sabato 7 maggio 2011

ONE SHOT - SENZA VOLTO

One shot – Senza volto




Pov > Jude Law.


Devo dirtelo.
Ora chi mi stai baciando la nuca, dopo un mese che sei riuscito a smettere di bere Ewan, temo non sia il momento migliore, ma…
Io devo dirtelo.
Cosa?
Semplicemente che mi sono innamorato di un altro.
È proprio stato cosí: semplice.
Ci siamo guardati per due settimane, spiati ad essere sinceri, al solito bar dove tu mi portavi, ma da cui poi sei stato bandito, dopo l’ultima rissa.
Eri fradicio di brandy e quel coglione del tuo amico ed ex collega di lavoro, Colin, bevuto e fumato di crac, ti ha convinto che era meglio rompere la faccia al gestore, che vi aveva additato come due “sporchi froci”.
Mi avevi spiegato, che, date le circostanze, le menti annebbiate da alcol e droga, vi eravate, non sapevi come, appartati nel cesso: avvinghiati come due vermi, vi stavate baciando e toccando, prima di essere sorpresi dal vecchio Oliver.
Ex pugile, un pezzo d’uomo alto quasi due metri, vi ci siete appesi come scimmie, nel vano tentativo di “fargliela pagare per quegli insulti!”
Mi era rimasta impressa la frase “date le circostanze”.
Ecco vedi Ewan, dato le circostanze, sí insomma, questo tipo che macchia il caffè con due sole gocce di latte e mangia sempre una tortina di mele, ogni santo mattino…
E tu scopi con uno che si mangia tortine di mele, Jude?
Me lo chiedo e riparto con il ragionamento.
Ci provo, se mai riuscissi a distrarmi dalle tue dita che stringono i miei capezzoli.
Siamo nudi a fianco del letto: stiamo in piedi, quando potremmo essere cosí comodi.
Mi cingi da dietro con un braccio, mentre l’altro, adesso, scende, per premere sotto all’ombelico.
“Non… non hai voglia Jude?” – mormori soffocato dalla tua stessa erezione, che reclama un passo avanti.
Lo stesso che ho fatto io, ad un certo punto, anticipando la cameriera del Cristal Ring e portando personalmente la colazione a lui: mi si seccava tutto, quando lo vedevo e lui abbozzava un sorriso salutando gli astanti, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
“Mi… mi chiamo Jude e volevo conoscerti.” – dico sedendomi.
Ripercorro le scene come fossero un sogno: sono calde, sfumate di ambra e sale, un sapore caldo, la tua voce che mi sfiora con un – “Grazie… tu non mangi nulla Jude?”
Ho lo stomaco chiuso, gli zigomi avvampati, crollo sulla sedia, perché tu potevi anche mandarmi al diavolo od apostrofarmi come aveva fatto Oliver con quei due stronzi, ma non potevi, non dovevi essere cosí.
“Ah, scusa, sono Robert…” – ed allunghi la mano.
Te la stringo.
Morbida, rassicurante e decisa, come il tuo sguardo.
È inchiostro puro.
Hai un profumo che mi intossica i sensi, pervade ogni minima razionalitá.
Una parte di me vorrebbe dirti – “Robert, bel nome… vuoi scoparmi, Robert?”
È lecito pensare che io sia impazzito.
Invece iniziamo a parlare del tuo lavoro, del mio, di cosa facciamo fuori dall’ufficio, la musica che ascoltiamo, i film.
Saranno trascorsi venti minuti ed a me manca solo il tuo numero di scarpe… e di telefono.
“Accidenti sono in ritardo Jude! Il tempo è volato… ok, ti lascio il mio cellulare, che ne dici di uscire a cena?”
Svengo.
Ho trentotto anni e mi sembra di essere precipitato a sedici.
Cosa mi stai facendo Robert?

