venerdì 28 gennaio 2011

GOLD - Capitoli 21+22+23+24+25

Capitolo n. 21 – gold




“Ciao Syria, grazie per avere accettato l’invito…” – Jared sorrise, spostando la sedia e facendola accomodare.
“Grazie a te, come stai Jared?” – disse, ricambiando il sorriso.
“Ho avuto dei momenti difficili… peró poi è venuto a trovarmi Shannon, è stato bellissimo…” – replicó sedendosi, passandole una spremuta.
Erano in un bar sulla spiaggia, molto affollato, la giornata splendida.
“Sei molto affezionato a tuo fratello, anch’io lo ero ai miei… una simbiosi...”
“Ti capisco… comunque vorrei parlarti di noi due, di quello che è successo e chiederti scusa… Sono stato inopportuno…”
“È un aggettivo… strano…” – rise, tagliando la torta che Jared aveva scelto.
“Ti piace Syria?... Non sapevo se…”
“Buonissima! Ho una fame…”
“Allora non sei arrabbiata…”
“Perché dovrei?... Senti Jared, ho venticinque anni, non sono una bambina o una sprovveduta… Insomma, per me… per me è stata la notte piú bella della mia vita… e ti ringrazio per avermela regalata.”
Jared rimase senza parole, nell’ascoltare la sua serenitá e, soprattutto, la velata, ma quasi divertita rassegnazione, nel saperlo impegnato sentimentalmente – “Non ho speranze con te Jared ahahhah…Ne posso mangiare un’altra fetta?”
“Certo… Ne daresti una anche a me?”
Gli era tornato l’appetito.
Quel modo di fare di Syria, gliela faceva risultare ancora piú simpatica.

Shannon entró nel seminterrato della loro casa senza fare rumore, mentre Tomo era rientrato accorgendosi che il compagno era tornato da Haiti, ma immaginando che fosse uscito, alla sua ricerca.
Lesse i vari sms, tra cui quello di Simon, che lo tranquillizzava su Josh – “Cazzo anche il cellulare si è scaricato!” – esclamó, andandosi a togliere le macchie di unto, residuo del cambio di una gomma bucata.
Il tutto era avvenuto in una zona della cittá dove nessuno si fermava e non c’erano locali aperti, per potere recuperare un telefono ed un taxi.
Andó a coricarsi, la schiena a pezzi, aspettandolo finché le palpebre non si chiusero pesantemente.
Shan si infiló nella doccia del locale lavanderia, mentre gli abiti finirono in lavatrice, con altra biancheria, che lavó subito.
Trovó solo asciugamani e costumi nell’asciugatrice, cosí ne indossó uno e salí.
Si lavó anche i denti, un paio di volte, dopo essersi scorticato la pelle con una spugna di crine sintetica.
Nonostante i pochi scalini, aveva un fiatone che non riusciva a controllare.
Si sentiva uno schifo.
Appena scorse Tomo addormentato con il bberry sul cuscino, di sicuro in attesa di una sua chiamata, ricorse in bagno per vomitare.
Riprese spazzolino e dentifricio, ripetendo l’operazione forsennatamente.
Trangugió una bottiglietta di acqua, dopo una tequila doppia.
Tomo aprí gli occhi, quando se lo ritrovó addosso, tra le gambe, a stringerlo con dolcezza e passione – “Amore… ciao…”
“Tesoro perdonami…”
“Per cosa Shan?... Josh è da Colin, io ho forato, quest’affare era morto, immagino la tua incazzatura… Sapendo poi che ero da Rice, so che non lo sopporti…”
“Tomo… io… ti amo, ti amo da impazzire…”
Fu forse la follia, che si impadroní dei suoi sensi, il profumo di Owen, il suo corpo piacevole e sensuale, continuava a ripeterselo mentalmente, mentre il suo sesso si muoveva dentro a Tomo, che lo stringeva a sé e lo baciava con tenerezza, cosí in contrasto con quello sfogo di poche ore prima.

