martedì 17 maggio 2011

One shot - Sweety J. W.

One shot – Sweety J. W.




§ Brontolare é la sua specialitá.
Eppure l’intelligenza con cui risolve casi intricati come un cartiglio antico, è insuperabile ed indescrivibile. §
John Watson, aggrottó la fronte.
Era indeciso su quel finale, ma lo riteneva all’altezza della veritá.
“Come andiamo con la mia biografia Watson?!”
Era impaziente di leggerla, un qualcosa a cui aggrapparsi, in mancanza di casi.
La domanda di Holmes arrivó alla nuca di Watson, preceduta da un bacio.
“Buongiorno Sherlock…”
“´ngiorno… allora quest’opera prima?”
“Ed ultima…” – sbuffó.
“Una è piú che sufficiente!” – rimbrottó, massaggiandogli le spalle, sopra alla camicia ed il panciotto elegante.
“Sono al capitolo piú complicato… la sua… vita privata.” – e nel dirlo socchiuse le palpebre, come se tutti i loro ricordi lo avessero investito in un unico affondo, come quando possedeva il suo amante, migliore amico, collega, coinquilino, l’unico ed il solo Sherlock Holmes.
“Interessante…” – gli sussurró all’orecchio, insinuandosi con le dita tra i bottoni, slacciandoli.
“Lo so che è interessante…”
“Parli del sesso o dell’amore, quello vero?”
“Ne esiste uno falso Sherlock?”
“Forse… ad esempio per certe istitutrici…”
Watson si alzó di scatto – “Touchez!” – sibiló, riposizionando i bottoni nelle asole.
“Mi perdoni, John…?”
“No, devo andare. A praticare del falso amore, se ti interessa!”
Afferró la giacca ed il pastrano, lasciando Holmes con i propri inutili pensieri di rammarico.

Le notti erano sempre piú lunghe.
Sherlock si interrogava sulle dimensioni del satellite lunare, immaginando che fosse di formaggio o di qualche misteriosa materia sconosciuta.
Di certo era abitata da strani omuncoli, senza cuore e tutto cervello.
“Ecco quello è il mio posto!” – bofonchió, rendendosi conto che aveva dimenticato il laccio emostatico intorno al braccio sinistro.
Doveva smetterla con la morfina e doveva farlo subito.
Watson si era consumato la voce a forza di ripeterglielo, ma era l’unica sostanza ad alleviargli il dolore per averlo perso.
John ne era consapevole, ma non riusciva a staccarsi dalle gonne di Mary, l’educatrice rigorosa e dolce, che aveva cura di lui ed ambiva a sposarlo al piú presto.
“Non hai gradito la cena, mio caro?” – domandó con quell’aria timorosa e composta, che da un lato affascinava Watson, mentre dall’altro lo irritava, come in quell’occasione.
“È ottima, ma non ho molto appetito.”
“Ti senti poco bene John?”
“Credo si tratti di quel virus, che sta infestando Londra, dalle scuole alle carceri…”
“Pensi te l’abbia trasmessa io? Il mio allievo è malato da una settimana…” – replicó perplessa.
“Forse Mary… Ascolta, ho lasciato diversi preparati nel mio vecchio studio, preferisco fare un’iniezione subito ed evitare il peggio… Torno presto.”
“D’accordo…” – replicó mestamente.

La passeggiata lungo il Tamigi era l’unico momento di pace, che Watson riusciva a concedersi, sfuggendo sia ad Holmes che a Mary.
Loro si detestavano reciprocamente con il sorriso sulle labbra, ma non poteva trattarsi del primo episodio di una fidanzata che male sopportava il migliore amico del proprio uomo.
Piú singolare il contrario, ma la ragione era palese.
I sentimenti che li univano erano troppo profondi, cosí profondi da spaventarlo a morte.
I suoi occhi si riempirono di lacrime, sotto alla finestra accesa di Holmes.
Vedeva lampeggiare le fiammelle delle candele e poi l’ombra di qualcuno muoversi lenta, dal centro della stanza, sino verso il davanzale.
I loro occhi si incontrarono, a metá di quella breve distanza tra loro, mescolandosi come in un vortice.
“Mi manchi…” – sussurró, ritrovando le stesse parole sulle labbra di Holmes.

