martedì 17 maggio 2011

GOLD - Capitolo n. 161

Capitolo n. 161 – gold



Fu un’autentica doccia fredda.
Tutto era accaduto troppo in fretta.
“Josh e Lula… fratelli…” – mormoró Kevin, sprofondato in una delle tante poltrone del salone di villa Meliti, mentre Geffen era al telefono con l’archivista dell’orfanotrofio di Haiti.
Tutti gli altri stavano in silenzio, aspettando qualche spiegazione, anche se gli esami avevano dato un riscontro certo e definitivo.
Tomo rimase in ospedale con il figlio e Chris, che non lo aveva lasciato mai.
Glam scosse la testa – “Ok… Va bene signor Sayer, ho capito, la ringrazio.”
Sbuffó.
“Pare che abbiano portato i neonati in tempi diversi e che la madre sia sparita dopo il parto. Li ha affidati ad amici, che si sono persi lungo la strada verso l’istituto a quanto pare…” – disse perplesso.
“Oh quante storie! L’importante è che i miei nipotini stiano bene!” – sentenzió Meliti, offrendo champagne a sigari a tutti.
“Festeggiamo e pensiamo al futuro!” – aggiunse, facendo l’occhiolino a Jared, che era come smarrito in quella grande casa, che un giorno sarebbe stata sua e di Kevin, che era molto emozionato per la situazione.
“Dobbiamo dirglielo… daddy cosa ne pensi?”
“Tesoro hai ragione, ma… So a cosa stai pensando.”
“Infatti Glam… Non dico sotto lo stesso tetto, ma almeno nella stessa cittá…” – sorrise.
Colin si avvicinó al bassista dei Red Close, con fare sereno gli diede una carezza alla nuca – “Credo che Kevin abbia ragione… Per loro, si possono fare scelte anche… inaspettate.” - e fissó sorridendo Lula, impegnato a giocare a pallone nel giardino oltre le vetrate e la veranda della residenza di Antonio.
Shannon scrolló le spalle – “Io non divideró mai due fratelli…” – e scrutó intensamente Jared, che si allontanò, accendendosi una sigaretta.
Colin non si mosse, lanciando un’occhiata a Glam.
Antonio si avvicinò a Shan, sussurrandogli qualcosa e se ne andò anche lui.

La biblioteca Meliti era immensa e raccoglieva dei tomi antichi e preziosi, anche più dei dipinti.
Quando la porta si aprì piano, Owen ebbe un sussulto.
“Ciao Shan… ero a Berlino e Jessica mi ha avvisato solo ieri sera… Sono tornato prima possibile, come sta Josh?”
Le sue dita tremavano, sullo schienale della seggiola, con la quale sembrava sostenersi.
Shan azzerò la distanza tra loro, stringendolo forte, in lacrime.
“Ho… ho avuto una paura fottuta di perdere mio figlio… grazie per essere tornato… Grazie Owen.” – e lo baciò con foga.
Rice lo avvolse con estrema dolcezza, condividendo quel pianto liberatorio.
Quando Shan gli disse della clamorosa scoperta, Owen rimase senza parole – “Fratelli?… Ma… è una cosa… bellissima. O no?” – rise nervosamente.
“E’ bello avere una persona del tuo stesso sangue su cui contare… Detta così è macabra?”
“No… è solo la verità Shan… così come il fatto che io ti amo, ti amo da morire Shannon Christopher Leto.”

Jared spense la cicca in un enorme posacene in cristallo di Boemia, rimanendo affacciato al balcone di un salottino, che poi era destinato ai fumatori in visita.
“C’è da perdersi in questo labirinto…”
La voce di Geffen gli arrivò dritta al cuore.
Si sentì trafitto da quel suo tono caldo e rassicurante, ma avrebbe solo voluto scappare.
“Tornerai a Los Angeles per Lula e Josh? Sul serio?” – chiese senza voltarsi.
Glam respirò a fondo, strizzando le palpebre – “Forse, se Kevin vorrà…”
“Ma lui lo vuole. Fallo e basta.” – disse deciso, puntandolo ora, quasi impietosamente.
“Lui vorrebbe annullare questo periodo, anzi, penso che nella sua testa non esista già più… Rivuole la nostra famiglia.”
“Kevin è come Colin, per certi versi e la cosa è talmente… buffa… Non so se rallegrarmene o…”
“Piangere? Come adesso Jared?” – disse preoccupato, avanzando di un passo.
“Non mi resta che questo, per certe cose… senza importanza, per te. Devo andare.” – e gli passò a fianco veloce, per uscire.
“Jared per quel che conta…”
“Taci! Io… io non ti credo più. Addio Glam.”

