giovedì 27 gennaio 2011

GOLD - Capitolo n. 47

Capitolo n. 47 – gold




Jared stava impastando farina, acqua, sale, un cucchiaio d’olio – “Questa ricetta è infallibile…” e poi stendeva, tirava, spianava – “Cosa vorrebbero essere?” – domandó Glam, aggrottando la fronte.
“Queste sono le famose focaccine alla Leto…” – disse soddisfatto, distribuendo cubetti di pomodoro fresco e basilico: si era creato un piccolo orto in vasi, sul balcone.
Geffen sorrise, controllando il pesce al cartoccio che aveva preparato lui – “Non si sa mai… poi mica mi bastano… come le hai chiamate?” – rise, prendendolo tra le braccia.
Jared lo bació, aggrappandosi poi al suo collo ed affondando il viso, un gesto che adorava.
Si sentiva sicuro, protetto ed amato.
In fondo era la sola condizione che chiedeva alla vita.
Glam sospiró.
“Cosa c’è amore…?” – chiese Jared, provando una strana angoscia.
“Hai voglia di parlarmi dei tuoi progetti?... Per Syria, il bambino… Che idea ti sei fatto Jared?”
“È questo che ti tormenta Glam…?”
“Sí, insieme a molte altre sensazioni… Tu scrivi senza pensieri sulla lavagna ed io… senza speranze o senza futuro, scegli tu…” – sorrise mestamente, preparando la tavola.
Jared respiró forte, come a trovare coraggio – “Vorrei… io vorrei portare Syria a Los Angeles… darle una casa ed un lavoro, aiutandola a crescere nostro figlio, ma non alla End House, dove… dove io tornerei, con Colin… Che spero accetti la situazione…”
“Ok. È essenziale avere le idee chiare, soprattutto quando ci sono di mezzo dei bambini. Scusami, devo andare.”
“Glam… ma la nostra cena…”
“Non ho piú fame e non ho piú voglia di stare qui, perché avrei anch’io una dignitá e qualche dovere verso Kevin, anche se non dovesse piú tornare e ne avrebbe solo ragione.”
“Perché fai cosí?!” – esclamó disperato.
“Ma che senso ha?! Me lo dici Jared? Io non ho bisogno di scopare per andare avanti, non ho bisogno di usarti o farmi usare come passatempo! Io ti amo cazzo!!” – gridó arrabbiato.
Jared si appoggió alla parete, tremando; non aveva paura di Glam, anche se la sua rabbia era inquietante.
“Anch’io ti amo…”
Geffen gli accarezzó le guance, con le mani calde – “Lo so Jared…Ma sono sempre seduto nell’ultima fila del cinema… e se ne sono andati via tutti… Ciao, mangia qualcosa mi raccomando.”
Uscí, chiudendo piano la porta, a testa bassa.

L’alta marea accarezzava i piedi di Glam, i pantaloni arrotolati, la camicia aperta, era una serata calda, le mani in tasca, dove Jared aveva infilato una triad in argento, con il laccio di colore azzurro – “Come i tuoi occhi…” – gli aveva mormorato, per poi accoccolarsi, sul divano della loro casetta di legno.
§ Nostra… non abbiamo niente di nostro… § rimuginó Glam, lasciando andare una lacrima, che cadde sul suo petto, segnato dalle cicatrici delle pallottole.
In fondo era qualcosa che li legava, quel ricordo terribile.
“Per qualunque cosa tu stia pensando adesso, ti chiedo scusa Glam… e no, non ho mangiato, ti ho seguito... Io vorrei stare con te, finché non nascerá il piccolo, finché Kevin non tornerá e potrebbe essere anche domani mattina, finché lo vorrai anche tu… se lo vorrai… E se cosí non fosse, rispetteró la tua scelta.”
“No, io non voglio.” – disse senza guardarlo, non ne aveva la forza.
Jared fece un passo indietro, portandosi le mani tra i capelli – “Ok… ok, come vuoi…torno a casa.”
La sabbia faceva un solletico piacevole, mentre si allontanava, gli occhi pungevano, il respiro era spezzato, mentalmente continuava a ripetersi § Cosa pretendi Jared?! Cosa cazzo pretendi!!? §
Si sentí afferrare e girare, trovandosi sulla bocca quella di Glam, le sue mani ovunque, il suo profumo, tutto di lui, ma solo quella parola che lui gli urlava nel silenzio – “Amore… amore…”
Quel poco che avevano addosso si smaterializzó, solo due scogli celavano i loro corpi, unica spettatrice la luna piena, mentre Glam lo prendeva, senza smettere di baciarlo.
Jared singhiozzava, lo leccava, ansimava e deglutiva, perdendosi nell’incavo alla base del collo di Glam, mentre questi affondava in lui, stretto, rovente – “Mi… mi stai facendo male…” – la sua voce era un soffio, debole – “Mai quanto me ne fai tu Jared… da quando sei arrivato qui…” – lo sdraió sulla sabbia, separando i loro busti sudati, aprendogli le gambe ancora di piú, spingendo avido e spietato – “Glam… ti amo… ti amo…” – cosí lui scese, invadendolo con un orgasmo cattivo.
Lo portó alla fine di tutto, tra quelle mura profumate di abete ed acero, nella semi oscuritá, tra cuscini e lenzuola, che sapevano di pulito, lo nutrí, ebbe cura di lavarlo e poi farlo riposare, per poi prenderlo di nuovo, con piú attenzione, usando un gel e dell’olio, che imperlava seducente la pelle di Jared, che si incastrava alla perfezione con ció che restava di Glam: “Non ti arrenderai mai al nostro amore… La mia resa, invece, è completa…” – lo disse, affacciato alla finestra, bevendo una tequila, mentre Jared, sfinito, stava per addormentarsi.

Rebecca girava un video, con il suo nuovo cellulare – “Papá lo mandiamo a papi, vero?!”
“Sí tesoro… dopo accendo il portatile e gli scriviamo una email…” – disse sereno.
Erano tutti riuniti nella stube, riservata a loro, seduti ad una grande tavola rettangolare, dove avevano consumato un pasto ricco di vitamine e zuccheri.
Owen era finito seduto tra Kurt e Shannon, faceva ciao con la mano ed un sorriso – “Dí qualcosa zio Owen!”
“Zio...? Wow… dico grazie Becki, sono lusingato…”
- era sincero, si emozionó, lo notarono tutti, cosí come Jude pizzicó il ginocchio di Robert, bisbigliandogli poi – “Uk man non me la racconta giusta…” – “Credo tu abbia ragione piccolo…”
“Non si parla sottovoce!!!” – esclamó Becki inquadrandoli.
Risero, facendole dei dispetti, cosí lei corse verso Colin – “Papá dí qualcosa al mio papi!”
Lui sgranó gli occhi lucidi, piú per il fumo della pipa della pace, che si stavano passando – “Amore questa non é… erba… te lo giuro… ma un tabacco puzzolente come i calzini di tuo fratello ahahahah…”
“Tutto qui??!!” – protestó lei.
“Ti amo Jared…”
Rebecca rise, girando su di sé l’obiettivo – “Capito papi?!! Papá ti ama tantissimo e ci manchi!!” – sentenzió sorridente e tenerissima.

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