venerdì 28 gennaio 2011

GOLD - Capitoli n. 11+12+13+14+15

Capitolo n. 11 – gold



Le pillole erano tre.
Una rotonda, una ovale e l’altra?
Quadrata, ma cosí piccola, quasi invisibile.
Colin le osservava da dieci minuti, tutte in fila sulla scrivania della biblioteca.
La prima per dormire, la seconda per stare sveglio e la terza per gli attacchi di panico.
Gli era successo un paio di volte.
L’ultima mentre portava i bambini a scuola ed all’asilo.
Un incubo.
Fermo ad un semaforo, come una paralisi, il respiro corto, poi quel rimedio, una vecchia prescrizione di Brandon, con il quale aveva parlato per una mezz’ora, sempre via web cam, ma non era la stessa cosa di una vera seduta e di un caldo abbraccio.
Farrell sbuffó, doveva smetterla subito, ma si sentiva troppo sotto pressione, depresso ed euforico, insonne ed impaurito dalle responsabilitá.
Si rese conto che Jared si occupava fattivamente di moltissime cose in quella casa, ma, soprattutto, trovava il tempo davvero per tutti.
In tre anni, dal 2012 al 2014 anche Colin era presente in modo costante, andavano via almeno tre volte all’anno, per concedersi un’intimitá sempre al massimo del desiderabile, tornando in posti amati, scoprendone di nuovi, trascorrendo tutti i compleanni dei bambini e degli amici in totale armonia, per poi arrivare alle feste di Natale, che lasciavano sempre una gioia infinita in tutti.
Jared desiderava solo essere amato, anche solo la metá di quanto amasse lui chi gli stava intorno, ma Colin era il suo assoluto, il suo tutto, non si stancava mai di ripeterglielo e forse questo era stato quasi uno sbaglio, ma Jared trovava letteralmente stupido ed ipocrita nascondere i propri sentimenti, un’offesa all’intelligenza del compagno, che mai avrebbe dato per scontate le cose fra loro.
Invece, in quel 2015 da cancellare, il loro mondo perfetto crolló, un pezzo alla volta: le proposte di lavoro fioccavano per Colin, che inizió ad accettarne una dopo l’altra, in un crescendo di successi, che lo portarono alla candidatura degli Oscar.
Il sogno di ogni attore, inutile negarlo.
Jared selezionava i propri impegni, pochi concerti, ma di enorme successo, solo alcuni film, quasi tutti premiati, il che lo gratificava, ma mai senza allontanarsi troppo dalla End House.
In alcune occasioni era anche rientrato, rinunciando a ruoli di grande prestigio, il tutto prima di quell’anno burrascoso.
Quando capí che Colin voleva vivere il suo momento, lo assecondó pienamente, ma non gli bastó.
Per le riprese del film con la coppia Downey Junior e Jude Law, sparí per quattro mesi.
Colin si divertiva come un pazzo, trasmettendo a Jared durante le brevi telefonate tutto il suo entusiasmo, senza capire i suoi silenzi, pensando che l’essergli fedele fosse l’unico modo per farlo contento.
Quelle tre piccole complici dell’oblio continuavano a fissarlo o era lui che lo stava facendo?
Erano le due di mattina, doveva dormire, per amore o per forza.
Amore… forse ad Haiti Jared lo stava facendo con Glam, ma ormai tutto era distante, come i suoni, il buio era un bozzolo dove rannicchiarsi, tra il sapore delle lacrime ed il profumo di Jared, che Colin aveva iniziato ad usare, come alcuni dei suoi abiti.

Lo stringeva come quei bambini, che si perdono al supermercato e poi ritrovano il genitore.
Jared stava tremando.
Si sentiva debole, faceva troppi sforzi e non mangiava a sufficienza.
“Calmati adesso… è tutto a posto Jared…”
“Non… tu non devi andartene cosí… senza dirmi niente… per favore, non farlo Glam…”
“Non accadrá piú, ma adesso fammelo tu un favore, manda giú qualcosa, avanti…” – sorrise, con dolcezza, accompagnandolo nuovamente sulla seggiola della cucina.
“Ho sonno… sono cosí stanco, che non mi va giú nulla… Scusami.”
“No. Devi mangiare, se no ti porto dal Sebastian e facciamo una flebo, ok?” – il suo tono era perentorio.
“Ok… ok, ma tu parlami di lui…” – abbozzó un sorriso, inforchettando la prima polpetta vegetale, che Geffen gli aveva procurato direttamente dagli USA. Lo viziava, per quanto potesse.
“Jared non vuoi sapere dove sono stato?” – domandó esitante.
“Dimmelo se ti va…” – replicó senza alzare lo sguardo.
“Da Kevin, a Sidney.”
“Sidney?... Ma scherzi…?”
“No, affatto. Gli ho scritto di noi, lui ha mandato un video ed io non potevo lasciare che le cose rimanessero sospese in questo modo, freddo e vuoto… Volevo guardarlo negli occhi, come ora sto facendo con te, Jared.”
Lui deglutí, per poi bere un sorso di succo di ananas.
“Come sta Kevin…?”
“Non siamo stati insieme, se è a questo che stai pensando…” – mormoró, passandosi le mani sugli occhi.
“Forse sarebbe stato meglio… Avete litigato?”
“Assolutamente no. Giá lo sapevo, mi aveva… anticipato che non ci odiava.”
“Kevin è incredibile… Non credo che per Colin sia lo stesso.”
“Lui ti ama e prima o poi dovró fare i conti con lui, ma sará una questione che affronteró da solo.”

