domenica 9 ottobre 2011

One shot – The eagle tales > Massimo

One shot – The eagle tales > Massimo




Marcus detestava svegliarsi senza trovarlo vicino, nonostante sapesse il motivo dell’assenza di Esca.
Il tepore del suo corpo, era sorgente di molte emozioni, che avevano avvolto il suo cuore di soldato, in un’aura alla quale non sapeva più rinunciare.
La sua fierezza era indomita, così il coraggio nell’affrontare le lunghe giornate, aspre e faticose nel mandare avanti la loro fattoria, superando periodi di carestia e siccità, che avrebbero messo a dura prova chiunque.
Erano trascorsi tre anni ed il ricordo delle comodità acquisite nella villa dello zio ogni tanto si affacciava nella mente del romano: eppure non esistevano rimpianti, perché ad ogni sorriso di Esca, anche Marcus ritrovava il proprio: non era più da solo.
Poteva apparire come una follia, ricevere un simile dono da uno schiavo britannico, quasi un torbido inganno, per entrare nelle grazie del padrone e consentire allo stesso Esca di vendicare i torti subiti dai familiari, vittime dell’usurpazione romana.
Tacitamente si erano resi conto di avere la stessa dignità, sia nel combattersi, che nell’amarsi.
Era intenso, acre e poi dolce, improvviso e doloroso, struggente in differenti sfumature, quel sentimento che li univa, rendendoli inscindibili.
Avrebbero affrontato qualsiasi avversità, onorando un giuramento di assistenza reciproca, che non aveva mai avuto bisogno di parole esplicite.

Marcus fissò le crepe nel soffitto ed i segni delle travi: chi aveva costruito quell’edificio aveva sputato sangue, per poi vedersi depredato del bestiame e costretto a vendere la fattoria e l’appezzamento retrostante ad un prezzo modesto.
Esca era stato meno partecipe a quel racconto sofferto, non per mancanza di scrupoli, bensì per la gioia di vedere materializzare un sogno coltivato in anni di sottomissione.
Marcus lo assecondò, senza offrire una somma più cospicua, senza mai realmente pentirsi anche del suo opportunismo.


Esca era accovacciato nei pressi della stalla.
Fissava l’ingresso al granaio, assorto in riflessioni strategiche.
“Ancora niente …?”
“Marcus … no … non fiatare, potrebbe arrivare da un momento all’altro.”
“Devo scendere al villaggio per le provviste, quindi divertiti da solo con il nostro visitatore …”
“Non lasciare neppure una fessura aperta, se cerca del cibo dovrà per forza entrare lì e non avrà scampo!”
Marcus sorrise, per il tono perentorio e minaccioso di Esca: gli baciò una scapola, sentendo il calore della pelle, sotto il tessuto sottile e ruvido.
Inspirò l’odore di Esca, che amava, come ogni cosa di lui; baciò anche la parte opposta, salendo infine alla sua nuca, per morderla piano – “Non essere spietato …” – bisbigliò, vedendo che la sua concentrazione non veniva meno, nonostante il ritmo del suo respiro fosse mutato, in preda alla stessa eccitazione, che stava torturando Marcus.