Colin si stava vestendo per andare sul set.
Si era sbarbato completamente, tagliandosi.
Stava armeggiando con un cerotto, quando Claudine lo chiamó.
“Ciao fratellino, a che punto sei?” – domandó con gentilezza.
“Quasi fatto… potresti non rompere i coglioni tutte le mattine?!” – ringhió accartocciando la confezione band aid, per poi gettarla in un angolo.
“Stai calmo, qui stiamo lavorando dall’alba e…” – ma Farrell riattaccó bruscamente.
“Vaffanculo…” – sibiló, poi un’altra vibrazione, era un sms di Jude.
Colin sorrise leggendolo, poi provó a chiamarlo.
“Ciao… è un brutto momento?”
“Colin ciao… no, no, sono all’aeroporto, siamo in partenza per Tokio…”
“Siamo?”
“Sí, io e Robert, che ti saluta… una retrospettiva sui suoi film, poi lo premiano, credo con la pagoda d’oro ahahah smettila!! Mi sta prendendo a calci ahahahh”
Era bello sentirlo ridere, dava gioia con una naturalezza incredibile.
“Credo la meriti ahahahh… Ok, volevo… volevo ringraziarti per esserci sempre per me… in qualche modo…”
“Tu come stai?”
“Devo girare, tutto il giorno… sto qualche minuto con i bambini e poi vado, anche se l’aquila giá strepita…”
“Bella Claudine, ma sii piú mansueto con lei ahahahh”
“Non sono mica un cane! Beh… insomma…”
“Come ti descrivo io a Rob, direi piú un orsacchiottone…”
“Troppo buono mr Law… ok divertitevi… in tutti i sensi Jude…”
“Non mancheremo… Abbi cura di te, ciao Colin.”


Capitolo n. 22 – gold



Colin si fermó dal solito fiorista, per prendere un bouquet di roselline albicocca, per farsi perdonare da Claudine, che le adorava.
Mentre risaliva in auto, vide arrivare Shannon in moto, che accostó, sorridente.
“Hai di nuovo fatto disperare tua sorella?”
“Si vede?... Ciao Shan… bentornato.” – e lo abbracció.
“Ciao Colin… ti vedo bene, a parte il cerotto, che hai combinato?”
“Sono maldestro, anche con la lametta…Come sta Jared?” – domandó, senza nascondere una forte trepidazione.
“L’ho trovato smagrito… e… e molto triste, peró poi si è ripreso… con un po’ di coccole rassicuranti.”
“Era incazzato per le nostre telefonate?”
“Piú che altro era sconfortato, scoraggiato… crede molto in ció che sta facendo per quei bambini e per le persone dei quartieri che la fondazione assiste…”
“Hai… hai visto anche Glam?”
“No, da lui è andato Antonio e mi ha riferito la loro conversazione… in sostanza il giorno prima Geffen ha detto a Jared di tornare a casa da te… Non hanno litigato, peró Glam vede che Jared non sta bene, almeno questa è la deduzione che ha fatto Meliti…”
“Capisco, addirittura…Glam, in passato, è stato spesso corretto con me e con Jared...”
“In compenso un attimo dopo ha aggiunto che si è sentito morire al solo pensiero che Jared se ne andasse, anche perché sarebbe stato per sempre, questa volta.”
“Cosa… cosa devo dirti Shan?... Chi meglio di me puo’ saperlo, quindi perché biasimarlo?”
Shan abbassó la testa, poi rimise il casco – “Una buona notizia ci sarebbe… per il compleanno di Becki credo che Jared sará presente… manca poco, quindi incrociamo le dita Colin…”
“Vivró aspettando quel giorno, allora…A presto Shan e grazie… per tutto. Dove stai andando?”
“Ho un’intervista da Ketchup´s, colazione pagata, ci vediamo presto.”

