Capitolo n. 276 - gold
Jamie Cross stava festeggiando il suo venticinquesimo compleanno in un disco bar, di nuova apertura, a picco sulla scogliera.
Un posto particolare, dove i proprietari, due vecchie glorie di Hollywood, offrivano cucina internazionale e buona musica.
Marc Hopper sorseggiava il terzo drink analcolico della serata, distratto dalle risa del ragazzo e dei suoi rumorosi amici.
Parlavano di uno spettacolo, di alcune scene andate storte, di altre riuscite per miracolo, delle urla del regista e di un primo ballerino isterico.
C’erano anche delle ragazze, alcune molto avvenenti, ma tutte molto magre, probabilmente anche loro impegnate nel mondo della danza, alla quale l’avvocato non era mai stato interessato.
La sue terza moglie lo trascinava a certe rappresentazioni, così noiose o era la quarta?
Marc sorrise, incrociando lo sguardo del festeggiato, che alzò il calice di champagne, ridendo per una battuta di un tizio, che lo teneva per la gamba sinistra, per farlo sedere, ma lui si divincolò, raggiungendo il bancone, dove Hopper si era sistemato.
“Ehi!! Tu non mi auguri happy b-day?” – chiese in modo un po’ sguaiato.
“Happy b-day … signor …?”
“Jamie! Cazzo mi chiamo Jamie! Ahahahah”
“Jamie spero tu abbia qualcuno che ti porti a casa oppure i soldi per il taxi, perché ridotto così non andrai lontano.” – disse ridacchiando, prendendo una manciata di pistacchi dalla ciotola, che un istante dopo Jamie rovesciò sui suoi pantaloni.
“Ops scusa … scusa amico …!”
“Fa nulla … dov’è il bagno?” – chiese ad un inserviente, che gli indicò un corridoio laterale.
Hopper ci andò senza più fare caso a Jamie, che si era appoggiato ad un divanetto, crollandoci sopra senza molto ritegno.
Marc fissava la sua immagine nello specchio, con una certa mestizia: meditò sul tornare a Boston e passare la causa in corso direttamente a Geffen.
Quando la porta si spalancò, ebbe un sussulto, per tanto era assorto.
“Perdonami, non volevo … o cazzo …!”
Jamie, che era appena entrato ciondolando, si fiondò nella prima toilette libera e diede di stomaco.
Trascorsero un paio di minuti.
“Ehi campione … come andiamo lì dentro?”
“Uno … uno schifo … grazie.”
La sua voce era più vigile.
“A proposito, mi chiamo Marc, Marc Hopper. Posso aiutarti?”
“No … sì … forse Marc …” – e rise piano, rivelandosi, in uno stato a dire poco pietoso.
“Sciacquati la faccia Jamie, ti offro un caffè.” – disse Hopper pacato, seguendo ogni sua mossa.
Il giovane si tolse la camicia fradicia di sudore, chinandosi sul lavabo, dove aveva ancorato le dita affusolate.
Sulla sua schiena un tatuaggio di dimensioni modeste, ma che incuriosì Marc.
“Cosa c’è scritto?”
“Co-come …?”
“Tra le tue scapole …” – lo chiese andandogli vicino, sfiorando il punto in cui quell’ideogramma giapponese spiccava sulla pelle pallida.
Jamie si girò di scatto, come se un fulmine lo avesse colpito.
Scrutò Marc per un istante, che apparì ad entrambi greve.
“Non mi piace essere toccato dagli sconosciuti.” – disse secco, come se fosse una regola e non qualcosa in cui credeva davvero o almeno, non in quel frangente.
Hopper fece un passo indietro – “Hai ragione. Ciao, buona serata …”
Il suo tono era pentito, come le sue iridi, che Jamie non smetteva di puntare, come se lo stesse analizzando.
Marc si rese conto di quanto fossero belli ed espressivi gli occhi dell’altro, azzurri, una sfumatura diversa dal consueto.
Quelli di Glam erano celeste vivo, Jared li aveva come uno zaffiro, Marc amava i toni del blu, però Jamie possedeva una tonalità proprio speciale.
Se ne andò veloce, senza voltarsi indietro, ma con il cuore agitato da qualcosa, che non sapeva spiegarsi.
Salì sull’hammer, che Geffen gli aveva prestato, chiudendosi dentro, per poi sprofondare nel sedile, scivolando di lato, finchè la tempia sinistra non sentì quanto era fresco il vetro del finestrino.
