro di me.
Vorrei negarlo, con tutto me stesso, così come ho continuato a ripetermi, in ginocchio tra le sue gambe, che lo stavo facendo solo perché lui è il mio padrone, che sarebbe stato utile quel mio gesto per conquistare la sua piena fiducia ed alla prima occasione propizia … No.
No.
Gli ho giurato fedeltà, ho consegnato a Marcus il mio coltello e per la lealtà, che è una delle poche cose a restarmi di virtuoso, non potrò mai venire meno a queste parole, almeno nelle terre romane.
Lo odio.
Ti odio Marcus.
Mi rannicchio sul pagliericcio, dopo avere abbandonato il comodo giaciglio del mio signore.
Questa casa è abbastanza grande, per accogliere i pensieri di quattro uomini, due vecchi e due giovani, due re e due schiavi, che non hanno nulla da dirsi, ma che convivono tra sguardi e silenzi rumorosi e scomodi.
Marcus è riuscito a stupirmi.
In riva al fiume, dopo la battuta di caccia al cinghiale, dove l’ho visto rinascere, dopo la lunga e penosa convalescenza, gli ho raccontato qualcosa di me e della famiglia alla quale sono stato strappato troppo presto.
Lui ha detto “Mi dispiace …”
Così io ho dovuto ingoiare quel rantolo sordo e nocivo, per il rancore provato verso ciò che lui rappresenta, per le battaglie condotte da suo padre e da Marcus stesso.
La prepotenza ha abitato i miei giorni.
La mia fierezza, più volte, insidiata dalla vergogna: hanno abusato di me.
Del mio corpo, dei miei sogni di libertà e questo è imperdonabile.
Nessuna lacrima è sgorgata dai miei occhi, però avrei voluto uccidere, ma non sapevo dove fuggire, ero più acerbo nel mio sembiante, ma non nella dignità, che ho saputo difendere fino allo stremo delle forze.
Marcus ha un sapore dolce.
I miei pensieri tornano sempre a questo.
Alle sue dita che non mi forzavano, sfiorando con un tremito la mia nuca.
Seduto sul bordo del suo letto, il mio padrone non mi aveva chiesto nulla.
Ha posato i suoi palmi sui miei fianchi, ero rimasto in piedi, dopo avergli chiesto se avesse ancora bisogno di me e lui era disteso, ma si sollevò, senza smettere di fissarmi, come se avesse visto qualcuno che non conoscesse.
Eppure ero sempre io, il suo servo, Esca …
Deve avere frainteso una mia occhiata oppure il mio respiro accelerato, è vero, ma altrettanto impercettibile, dopo che si era sfilato la tunica, restando nudo, pronto ad addormentarsi.
La cavalcata lo aveva stancato, la battuta era stata movimentata, ma le sue risa, si erano scontrate con le mie: ci stavamo divertendo, come di certo succedeva a lui con un qualsiasi amico ed a me … a me, no, niente, non ricordo di averne avuti, tanto meno tra gli schiavi come me.
Il mio padrone … forse un giorno potrei dire, il mio amico … il mio … Marcus.
Qualcosa scalpita appena sotto al mio sterno, sembra volersi fare spazio accanto al mio cuore …
Marcus io …
“Esca io … per … per favore … ora … b-basta … non devi … non … DEVI!”
Aveva inspirato così tanta aria, prima di sfogare i suoi istinti, tra la mia lingua ed il palato, poi sul mento, sul mio collo, non ho mai visto un uomo tanto virile nella sua indole guerriera, precipitare in un abisso di terrore: era per quello che aveva fatto o per l’impressione che gli davo.
Avevo soltanto abbassato la testa, ripulendomi con il dorso della mano destra, ma le sue mi spinsero sul pavimento e la sua bocca … la sua bocca trovava giustizia nella mia o semplicemente un atto di scuse.
Marcus io non voglio e non posso perdonarti.
Baciarmi, lo stavi facendo con una passione profonda; mi baciavi, come spesso vedevo fare ai figli dei miei precedenti signori, con i loro cugini o con altri servi, nessun bacio per me.
Ero così recalcitrante, che non trovando nessuna partecipazione da parte mia, finivano per lasciarmi in pace, definendomi una bestia selvaggia ed indomabile.
Perché ti ho permesso di cambiarmi, allora?
Le risposte sono tutte nelle mie falangi gelide, una parte di me lo ritiene insopportabile.
Il sentimento, non l’atto.
“Vorrei sapere perché non dici mai nulla, dopo … Esca, ascoltami …”
Non trattarmi così!!
Non farlo, non posso diventare ciò che non sono, a meno che tu non lo desideri al punto da distruggere le mie difese.
Questo avamposto, fatto di stupido orgoglio, potrebbe impedirci di avere qualcosa di inaspettato.
Mi rifugio su questa coltre grezza, non è calda come il tuo abbraccio, l’unica volta che ci siamo addormentati insieme.
Nelle mie orecchie risuonava quel tuo ruggito fosco, tra le mie cosce il tuo seme si era quasi rappreso, eppure eri pronto a riprendermi e svuotarti nuovamente, con meno rudezza, il che avrebbe dovuto umiliarmi, invece ero felice, felice di intrecciare le mie dita alle tue, mentre spargevi dei morsi sulle mie spalle, segnandomi come se fossi tuo … tuo davvero Marcus …
Nessun dolore.
Un altro motivo per farmi adirare a morte … in tutta questa vita che mi davi, senza neppure saperlo … oppure lo sai?
Tu sai quanto sia fiero di appartenerti?
“Non … non muoverti … non uscire da me …”
Lo dico talmente piano, che te lo fai ripetere.
Brandisco la tua natica, ti attiro a me, ti blocco in me, tacendo, non puoi pretendere di avere una replica!
Annuisci, tra le mie scapole, regalandomi ancora un bacio.
“Ci sveglieremo così, allora …”
Affondo nel guanciale, per celarti il mio sorriso.
Cosa mi hai fatto? … Tu cosa … mi hai fatto …
E’ la notte prima di partire, per un viaggio, che rasenta la follia: recuperare l’aquila della nona divisione, comandata da quel genitore, il cui ricordo ti colma di angoscia.
Devi vendicare gli affronti di quei senatori sudici di boria, che hanno infangato l’onore della tua stirpe.
Lo vuoi fare con me.
Lo puoi fare solo con me, in quelle terre, dove saprò muovermi o tendere un agguato fatale: in te esiste la certezza che non accadrà mai.
Tu vedi già oltre la mia rabbia, Marcus, il tempo ti darà ragione.
Ed io ciò che mai mi sarei aspettato di donarti: il mio cuore.
THE END
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