La tua auto ha splendidi ribaltabili, lo scopro dopo una deliziosa serata al Majestic.
Posto di classe, cibo originale, la tua parlantina è sciolta ed io mi chiedo come è possibile avere fatto tanti progressi in cosí poco tempo.
Probabilmente condividevamo gli stessi desideri, di un primo approccio, di capire quanto potessimo stare bene insieme.
“Sei sposato Rob? Posso… posso chiamarti Rob?”
“Certo.”
“Certo… sei sposato o certo posso…?”
“Rob è perfetto. Una moglie sí, ce l’avevo ed ho un figlio, piú alto di me, anche se ci vuole poco…” – ridi.
Splendido, a me vengono solo in mente aggettivi cosí, per parlare di Robert.
I suoi quarantacinque anni sono impeccabili.
Vorrei scoprire tutte le sue doti, tra una portata e l’altra, ma ora l’aroma di interni nuovi della sua berlina, mi assale, come le sue mani, che frugano ovunque.
Cerco di focalizzare il passaggio in cui da seduti, ci siamo ritrovati sdraiati, cosí come ora, dalla posizione eretta, sto sprofondando tra le lenzuola del nostro appartamento, mio e di Ewan, che si è spinto dentro di me senza neppure prepararmi.
Cazzo, fa male!!
Rob invece, lui no, lui nonostante il disagio e l’inaspettata circostanza (ma la era davvero?), mi ha lubrificato al meglio, inginocchiandosi, dopo che ci eravamo spogliati senza mai smettere di baciarci, sul tappetino davanti al mio sedile, aprendomi le gambe ed assaggiando avido la mia fessura.
I suoi palmi caldi erano saldi ai miei glutei, sia nel sollevarli alla sua bocca, sia nel massaggiarli.
Ewan, le falangi gelide, era spietato nel colpirmi.
“Fai… fai ppiano…” – balbetto in lacrime, le unghie mi fanno male, per tanto che si piantano nel materasso, ma Ewan non ascolta.
Ora te lo urlo che mi vedo con un altro, fottuto scozzese, te lo grido in faccia che con lui, con Robert, faccio l’amore al mattino prima di andare in studio e nella pausa pranzo ed a sere alternate, quelle in cui tu sparisci, per la terapia di gruppo e per tutte quelle stronzate, che hanno invaso la nostra vita da quando tu… alcolizzato di merda!!!
Tu hai rovinato tutto, Ewan…


Pov Ewan Mcgregor.

Jared mi osserva, accoccolato tra i cuscini.
Un motel vale un altro, ormai li abbiamo girati tutti, in queste quattro settimane, dopo esserci incontrati al centro di riabilitazione.
“Bevo… da quando ho tredici anni…”
“E adesso quanti ne hai?” – gli avevo chiesto, ventisei, la risposta.
“Io ne ho quaranta Jared, ma ho iniziato a trentasette.”
Sará stata colpa anche di Colin, il mio buddy, un compagno di sbornie pazzesco.
Ridevo della sua bisessualitá, soprattutto quando ci provava con me – “Vattene dalle tue puttane, irlandese ahahah…” – biascicavo, magari atterrato in un vicolo, tra i rifiuti, con lui che vomitava.
“Cazzo Ewan… abbiamo la riunione con i sindacalisti del porto domani… tirati sú!”
Una ripulita veloce, nel suo loft al centro di Londra e poi un pompino, a vicenda, da bravi bambini.
Dovevo concederglielo, era un ragazzo dolce, in fondo.
Dieci anni meno di me, ma il suo viso segnato da molti dolori: un padre che lo detestava, una fidanzata trovata nel letto del suo ex capo, che stranamente gli aveva appena proposto una promozione con i fiocchi.
Colin piombó nella mia ditta e nella mia vita, cosí.
Per non finire in prigione era tornato a Dublino ed adesso ci sentivamo solo al telefono e sempre piú di rado.
Peccato.
“Qualcosa non va Ewan?” – chiedi stiracchiandoti.
“No, figurati…”
“Perché ti rivesti?”
“Ho freddo Jared.”
“Vieni qui allora e…” – “No, è tardi e… Scusa, sono una testa di cazzo…” – e me la stropiccio, sedendomi sull’unica poltroncina della stanza, in una morsa fastidiosa.
“Jude forse mi tradisce.” – ribatto secco.
Scoppi a ridere.
E fai bene, Jared, perché sono patetico ed assurdo.
Scopiamo insieme ogni volta che usciamo dalla clinica, dalla prima sera, quando come uno sciroccato ti ho detto “Senti, puoi anche prendermi a pugni, ma me lo fai venire duro ogni volta che mi guardi Jared.”
Mi hai accarezzato la fronte, invece, posandovi un bacio, nell’oscuritá del parcheggio ormai deserto.
Non devo innamorarmi di te: sei troppo bello, troppo egocentrico, troppo vanitoso, troppo intelligente, troppo tutto Jared.
Quel tuo gesto mi confonde, potrei cadere in qualunque follia, se solo me lo chiedessi…
Provo a rendere gretto l’intento di base, sbattendoti il mio uccello dentro, fino alla gola, divaricandoti le cosce magre, ma muscolose, allo spasimo, in questa camera 226… Solo tre spinte, forse quattro…
E poi?... Poi piango silenziosamente nell’incavo della tua spalla e ti amo… ti amo come mai è successo, sentendoti pulsare in ogni singolo punto, che riesco a toccare, con il mio sesso che dilaga piano, dolcemente, come il tuo essere, che mi avvolge e mi porta via.
Cerco di raggiungere il tuo membro umido, ma stai giá venendo, tremi e sei una visione, perché mi sento importante, “Mi… mi fai stare bene Ewan…”
Parli l’essenziale, quando stiamo insieme.
I tuoi sguardi blu cobalto riempiono i vuoti, tra noi.

