Capitolo n. 150 – gold
Glam guardava il tramonto su Los Angeles, sorseggiando una tequila, infilata nel trolley, prima di partire da Haiti.
Aveva infilato delle cose assurde in quello spazio ridotto, per affrontare il viaggio a New York, dove il suo Kevin aveva subito una violenza, di cui non sapeva ancora i dettagli.
I medici gli avevano sconsigliato gli alcolici, dopo le ferite subite anni prima, per mano di Lee Sugar Coleman.
All’improvviso inizió a pensare a lui, al fatto che ci aveva fatto l’amore e che, per un attimo, forse, lo aveva anche amato.
A modo suo.
Quando lo rinneghi per troppo tempo, l’amore si riprende tutto, anche in un unico respiro, uccidendoti oppure facendoti rinascere.
Lui viveva da quando Jared era entrato nella sua vita: uno dei suoi migliori assistiti, Colin Farrell, l’uomo che consumava le donne e poi le buttava, proprio come faceva Geffen da sempre, si era innamorato di un ragazzo, anzi, di un giovane uomo, con cinque anni piú di lui e dieci meno di Glam stesso.
Era incredibile.
Cosí come fu accorgersi che a lui stava accadendo la stessa cosa.
Si convinse che era Jared e solo lui, con quegli occhi, con quel modo di comportarsi, a volte spregiudicato ed altre dolci, con slanci di entusiasmo giocoso, torbido oppure innocente.
Invece, con Coleman e poi con Colin addirittura, Geffen capí che il corpo maschile era congeniale alle sue fantasie e ne era attratto.
Infine Kevin, il suo tutto, perché aveva solo meriti.
Inutile negarlo, Kevin non lo aveva mai deluso.
Lui non lo aveva mai tradito, ma quello Glam avrebbe anche potuto capirlo ed accettarlo, il fatto è che non sarebbe accaduto per il resto delle loro vite, se fossero rimasti insieme.
Glam aveva dei dubbi, anche se il compagno non si sarebbe mai arreso, neppure a Jared.
Kevin perdonava Glam a ripetizione, non per potere recriminare, per tormentarlo: lui lo amava anche piú di prima.
Chris stava facendo bolle di sapone, avvolto all’altezza dei fianchi da un asciugamano troppo ridotto, che stava tormentando la libido di Tomo, da almeno un quarto d’ora.
Erano sul terrazzo dell’appartamento del croato, pronti a cenare, anche se era l’ultima cosa a cui pensavano entrambi.
“Potresti venire qui…?” – gli chiese Tomo, allungando una mano, che Chris strinse, dopo essersi tolto quel pezzo di stoffa.
“Dio mio…” – sussurró ammirandolo.
“Lo sai che papi e Judsie stanno cosí tutto il tempo, in Grecia?” – disse ridendo, sistemandosi sulle gambe dell’altro.
“Papi?... Ah giá che chiami cosí Robert…”
“Ti dá fastidio amore?” – e fece il broncio.
“Se me lo chiedi in questo modo…Certo… NON mi dá fastidio!” – e rise complice.
“Chris sta attraversando una fase bimbominkia…ahhahaha”
“E a parte scopare come due matti, riuscite a scambiarvi anche qualche altro concetto di senso compiuto?”
Shannon gli versó del caffè, tornando poi sul letto insieme a Tomo, nell’alloggio di Kurt.
“Grazie… Dio se non dormo un quarto d’ora svengo Shan…”
“Fai pure, io qui ho preso le tavole che Owen voleva provare. Kurt non le usa piú, dopo l’incidente con Crane.”
“È ancora vivo?”
“Sí e lui va pure a trovarlo, di tanto in tanto.”
“Come ci riesca Kurt… è stato il suo aguzzino, ma in fondo sembra passato un secolo… Ricordo che iniziai ad apprezzarlo in ospedale, comprendendo quanto fosse in gamba. Ne ero geloso, tu gli volevi bene ed io non capivo il perché.” – sembró riflettere sul passato, con serenitá, la stessa che albergava nei gesti di Shan, ormai alla porta.