“Colazione a letto per mister Farrell!”
La sua voce era intrigante e piena di allegria contagiosa.
Colin bofonchió qualcosa, cercando di capire chi avesse fatto irruzione nella sua stanza.
“Jude…?! Cosa… cosa ci fai tu qui?” – disse con un mezzo sorriso e molto stupore.
“Malibu piú Susan piú bimba con la peste bubbonica, uguale?”
“Ma che cazzo… dici? Ahhahah”
“Rob è corso dalla sacra famiglia e mi ha piant… opssss mi ha lasciato nella nostra suite, con molti baci e scuse… nonché una notte di sesso sconvolgente!” – su queste parole scimmiottó un gesto tipico di Rodolfo Valentino, rivoltando a casché una mazza da golf dimenticata su di una cassapanca.
Colin rise di nuovo.
“Bene… vedo che non è stata una pessima idea venire a trovarti… È da ieri pomeriggio che faccio l’anima in pena a Los Angeles… Stavo impazzendo!” – sbarró gli occhi, sbattendo le ciglia.
“Tu sei… tu sei l’eterosessuale, omosessuale, piú strambo che io conosca Jude… ahahhah”
“Verissimo!”
“Ma Sienna dov’è?”
“A Londra… con il nostro piccolo…Vuoi vedere le ultime foto?”
“Ok… vediamo…” – disse sedendosi, facendo posto all’amico, che stava armeggiando con il proprio palmare di ultima generazione.
“Cadeau di mr DJ…”
“Carino… ah eccolo… che bellino, tutto la mamma!”
“Fanculo Colin!”
“Fanculo Jude, ma grazie per il caffè… e le uova! Ne avevo bisogno…”
“Di un po’ di coccole?”
“Sí… Jared mi manca in un modo che non riesco a spiegarti…”
“Lo posso immaginare… Rob ed io stiamo lontani per settimane, ma è sempre un dramma, anche se sono passati quasi otto anni…” – replicó rialzandosi, andando alla finestra.
Qualcuno bussó: era Violet.
“Papá!! Posso venire sul lettone?”
“Amore… certo, vieni…” – disse accogliendola sul petto, inondandola di baci e carezze.
Jude chinó il capo, ammirando la tenerezza di Colin.
“Hai visto piccola, c’è zio Jude…”
“Ciao zio Jude! Dov’è zio Robert?”
“Doveva fare una commissione…”
“Ma dopo viene?”
“Non lo so tesoro… non subito, magari il mese prossimo torniamo a trovarvi…” – sorrise imbarazzato.
“Adesso devi vestirti, vai da miss Wong, ok amore?”
“Okkeiii!!! Ciaooo!” – corse via, portando con sé un’aurea di serenitá.
“Sai Jude, lei é… lei è proprio nostra figlia, mia e di Jared… è come se… come se l’avessimo concepita noi…” – la sua voce era assorta, poi raccontó a Law gli eventi che portarono Violet nella loro vita.
“Cosí io lo travolsi… con questo totale desiderio di lei, di avere finalmente un figlio insieme… Forse gli ho portato via qualcosa, senza neppure rendermene conto…”
“Ti sbagli Colin… guarda che Jared è il padre piú appagato di questo mondo…”
“Lo pensi davvero?” – gli chiese fissandolo.
“Sí, davvero. Scusa, devo rispondere, è Rob…”
“Fai pure…”
Seguí un breve scambio di battute concitate – “Ok… arrivo, stai tranquillo… Robert calmati, arrivo tra pochi minuti. Ok, te lo saluto...”
Riattaccó, riponendo il cellulare nervosamente.
“Che succede Jude?”
“Era Robert, ha litigato con Susan ed ora è in hotel con una delle sue crisi di nervi… Vado, mi faccio sentire, ma se tu vuoi parlare, sai dove trovarmi.” – scrolló le spalle, facendo l’occhiolino, per poi sparire, con la stessa disinvoltura con cui era apparso.



Capitolo n. 12 – gold



Era come un volo.
Jared era sospeso, aggrappato a Glam con le proprie gambe e le braccia, la bocca nella sua, cercando di percepire ogni sensazione, tra quelle trasmesse dai suoi baci caldi ed il sentirlo dentro da ore.
Era accaduto tre volte, forse quattro, ormai era l’alba.
Se avesse potuto sarebbe rimasto cosí per sempre.
Glam lo accolse sfinito, ma Jared continuava ad affondare baci e sussulti nel collo del compagno, mescolando il loro sudore dorato.
“Moriró presto…” – sorrise Geffen, accarezzandogli il viso sorridente.
“Sono … felice Glam…”
“Ed in apnea direi… Jared non possiamo fare cosí…”
“Pensavo ti piacesse fare l’amore con me…” – rise piano, baciandogli un capezzolo, per poi fissarlo con un’espressione simpatica.
“Certo che mi piace, ma… Dio che sonno…”
“Allora dormiamo…” – si rannicchió meglio, prendendo un lenzuolo, per coprirsi, ma continuando a fare dispetti a Glam, che ormai si era assopito.