Invece i silenzi di Jude, i suoi sorrisi, che si accendono nel ricordare qualcosa o meglio qualcuno, che non sono io, quando crede che io sia distratto, tutto riesce ad uccidere una storia, che tutti invidiavano.
Aspetto solo il momento in cui mi vomiterá addosso qualsiasi recriminazione, perché lo so, la causa di questo disastro sono stato io, attaccato ad una bottiglia per puro vizio.
Avevo qualche buona ragione per ridurmi in quello stato?
All’apparenza no.
Colin, almeno, era incazzato con la vita e con chi lo aveva preso per il culo – “Quella era solo una troia…” – singhiozzava, dopo la quinta tequila…o era gin?

Pov Jude.

Robert ha una bella casa.
Mi ci ha subito portato, anche la sera della cena al Majestic.
Abbiamo rifatto l’amore, dopo un lungo bagno ed un idromassaggio.
Mi resi conto che era pieno di soldi – “Ereditá di famiglia… Mi posso concedere il lusso di fare il lavoro che amo, anche se male retribuito.”
Si muoveva nell’ambito teatrale, adattamenti di opere drammatiche o brillanti, a seconda della compagnia o del regista.
Un mondo di artisti raffinati e per nulla snob.
Me li fece conoscere pochi giorni dopo, rendendomi orgoglioso ed importante.
La mia occupazione di architetto stonava, anche perché mi occupavo di ponti e gallerie, ma Robert riusciva a leggerne qualcosa di artistico, quando gliene parlavo.
“Di cosa si occupa il tuo uomo?”
Me lo chiese, dopo essersi acceso una sigaretta – “Ne vuoi una Jude?”
“Se fumo dalla tua, va bene lo stesso?”
Mi teneva sul petto, cullando il pianto, che aveva trovato una via di sfogo, nel dovergli confessare ció che restava del mio rapporto con Ewan.
“Va benissimo…Tieni.” – e me la passó, baciandomi tra i capelli.
Sapevo che avrebbe ascoltato con pazienza, ma a me restava in testa, come un chiodo fissato al muro, quale fosse la sua intenzione.
Ricevetti una risposta esaustiva, senza neppure porre il quesito.
“Lo lascerai. Ti voglio qui con me. Senza correre, prenditi il tempo necessario Judsie.” – sorridi.
Mi galvanizza quel nomignolo, solo Robert poteva rendere irresistibile un vezzeggiativo tanto affettuoso.
Mi elettrizza la sua volontá.
Ripiombo su di lui, lo riprendo dentro, voglio cavalcarlo come un pazzo ed urlargli che gli appartengo.
Sono di nuovo felice, dopo cosí tanto tempo…

Pov Ewan Mcgregor.