Al suo rientro, l’ex comandante, notò uno strano silenzio provenire dalla casa.
Esca gli venne incontro, sorridendo.
“E’ incredibile …” – sussurrò.
“Cosa?”
“Vieni, ma devi tacere, potresti svegliarlo …” – e lo trascinò nella camera dove riposavano, mostrandogli chi giacesse nel loro letto, avvolto da una coperta.
Un bambino.
“E’ denutrito, ha graffi ovunque, ma è stato scaltro nel derubarci.”
“Quanti anni avrà Esca?”
“Quattro, forse cinque, di sicuro è spaventato e non parla.” – aggiunse fissandolo.
“Dovremmo andare in paese, forse è scappato da qualche famiglia, lo staranno cercando …” – replicò preoccupato.
“Temo di no, aveva questo appeso al collo, sono riuscito a toglierglielo mentre si lavava …”
Un ciondolo di foggia romana.
“Come è possibile Esca? Lo avrà rubato …”
“Per come gli è affezionato ne dubito.”
“Non possiamo tenerlo con noi …”
“E chi lo dice?” – chiese brusco.
“Esca cosa ti sei messo in testa?”
“Ha soltanto noi, dovremmo rifiutarlo? O abbandonarlo chissà dove?” – ringhiò, riportando Marcus in cucina.
“Non intendevo questo.” – ribattè serio.
“E’ solo un bambino, qui avrà cibo e riparo, al sicuro insieme a noi: io l’ho trovato ed io decido!” – e se ne andò, prendendo la cesta per la semina.
Marcus aggrottò la fronte, pensando fosse meglio che si calmasse.
Dal profondo di quell’animo ribelle, erano molteplici le voci che salivano a reclamare attenzione e rivalsa.
Esca meritava di dare libero sfogo ad ognuna di esse e nulla sarebbe mai divenuto insopportabile al cuore di Marcus.


“Prendi ancora del pane … prima o poi ci dirai qualcosa, vero?”
I modi di Esca erano attenti, ma al tempo stesso timorosi di provocare ulteriore turbamento in quel piccolo cucciolo d’uomo, che aveva occhi colore delle colline erbose, di quella natia Britannia, alla quale il giovane era stato strappato troppo presto.
Le ciocche erano di un castano chiaro, le fattezze delicate, il suo sorriso timido, i modi impacciati in loro presenza.
“Lo spaventiamo …” – disse mesto, ma Marcus non era del suo medesimo avviso.
“Anch’io sono di Roma … Roma, ricordi? Tu vieni da lì, ne siamo certi.” – e gli sorrise amichevole.
Il bimbo si rannicchiò vicino al caminetto, abbandonando il desco imbandito al meglio da Esca, per sedare un appetito famelico: “Chissà da quando lotta per procurarsi di che sopravvivere Marcus.”
“Forse mesi … Lasciamolo in pace.”
Esca posò i suoi zaffiri sul petto di Marcus, che gli prese un polso, con delicata fermezza – “Potrà restare finchè vorrà, anche per sempre.” – affermò, senza mai distogliere lo sguardo da quello dell’altro, che finalmente sentì sciogliere il nodo, che gli attanagliava la gola.


A metà della notte, Esca si svegliò di soprassalto.
Quel misterioso fanciullo era seduto sul bordo del loro giaciglio.
“Massimo …” – disse flebile.
“Ti … ti chiami …” – “Massimo.”
Marcus si destò a fatica, spalancando poi gli occhi su quella rivelazione.
“Quanti anni hai?” – domandò Esca.
“Cinque … quasi sei. Ho sete …” – e finalmente abbozzò un sorriso.
Marcus prese dell’acqua, porgendogliela ed accarezzandogli i capelli – “Dove sono i tuoi Massimo?”
Lui si rattristò nuovamente – “Loro hanno detto che mi hanno venduto.”
“Chi loro?”
“Loro hanno detto che sono stato salvato … tanta strada, cattivi … Massimo scappa.”
Esca lo avvolse in una coperta – “Sta tremando … non ricordare adesso, non importa …” – gli disse pacato, proteggendolo anche dall’aria circostante.
Marcus lo prese in braccio, mentre Esca portava la brandina improvvisata per Massimo, accanto al loro pagliericcio.
“Dovrai abituarti a dormire da solo, ma per stanotte veglieremo su di te.”
Massimo annuì, raggomitolandosi ulteriormente e tendendo la minuscola mano a quella di Esca, che la volle custodire sino all’alba.

I giorni volavano veloci.
Massimo si irrobustì, imparò a pescare, ubbidendo ai burberi rimproveri di Marcus ed imitando ogni gesto di Esca.
Il suo linguaggio divenne più sciolto, ascoltando i discorsi della coppia, ma il trauma in cui appariva ingabbiata la sua memoria, non sembrava dissiparsi.