Robert stava facendo un massaggio shiatsu a Jude, disteso su di un futon nero, circondati da incensi e candele accese, al riparo da occhi indiscreti, nel tepore di una saletta termale, all’interno di una Spa al centro di Tokio.
“Allora sono bravo?”
“Direi… di sí… da svenire…ma, forse tu hai trascurato un dettaglio Rob…”
“Quale?”
“Che sia il terapeuta che il paziente, devono essere nudi, perché si crea una sorta di cerchio continuo, dove l’energia e…”
“Ma che cazzo stai dicendo Jude? Ahahahhah”
“Ma è verooo!!!”
“Ne sono certo…” – ridacchió, mordendogli il lobo dell’orecchio destro.
“Questo mi piace Rob…”
“Voltati piccolo…cosí… continuo…”
Jude si mise supino, stringendolo a sé – “Tesoro me la dici una cosa?”
“Tutto quello che vuoi Jude…” – mormoró, senza mai smettere di baciarlo ovunque.
“Come mai non hai portato Susan? Ti farai il red carpet da solo e…”
“Fermo, fermo…” – sorrise – “Chi ha detto che ci andró da solo?”
“Ah mi devo travestire da geisha? Ahahah poi posso venire con te?”
Downey si alzó, prendendolo per le mani, portandolo nella vasca.
“Dobbiamo parlare di una scelta che ho fatto Jude e… e pur volendoti fare una sorpresa, non posso non discuterne con te prima…”
“Prima Robert… prima di cosa?” – domandó aggrottando la fronte, ma senza staccarsi dal suo petto.
“Davanti ai reporter alla conferenza stampa, voglio annunciare il mio divorzio da Susan.”
“Ma… ma che stai dicendo?”
“Vorrei averti al mio fianco, perché la motivazione principale, che voglio gridare al mondo intero è che lo sto facendo solo per il nostro amore.” – deglutí, fissandolo con quelle due chiazze di inchiostro, dove Jude si perdeva.

Quel locale conservava dei ricordi bellissimi per Shan, che nervosamente stava aspettando il giornalista, fortemente in ritardo.
Gli arrivó una telefonata: era lui, che si scusava, ma dovevano rimandare.
Shan imprecó sotto voce, ma poi decise di fermarsi a mangiare lo stesso.
Fece la propria ordinazione e poi andó in bagno, per lavarsi le mani.
Si stava specchiando, continuando ad avere un solo pensiero: confessare tutto a Tomo.
Era consapevole che avrebbe rovinato il loro rapporto, ma non poteva sopportare oltre quel senso di colpa.
Dividendolo con il compagno, forse sarebbero sopravvissuti a quell’incidente di percorso, a quell’assurditá.
Si lavó il viso, poi prese le salviette, sentendo la voce di qualcuno che stava entrando, parlando al telefono.
Quando la porta si spalancó, il suo cuore perse un battito.
Era Owen, che quando lo vide si bloccó ad un metro da lui, incapace di proseguire quella conversazione, soprattutto perché il cellulare voló direttamente dalla sua mano al lavabo, come se si fosse paralizzato.
“Dannazione! È nuovo…scusami…” – e lo riprese, facendo un passo in avanti.
Shan retrocesse, come se si trovasse davanti il diavolo in persona, ma non aveva paura di lui, ma solo di sé stesso e di quell’incontrollabile contrazione, che gli stava salendo dallo stomaco.
Era la stessa che si era impadronita di Owen.
“Shan…posso parlarti?”
“Vai a farti fottere…” – sibiló, ancora impietrito.
Rice lo afferró per le spalle, spingendolo nella toilette dietro di loro, sbarrandone l’uscita ed inchiodandolo al muro, ferendolo con lo sguardo e poi con la sua bocca, che Shan si ritrovó dappertutto, dalla fronte, al collo, al petto, sul quale scivoló, dopo avergli strappato la camicia – “Chi sei tu… chi… sei…?” – la voce di Owen era seduttiva, quanto il suo respiro.
Shan non riusciva a dire niente, percependo la reciproca eccitazione.
Di colpo Rice si fermó, stringendogli il viso, le loro labbra che si cercavano, tra una parola e l’altra – “Ho… ho una barca Shan… è … è solo sesso… te lo giuro… non faccio altro che pensarti, non ti chiedo coinvolgimenti, ma ti desidero da morire… da morire…” – ansimava e lo leccava, contraccambiato ed esaltato dai suoi tatuaggi, dai suoi muscoli frementi, abbronzati e sudati.
Era una visione magnifica.
Le braccia di Shan, rimaste fino a quel momento dimenticate lungo il suo corpo in subbuglio, ebbero uno scatto di ribellione, per respingerlo, ma era una lotta persa in partenza.
Si avvinghiarono maggiormente, togliendosi il respiro, finché Owen scivoló in ginocchio, aprendogli la cerniera dei jeans, per scenderli sino alle ginocchia e liberare l’erezione di Shan, che finí nella sua bocca, come se da ció dipendesse la sua stessa vita.
Alzó lo sguardo di ghiaccio, che si sciolse nella giada preziosa di Leto, che non riusciva a non guardare quanto quel tizio gli facesse perdere controllo e dignitá.
Era esperto, era capace di farlo urlare, succhiandolo fino all’estremo – “Il… il tuo sapore… mi è rimasto dentro…” – un singulto strozzato, un orgasmo devastante.
Shan voleva solo piangere, ma se ne vergognava: voleva picchiarlo o che se ne andasse semplicemente via, ma un quarto d’ora dopo, ricomposto alla meglio, si ritrovó rannicchiato sul sedile della Lamborghini di Owen, diretta al molo dov’era attraccato uno yacth da favola, pronto a salpare.