Era quasi mezzogiorno, Jared si vestí di corsa, lasciando un biglietto a Glam, perso nei propri sogni.
Aveva appena infilato i sandali, quando il suo cellulare vibró.
Era Colin.
Si morse le labbra, poi pensó ai bambini e decise di rispondere, ma solo dopo essere uscito.
“Ciao Cole, dimmi…”
Un’esitazione dall’altra parte, poi una voce stanca, che si sforzava di essere serena.
“Jay… ciao, ti disturbo?”
“No Colin… cioè sono in ritardo, devo servire il pranzo… è successo qualcosa?”
“A me di tutto, direi… stai tranquillo per i nostri figli, stanno bene…” – disse rassegnato.
Jared si bloccó: “Scusami Colin, tu come stai?” – anche lui faceva fatica a sostenere quella conversazione, i sensi di colpa stavano rosicchiando i suoi pensieri.
“Scusami tu… non avrei dovuto… buona giornata...” – e chiuse, perché stava soffocando per un pianto, che era l’unico dettaglio a non abbandonarlo mai.
Jared lo richiamó subito, ma fu inutile.
Tutto spento, come la vita di Farrell.
Provó a casa, ma la signora Wong gli disse che Colin era uscito alle sette, per lavoro, almeno cosí aveva detto.

Robert era in posizione yoga, al centro della suite, i tendaggi tirati, candele accese ovunque.
Nudo, coperto solo da una salvietta, occhi chiusi, concentrato sulla respirazione, dava le spalle alla porta, dalla quale entró senza fare rumore Jude.
Quando lo vide sorrise.
I vestiti di Rob erano sparsi sulla moquette colore sabbia, dove un istante dopo finirono anche quelli di Jude.
Questi andó ad inginocchiarsi davanti a lui, sfiorandogli le palpebre con un bacio leggero.
Robert le dischiuse, provando sollievo e gioia, sorrise.
“Avevo… avevo davvero bisogno di te Jude… come al solito…”
“Sono qui amore, cosa… hai voglia di parlarne?”
“No… stringimi adesso, vuoi?”
“Certo, vieni.” – un altro un sorriso, poi il cuore di Jude, finalmente, sul quale Robert appoggió la guancia, rigata da una lacrima.
“Va meglio?”
“Sí… sono a casa ora, nell’unico posto che riesce a darmi un po’ di pace Jude…”
Si baciarono, poi Law scivoló lungo il busto di Downey, con calma e profonditá, sino al suo inguine, che fremeva nell’attesa di lui, di quelle labbra avvolgenti e capaci, le sue dita affusolate, febbrili sui fianchi di Robert, che si muovevano piano, lasciando a Jude il ritmo di un amplesso dolce ed intenso.
Era quasi al limite, Jude se ne rese conto e ritornó a guardarlo – “Vienimi dentro Rob… vienimi dentro ti prego…”
Era come una fusione di corpi, un’alchimia che si rinnovava da otto anni e che li stupiva ancora, per quanto potessero godere reciprocamente, in un modo che non avevano provato nelle loro esperienze con le donne.

“Volevo solo coccolare la mia bambina… volevo starle vicino, perché una febbre cosí alta, in una creatura tanto piccola…”
“Mi dispiace Robert...”
Si stavano rivestendo, i bagagli quasi pronti per ripartire.
“Gli antibiotici l’hanno aiutata, ma hanno effetti collaterali… la sua schiena si è riempita di bollicine, uno sfogo prevedibile dice il pediatra…”
“Vedrai che passerá anche quello… E Susan?”
“Susan voleva propinarmi un film da girare in India, tre mesi isolati come dei veri appestati, un’assurditá. Abbiamo iniziato a litigare, lei sembrava preoccuparsi piú di quella dannata sceneggiatura che di nostra figlia ed io ho detto delle cose e…”
“Quali cose Rob?” – lo interruppe fissandolo.
“Cose… su di lei come madre… poi lei ne ha dette altre su di me…su come sono, sulle cose che faccio, sulle mie assenze, mi ha dato dell’egocentrico, che solo grazie a lei sono uscito dalla fogna in cui stavo imputridendo… sí, ha detto proprio questa parola…” – si prese la testa tra le mani, respirando forte, poi riprese – “Jude andiamo a Londra.”
“Certo… devo andarci per forza…” – disse mestamente.
“Lo so… sí, ora ricordo, non possiamo stare insieme a casa nostra… hai ragione…” – rise nervosamente, prendendo la giacca.
Jude si mise seduto sul letto disfatto.
“Sí che possiamo.”
“Ma Jude, Sienna…”
“Con Sienna ci parlo io.”
Robert si piegó davanti a lui, scendendo all’altezza delle sue iridi belle e luminose, anche se tristi – “Cosa ti inventerai Jude questa volta…? Non puoi andare avanti in questo modo…”
“Quale modo? Continue bugie, scuse, pur di… Non mi spaventa farlo Rob, credimi.” – si rialzó con uno scatto, provando a nascondergli un tremito, che gli saliva dalle ossa.
Downey gli era nuovamente di fronte, lo prese per le braccia – “Io non ti merito Jude…”
“Rob non…” – mormoró, abbassando lo sguardo.
“No Jude guardami!”
Tornó ad accarezzargli i sensi, con i propri cristalli opalescenti – “Eccomi, sono qui Rob.” – disse, sollevando le mani fino alla base del suo collo, per poi baciarlo, fermando sul nascere quel discorso.

“…Perché non volevo sentirgli pronunciare frasi o promesse, che non è in grado di mantenere…”
“Forse Robert riuscirá a mantenerle questa volta, Jude.”
“Lo pensi davvero Colin?”
La sua domanda cadde nel vuoto.
Colin regoló il viva voce del suo suv, salutandolo – “Vorrei telefonare a Jared…”
“Ma non sei convinto, vero?”
“Devo farlo, devo sentirlo… è piú forte di me, ma ho paura di dirgli solo stronzate.”
“Non accadrá irish buddy. Tira il fiato e parla con lui, ok?” – sorrise, mentre Robert stava arrivando.
“Ok, ok lo faccio subito.”
“Buona fortuna Colin, a presto.”






