Capitolo n. 153 – gold
Robert giunse alla End House puntuale per cenare con Colin e Jude o almeno cosí credeva.
“Dov’è il mio cucciolo?” – chiese guardandosi intorno, mentre Farrell gli serviva un aperitivo.
“Dorme…era distrutto, oggi è stato un disastro sul set Rob.”
“Come mai?”
“Aveva la testa altrove…” – disse l’irlandese, con aria mesta.
“Mi dispiace, Jude rende bene anche quando è sotto pressione…” – replicó Downey, riflettendo su quella situazione, che doveva assolutamente cambiare.
“Posso… posso permettermi di parlarti fuori dai denti, Rob?”
“Ovvio, anche se so cosa vuoi dirmi.”
“Bene, se lo sai, sono certo che troverai una soluzione. Ti ho difeso a spada tratta con Jude, per sedare le sue ansie, ma non credo sia servito a molto. Sei tu che devi dimostrargli devozione e rassicurarlo.”
Downey sbuffó – “Ho appena parlato con Chris e ti anticipo che quel ragazzo non rappresenta una minaccia per la nostra relazione, ma al tempo stesso non ho alcuna intenzione di chiudere la nostra amicizia, non se lo merita.”
“Non voglio farti prediche Robert.”
“Lo so. A Chris manca un padre, manca l’affetto e la presenza di un adulto su cui potere contare, non certo di un cinquantenne da portarsi a letto, per dimostrare che lui è meglio di Jude, perché quel ragazzo non è cosí, te lo assicuro Colin.” – disse deciso.
“L’ho detto anch’io a Jude, anche se il mio punto di vista era incentrato solo sulla tua integritá e su tutto l’amore che provi per lui…”
“Ti ringrazio, ma ora devo andare dal mio tesoro biondo…” – sorrise, dirigendosi verso le scale, per salire dal suo Judsie.
Law non stava affatto dormendo.
Da una decina di minuti bisbigliava al telefono, via bluetooth con Jared.
“Cosa stai facendo?”
“Pelo patate…avete giá mangiato voi?”
“Io mi sono ritirato nella camera arancione…Credo che Rob sia di sotto con Colin…”
“Adesso verrá da te e ti coprirá di coccole…” – disse sorridendo ed a Jude sembró di vederlo.
“E a te come vanno le cose?”
“Un vero schifo, ho litigato con Glam.”
“Non accetta la tua… scelta?”
“Si è arrabbiato, del resto per come ho seminato ora raccolgo…” – sospiró depresso.
“Io vi ho visti insieme Jared…anche se non dovrei dirlo per rispetto a Colin, ma eravate…bellissimi.”
“E cosa dovrei fare? Convivere con entrambi?” – e tiró sú dal naso, asciugandosi una lacrima con l’avambraccio sinistro.
“No… certo che no Jay… a volte, peró, occorre rinunciare a qualcosa di grande, per vivere comunque felici.”
Una delegazione russa aveva raggiunto il centro Geffen, pronta ad elargire cospicui contributi, per realizzare l’ala pediatrica dell’ospedale in costruzione.
Glam li stava accompagnando nella visita, indossando camicia e pantaloni neri, elegante, ma informale.
Avrebbero consumato un pasto veloce, per constatare quanto fosse efficiente tutta l’organizzazione.
Jared li scorse dalla cucina, ma non si mosse dalla sua postazione, continuando nella suo lavoro senza pensieri, come lo definiva quando ne parlava con i figli.
Geffen notó un lieve pallore in Jared, mentre questi stava a testa bassa, concentrato sull’ennesimo tubero.
Se ne andó subito, sentendosi sulla schiena lo sguardo dell’altro.
Il dottor Sebastian infiló la farfalla della flebo, nel braccio di Jared.
“Ma perché diavolo non mangi?”
“Me ne sono dimenticato…”
“Ok ora stai fermo, facciamo presto… La tua pressione si è stabilizzata. In questi giorni vi trovo tutti stressati, Glam ce l’ha alta, tu bassa. Vi siete messi d’accordo?” – chiese ridendo.
