domenica 29 maggio 2011

GOLD - Capitolo n.176

Capitolo n. 176 – gold



Jared vagò per più di un’ora, per trovare il coraggio e le parole giuste, da riferire a Kevin, per dirgli della partenza di Glam.
Decise poi che non toccava a lui, che l’avrebbe fatto in un secondo momento, magari dopo averne parlato con Colin.
Voleva solo ritrovare l’abbraccio del suo compagno, subito, ne sentiva un bisogno viscerale, quindi si diresse velocemente alla End House.
Entrando nel salone, vide i bambini sul tappeto, davanti al grande schermo piatto, intenti a ridere per un nuovo cartone Disney.
Lula era con loro.
Farrell stava scendendo dalle scale, con un sorriso magnifico – “Tesoro bentornato, come va il mal di testa?” – e lo cinse per la vita, baciandolo.
“Co… cosa?”
“Sei ancora pallido Jay… Vieni di sopra.”
“Sì, non è ancora passato…Ok…”

“Ti preparo un bagno caldo, spogliati e bevi qualcosa.”
“Cole ho visto Lula di sotto…”
“Sì, lo ha portato Kevin, dicendo che doveva raggiungere Glam non sapeva neppure lui dove, era con una limousine…” – sorrise – “Di sicuro una sorpresa.” – aggiunse, sciogliendo dei sali molto profumati.
Jared rimase interdetto, poi il suo cervello si riempì di immagini, Glam che convocava Kevin per lasciarlo oppure per confessare il tradimento con Xavier oppure… Oppure cosa?
Provò solo sollievo nel non dovere affrontare lui l’argomento con l’amico musicista.
“Ok, pronto. Jared dove sei stato prima?”
“A fare un giro per raccogliere le idee sul nuovo cd…I miei conoscenti nel settore sono abbastanza interessati…”
In fondo non era una bugia, dall’auto qualche telefonata l’aveva fatta sul serio al suo manager ed ad Emma, per organizzare un incontro.
“Ti farà bene tornare sul palco, se lo desideri veramente.”
“Adesso… io desidero solo stare con te Colin.” – replicò fissandolo.
“Non chiedo di meglio… sù vieni.”
“Grazie Cole…grazie…”
Farrell rimase inginocchiato ai bordi della vasca, per lavargli la schiena, senza mai smettere di baciargli le spalle, le tempie, la bocca, dove Jared lo attirò più a lungo.
“Ti amo Colin…”
“Anch’io tesoro…”
“Nostra figlia?”
“Dorme… oggi è stata brava dal medico, le ha fatto un prelievo e…” – “Quale prelievo?” – chiese ansioso.
“Per lo screening delle vaccinazioni, sai che funziona così, poche goccioline, non è ancora un vampiro il dottor Grey!” – e rise.
“Sì… me lo ero scordato… Vorrei stendermi ora…”
“Perfetto, prendo gli asciugamani.”

Era un paradiso perdersi sul suo petto, mentre i fianchi di Colin si scontravano con i suoi: Jared era in estasi, appagato, completo.
“Jar…Jared…amore eccomi…!”
Erano convulsioni cariche di piacere, una libido spasmodica e poi dolce e poi di nuovo veemente e calda.
Il baby control li fece sobbalzare.
Farrell ridacchiò – “Cambio gomme e rifornimento carburante…”
“Ma cosa dici ahahahh?”
“Isy chiama… ok vado…”
“No, portala qui con noi, per favore Cole…”
“Certo, arrivo subito.”
La misero tra loro, giocando con le sue manine ed i piedini, ritrovandosi così innamorati di quel fagottino, da potere impazzire da un momento all’altro.
Jared si commosse al punto di piangere, mentre Colin prendeva pannolini e salviette.
Il biberon era a temperatura, un ding li avvisò – “Pappa sulla rampa di lancio… ci pensi tu Jay?”
“Certo… eccoci qui…Avevi appetito cucciolina…”
Erano meravigliosi: le iridi scure di Colin divennero come carboni, accesi di amore ed ammirazione.
Le dita di Isotta stringevano l’indice di Farrell, che ricopriva di baci sia lei che Jared.
Risero poi come pazzi ai suoi ruttini, un passaggio pieno di insidie, lo definì l’irlandese.
Era un’operazione che si ripeteva ogni tre o quattro ore, ma lo faceva sempre entusiasmare per i suoni e gli sguardi della loro piccola principessa.
“Adesso a nanna…”
“Colin porta qui la culla.”
“Ok… ma poi farai fatica a dormire…”
“Non mi importa…vi adoro…con tutto il cuore.”

