mercoledì 26 gennaio 2011

One shot - RdJuDe

Robert Downey Junior.
Questo è il nome dell’uomo di cui sono succube, da almeno sei mesi.
Mi sveglio ogni mattina, solo per vederlo, per potergli stare vicino, giusto per cinque, miseri, minuti.
Lui decide ogni cosa, tra noi, dal primo momento.
Esattamente una spinta, contro ad un muro freddo, mezzi nudi, dopo un cambio di costumi, sudici di fuliggine e grasso per ingranaggi, stavo ridendo, canzonandolo per quanto puzzasse anche di cherosene – “Fai voto di castitá Rob! Non ti si avvicinerá piú nessuno per almeno un mese!”
In tutta risposta, lui mi prese il volto tra le mani e mi bació.
L’effetto sorpresa fu fondamentale, anche se poi non riuscii a convincermi che l’avrei respinto, se preparato alla cosa.
Avrei provato, era solo un bacio, perché no?
Perché quando cadi, non vedi il terreno avvicinarsi alla tua schiena, alle tue gambe, alle tue chiappe perfette, lo senti ad impatto avvenuto ed è la fine.
Di tutto.
Delle tue stupide certezze, dell’ipocrisia che ricacci in fondo alle scarpe, quando senti un vuoto allo stomaco, se un ragazzo carino ti guarda, se il suo profumo sale dalle narici ed arriva al tuo inguine, un formicolio, che stronzata credere di… credere di potere… di desiderare… di volere…
“Vienimi dentro…” – gemevo come una puttana in calore, non so definirmi altrimenti, ma lui si ritrasse, lasciando in un’agonia terribile ogni mio senso.
Ero vuoto, quando non mi faceva l’amore ed ancora peggio quando non mi voleva scopare.
Lo faceva apposta.
Mi torturava.
Ed io morivo… morivo cazzo!
“Jude vieni a cena con me. Poi ho preso una camera all’Astoria e…” – e frena, frena, cazzo!
Potrei anche non potere… non volere…
“Sí… andiamo…” – ecco, l’ebete, di mezza stagione, un autunno a Londra cosí piovoso, Jude Law ma come diavolo ti sei ridotto?!
Cosa mi importa?
Robert è qui con me… al tavolo di un famoso ristorante, tovaglie lunghe, tanto lunghe da coprire le nostre gambe, le sue mani, che frugano, cercando, scoprono, si intromettono e mi toccano… mi toccano… Dio smettila… basta, basta, BASTA!
Quale suite all’Astoria, mi stai sbattendo nei lussuosi cessi di maioliche arabescate di verde, ti sento fino in fondo, io amo il tuo cazzo, vorrei urlarlo, Jude sei osceno, Jude sei cambiato, Jude cosa ti sta succedendo?
Vorresti sentirlo dappertutto… prenderlo dappertutto… È umiliarsi questo?
A chi lo sto chiedendo?
Al signore che aspetta un taxi prima di me, sotto al temporale delle sei di sera, all’autista, alla commessa del negozio di fiori…? A chi?
Azalee bianche…compro una pianta per il compleanno di tua moglie.
All’Astoria ci hai portato lei, per noi non serviva piú.
Ti eri sfogato a sufficienza nel bagno di cui sopra e… ed io sotto…che coglione, vorrei anche fare il simpatico in questa cronaca del nulla… che sono io.
Tu sei tutto.
Tu sei Robert Downey Junior.
“Susan continua a rompermi il cazzo con questo figlio… ma si faccia l’inseminazione artificiale, mi dia una boccetta e facciamola finita…” – sghignazzi.
“Smettila di bere Rob…”
“E tu di rompere Jude… Vuoi che passi la boccetta anche a te? Cosí mescoliamo la nostra essenza e vediamo cosa ne esce…” – ridacchi ancora.
Ti mollo un ceffone.
Cazzo Jude… che coraggio…
“Cazzo Jude!!? Sei impazzito??!”
“Mi fai… schifo…”
Me ne sono andato, senza neppure cercare una scusa, affari tuoi, spiega tu alla tua compagna, che ti sopporta da anni, quanto sai essere, cinico, ipocrita, bastardo.