“No… non credo…” – ribatté Jared rilassandosi.
“Ti preparo uno spuntino, vediamo cosa abbiamo…”
“Non mi va giú niente.”
“Lo supponevo…” – disse tornando a sedersi.
Il medico aveva lasciato inavvertitamente la porta socchiusa.
Geffen stava vedendo ed ascoltando tutto, con apprensione.
“Se vuoi parlarne Jared, ti ascolto.”
“Di… di cosa?”
“Di Glam.”
“Scusa doc, ma con te non mi riesce proprio…”
“Perché non sono gay?”
“No… ma cosa centra?”
“Dimmelo tu. In fondo l’amore ha lo stesso colore per chiunque.”
Jared si incuriosí – “E quale sarebbe…?”
“Per me è il blu.”
“Per me Sebastian è giallo.”
“In veritá credo sia una gradazione indefinibile…”
Aggiunse, mentre gli rimuoveva l’ago – “Finito. Fatto male?”
“No doc… io… io lo ameró per sempre.”
Jared lo disse all’improvviso, sentendosi avvampare.
“Cristo che caldo…”
“È solo la reazione per la sostanza vitaminica, che ti ho somministrato, bevi un po’ di acqua…”
“Grazie Sebastian...”
“Cosa ti impedisce di restare con lui?”
“Le nostre stesse vite… Una volta Glam mi ha detto che dobbiamo sacrificarci per le famiglie, che abbiamo creato…capisci…? In fondo non abbiamo il coraggio di fare lo stesso con loro, per… per noi due.”
“I sensi di colpa vi annienterebbero?”
Jared ridacchió istericamente – “E allora chi ci salverá dai rimpianti?”
La cartellina che Geffen aveva sul petto era piegata, sotto alla morsa del suo nervosismo.
Si allontanó, soffocato da un nodo alla gola opprimente, dirigendosi verso la palestra.
Aveva solo voglia di scaricare la tensione dando dei pugni al sacco, senza i guantoni, per coprirsi di lividi e vedere in quegli ematomi il colore di quel periodo, un nero violaceo assoluto.
Gettó i vestiti in un angolo, coprendosi poi solo con un paio di bermuda, abbandonati nel suo armadietto.
Inizió a sferrare un misto di diretti e ganci micidiali, tanto violenti da spaventarlo.
Non riusciva a fermarsi.
Jared salutó Sebastian, inciampando quasi in Lula, che stava cercando il padre.
“Ciao ziii sono di corsaaa!” – esclamó ridendo.
“Ma… dove stai andando?” – gli gridó Jared, senza avere risposta.
“Andrá a giocare a basket...” – disse Sebastian.
“Ok lo seguo, non vorrei che combinasse qualche guaio.”
Il bambino osservó per un lungo istante Glam, che sembrava una furia.
Si avvicinó timidamente.
“Papá…?”
Lui si bloccó.
“Soldino di cacio…” – disse ansimando.
“Cosa fai?”
“Mi… mi alleno…”
“Ah…fa male?”
Geffen crolló sul tappeto, incrociando le gambe e prendendolo in grembo, come se fosse un cucciolo – “Vieni qui Lula…”
“Ahh coccole!”
“Sí… si certo… ti amo piú della mia stessa vita, sai?”
Lo stava cullando, sfiorandogli i capelli corvini – “Lo so… ma perché stai piangendo?”
“Sono… sono solo un po’ di triste…”
“È per papá Kevin? Ti manca?”
“Tanto…”
“Ma ci sono qui io! A me manca Violet uffi… secondo te la rivedró?”
“Lo spero…ma non adesso, mi dispiace Lula…”
“Tanto ho la foto, me l’ha data zio Colin!”
“Ne… ne sono felice…”
Jared sentiva lo stomaco tremare, ma non rinunció a prendere una lattina ed un asciugamano.