Un lieve bussare gli provocò un mezzo infarto.
“Fatto pace con Colin?”
“Cosa daddy? … Sì, insomma, abbiamo parlato dei bambini più che altro, comunque tutto sistemato, spero.” – e sorrise, ripercorrendo solo con la mente, l’incontro con Farrell del pomeriggio.
Erano entrati in cucina, per preparare la merenda a Lula.
“Panini al sesamo e prosciutto di nonno Antonio … ormai ne va pazzo, sai?”
“Lo immagino Kevin … certo che se vuole entrare nelle grazie di Violet, che è vegetariana convinta …”
Risero impacciati.
Colin sospirò.
“Ok … ok, proviamo ad andare avanti Kevin, non mi va di sentirmi così quando siamo nella stessa stanza.”
“Così come?”
“Imbarazzato … Ti ricordi quando abbiamo dormito insieme? Sono … sono stato orgoglioso di essermi comportato da gentiluomo, una volta tanto, di non avere approfittato di te, ma del resto potevi farlo anche tu, intendo una caduta … con me …”
“Sì, avremmo potuto, ma io non te lo avrei permesso.” – replicò convinto, ma senza astio.
“Quello è il Kevin che conoscevo … Anche se devo ammettere quanto tu e Jared siate sempre stati in grande armonia … due complici insomma.”
“Tutti pensano per via di Glam, ma non è così Colin, c’è ben altro.”
“Immagino il vostro passato, ci sono parecchie similitudini …”
“Infatti, ma specialmente l’amare due uomini complicati e che … che ci hanno fatto soffrire molto.”
Farrell ebbe un’esitazione, sembrò riflettere e poi dolorosamente ammise quella palese evidenza.
Jude intrecciò le proprie mani a quelle di Robert, che stava cercando di dormire.
L’aria condizionata era stata ripristinata e l’ambiente era fresco.
Downey aderì meglio con la schiena al busto del compagno, la loro pelle combaciava alla perfezione, così il ritmo dei loro respiri.
“Sei stanco …?” – chiese il biondo, posando un bacio leggero tra i capelli corvini dell’americano, che arricciò il naso – “Stasera sì …” – disse senza inflessioni, perdendosi nella visione di un quadro, appeso alla parete di fronte a lui.
“Rob ascolta …”
“Sì, ti ascolto …” – replicò dolcemente, baciando i polsi di Jude: lui schiuse la bocca, trasmettendo un sentore di caldo umido sulla spalla di Downey, che si spinse con i fianchi verso quelli dell’altro, istintivamente.
Erano come programmati per amarsi ed appartenersi.
La gamba sinistra di Jude si sollevò e con la stessa l’inglese imprigionò le estremità inferiori di Robert, che mugugnò qualcosa – “Se fai così non riuscirai ad esprimere alcun concetto temo …”
“Sei mio marito … con te credevo di potere fare ciò che mi piace …” – ansimò, mordendogli poi la nuca.
Downey gemette, sentendo poi quanto fosse bagnata la punta del sesso di Jude, che si sincerò immediatamente se anche lui fosse nella medesima condizione di eccitamento spasmodico.
Iniziò a massaggiarlo, con la frenesia di un cucciolo desideroso di vivere più esperienze possibili: Robert chinò il capo all’indietro, cercando di baciarlo, ma Jude lo stava leccando in modo forsennata e virile – “Sei mio … sei mio …!” – si strozzò su quell’affermazione, aumentando il movimento della sua mano, mentre l’altra torturava i capezzoli di Downey, in sua completa balia.
Anche lui provò ad accarezzare Jude, ma questi voleva ben altro.
Un profumo muschiato intossicava l’aria, che Robert respirava con affanno lussurioso: Jude voleva prenderlo e voleva farlo subito.
Lo spinse sotto di sé, scivolando veloce tra le sue natiche, affondando con la lingua, solcandolo, scendendo di nuovo, per entrare, uscire e rientrare ancora ed ancora.
Downey cercò un appiglio alle sbarre della testata, appagandosi anche di quanto fossero lisce, gradevoli al tatto.
Jude aveva nascosto sotto al cuscino un gel, una premeditazione quasi scontata, pensò Robert, prima di perdere del tutto la coscienza di quanto stava per accadergli: era sempre in quel modo, come uno sparo, pochi istanti di shock, indolore, poi il trauma, le cellule del suo organismo come impazzite in un rimescolio, il ritorno alla realtà, il disagio crescente, qualcosa di estraneo che lo stava straziando, ma al quale non avrebbe mai rinunciato.