“Fate buon viaggio, qui chiudo io… Dí a nostro figlio che lo adoro.”
“Certo Tomo, ci sentiamo quando saremo in Messico, saluta Chris, ciao.” – e se ne andó, con un sorriso.
Le labbra di Jared erano gonfie, gli zigomi arrossati, il respiro affannoso.
Era presto per alzarsi, cosí decise di fare venire Colin con la bocca: impossibile rifiutare, pensó Farrell, che voleva fare tutto ció Jared gli chiedesse.
Ora era appagato, almeno quanto Colin, che lo accolse sul suo petto madido di sudore, che Jared inizió a leccare avidamente.
“Ti mangerei!” – rise felice.
Colin lo strinse da dietro, dopo averlo girato – “Da te mi lascerei fare anche questo… sai, pensavo al nostro discorso di New York amore…”
“Quale discorso Cole…?”
“Il… il bambino Jay… cosa ne pensi?”
“Quale bambino tesoro?”
“Il nostro prossimo bambino…” – e con il palmo sinistro gli sfioró gli addominali, sapeva che quel gesto faceva impazzire Jared, che strizzó le palpebre.
“Sí… Colin ascolta è prematuro… cioè lo desidero anch’io, ma non affrettiamo i tempi…”
“Lo adotteremmo ad Haiti, pensavo… io pensavo, vedendoti poi con Lula, che sarebbe un gesto carico di significati e gioia, per te e per noi.” – disse con un vago timore nella voce.
Jared si voltó a fissarlo, con dolcezza – “Tu sei un uomo generoso Cole, io ti amo anche per questo… Hai un modo di donarti alla vita degli altri incredibile…” – i suoi occhi su quelle parole si velarono di pianto.
“Piccolo non volevo spegnere il tuo sorriso…Ti prego Jay… Spero di non averti forzato, possiamo anche rinunciare.”
“Una… una nuova vita sarebbe la cosa piú bella, che potremo regalare al nostro amore Cole…”
“Lo… lo penso anch’io…” – replicó emozionato.
“Ne… ne parleremo di certo quando torneró a novembre, alla fine del mio periodo di volontariato… Ok Colin?”
“Ok… Questi due mesi voleranno e tu… Tu riesci sempre a rendermi felice ed orgoglioso di noi Jared…Grazie.”
Jude affondava in Robert, ansimando per lo sforzo e per il piacere, che sentiva crescere nel suo ventre, fino a fargli scoppiare il cuore.
Downey era ancorato a lui completamente, ma da quella prospettiva Jude gli toglieva il fiato, per quanto era arrapante.
Jude afferró il sesso di Robert, per portarlo ad un delirio di sensi definitivo, ma quando lo bació, provó una sconfinata tenerezza: uscí da lui, sfiorando il suo busto, risalendo sino alle guance di Downey, rigate da lacrime salate, che asciugó con le proprie, toccandolo in qualunque modo possibile.
“Ehi piccolo…”
“Sí Rob…”
“Tutto bene?”
“Certo… scusami, vado a prendere qualcosa da bere.” – e si alzó, senza guardarlo.
Robert lo raggiunse in cucina, mentre Jude stava armeggiando con delle lattine ed un succo di frutta.
Cingendolo per la vita, bació la sua nuca, provocandogli dei brividi, che lo fecero gemere, chinando la testa, che Robert raccolse in un bacio sensuale.
“Come mai non hai voluto godere, prima?...” – gli domandó con quel tono caldo, che sembrava il vento appena fuori le mura del loro covo, gherigli di fiori e sale nell’aria, che gli veniva a mancare ad ogni spinta, adesso, che Robert non gli stava risparmiando, dopo averlo piegato sul tavolo, dove lui cucinava per il suo Judsie.
“Sei… sei tu il mio mondo…Non ne conosco e non ne voglio conoscere altri Jude…Dio é… è bellissimo…!”
Fu troppo e colava, fu l’estremo e non faceva male, era Robert Downwy Junior, l’uomo di cui si era innamorato e che non l’avrebbe mai abbandonato.
Jude ne era sicuro.
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