Geffen era entrato in un autolavaggio, dopo pochi isolati oltre il quartiere del cottage.
Si sentiva soffocare e non scese neppure dall’auto, mentre i rulli e l’acqua pulivano la carrozzeria e le gomme.
Pensò che poteva anche venirgli un infarto per la tensione, oppure che potesse cercare qualcosa per tagliarsi i polsi, no, meglio la gola.
In fondo non era più utile a nessuno, se non per arrecare sofferenze.
L’ultima immagine, riportatagli dallo specchietto retrovisore interno, era stata quella di Jared, che si spegneva sotto la veranda di quella casa, in cui aveva sporcato anche l’animo di quell’altro ragazzino.
“Xavier…Ventitre anni…” – continuava a ripeterselo mentalmente.
Più che maggiorenne, certo, ma non era quello il punto.
Il pianto che lo aiutò a non scoppiare finalmente trovò un varco, oltre le sue palpebre gonfie e doloranti.
Come aveva potuto?
Jared con quella frase lo aveva trafitto, con una di quelle bombe, che esplodono dopo pochi secondi.
I brandelli di Glam era sparsi ovunque, in quell’abitacolo e lui tentava di ricomporli, per ritrovare un minimo di dignità.
Un tramonto splendido, investì il parabrezza alla fine di quel percorso.
Era una luce dorata ed intensa.
Geffen doveva solo decidere se correrle incontro o darle le spalle, per sempre.

L’autista di quella specie di transatlantico su ruote, consegnò a Kevin un badge, dopo averlo fatto scendere all’entrata principale di un resort estremamente lussuoso.
Il bassista lo conosceva, la sua ex casa discografica prenotava sempre lì le suite per lui e Chris, ma non c’era mai andato, preferendo il proprio alloggio.
Salì ad una di queste, all’ultimo piano.
Oltre la soglia, vide un living immerso in un’atmosfera soffusa, tra luci di candele, il caminetto acceso, una musica jazz a basso volume.
“Glam…” – lo vide spuntare dalla camera da letto, in accappatoio e due flute di champagne.
“Perdonami se non ti ho aspettato, ma avevo bisogno di una doccia tesoro…” – gli andò incontro, baciandolo prima di passargli uno dei due bicchieri.
Geffen aveva sempre detto tutto a Kevin, ogni minimo dettaglio, anche dei propri errori.
Quella volta ricacciò quell’onestà, spesso crudele, in fondo a sé stesso.
Era ovvio che poteva emergere in qualunque momento, ma l’avrebbe affrontato solo in quell’evenienza.
Ora sentiva l’esigenza di dirgli altre cose.

“Dov’è Chris…?”
“A Las Vegas… a ritirare un premio.”
“Perché non sei con lui?”
“Ero di troppo…”
Tomo sospirò, voltandosi su di un fianco, per accoccolarsi meglio sul petto di Shan.
Erano sulla terrazza della loro casa o meglio della casa del croato, dove Chris si era trasferito.
Il pomeriggio era volato, tra una passeggiata in spiaggia, dove un vento fresco scompigliava i capelli di entrambi, mescolando le loro mani ad un certo punto.
Nascosti dalle travi dell’impalcatura di una torretta di controllo, si erano baciati, slacciandosi reciprocamente i giubbotti, per sentire i loro corpi ed i battiti, che li animavano in quel contatto, che non potevano rimandare oltre.
Adesso erano su di un lettino matrimoniale, sotto un cielo stellato, ma cupo.
Le braccia di Shan erano forti e rassicuranti, così come i suoi occhi, posati dolcemente su quelli di Tomo, che cercò di nuovo le sue labbra.
Tremarono.
“Mi… mi chiederò sempre il motivo di questi eterni ritorni… tra noi Tomo…”
Lui prese un libretto, lasciato sul tavolino lì accanto.
“Ho… ho trovato questo, l’avevamo preso a Parigi… Ti volevo leggere un sonetto, è Shakespeare…
Perciò l'amor mio scusi la colpa d'esser lento
del mio pigro animale quando m'allontano:
perché dovrei affrettarmi dal luogo ove tu sei?
Non serve cavalcar veloce fino al mio ritorno.
Che scusa troverà la mia povera bestia allora
quando il rapido suo andar mi sembrerà indolenza?
Darei forte di sprone se cavalcassi il vento,
sarei sempre fermo anche se fossi alato:
nessun destriero uguaglia il passo del mio ardore.
Perciò questo desio fatto d'amor purissimo
e privo della carne, galopperà annitrendo;
ma per amor l'amore indulgerà col mio ronzino:
se allontanandosi da te andò volutamente adagio,
tornando a te io correrò e lascerò lui al passo. §

Shannon sorrise – “E’… appropriato…” – e riprese quel bacio, che non durava mai abbastanza.



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