Voleva solo appartenergli.
Holmes glielo aveva detto sin dal primo istante, in cui varcarono quel limite senza ritorno.
“Voglio averti, senza imprigionarti John… L’unico senso che hanno i miei giorni rimani tu e questo amore, che mi sta consumando, piú di ogni droga.”
Era un canale stretto, sempre piú caldo, tumido e lascivo, quello in cui il sesso di Watson stava vivendo, morendo, resuscitando, in un amplesso fatto dei loro baci, di quelle lingue che si cercavano affannose.
“Jo…John…”
“Ssstt…non… non dire niente…”
“Scusami…”
“Giá fatto…” – ed arrise al suo sguardo velato di amarezza.
La fitta che gli salí dal cuore, lo esortó a colmare quel vuoto che leggeva nel pianto dell’altro – “Ti amo Sherlock…ti amo tanto…”
Sentí un turbinio, scombussolargli il ventre, stava per venire.
Si sollevó di poco, aiutando Holmes, con la propria mano, a godere insieme a lui.
Avvenne convulsamente, dopo alcuni minuti, di singulti e gemiti.
Era devastante quell’orgasmo, lacerava le loro membra, per poi straziarli nell’attimo in cui si salutavano.

Mary preparó un tè, tagliando a parte alcune fette della sua crostata di mele.
Watson l’adorava.
Scrutava gli arabeschi del tappeto persiano, da poco acquistato dai futuri suoceri.
La madre di lei sciorinava una lista di invitati lunga quanto il Mississippi – “Le vostre nozze saranno un giorno indimenticabile!” – decretó, annoiando anche il consorte, che stava fumando la pipa, comodamente seduto in poltrona davanti al caminetto.
“E lei dottore, quante persone prevede di invitare?”
“Per… persone?” – domandó, come destato da un sogno.
“Sí… parenti, amici…”
John provó a riflettere, poi si ritrovó in piedi ad invocare clemenza per essersi dimenticato un impegno inderogabile.
Corse cosí velocemente verso Backer Street da sentire il fiato spezzarsi nel petto, salendo come una furia le scale e spalancando la porta di Holmes.
Lo spettacolo che gli si paró davanti era spiacevole.
L’investigatore piú famoso di Inghilterra era riverso tra le lenzuola logorate, anche dai loro rapporti impetuosi, una siringa sporca di sangue poco distante dal suo polso sinistro.
“Holmesss!!!” – urló il medico, disperato.
Cercó di rianimarlo per dieci minuti, poi, quando stava per arrendersi a quel pallore gelido, un singulto salí dalla gola di Holmes, poi un tossire insistente, che sembró riportarlo alla luciditá.
“John…”
“Amore… mio Dio mi hai… accidenti a te!!” – esclamó, stritolandolo, per poi inondarlo di baci.
“Sei… sei tutto ció che ho… sei la mia famiglia Sherlock… come hai potuto…?
Holmes sorrise, riprendendo colore.
“Come ti senti…?”
“Meglio dottore…quell’odioso malessere, con cui mi ha contagiato, è stato prontamente debellato con quel suo strano vaccino…” – disse mettendosi a sedere, aggiustandosi la casacca sgualcita.
“Vac… vaccino… CONTAGIO?!!”
“Sicuramente un dolce regalo della sua ehm… promessa mogliettina!” – ironizzó sarcastico, scompigliando i capelli all’altro.
“Ed io che… ho creduto, ho pensato fosse un’overdose…” – disse smarrito.
“Quella sará la prossima fase se…”
“Se…?!”
“John resta qui con me e lo scopriremo insieme, ma solo se lo desideri veramente…” – sommessamente sgranó gli occhi, liquidi ed impregnati di quell’amore unico, che li univa.
“Certo che lo voglio…l’ho sempre voluto Sherlock…ascolta…”
“Ssssttt non devi dirmi altro...” – e gli bació le tempie.
Watson gli prese il volto tra le dita gelide e lo accolse nella sua bocca, con un trasporto emozionante.

§ Nella sua mente geniale, LUI avrebbe trovato mille termini, per definire la gioia ed il dolore che provava nel vederlo allontanarsi dal loro talamo proibito, pure conscio che non lo avrebbe abbandonato mai.
Holmes aveva poche certezze nella propria esistenza; una di queste, restó, fino al suo ultimo respiro, la presenza dell’adorato John Watson, che lo ricambiava con tutto sé stesso, fino all’inverosimile, del proprio cuore e della propria ragione. §


THE END


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