Capitolo n. 23 – gold



Come Glam Geffen riuscisse a fare certe cose, nessuno riusciva a scoprirlo, ma quel luna park fu allestito a tempo di record nel piazzale davanti alla fondazione e, per staccare i nasi dai vetri di tutti i piccoli, la cuoca dovette preparare una montagna di pizzette.
Tutti lo assalirono con grida di approvazione e risa, il che era il migliore riconoscimento ai sacrifici che stava facendo da mesi.
Jared lo guardava coccolare quegli occhioni e quelle infinite gioie, nel vedere rispettare la loro infanzia.
Lula era accucciolato sul petto di Glam, pasticciando la sua camicia con la salsa di pomodoro e le sue guance ispide, con una miriade di baci – “Daddy pungi!” – “Lo so, ora vado a sistemarmi Kevin…”
Il bimbo lo fissó, con aria interrogativa.
“Scusami Lula… ero soprappensiero…”
“Chi è Kevin?”
“Un giorno… un giorno lo conoscerai, è una persona molto speciale per me.” – disse sorridendo.
Jared era preso dalle foto e dai messaggi su twitter, dove aggiornava tutti con quella splendida novitá.

Kevin glielo diceva sempre, esortandolo a radersi, perché la pelle del suo viso era delicata, proprio come quella di un bimbo.
Glam si chiuse nel proprio studio, rileggendo l’ultimo sms. Kevin si sarebbe collegato entro cinque minuti: non poteva mancare a quell’appuntamento.
Lo disse comunque a Jared, prima di assentarsi e lui annuí, con un mezzo sorriso – “Stai tranquillo, oggi dovrei vedere i miei figli anch’io…”
Era sereno, anche se Colin gli aveva chiesto di partecipare e lui gli aveva scritto che ne sarebbe stato felice, ma la cosa lo turbava.