Capitolo n. 13 – gold



“Dov’è nostro figlio Shan…?” – le parole si facevano spazio tra i respiri affannosi di Tomo, preso completamente nel baciare sul collo, sul volto, sul petto, il compagno appena uscito dalla doccia, asciugando con le proprie labbra quel miliardo di goccioline fresche e seducenti, quasi un ornamento per il fisico tonico del fratello maggiore dei Leto.
“É… mio Dio Tomo… è alla End House… da Yari… fanno… il…”
“Fanno cosa?” – un singulto piú forte, mentre anche i suoi abiti erano finiti sul divano in fondo alla sala, Shan sul tappeto, Tomo sopra di lui, frenetico e passionale – “Fanno il campeggio!” – riuscí a dire finalmente, ma all’altro non importava poi molto.
I loro sessi facevano quasi male, ma rimandavano qualunque approccio, perdendosi in baci e sguardi: amavano guardarsi mentre lo facevano, consumando quegli istanti di felicitá assoluta.
Quando lo penetró, Shan gemette cosí forte, che Tomo gli mise il palmo della mano destra sulla bocca, senza fermare i propri fianchi, che affondavano tra le sue membra calde.

Jared non aveva mai pelato tante patate in vita sua, peró era divertente, senza pensieri, ancora una volta, nessuno che lo disturbasse, che lo correggesse, lo strumento usato era perfetto e bene affilato.
Sorrise, facendo strane associazioni di idee.
Sbirció il cellulare, riprovando a chiamare Colin, ma era irraggiungibile.
§ Stará girando… § pensó, visto quanto gli aveva riferito miss Wong, ma non senza provare una sottile angoscia.
“Jared puoi venire al settore primi? Grazie!”
“Sí Claus, arrivo…”
Sbuffó, uno dei volontari tedeschi, bizzarro con i suoi capelli rasta verdi, lo aveva sollecitato, ma lui non aveva voglia di stare in piedi per piú di un’ora.
A metá della fila arrivó una ragazza, che mangiava sempre pochissimo.
Sorrideva a Jared, ringraziandolo piú volte.
Lui l’aveva notata perché portava al collo la triad del suo gruppo, ma non si osava di chiedergli qualcosa, pur avendolo riconosciuto.
“Sei stanco Jared?”
“Sí Claus, si vede cosí tanto?”
“Un po’… Ok, ti sostituisco, tieni, questa è la tua sbobba, vai a mangiare ahahahh…”
“Grazie, ci vediamo dopo… mi toccano le pentole oggi.” – sorrise mesto.
Syria era ancora seduta ad un tavolino e lui la raggiunse – “Ciao, posso sedermi qui con te?”
Lei ebbe un sussulto, poi spostó i libri di fronte a sé, facendogli spazio.
“Mi chiamo Jared.”
“Sí… sí lo so… Syria, piacere.” – gli tese la mano, timidamente.
“Hai giá finito?”
“Sí… oggi non mi andava di prendere altro.”
“Succede tutti i giorni, Syria.”
“Cosa scusa…?”
“Prendi delle razioni minime…Io non posso parlare, certo… guarda qui che tristezza ahahhah” – fece lo spiritoso, indicando il piatto sotto al suo naso.
“Vedo. Stai facendo volontariato?”
“Sí, è molto… molto gratificante. Tu invece?”
“Maestra d’asilo… alla fondazione.”
Geffen arrivó all’improvviso, con un blocco notes in mano ed una penna infilata nell’orecchio, salutó i ragazzi e cercó con lo sguardo Jared, che gli fece un cenno.
“C’è Glam…”
“Il signor Geffen, sí… Buongiorno.”
“Ciao Syria, hai mangiato? Guarda che ti tengo d’occhio! Jared tutto bene, mi fai posto…?”
“Sí… ho divorato tutto… siediti.”
Glam si mise comodo, scrutando gli appunti ed un elenco – “Devo fare l’inventario… la dispensa è quasi a secco…”
“Posso farlo io se vuoi…”
“Sí come no Jared, ma guarda che oggi sei di turno alle marmitte, faresti di tutto per deviare l’ostacolo ahahahah…” – lo disse fissandolo e Jared si sentí arrossire.
Incroció le braccia e con una mano toccó volutamente il braccio di Glam, facendo una lieve pressione con le dita, ricambiando quell’occhiata divertita – “Sí, farei di tutto.” – e poi pensó § … per stare con te…§ mentre le sue iridi blu parlarono ad alta voce.
Syria si sentí di troppo e li salutó.
Geffen si alzó ed andó in magazzino, senza aggiungere altro.
Jared lo seguí dopo qualche minuto.

“Ehi… ho fatto male?”
Glam lo sentí alle proprie spalle e sorrise – “Per cosa Jared?” – replicó senza voltarsi.
“Forse tu…”
Geffen si giró, andandogli vicino.
Anche Syria era tornata, per prendere i libri dimenticati e scusarsi per essersene andata tanto frettolosamente.
Claus le disse che Jared e Glam erano nell’altra stanza e lei li cercó, bloccandosi quando li intravide.
“Tu puoi essere e fare tutto ció che vuoi, insieme a me Jared…” – lo stava accarezzando sugli zigomi, sulla fronte, poi lo sfioró con baci leggeri, mentre Jared chiudeva gli occhi, posando le proprie mani sui fianchi di Geffen, che infine lo bació intensamente.
Syria se ne andó e le sue cose rimasero abbandonate nuovamente, ma su di uno scaffale.

