Capitolo n. 41 – gold
Owen Rice possedeva una villa a Los Feliz, tanto appartata quanto lussuosa.
Aveva lasciato a Shannon, il badge con i codici di entrata, per il cancello utilizzato da lui e sorvegliata solo dall’impianto di sicurezza interno.
Il personale impegnava almeno dieci persone, molto fidate, che non vedevano, non parlavano e non sentivano nulla, pena non solo la perdita del lavoro, ma anche una sanzione pesante.
Owen si versó un brandy, guardando dal monitor l’arrivo del suo bene piú prezioso.
La camera blindata custodiva dei Picasso e due Monet, oltre ad alcune sculture e dipinti contemporanei, di inestimabile valore.
Li avrebbe gettati nel fuoco, se solo Shan glielo avesse per assurdo chiesto.
Probabilmente gli avrebbe fatto meno male del discorso che avrebbe ascoltato dopo pochi minuti.
Lo stringeva, baciandolo con estrema dolcezza, accarezzandogli la schiena, sfilandogli il giubbotto, ma Shan riuscí a non perdere il controllo, come accadeva ogni volta che si incontravano.
Lo fissó, sfiorandogli gli zigomi – “Owen… dobbiamo parlare…”
“Dobbiamo?... Lo pensi davvero amore?”
“Sí… dai qualcosa da bere anche a me?”
“Certo tesoro, scusami, ma quando ti vedo non … non capisco letteralmente piú un tubo…” – sorrise, accattivante, diventando subito serio, quando Shan inizió a parlare.
“Owen io non posso andare avanti in questo modo e forse ho rimandato troppo questa conversazione e questa mia… decisione…”
“Quale decisione?”
“Di… di interrompere la… la nostra storia… non ci riesco, credevo di… di riuscire a mentire in eterno, ma accumulo bugie su bugie ed è insostenibile…Quando mio figlio e poi anche Tomo parlano della nostra famiglia, quando facciamo progetti, di qualsiasi tipo, io mi sento… mi sento soffocare dalla finzione… È tutto falsato, capisci?”
“Certo… so cosa vuole dire nascondere la veritá Shan. Del resto ti ho chiesto di scegliere, avrai il mio pieno appoggio, questa casa è anche tua, certo bisogna crederci in una relazione, possibilmente in due.” – replicó, come raggelato, anche se doveva aspettarselo quel momento, continuava a ripeterselo mentalmente.
“Si vede… si vede che io non ci credo abbastanza Owen…”
“Ne sei sicuro?”
Gli andó vicino, ad un centimetro dalle labbra, mentre le sue tremavano, gli occhi che non si erano mai staccati da quelli di Shan, il cui respiro aumentó lentamente, fino ad uno spasmo nella voce – “Sicuro…? Io non sono piú sicuro di niente! Non sono neppure piú me stesso Owen!”
“Probabilmente perché quello non era il VERO Shan!” – gli urló piano, per poi baciarlo con irruenza, ricominciando a togliere quei vestiti moderni ed inutili.
Jared si sveglió per primo.
Glam aveva un’espressione quasi sofferente.
Forse stava sognando qualcosa di sgradevole, un po’ com’era successo a lui.
Gli accarezzó la fronte, baciandogli poi le palpebre, le guance, il mento, finché non si riprese anche lui, ritrovando la bocca di Jared, accogliente e pronta a ricoprirlo di attenzioni.
“Buongiorno…”
“Ciao Glam… dormito male?”
“Sí… uno schifo… tranne che per chi mi era accanto, la persona meravigliosa che sto ammirando ora…” accennó un sorriso, ma il suo tono era come spezzato.
Gli zaffiri di Jared erano screziati di una malinconia, che Geffen aveva interpretato dal primo istante in cui Jared era tornato.
Lo tratteneva, tra le sue gambe, aggrappandosi al suo cuore – “Piccolo… hai mai pensato che… che io ogni volta che facciamo l’amore temo sempre sia l’ultima… ha ragione Colin, è atroce…”
“Non… non parlare di lui…” – sembró supplicarlo.
“Jared…”
“Ti prego Glam…”
Lo bació, scivolando completamente sotto Geffen, che lo sollevó, dopo essere entrato in lui, con una passione disperata.
E se l’amore avesse teso un filo, tra quel cielo purpureo e quello sopra a Los Angeles, avrebbe visto lacrime, sorrisi, sogni interrotti, ad un passo dal poterci credere, anche se impossibili.
Jude si mise seduto sul bordo del letto, dove Colin sembrava piú svenuto, che addormentato.
Gli toccó il naso, quasi dispettosamente, ma con un dubbio, dopo avere visto i sonniferi sul comodino.
“Ja… Jared…” – mormoró confuso.
“Sono Jude…ma se vuoi ti imito mr Leto!” – rise, canticchiando un pezzo dei 30 seconds to Mars.
Colin si strofinó gli occhi, dandogli una gomitata leggera – “Piantala...” – sorrise – “Dov’è Robert?”
“In piscina, a fare la papera aahhahaha Vieni anche tu?”
“Non so… dove ho messo il costume… ed anche la testa, potrei affogare in un metro d’acqua…”
“Peccato, è riscaldata, lo sai? Te lo ricordi che siamo alla End House?”
“Sí come no… I bambini?”
“A scuola, con Simon e miss Wong… Ma sono giá tornati, lui fa la guardia, lei cucina anatra all’arancia, glielo ho chiesto io, ti dispiace?”
“No Jude, hai fatto bene… Vi fermate qui qualche giorno?” – domandó speranzoso.
“Certo… usciamo stasera?”
“Veramente vorrei solo una cosa…”
“Lo so Colin… Ma come è andata con Jared?”
“Benissimo… ma non è servito. Gli ho poi dato una lettera, per Glam, ma forse è stato uno sbaglio… Ero cosí incazzato quando l’ho scritta…”
“Lo hai insultato?”
“No… No! Ho solo messo in chiaro alcune cose.” – ribatté, finalmente lucido.
“Non resta che aspettare, per me torna, prima di quanto tu possa credere…”
“Temo invece che sará una lunga agonia… forse con lieto fine… Voglio e devo crederci Jude…”
“Per qualsiasi cosa, sai dove e come trovarmi.” – sorrise complice, scompigliandogli i capelli, per poi tornare dal suo compagno, che stava sorseggiando una bibita, spaparanzato su di un enorme materasso gonfiabile e matrimoniale, sul quale salí anche Jude, andando ad abbracciarlo.
“Cucciolo… bentornato… dov’è il tuo orsetto di Dublino?”
“È mezzo stordito sotto alla doccia, almeno spero, l’ho lasciato ancora straiato e fatto di sonno, artificiale…”
“Si aiuta con quella robaccia, sia per dormire che per stare in piedi, vero?”
“Temo che le dosi prescritte da Brandon non siano sufficienti e lui… lui le adegua ai propri stati d’animo… Peccato che siano andati via anche loro, penso che anche Kurt sia una bella persona…”
“Kurt è un bravo ragazzo, quando aveva vent’anni era la marchetta piú pagata della California, ma come vedi nella vita si puó cambiare…”
“Rob non dirmi che…”
“Ehi! Mai pagato un uomo… neppure una donna per scopare!” – disse risentito, ma solo per finta, un secondo dopo lo stava massacrando di solletico, sotto allo sguardo mesto di Colin, che li vedeva attraverso le vetrate della propria stanza vuota, senza il suo Jared.
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