“Cresce bene …” – disse una sera Marcus, notando che la veste di Massimo si stava accorciando.
“Hai ragione, ne procurerò un’altra.” – replicò Esca, richiamandolo a tavola.
“Non lasciare la frutta, ti sazierà.” – disse, sistemandolo al suo fianco.
Marcus ravvivò il fuoco.
“Ho qualcosa per te Massimo … ecco, sono per te, potrai giocarci quando ti annoierai con me.”
Aveva intagliato un soldato, un cane ed un bimbo.
Massimo arrise a quel dono inaspettato, ma dopo essere corso alla gerla posta accanto al camino, riportò il pezzetto di un ramo, passandolo ad Esca – “Tu dove sei?” –
“Sono qui …” – ed indicò il centro di quel legno.
“Anch’io ero qui Esca?”
“Tu sei qui.” – ed indicò il proprio cuore.
Massimo inclinò il capo riccioluto, guardando poi Marcus, che si avvicinò, stringendoli sul petto, celando a malapena la commozione, che lo stava ristorando meglio del focolare.


Il calpestio dei cavalli si stava avvicinando.
Esca si erse, stropicciandosi le palpebre: il giorno prima si erano recati al borgo, c’era stata una fiera ed un mercato, dove acquistarono nuovi arnesi, permettendo a Massimo di divertirsi con altri bimbi.
Barattarono anche diverse dozzine di uova con due tuniche per Massimo: il mercante disse loro di provarle al bambino, ma lui non volle saperne di seguire Marcus sino all’angolo dove si trovavano i tessuti e le stoffe, tanto che Esca li acquistò ugualmente, non potendo trattenersi oltre.
Quando lui ed il compagno si ritrovarono nell’ingresso due centurioni, al cui seguito c’erano tre carri chiusi, non militari, dove viaggiavano parecchie persone, rimasero interdetti.
Esca vide scendere dal capo fila un signore di mezza età, riconoscendolo subito: “Quello è il tizio delle vesti per Massimo …” – sussurrò a Marcus, che provò a chiedere spiegazioni, a coloro i quali un eternità prima furono suoi subalterni.
“Quest’uomo afferma che voi avete suo figlio.” – disse il più grosso.
“Cosa va farneticando?!” – esclamò Esca, affrontandolo.
“Ieri vi ho visti, ma eravate troppo lontani, altrimenti vi avrei fermati! Lavinia esci! E’ mia moglie, ah eccola!”
A quel vociare convulso, tra le proteste di Esca e la perplessità di Marcus, Massimo corse a vedere cosa stesse accadendo.
Appena vide la donna ebbe un sussulto.
“Mamma …? Mamma!!”
Lei si inginocchiò, accogliendolo con baci e lacrime.
Esca era sbigottito.
Massimo era palesemente corrucciato nei confronti del padre, ma quando gli venne data la spiegazione dovuta, divenne meno intrattabile.
“E’ stato rapito, da alcuni parenti di mia moglie. Dopo la morte di uno zio, scoppiò una contesa per l’eredità, destinata in gran parte a noi, quindi l’unico mezzo per ricattarci era portarci via il primogenito. Lavinia quasi impazzì, quando le venne riferito che Massimo era riuscito a fuggire …”
“Lui non rammenta gli eventi, che lo hanno portato sino a qui. Era in condizioni pietose, terrorizzato …” – disse Marcus, provando come se un groviglio di rovi gli stesse lacerando lo stomaco.
“Voi ne avete avuto cura, io e Lavinia vi ricompenseremo …”
“Non vogliamo nulla da voi!” – tuonò Esca, puntando poi le iridi disperate su Massimo, che si aggrappò a lui, ma solo per salutarlo.
“Non piangere Massimo, non cancellare i miei insegnamenti …”
“Veloce come un’aquila, fiero come un leone e …” - disse con voce esitante – “Ssshh … ora non … non importa Massimo, il tuo pianto è il segno di forza migliore, che tu potrai opporre all’aridità altrui … Adesso vai.”
Marcus lo riprese a sé, cullandolo per pochi istanti, poi Massimo fece un piccolo salto, precipitandosi all’interno, per recuperare qualcosa di importante.
I due soldati, il bambino ed il cane: li mostrò ai genitori, che si inchinarono a quelli che paragonarono a dei tutori speciali, prima di andarsene.
Esca era come pietrificato e rimase immobile, finchè quella carovana non scomparve all’orizzonte.