“Ciao daddy… che hai combinato?”
“Ciao Kevin, perdona lo spogliarello, ma devo cambiarmi, Lula mi ha bombardato…”
“Lula?... Il bambino?”
“Sí, lui… vedessi è cosí carino...”
“Ho visto le foto, state bene insieme…” – abbozzó un sorriso, ma si vedeva che era a disagio.
“Kevin come stai? Ti sento… strano…”
“Non è semplice stare qui…daddy potresti… potresti non mettertela… quella t-shirt intendo…”
“Certo...”
“Voglio solo… guardarti… e ricordarmi quanto ti desidero e ti voglio bene…”
“Kevin…”
“Sai, potresti adottarlo quel piccolo, magari… magari con Jared...” disse nervosamente, gli occhi pieni di lacrime.
“Se mai lo facessi, sarebbe con te e non con Jared.”
“Non voglio figli… sarei un pessimo genitore.”
“Tesoro cosa è successo?”
“Una brutta giornata, tutto qui…”
“Dove sei adesso?”
“A Los Angeles, ho un concerto stasera...” – accese le luci – “Vedi… sono a casa… a casa nostra… almeno lo era…”
“Kevin prendo un aereo subito se…”
“No!!! No… a cosa servirebbe?”
“Hai litigato con quel Chris?”
“No… cioè sí, non proprio… alle prove di oggi ho fatto pena… almeno quattro stecche…”
“Cosa posso fare per aiutarti?”
“Pagarmi un corso di recupero per bassisti imbranati…é… è questo posto, ho sbagliato a non godermi la suite prenotata dalla casa discografica, qui ci sono troppe tracce di noi…Lo sai che questa camicia era ancora nella lavatrice…e c’è il tuo profumo… il tuo odore… penserai che ci siano le piattole dentro, ma non è cosí…” – rise piano, asciugandosi la faccia arrossata.
“Ti sta solo un po’ grande… ma sei bellissimo, toglila per favore…”
Kevin lo fece, per poi schernirsi – “Ho… ho tanto freddo…” – si rannicchió, raccogliendo le gambe sul torace scolpito.
“Kevin … io ti voglio bene, io…”
“Vado alla End House, lí c’è Igor e poi Colin… mi dará una stanza per dormire…Non stare in pensiero per me, suono e poi ci vado direttamente, devo solo avvisarli.”
“Ok… fará piacere anche a Colin vederti.”
“Sí, due disperati sanno sempre cosa raccontarsi…Grazie per esserti collegato Glam…”
“Kevin…”
“Devo andare, mi dispiace… ti amo daddy, dai un bacio al tuo bambino…”
Il collegamento si interruppe, come quell’attimo di loro, cosí penoso, insopportabile.

La Deep Water non si allontanó molto dalla costa, ma sufficientemente per non essere importunati dalla Guardia Costiera o da altri natanti.
Quel gioiello poteva essere comandato anche da un solo uomo, anzi, neppure da quello, visti gli automatismi elettronici.
Infatti il solito equipaggio di quattro persone era rimasto a terra, mentre il proprietario li aveva avvisati, che avrebbe fatto un giro con un amico.
Owen Rice era il critico d’arte piú importante non solo di Los Angeles, ma di tutti gli Stati Uniti, cosa che Shannon non sapeva ed in fondo non gli importava.
Oltre ad essersi arricchito con quel lavoro poco faticoso, Owen proveniva da una famiglia britannica con tanto di blasone e posti a tavola alla corte della Regina.
Altro dettaglio di nessuna rilevanza per il fratello maggiore dei Leto, che in quel preciso istante aveva altro di cui occuparsi.
La bramosia e le richieste di essere posseduto come una sgualdrina, proprio da quel baronetto, perfetto in ogni particolare.
Owen aveva molta cura di sé, ineccepibile dalla testa ai piedi e completamente torbido al suo interno.
Le gambe aperte in modo volgare, cosí come le spinte di Shan, che gli stava facendo male.
Lo bloccava negli incavi sotto le ginocchia, le sue dita erano una morsa, il suo sesso una lama bollente e sudicia, cosí come i suoni che salivano dalla gola, irripetibili, nella futura memoria di Shan.
Avevano fatto un patto, mentre si spogliavano come ossessi – “Ti scoperó soltanto io, hai capito Rice? Tu non mi verrai mai dentro!” – sembró ringhiare quell’imposizione, che Owen assecondó subito.
Anche lui, peró, fece una richiesta – “Voglio piantartelo in gola, non dirmi di no Shan… non posso accettarlo…”- il suo petto si alzava ed abbassava come un mantice, mentre l’altro dava il suo assenso completo abbassandosi tra le sue gambe, per baciarlo senza altre esitazioni.
Shan era inarrestabile, virile e predominante: lo scopó tre volte, prima sul letto, poi su di un divanetto esterno, infine contro alla parete della cabina di pilotaggio, dove Owen cercó di dargli qualche rudimento di navigazione, ma in risposta ottenne soltanto un – “Non me ne frega un cazzo di queste stronzate…” – da Shan che lo cingeva da dietro.
Erano sempre nudi, sempre eccitati, sempre uno addosso all’altro.
Quando attraccarono, indossavano abiti nuovi, puliti e firmati, che Owen fece trovare a Shan, come regalo per la sua disponibilitá a dargli un “immenso piacere… tu mi hai sconvolto… farei qualsiasi cosa per te… vero che ti chiami anche Christopher?”
“È il mio secondo nome…”
“Posso… potrei chiamarti Chris…? Solo per me…”
“Va… va bene…”
“Grazie…”
Era meglio cosí.
Quella bestia senza anima non era lui, non era Shan, ma un altro, uno che non conosceva, Chris andava benissimo, ottimo alibi, per riuscire a sorridere a Tomo, mentre gli veniva incontro dalla cucina, con in braccio Josh, mentre faceva la doccia con lui, dopo avergli fatto l’amore, in fretta per non svegliare il piccolino, che si infilava nel lettone spesso, quando c’era un temporale.
Quella notte ne scoppió uno, che sembró mettere a ferro e fuoco il cielo sopra a Los Angeles.