Piombi tra le quinte, arrivi sempre alla stessa ora.
Mi sto limonando da dieci minuti un ragazzo, a cui mancava solo di dire “Prendimi!” ogni volta che ci squadravamo alle cene della produzione.
È una comparsa, ma ha talento, un paio di battute il regista gliele ha concesse.
Lo bacio e ci guardiamo.
Lui è in estasi.
Io sono un tronco, sono un lampione, sono un armadio, sono una cosa, che poi alla fine non è niente, perché è questo che provo: niente.
Voglio solo farti male.
Vorrei solo farti male Robert.
Mi prendi per i capelli ed all’altro assesti un calcio negli stinchi, forse è un ruggito quello che ti esce dalla bocca, piú che altro una smorfia, di dolore e rabbia.
Il giovane scappa, con i suoi occhi da cerbiatto – “Peccato… me lo ero quasi fatto Rob… non potevi aspettare…?”
Le tue dita febbrili tra i capelli, le unghie, che mi feriscono, il tuo respiro, feroce e cattivo, ogni dettaglio mi è chiaro, quanto indifferente.
Le parole non ti escono, allora ci penso io, del resto sono un bravo attore, un ottimo intrattenitore, un decente acrobata – “Non riesci ancora a capire Rob? Sono diventato proprio come te… Non era questo che volevi, in fondo?... Hai un ego cosí grande, da avere plasmato un allievo come me, dovresti esserne fiero…”
Ti provoco, ma qualcuno ci interrompe.
La fortuna degli eventi, ci porta a non incontrarci sulla scena quel giorno.
Il signorino due battute e via, mi evita come la peste.

A Londra io ci abito.
Il mio appartamento è spazioso e bene arredato.
Faccio un bagno lungo e rilassante.
Ho vomitato per almeno dieci minuti.
Ora va meglio, da stanotte andrá meglio, dev’essere cosí, altrimenti mi ammazzo, giuro che lo faccio.
Suonano alla porta.
Poche persone sanno di potermi trovare.
Di quelle poche persone, due sono in Australia, una è in ospedale, un’altra è morta e poi…
Cazzo rimani solo tu, Robert Downey Junior.
Sbarbato, ben pettinato, vestito in modo… attraente.
Tu che quando ti cambi sembri avere litigato con le grucce, per strappare da esse quegli orrendi abbinamenti, che soltanto tu riesci a portare disinvolto ed accattivante.
Vorrei non aprirti, ma la radio è accesa.
Mi arrendo e poi sono troppo curioso.
“Ciao Jude, mi fai entrare, per favore?”
Tu che chiedi per favore, fa un certo effetto, forse meno di quello che ti sto facendo io, avvolto da una salvietta, intorno ai fianchi, potrei definirla… minimalista.
“Certo…bevi qualcosa?”
“Un brandy… grazie.”
Tu che dici grazie è come vedere gli asini volare, la neve rossa, insomma quella sequenza di assurditá, che si utilizzano per certi paragoni.
“Scusami per questa mattina Jude, scusami … per tutto…”
Tu che chiedi scusa… ok, avete capito.
“Dovevamo ridurci cosí Robert? Anzi, dovevi ridurmi cosí? Strisciare per averti non mi pesava, ma non poteva durare in eterno.” – lo dico, ti fisso, non ho paura di perderti, perché non ti ho mai avuto.
Sospiri.
Respiri.
Piangi.
Piangi?!?
“Rob…”
“Ti amo da morire Jude…”
“Non ti credo.” – di chi è la voce di questo stronzo che lo sta dicendo? Non posso essere davvero io.
“Co… cosa?” – balbetti, la tua lingua inciampa, sei sbigottito.
“Ti inventeresti qualsiasi cosa per scoparmi.”
Stavolta il ceffone me lo dai tu, cazzo, me ne dai almeno tre, quattro, ti lascio fare, non sono masochista, ma semplicemente consapevole che non stavi mentendo.
“Mi ami davvero?”
Abbiamo rovesciato un po’ di cose, atterrando tra il divano ed il tavolino in ciliegio, sul tappeto, regalo di Ewan Mcgregor, con cui avevamo provato… tentato…che disastro, inutile rivangare.
Ci stiamo baciando… Dio, sei dolce Robert, quando vuoi… ed io… io vorrei sempre fosse cosí tra noi.
Te lo dico, lo respiro con te questo sogno, condivido con te, Robert, per la prima volta, qualcosa…
“Ti amo anch’io Rob… da morire…”
Cadiamo nella fine estrema, la nostra aspirazione piú alta, l’unica che ha realmente importanza per ognuno di noi…
È un paradosso, amare da morire…
Eppure io vivo, amandoti, ancora oggi, dopo tre anni, ricambiato, cercato, voluto, da te, mia unica, piccola vita.
Robert Downey Junior.



THE END



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