Sebastian Rodriguez aveva molti appuntamenti quel pomeriggio e c’era giá coda in ambulatorio.
“Dottore posso…?”
“Syria, ciao vieni pure, sei la prima anche oggi?”
“Sí… ho una lezione alle due.” – disse sistemandosi sul lettino.
“Ok, non perdiamo tempo allora. Hai avuto ancora dei capogiri?” – domandó con molta dolcezza.
Gli piaceva quella ragazza, era cosí fragile, ma al tempo stesso risoluta a riprendersi tutto ció che le sciagure abbattutesi su Haiti le avevano portato via.
L’intera famiglia, il fidanzato, ma soprattutto la salute.
“Quelle pastiglie sono state efficaci…”
“Ne sono contento. Sí… la pressione è a posto oggi. Facciamo un prelievo?”
“D’accordo…”
Sebastian fu molto delicato – “Fatto… Sono stato bravo?” – chiese con un’espressione quasi maliziosa.
“Sí, come sempre.” – ribatté con innocenza.
Rodriguez si sentí a disagio.
Tossí, passando ad auscultare la schiena della giovane.
“I polmoni sono… perfetti, ok, rivestiti pure, ci vediamo domani. Mi raccomando l’alimentazione.”
“Faccio il possibile… Oggi ho conosciuto Jared Leto.” – quella frase era colorata d’argento.
Lui scrolló le spalle, provando una fitta fastidiosa allo stomaco – “Fortunata… è un tipo simpatico.”
“Sí lo é. Grazie, arrivederci.” – ed uscí.
Sebastian sbuffó, tirandosi indietro i capelli e specchiandosi, notando che era sempre trasandato: forse dove migliorare il suo aspetto, ma lí erano all’inferno, non sul lungomare di Malibu.
“Fanculo Jared…” – sibiló, prima di suonare un campanello interno, che serviva come via libera al prossimo paziente.





Capitolo n. 14 – gold




Colin continuava a guardare quella vecchia foto.
“Era… era novembre… 2005… sí… a New York… eravamo a New York…la prima di Alexander…”
Parlava spesso da solo, ormai, soprattutto riguardando le immagini, che lo ferivano, facendolo piangere, tormentarsi le mani, asciugarsi gli occhi malamente.
Un tempo felice, ricco di aspettative, il profumo dei capelli di Jared, cosí vicino a lui, lo ricordava nitidamente, dapprima con gioia, poi tenerezza, poi sconforto, infine rabbia, solo rabbia.
Saliva dentro di lui.
Arrivava alla base del suo collo ed avrebbe voluto vomitarla in faccia a qualcuno, ma si sentiva ridicolo, perché si era ripromesso di reagire in modo maturo, riflessivo, per via dei bambini, per salvaguardare il lavoro, per tranquillizzare i familiari e gli amici, che ormai lo guardavano con apprensione, disorientati dai suoi stati d’animo, a corrente alternata, a volte oscuri, altre luminose ed isteriche.
Era chiaro che assumesse dei farmaci e le dosi stavano aumentando.
Bussarono.
“Colin! Colin sei lí dentro? Sono Shan… per favore, c’è anche Simon qui con me.”
Silenzio.
“Cosa facciamo?” – domandó con aria ansiosa il fratello maggiore dei Leto al body guard, sempre piú convinto che Farrell avrebbe degenerato presto.
“Sfondo la porta, se non risponde entro trenta secondi. Colin!!”
Lui si alzó, facendo cadere gli album dove insieme a Jared aveva raccolto tutti quei ricordi ed andó ad aprire.
“Cosa… cosa cazzo volete?” – bofonchió, la bocca impastata.
“Cristo santo…” – Shan fu sconvolto nel vederlo tanto malconcio e trasandato.
“Colin possiamo entrare?” – domandó Simon, spingendo anche l’altro nella camera, senza aspettare alcun consenso.
Richiuse, ma a chiave.
“Colin tra poco saranno qui i bambini, avevi promesso di accompagnarli alla recita di Henry…”
“Recita… quale recita?”
“A scuola…” – mormoró Shan.
“Mi é… mi è passato di mente… portateli voi, fatemi… fatemi questo favore…”
“Fanne uno anche tu a noi: una doccia, sbarbati e mangia qualcosa… Colin… mi hai sentito?”
“Certo Shan… certo… poi, poi voglio chiamare Jared… hai notizie?”
“Mi ha scritto un’email, con delle foto…Sta facendo un ottimo lavoro…”
“Sí… sí come no… Potete lasciarmi solo? Non faró cazzate…”
Simon si guardó in giro, notando due blister di pasticche vuoti, nascosti maldestramente sotto al cuscino, insieme ad una lattina di birra.
I piccoli erano nel corridoio, insieme a miss Wong.
Rimasero male per l’assenza del padre, salvato solo in parte dalla scusa trovata da Shan – “Ha un virus, un mal di testa insopportabile… deve dormire.”
Tutti annuirono, ma dai loro sguardi trapelava la stessa angoscia provata dagli adulti.