“Asp-aspetta … Judsie … ti amo …”
“Ti amo da morire anch’io … e se solo potessi … se solo …”
“Cosa Jude … cosa amore …?”
Jude non si fermava, la sua libido poteva annebbiare qualunque ragione e qualsiasi astrazione avesse voluto esprimere, rimase impressa nel suo cervello, senza andare oltre.
Le fibre nervose di entrambi furono investite ed arroventate da un orgasmo prolungato.
“Ho … ho ancora … qualcosa … per … per te Rob” – e voltandolo con veemenza, tornò a penetrarlo, colpendolo e baciandolo, mordendolo e graffiandolo, per come le sue mani stritolavano il suo corpo, trattenendolo al suo, come se fossero un’unica persona posseduta da una lascivia sconfinata.
Marc diede contatto e quella barriera tra lui e Jamie venne abbassata.
“Ciao …” – disse, mentre Hopper sembrava non respirare.
“Ciao Jamie.” – ribattè, scuotendosi da quello stupore apparente.
“E’ ancora valida l’offerta per quel passaggio? … sempre che fosse tale.” – e sorrise.
Aveva solo la giacca di lino, sui jeans stropicciati, delle infradito poco eleganti, la casacca a mo’ di sciarpa, nell’insieme traboccava di fascino, nella visione che Hopper aveva di lui dal primo momento.
“Sì … sì certo, sali.” – rispose gentile.
“Grazie, quelli là dentro mi hanno stufato … succede spesso.” – disse mettendosi comodo ed allacciando la cintura di sicurezza – “Bella macchina …”
“E’ di un collega.”
“Collega?”
“Sì, penalista, come me … Imposta il navigatore, non conosco bene Los Angeles.”
“D’accordo … queste diavolerie sono utili, ma io sono vecchio stile, ho una decappottabile degli anni ottanta, tedesca … un rottame rimesso a nuovo, Bmw, colore nero …”
“Interessante. Di cosa ti occupi Jamie …?”
“Coreografo e ballerino, tutti i generi, adoro danzare!” – disse con entusiasmo.
“Ho conosciuto molti artisti da quando sono qui per lavoro, clienti di Glam, il proprietario dell’auto.”
“Glam …? Glam Geffen?”
“Sì, lo conosci …?”
“Veramente non in modo diretto, ma la mia compagnia ha partecipato ad un concerto benefico il Natale scorso, un evento bene organizzato da lui ed un gruppo rock, dove si esibisce quel cantante … come si chiama … Jared … Jason …”
“Jared Leto, sì fa parte dei miei nuovi conoscenti californiani.” – e sorrise, quasi rilassato.
“In qualche modo, qui ci si conosce tutti, se ti muovi nell’ambiente dello spettacolo insomma … Certo io non ho il loro conto in banca ahhahah”
“Questione di … leggi del mercato suppongo …”
“Sì, ma anche di opportunità e compromessi Marc. Siamo arrivati.”
Accostarono in un piazzale, antistante un complesso di quattro palazzi piuttosto eleganti.
“Non farti ingannare Marc, l’alloggio che mi sono potuto permettere è per l’eredità di mio nonno.”
“Nonno generoso Jamie …”
“Direi unico nipote … Ok … adesso vado, devo alzarmi presto, ti ringrazio.”
“Fatti una bella dormita … senti … ti lascio il mio numero, nel caso … Non so, trovalo tu il caso …” – e gli porse un biglietto da visita.
“Si usano ancora questi?” – sorrise, infilando il cartoncino nella tasca dei pantaloni e nel compiere quel gesto, inarcò il suo corpo, sollevandosi dal sedile.
Il suo busto era scolpito, allenato.
Marc si sottrasse a quella visione a fatica.
“Se vuoi memorizzarti il mio …” – accennò Jamie.
“Volentieri.”
Glielo dettò a memoria e poi scese con un balzo felino.
“Buonanotte Marc, sii prudente!” – e gli fece un cenno con la mano, scomparendo in pochi istanti.
Hopper disse qualcosa, ma Jamie non poteva più sentirlo.
Era già distante.
MARC E JAMIE (Channing Tatum sx and Jamie Bell dx)
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