Sono cattivo ed è cosí che ti vengo dentro, Jude.
Mi accascio sulla tua schiena, ansimando come un mantice, senza piú energie.
Ti liberi di me, spostandomi con fastidio.
Penso di non ispirarti altro, da trentasei mesi almeno.
È stato facile contarli, come è stato facile perderti, Jude.
La strada che percorriamo è ancora la stessa, ma siamo sui bordi opposti, come su questo letto.
Esiste un gelo, invisibile, ma palpabile, un silenzio totale, ma assordante.
Qualcosa ce lo abbiamo ancora da condividere, tu ed io, Jude, anche se due estranei sarebbero meno indifferenti.
Ti rivesti, vuoi davvero andartene.
Dici qualcosa, ma non ti ascolto, non ti voglio ascoltare.
È la tua veritá, te la tieni stretta da troppo tempo Jude, ora la misura è colma.
Tentenno soltanto un – “Scusa per prima Jude… sono stato un animale.”
Ti volti con uno scatto armonico, sembra una piroetta, ma rigida e composta.
La tua natura inglese trabocca da ogni gesto, dall’abbottonarti la camicia, a come ti allacci le scarpe.
Le noto: sono nuove e non te le ho mai viste.
Ti accorgi di questa mia vacua perplessitá.
“Me le ha regalate lui, anche queste.”
“Lui chi?”
“Ma tu proprio non mi stai a sentire Ewan!” – sbotti furioso.
Mi siedo meglio, coprendomi con la trapunta: mi sto vergognando di te, di noi.
“È il nostro problema, a quanto pare Jude. Si è interrotta la comunicazione, ci siamo allontanati… ti ho fatto incazzare e tu…”
“Guarda che apprezzo i tuoi progressi, la consapevolezza di quanto fosse deleterio bere ed entrare in quel gruppo di recupero è stata…”
“Un’ottima idea Jude. Ho conosciuto un ragazzo, si chiama Jared e scopiamo… scopiamo da…”
Ti appoggi alla parete.
Stavi per infilare il maglione, ma ti blocchi.
“Lo ami?”
“Co… cosa?”
“Lo ami, EWAN?!”
Vorrei bere, fino ad ammazzarmi, piuttosto che risponderti, scoprendo anch’io la MIA veritá.
Mi alzo, prendo i boxer, ma tu me li strappi e li getti, afferri le mie spalle, scuotendomi come un fantoccio: “Te lo chiedo per l’ultima volta, lo AMI SÍ O NO?!!?”
È davvero cosí determinante saperlo, Jude?
Io non lo voglio sapere, mi spaventerebbe, non sono all’altezza di Jared, del suo universo fatto di musica, moda, stilisti, perché sono abituato agli scaricatori di casse piene di pesce o frutta, inferociti per dei contratti capestro, zeppi di clausole che non li tutelano ed io assorbo le loro lamentele, provo a risolverle, certo volevo fare il penalista, ma le aule di tribunale erano polverose ed ostili alla mia indole.
Le buone maniere, la deontologia professionale, l’ipocrisia di quei simulacri vetusti… Io ero fatto per le liti, le risse verbali, accese, sanguigne.
Mi manca Colin, mi manca da morire, vorrei essere con lui in quel vicolo, vorrei vederlo vomitare o scoparsi una cubista nel cesso di Oliver… per poi rientrare a tentoni, crollando sul suo parquet, in quel tugurio disordinato, che lui chiamava “il mio rifugio”, che alla fine sapeva di buono, con l’aroma di caffè italiano, perfetto per il dopo sbornia.
A pensarci bene, una volta lo abbiamo anche fatto… l’amore… mi era piaciuto, cazzo lui mi…
“Jude sono stato… anche con Colin…”
“Lo so questo…Lo immaginavo e non… non me ne frega un cazzo di quel tossico…”
“A me in compenso frega… e parecchio.”
“Allora vai da lui oppure da quell’altra puttana!!”
Scivolo sul pavimento e ti trascino, perché sei ancorato a me, non mi hai mai lasciato.
Stai singhiozzando.
Ti stringo, sul petto, che hai squarciato, con quel nome – “Robert…” – e quella tua certezza – “Lo amo da morire e lui mi adora e mi fa sentire speciale… come riuscivi a fare tu, Ewan, in un ieri che non vuole piú tornare… che TU, non vuoi piú fare tornare indietro…”
“Ti amo Jude…”
Ci baciamo, forse perché ho il terrore di lasciarti parlare.
Bugia.
Accade perché ne abbiamo bisogno, come di risalire su questo materasso comprato all’ikea, dove ti prego di farmi l’amore: non servono parole.

“Sai… era come se tu fossi diventato un uomo senza volto… giravi qui, per casa ed io… non sapevo piú chi fossi… Dovevo riempire quel buio, con la luce di un altro, che mi restituisse un minimo di pace, Ewan…”
Siamo intrecciati, come gli eventi di una trama complicata, ma solo dalle nostre scelte.
“Ci siamo puniti abbastanza Jude…”
Ti guardo, piccolo mio.
Ti amo piú di prima.
Sí, piú di prima.


THE END





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