Antonio decise di fare servire la cena direttamente nelle camere degli invitati, con la scusa che la giornata e gli eventi lo avevano provato.
Era una vecchia volpe: non era il caso di riunire tante anime inquiete intorno alla sua tavola imbandita: le linguine con i frutti di mare gli sarebbero andate di traverso.
Colin tolse i mitili dai gusci e poi passò il piatto a Jared – “Grazie amore… io odio questa operazione…”
“Figurati Jay, ma ero tentato di mangiarteli tutti…” – replicò sgranando quei due quarzi vividi ed innamorati.
“Sei bellissimo Cole…”
Farrell arrossì.
“No… tu sei bellissimo…” – mormorò, con una timidezza mista ad adorazione, disarmanti.
Anche in quell’istante Jared si chiese come avesse potuto fargli tanto male e come lo stesso Colin si fosse trasformato nel suo carnefice, per una notte.
“Ti voglio… Colin io… ti prego…” – e lo afferrò per i polsi, trascinandolo sul letto, spogliandolo con inaspettata veemenza.
Jared tutto sembrava quella sera, fuorché disponibile a fare del puro e sano sesso.
Colin ne fu stupito ed entusiasta.
“Prendimi… Cole vienimi dentro…”
Afferrandolo per le cosce lo scaraventò contro il muro, penetrandolo dopo averlo lubrificato con la crema del dolce in bella vista sul vassoio in argento massiccio.
I gemiti di Jared crescevano con le spinte di Colin, che lo stava divorando di morsi e baci.
La fessura tra lo stipite ed il battente era sottile, ma sufficiente a rendere visibile la scena a chi fosse transitato nel corridoio.
Geffen era sceso a prendere una bibita per Lula e non riuscì a trattenersi.
Sapeva cosa stava succedendo a pochi metri da lui, conosceva bene i respiri di Jared quando veniva amato con intensità e vigore.
Colin era esperto e con una prestanza fisica almeno pari alla sua, se non maggiore, visti i quindici anni che li separavano.
Gli zaffiri di Jared apparivano e sparivano, ad ogni battito di ciglia, la sua bocca era aperta oscenamente, ma non c’era nulla di volgare in lui.
Era spettacolare, erano magnifici.
Colin lo portò sul materasso, stava per venire e non esitò a dirglielo – “Jay… mioddioo… eccomi… eccomi piccolo… Sei così bagnato… così…”
Leto non disse nulla, aggrappandosi al suo collo, custodendo il viso di Colin come a sentirlo di più; piegò la faccia da un lato, poi all’indietro, sbarrando le iridi, senza vedere niente, a parte il soffitto, in una visione dilatata ed estatica.
Aveva raggiunto anche lui l’orgasmo, inondando il ventre di Colin, che sembrava aderire meglio al suo.
Ci misero alcuni minuti a calmarsi, tornando ad una respirazione regolare.
Glam sentì lo stomaco bruciare, poi le proprie pupille, come se una vampata di fuoco lo avesse investito, senza preavviso.
Si era sottoposto ad una tortura inutile.