La giornata ad Haiti era stata impegnativa.
Jared aveva aiutato i volontari alla mensa, ma poi aveva coadiuvato il dottor Rodriguez in ambulatorio, per preparare i vaccini, che avrebbero distribuito il giorno seguente.
Sebastian aveva apprezzato il suo aiuto, rivalutando il proprio giudizio affrettato su Leto.
Arrivó anche Syria, per gonfiare palloncini e sistemare lecca lecca e peluches, piccoli doni per distrarre anche i suoi allievi dalle fastidiose iniezioni.
“Devi farle anche tu Jared, questa volta non mi sfuggi ahahahah”
“Mmmm non vedo l’ora, odio queste cose ahahah”
Era bellissimo.
Syria inciampó guardandolo per un istante di troppo.
Geffen arrivó, fasciato da un giubbotto anti proiettile, un casco in una mano e le chiavi dell’hammer blindato nell’altra.
“Ehi… ma come ti sei conciato?” – chiese Jared, andandogli incontro.
“Sono in tenuta speciale, non fare quel faccino, devo esserci quando scaricano medicine e viveri, non è una passeggiata Jay…” – replicó dolcemente, inforcando i ray ban, per poi dargli una carezza.
“Io non sapevo queste cose…”
“Le stai scoprendo poco alla volta piccolo…Ascolta, stasera resto a cena con le ragazze e dormo a casa…”
“D’accordo Glam…” – accennó un sorriso, deglutendo a vuoto.
“Ok vado, saluta gli altri, state facendo qualcosa di speciale, non dimenticarlo Jared…”
“E tu… tu non dimenticare che… che ti amo Glam.”- sgranó gli occhi blu cobalto, che provocarono una scossa lungo la schiena di Geffen, che a stento si trattenne dal baciarlo – “Ti amo anch’io tesoro. A presto.”

Colin si lavó con cura, poi regoló la barba, calmo, quasi serafico all’apparenza.
Si era assopito, dopo che Shannon e Simon lo avevano lasciato in pace, per qualche ora.
Ormai era quasi mezzanotte.
La serata era fresca.
Appetito zero, ma si sforzó di mandare giú almeno un budino, il preferito di Becki.
Sorrise pensandola con i baffetti di cioccolato, che le puliva sempre Jared, baciandola poi con dolcezza.
Due passi nel parco gli avrebbero fatto bene, ne era sicuro.
Prese il cellulare, voleva farla davvero quella telefonata.
Era diventata un’abitudine, raggiungere il gruppo di cipressi, disposti a triangolo, in fondo alla proprietá.
Avevano fatto mettere delle panchine ed anche un tavolo per il pic nic.
Raramente ci andavano con i figli, in compenso qualche volta lui e Jared si isolavano lí, per parlare, leggere copioni e scrivere canzoni.
Una l’aveva composta anche lui o almeno ci aveva provato.
The dreamers, i sognatori, loro lo erano da un’eternitá.
Un’eternitá che si era spezzata.
Ad ogni passo quel pungolio del cuore cresceva, facendosi largo in quella momentanea serenitá, diventando nuovamente collera.
Appoggió i gomiti sul legno ruvido, sentendo umido sotto ai jeans, una leggera pioggia era scesa nel pomeriggio e lui nemmeno se ne era accorto.
Una piú violenta avrebbe investito Port au prince molto presto, pensó Jared, mentre si apprestava a rispondere, seduto sulla sabbia, perso in pensieri tristi, guardando l’oceano.
“Ciao Colin!” – nella sua voce un misto di gioia ed agitazione.
“Ciao Leto… dove sei?”
Il tono di Farrell era strano, concitato ed amaro.
“Co… cosa?” – balbettó.
“Dove cazzo sei??!”
“In spiaggia…”
“Carino… molto carino...” – poi un rumore, Colin aveva buttato giú una capsula verde e nera.
“Colin cosa ti prende?”
“A me? Niente! Ed a te? Sei ad una festa?”
“Ma che assurditá stai dicendo…?!”
“Ah giá, tu dovevi… riprendere la tua vita… mmm sí, vero?? TE LA SEI RIPRESA LA TUA CAZZO DI VITA??!!” – urló disperato.
Il temporale esplose di colpo, travolgendo Jared, come l’ira di Colin.
Si rimisero in piedi, contemporaneamente, senza saperlo – “Hai sniffato?? Cosa cazzo stai facendo Colin??”
“Sopravvivo!! A te, a questo mondo di merda!!”
“Colin calmati… calmati ti prego…” – lo supplicó, ma fu inutile – “Jared sei solo… tu sei solo una puttana!!!” – esclamó, associando mentalmente la figura di Jared a quella di Glam.
“Dimmi… dimmi una cosa…”
Jared non aveva piú parole.
Tremava ed avrebbe voluto solo riattaccare.
“Quale… quale cosa Cole?”
“E non chiamarmi in quel modo!!!”
“Ok…ok, ora chiudo… io non posso…”
“TU NON PUOI??? NON PUOI COSA MALEDETTO BASTARDO!!!”
Il clic fu come una pugnalata per Farrell, che crolló in ginocchio, incredulo per ció che aveva detto al suo Jared.
Ricompose subito il suo numero, ma suonava a vuoto.
“Amore… amore ti scongiuro… rispondimi…” – prima lo disse, poi lo scrisse in un sms, insistendo nel richiamarlo, ma senza esito.