Si avvicinó a loro, inginocchiandosi con timore, mentre Glam lo fissava – “Ho… ho pensato che avessi bisogno di questa…” – e gli passó la bibita fresca, tamponandogli il sudore, mentre con l’altra mano, nascosta dalla salvietta, gli asciugava le lacrime, accarezzandogli il volto.
“Zio Jared ho fame!”
“Ora papá ti porta a mangiare… vero Glam?”
Lui non disse niente.
Il bimbo saltó giú da quel comodo giaciglio esclamando – “Pizza! Sísísí! A casa tua zio!! Daiii!!”
Jared esitó, ma Geffen decise, senza mai smettere di scrutarlo – “Ok Lula… Ci vediamo da te tra un’ora Jay?”
“D’accordo… vi aspetto.”
La loro serata fu ravvivata dalle battute di Lula, che fantasticava su Violet, divertendoli.
“Ok, faccio i piatti, voi guardate un film…”
“No Jared, togliamo il disturbo, sono a pezzi.”
“Solo un cartone papá!”
“Solo uno…accidenti cos’è questo fracasso?”
Due pattuglie della polizia stavano inseguendo un furgone.
Geffen sbuffó – “Ricominciano i casini in cittá… ci sono dei nuovi spacciatori…”
“Restate qui… vi lascio il letto, io dormo sul divano…” – intervenne Jared preoccupato, anche per sé stesso.
Lula inizió a saltellare per la proposta e Geffen si arrese, anche perché stava morendo di sonno.
Si coricó subito, senza aspettare il figlio, che si uní a lui dopo tre episodi dei puffi.
“Adesso fila sotto le coperte, se no chi lo sente papá?”
“Grazie zio…ti voglio bene…”
“Anch’io cucciolo… anch’io.”
Nel cuore della notte Geffen si alzó per andare in bagno.
Troppa birra, pensó.
Si sentiva riposato. Fece una breve doccia, avvolgendosi nel suo accappatoio.
Notó le proprie cose nell’armadietto, fissandosi poi nello specchio.
Pensó che avrebbe dovuto portarle via.
Spense le luci, facendo scomparire quel riflesso, che gli trasmetteva solo malinconia e ricordi sereni.
Tornó a tentoni in salotto, cercando di non svegliare Jared, accartocciato nudo in un lenzuolo consumato dai suoi calci notturni.
“Glam…”
“Scusami…dovevo proprio andarci…”
“Non importa…posso dirti una cosa?” – gli sussurró, allungando una mano.
Geffen si accovacció, intrecciando le sue dita a quelle di Jared, che sorrise, senza riuscire a proseguire.
Glam ricambió quel sorriso – “Dimmi…”
Jared era come cristallizzato, le sue iridi rimandavano un bagliore di zaffiro intenso, come quel silenzio.
“Perdonami…” – finalmente gli uscí quello che a Glam sembró un suono supplichevole, affranto.
Jared si sollevó, affondando nel suo collo solido.
“Perdonami…” – mormoró, bagnando quella parola con una lacrima caldissima.
Geffen scivoló verso la sua bocca, baciandolo.
Jared gli arrise, schiudendo le palpebre e scoprendo la sua gioia.
Il suo corpo aderí a quello di Glam, come se una calamita li stesse attirando reciprocamente.
Lo sentí salire in lui, come un’onda vorticosa ed inarrestabile.
Le loro lingue parlavano un linguaggio mai scritto, accavallandosi tra le gole ed i denti, urtando contro il palato dell’altro, che premeva e si allontanava, per poi tornare ad incidere il proprio nome, come un segno indelebile.
Energicamente Glam giró Jared sopra di sé, senza separarsi.
Il busto del cantante dei Mars era madido e splendente nel chiarore lunare, che filtrava dalle finestre rimaste aperte.
Il suo bacino danzava, portandosi dentro tutte le emozioni, che avevano condiviso dal loro primo momento.
Glam lo toccava, per raggiungere simbioticamente un orgasmo, che non era mai stato tanto desiderato come in quel preciso istante.
Se anche fosse stata la fine del loro universo parallelo, nulla li avrebbe indotti a rinunciarvi.
Mai.
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