Esisteva un posto, vicino al torrente, dove Esca andava ad isolarsi quando discuteva con Marcus.
Tornava sempre con qualche preda, cacciare gli faceva tornare il buon umore.
Quella sera non si era mosso dal sasso sul quale si sedeva a rimuginare.
Bruciava alloro e mirto selvatico, pronunciando formule oscure per Marcus, che lo aveva raggiunto.
“Rientriamo Esca.” - disse amareggiato.
“Non hai mosso un dito per impedirglielo. Non hai fatto nulla.” – quel suo ragionare stava assumendo un volume crescente – “Hai permesso a quei maledetti romani di portarcelo via!!”
Era un urlo, ormai, atroce e senza scampo, come il suo sguardo, puntato su Marcus.
“Esca … quei maledetti romani lo hanno messo al mondo e lo hanno amato prima di noi.” – lo disse colmo di amorevole comprensione.
“Così noi non ne eravamo degni??! Di avere un figlio?!! O soltanto io?? Un miserabile schiavo!?”
Marcus indietreggiò, Esca non si mosse.
“Quando abbiamo coltivato questo sogno, eravamo ambiziosi Esca … A dire il vero, eravamo molto di più. Anzi, NON eravamo più ciò che gli altri credevano: un romano ed un britanno. Ci eravamo spinti fino ad un confine inesplorato, impervio, ostile eppure non ci saremmo mai arresi: il nostro amore aveva vinto su tutto, precedendoci ad ogni passo. Noi ci siamo meritati ogni singola cosa, rendendoci degni dell’affetto di Massimo, del suo rispetto: non ci dimenticherà mai, sappilo, le nostre esistenze si sono arricchite ed illuminate, per merito delle sue risa, del suo saluto all’imbrunire, della sua curiosità ad apprendere … Esca, dobbiamo soltanto accettare il nostro destino e non rimanerne sopraffatti. Credimi.”
Annullarono la distanza, stringendosi dal principio ancora sospesi in quel limbo di angoscia, per poi soffocarsi, per quanto fosse intenso il loro intreccio di corpi.
Si amarono selvaggiamente, strappandosi le vesti, divorando le rispettive afflizioni, per poi cercarsi ancora, con sconvolgente tenerezza, incapaci di rinnegare le emozioni, che da primordiali mutarono in qualcosa di totalizzante, che arrivava ad una tale profondità dentro di loro, da atterrirli.

Il viso madido di Marcus scivolava e risaliva lento su quello si Esca, dopo un secondo orgasmo: il contatto era completo, ma quelle iridi bruciate dalla rabbia per quella perdita, continuavano ad evitarsi.
“Marcus …”
“Sono qui …”
“Spesso ripenso al bambino della tribù degli uomini foca … se solo gli avessi permesso di seguirci, forse non sarebbe morto: è una colpa che macchierà la mia anima per l’eternità …”
“Ti sbagli … anche in quel frangente hai agito per il suo bene, stare con noi lo avrebbe condannato.”
Lo stava scrutando, nella speranza di convincerlo.
Esca gli sfiorò gli zigomi, con i pollici, segnando l’arcata sopraccigliare di Marcus, che gli sorrise – “Tu … sei … bellissimo …”
Si baciarono, togliendosi il respiro: a loro non serviva, sarebbero esistiti comunque.
Sino alla fine.


THE END

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