Pamela spuntó come una gattina, nella sua camiciola corta, di seta avorio, un regalo di Geffen, che stava scrivendo una relazione per l’ambasciata, nello studio ricavato all’interno dell’attico condiviso con le gemelle e la loro madre, sexy ed accattivante, nel tentare quell’ennesimo assalto al suo ex.
Glam sorrise, ammirandola – “Wow che sorpresa, pensavo fossi giá tra le braccia di Morfeo…” – ironizzó, anche perché la donna era intelligente e complice, ma anche innamorata di lui, il che la poneva in una situazione quasi imbarazzante, di fronte ai rifiuti dell’uomo.
Si mise comoda sul bordo della scrivania, poi spinse Glam sulla poltroncina a rotelle, salendo su di lui a cavalcioni – “Veramente speravo nel tuo di abbraccio…” – e lo bació.
Quando capí di non essere ricambiata, si ritrasse di poco, fissandolo – “Oh mio Dio… non c’è proprio verso con te Geffen…” – miagoló suadente.
“Pam, dai, smettiamola, sei stupenda, faresti arrapare anche un tronco, ma io lo sai che…”
“LO SO! Ok, ok, non voglio umiliarmi…”
“E perché dovresti? Hai tutte le armi per conquistare un uomo, devi solo cambiare… obiettivo!” – rise, dandole un bacio leggero sulla fronte.
Lei si grattó la testa di lunghi capelli castani, scrutando i pantaloni di Glam – “Peró… vedo che… ti faccio ancora un certo effetto…” – sorrise simpaticamente.
“Lo credo hai due tette stupende ahahhah”
Pamela si ricompose, indossando un maglione che Glam aveva lasciato sul divano alle loro spalle.
“Dormi qui?”
“È comodo… dovresti provarlo… anzi no! Ahhaha”
“Lui ti rende felice…”
“Se parli di Jared, sí, ci riesce.”
“Ed il tuo Kevin…?”
“Anche lui… sono…” – ma la sua frase fu interrotta dal vicracall del palmare.
“Scusami Pam… è Jared. Sí pronto…”
Dall’altra parte i singhiozzi del giovane sovrastavano i tuoni – “Jared… Jared che succede?!” – chiese concitato.
“Glam… tu…tu sei orgoglioso di me?...”
“Jared… ma… “ scattó in piedi.
“TU SEI ORGOGLIOSO DI ME!??” – gridò esasperato.
“Certo piccolo… dove sei, vengo a prenderti subito!”
Uscí trafelato, sentendosi soffocare dalla preoccupazione che potesse accadere qualcosa di irreparabile a Jared.






Capitolo n. 15 – gold




L’acqua dai getti precipitava lungo i loro visi, incastrati l’uno nell’altro, attraverso le loro bocche, sconvolte da baci profondi e continui.
Glam faceva scorrere le proprie dita dalla nuca, al collo, risalendo lungo il volto perfetto di Jared, guardandolo mentre lui lo accarezzava sulla schiena, stringendolo poi per i fianchi forti e tonici.
Una volta chiusi i rubinetti, Geffen lo abbracció, parlandogli piano – “Stai meglio amore?... Era abbastanza calda…?” – sorrise, provando un vago disagio di fronte al suo sguardo lucido ed assorto.
Lo aveva recuperato infreddolito e quasi svenuto sulla spiaggia, sotto ad una pioggia battente.
Una volta sistemato sul sedile posteriore dell’auto, Glam era ripartito, preoccupandosi di farlo parlare, ma Jared sembrava in preda ad un delirio, di lacrime e lamenti incomprensibili.
Solo il nome di Colin ricorreva, di certo si erano sentiti al telefono, ma Jared non era in grado di dargli una spiegazione su quanto accaduto.
Glam non volle insistere.
Il suo unico intento era di fargli recuperare forze e di evitargli una polmonite.
Per fortuna Jared aveva mangiato abbondantemente nel pomeriggio, ridendo e scherzando con Sebastian e Syria, che gli avevano preparato un pasto vegan molto sostanzioso.
Fu probabilmente il fattore che lo salvó, visto che aveva perso almeno un altro chilo nell’ultima settimana.
In effetti non si sentiva debole, chiese solo una tazza di cioccolata, poco consona al clima dell’isola, ma adatta alla situazione.
Avvolto nel suo accappatoio, restava appollaiato sullo sgabello della cucina, mentre Geffen gliela preparava e nel frattempo gli asciugava i capelli con il phon – “Meno male che hai solo due braccia… se no potevi rifare anche il letto…” – sussurró flebile, il fiato strozzato dalla voglia di piangere.
Glam lo fissó gentile – “Ehi… voglio vederti ridere, come stamattina…”
“Non é… non è cosí semplice… che buona… grazie.”
“Prego… ti voglio bene, sai Jared?” – lo disse piano, avvolgendolo alle spalle, con le sue ali immense e sicure.
Jared le osservó, per poi sfiorarle con i palmi delle mani ancora fredde – “Sei… sei cosí bello Glam… mi piaci da morire…”
Si denudó, alzandosi e sfilando anche il telo di spugna bianco a Glam, che lo voltó a sé per baciarlo intensamente.
“Dio… ti desidero cosí tanto… angelo mio…” – quelle ultime due parole lo fecero sussultare, le stesse che usava spesso anche Colin, per dimostrargli ció che vedeva in lui.
Com’era possibile che gli avesse detto quelle cose, anche se una parte di sé cercava di convincersi che Colin avesse delle giuste motivazioni.
Jared gli aveva detto che non era una prova, tanto meno una tortura, l’intenzione era solo quella di ritrovare l’amore e l’intesa, che lui non sentiva piú, anche se entrambi vivevano ancora.
Erano stati schiacciati dalle delusioni, dall’amarezza di quel periodo orrendo, che sembrava non avere mai fine.
Mentalmente Jared si impose di superare quell’insicurezza ed il disprezzo che provava per sé stesso.
Era tutto troppo complicato e lui totalmente sconvolto dall’aggressione verbale di Colin.