Jude e Robert avevano fatto davvero tardi al pub, per una bevuta con due vecchi amici, in transito a Londra, per firmare alcuni contratti.
Francamente erano solo conoscenti per Law, mentre con Downey c’era un affiatamento totale.
“Ehi Judsie, ti sei ustionato stirando le camicie di Rob?!” – domandò il più maturo.
“No, volevo tagliarmi le vene per lui, ma ho sbagliato mira.” – ribattè acido.
Robert gli diede un lieve calcio negli stinchi e si beccò una morsa al ginocchio assai dolorosa.
“Ahuu!” – esclamò, per ricevere una gomitata.
“Strilla ancora una volta e ti strizzo le palle Junior!” – gli sibilò all’orecchio, per poi sorridere a denti stretti agli interlocutori divertiti dai loro battibecchi.
“Ok, abbiamo dato abbastanza spettacolo Robert! E’ tardi, dobbiamo andare. Con sommo dispiacere…” – sottolineò con un inchino ossequioso.

Mani in tasca, Jude avanti a lui di poche spanne, calato in un mortorio riflessivo e Robert fischiettante.
“Finiscila di prendermi per il culo, Rob!” – disse tirando su dal naso.
“Lo vorrei, ma non mi sembri dell’umore adatto…” – disse canzonandolo.
“Sei volgare Rob.” – sbottò.
“Sei patetico Judsie.” - e si bloccò sull’attenti, come un soldatino.
Law si girò d’impulso – “Sei uno stronzo!”
“E tu un coglione!”
Gli zigomi del biondo sembrarono percorsi da una scossa di corrente ad alto voltaggio – “Puttana!!”
Robert aggrottò le sopracciglia, squadrandolo di sbieco – “E cosa centra Judsie?”
Stava per scoppiare a ridere, ma una sberla da parte di Jude lo fece ricredere su quanto non fosse ironica la loro conversazione.
Iniziò a piovere copiosamente.
Law rimase interdetto dal suo stesso gesto – “Rob… perdonami … io…”
“Tu cosa?!” – sbraitò il moro, brandendogli poi il colletto della giacca, per sfilargliela a metà, bloccando ulteriori movimenti.
Lo trasportò di peso nel primo vicolo a destra, faccia al muro.
“Mio Dio Rob, sei impazzito?!!” – protestò impaurito dalle conseguenze, se fosse arrivato qualche poliziotto di ronda.
“Sì mi hai fatto uscire di senno, sei contento Judsie!!?” – gli ringhiò nella nuca, mordendola poi come un ossesso.
Armeggiò con i jeans di Jude, calandoli alle ginocchia, mentre con i propri fece meno fatica, non erano aderenti e sensuali come i suoi, anzi, scesero alle caviglie in un attimo.
Downey non indossava biancheria, così dovette provvedere solo con i boxer di Jude, che ansimava per il freddo e l’acqua – “Cristo Rob, mi entra dappertutto, sono fradicio!”
“Ora sentirai cosa ti entra dappertutto, bastardo!!” – e lo impalò selvaggiamente.
Era doloroso e scomodo, ma talmente eccitante, che Jude piagnucolava solo perché voleva essere toccato da Robert – “Ti farai una sega dopo, quando ti avrò lasciato qui, a frignare su tutte le stronzate che mi dici!!” – ed i colpi aumentarono – “Sono stufo delle tue scenate, STUFO MARCIO HAI CAPITO JUDE??!!”
Law fece segno di no con il capo gocciolante di sudore, pioggia, lacrime, mentre rivoli di sangue e sperma stavano correndo veloci lungo le sue gambe perfette.
Downey ruggiva nel venirgli dentro: usciva e rientrava a più riprese, finchè non riuscì a svuotarsi completamente.
Barcollò all’indietro, mentre Jude scivolava verso l’asfalto, singhiozzando.
“Tu… tu sai solo umiliarmi con sospetti insulsi, per poi fare capricci da adolescente…” – balbettò a tratti, sconvolto per quell’amplesso sporco e triste.
Lo sistemò come poteva, senza la collaborazione di Jude, che si lasciò portare in braccio sino alla soglia del loro alloggio, passando dal retro.
Erano praticamente arrivati e lui neppure se ne era accorto.
Potevano discutere sul divano, invece Downey aveva preferito sfogarsi in quel modo inconsueto.
Fecero una doccia silenziosa e poi si accoccolarono l’uno sull’altro fino all’alba, baciandosi e sfiorandosi con sconfinata tenerezza.


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