L’insonnia era la sola amica rimastagli.
Farrell era rannicchiato sul tappeto, sotto alla finestra di quella stanza silenziosa.
Niente vestiti, né cuscino, neppure un lenzuolo.
Tremava, ma non per il freddo.
Tremava e basta, un effetto collaterale di uno dei tanti tranquillanti che ingurgitava, senza piú tenerne il conto.
Era in una parte della End House senza arredi, ancora da terminare e lasciata in sospeso per un eventuale alloggio, da destinare ad uno dei figli, che avesse voluto fermarsi lí, creando una totale autonomia dal resto dell’edificio.
Erano progetti, aspettative, tutti caduti nel vuoto, nel baratro, dove Colin stava facendo i conti ora con i propri rimorsi.
Annaspó alla ricerca del cellulare.
Era quasi scarico, ma rifece quel numero, nella speranza di trovare almeno la segreteria telefonica, perché Jared doveva ascoltare il suo rammarico, il dispiacere che provava per averlo offeso.
Ebbe fortuna.
Quel bip gli apparve come un portone che si spalancava – “Ja… Jay sono io… sono mortificato, terribilmente mortificato… non volevo, non volevo dirti quelle mostruositá … non le ho mai pensate, credimi, te lo giuro… te lo giuro Jared!” – i suoi singhiozzi si scontrarono con il secondo bip.
Quel portone si era richiuso di colpo, sui suoi denti, sul suo naso, sul suo dolore assurdo.

Le dita di Jared avevano scatti brevi e febbrili, tra i capelli di Glam, affossato sotto di lui nella poltrona del piccolo salotto, adiacente alla cucina, dove era rimasta accesa l’unica luce dell’alloggio.
Lo riempiva completamente di sé, Jared gemeva, seduto su di lui, stringendo le ginocchia ai lati del corpo di Geffen, che con colpi continui gli saliva e scendeva dentro, inebriandolo di mille sensazioni, dal sapore acre, anche se senza staccare le loro labbra, si scambiavano baci e parole scabrosi.
Sudore, saliva, sperma e grida sottili, un miscuglio distruttivo per l’autostima di Jared, che venne in sincrono con Glam, estasiato e mai pago di lui.
Jared scivoló via, andando verso i tendaggi, per togliere il cordone intrecciato che li raccoglieva a lato della porta finestra, protetta da una tapparella blindata.
Tornó da Glam, che aveva i sensi confusi e non capiva che intenzioni avesse – “Legami…” – disse con una voce roca, girandosi ed incrociando i polsi dietro alla propria schiena.
“Jared…ascolta…”
“Legami!” – protestó a tono basso, digrignando, peró, i denti.
Geffen gli diede retta, con il timore che un rifiuto avesse su Jared un effetto peggiore.
“Ecco fatto...” – sospiró, per poi vederlo mettersi in ginocchio, davanti a lui.
Le parole che seguirono, furono come un pugno nello stomaco per Glam, che non riusciva a vivere quei momenti come qualcosa di erotico, un gioco allettante, irrinunciabile, no, proprio non era possibile.
“Alzati e scopami la bocca… senza alcun riguardo…” – gli occhi di Jared erano bui, sporchi, come le sue fantasie, ammesso che lo fossero, pensó Glam.
Era di nuovo eccitato come un animale, davanti a quel ragazzo che il tempo non scalfiva, prezioso come un dipinto, profumato e sensibile, come un fiore raro, Jared era unico, Jared era tutto.
Piombó nella sua gola, assecondandolo, ma Jared acuiva il ritmo ogni istante di piú, soffocandosi quasi, forse era la sua intenzione primaria, quell’infliggersi una sorta di punizione.
Glam gli sfiorava le guance piene di lui, con tenerezza, ma Jared non la voleva la sua tenerezza.
Ingoió tutto il suo piacere, piegandosi poi, tossendo.
Aveva superato il limite, lo sguardo gonfio di pianto e frustrazione.
Glam lo raccolse per una seconda volta, da quella posizione fetale, la stessa in cui Colin stava morendo per l’ennesima notte.

Tomo si stava lavando i denti.
Guardó l’orologio digitale del mobile in bagno, erano le otto e mezza, poi si accorse che c’era un sms.
“Cazzo sono in ritardo… Josh!! Sei in piedi? Vieni da mofo papi!” – disse sorridendo, per poi dare un calcio sul sedere a Shan, che era sotterrato sotto a diversi cuscini.
Avevano fatto tardi, dopo la recita dei bambini, ad una mostra dove Tomo era stato invitato dal curatore di una galleria in centro, incuriosito dalle sue sculture viste sul suo sito internet.
Era un tipo interessante, Owen Rice, nato a Londra, un perfetto inglese a Los Angeles, si era definito al telefono, quando lo cercó.
Shannon si era sentito fuori posto, unico dettaglio di rilievo il magnifico buffet.
Prese un taxi, con la scusa che Josh aveva troppo sonno, per rimanere ancora.
Ovviamente lodava l’impegno e l’entusiasmo che il compagno metteva nel creare quegli insieme di metallo e cianfrusaglie.
Per il resto ci capiva meno di niente.
§ Mi si è liberata una sala all’open space… cosa ne pensi per una personale da allestire e mandare in orbita tra due settimane? Fatti sentire, Owen ;-) §
Lo lesse di corsa e provó un brivido di soddisfazione, ma anche un turbamento sottile.
Gli occhi di quell’uomo erano a tratti penetranti ed a tratti sfuggenti, come se fosse spregiudicato e timido, a seconda delle risposte che Tomo gli dava.
Lo riscontró velocemente - §Grazie! Ti chiamo dopo.§
La replica di Owen arrivó subito.
§ Vediamoci a pranzo. ´S Bar? §
§ Ok…§
§ Amo i puntini di sospensione. Precludono spesso dolci sorprese, a dopo grazie a te. §
“Oddio che imbecille…” – pensó ad alta voce.
“Come dici amore?” – esclamó Shan in arrivo con Josh in braccio – “Nulla… andiamo?!” – ed uscirono senza aggiungere altro.

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