Capitolo n. 24 – gold



Era solo un piccolo spiraglio di luce, che filtrava da alcune crepe di quel vecchio uscio, il legno era marcio in piú punti.
Si poteva sentire l’odore di muffa e di urina, sembrava che le lacrime scivolassero dai muri, intrisi di paura.
Un tonfo secco, una voce che rimbombava, ma le mani tappavano le orecchie quasi ermeticamente e la mente era invasa da una sola preghiera, che quell’incubo finisse in poche ore: “Kevin!!!”
Glam si sveglió si soprassalto, sudato e con il cuore in gola.
Di nuovo quell’orribile reminiscenza, che Kevin gli aveva raccontato poche volte, ma che gli leggeva in faccia ogni volta che andava via la corrente elettrica, durante i temporali o per un semplice guasto.
Il suo giovane compagno sussultava, precipitandosi tra le sue braccia, memore di quelle punizioni, in quello sgabuzzino maleodorante dell’orfanotrofio, dov’era cresciuto, prima che lo adottassero, ma con scarsa felicitá.
Dall’inferno ad un deserto di amara solitudine.
Pamela stava passando in corridoio e si precipitó a vedere se lui avesse bisogno di qualche cosa: “Glam… tutto a posto?”
“Pam… no… no, devo… devo uscire, fare due passi… scusami…”
“Vai da lui?” – domandó inarcando un sopracciglio.
Geffen non le diede risposta, indossando sopra ai boxer solo bermuda e maglietta, oltre alle scarpe da vela, ma solo per potere guidare.
Era poco salutare girare a piedi, anche se il quartiere dove aveva sistemato Pamela e le ragazze era piú che sicuro.

Igor scappó sotto al letto, mentre Kevin faceva la doccia.
Miss Wong gli aveva lasciato anche un ottimo spuntino di mezzanotte, con le cose che preferiva.
Colin si era raccomandato, lasciandogli un biglietto: § Ciao tesoro, buon appetito, se hai bisogno di me sai dove trovarmi, scusa se non ti aspetto alzato, ma domani devo essere sul set molto presto, ma ti aspetto a pranzo al ´S bar, se ti va. Ti abbraccio, Colin §
Lo lesse, distratto, peró, dai continui tuoni.
Provó a fare uscire il gatto, ma non ci fu verso.
Prese poi un pigiama leggero, lasciato lí insieme ad altri indumenti, suoi e di Glam, durante i frequenti soggiorni alla End House, soprattutto sotto alle feste.
Prese il cuscino, studiato apposta per la sua cervicale e si diresse verso la camera di Farrell.
Bussó piano.
Colin era solo addormentato a metá.
Bofonchió un “Avanti… è aperto…”
“Ciao Colin… potrei… potrei dormire qui con te?” – chiese con un’aria smarrita.
“Kevin… ciao…” – sorrise, accendendo l’abat-jour sul comodino, dove il bassista notó pastiglie ed acqua, pensando a dei sonniferi.
“Mi dispiace, ma…” – “Tranquillo… dai vieni, solo dammi un minuto che…” – aprí il cassetto e prese degli short ed un vogatore – “Sono nudo come un verme… non mi pare educato accoglierti cosí…” – rise in modo simpatico, ricambiato da Kevin, che gli diede le spalle – “Potevi anche guardare… sei proprio un cucciolo…” – mormoró sereno.
Colin sapeva dei traumi infantili di Kevin, ma non ne parlava mai con lui, al contrario di Jared, con il quale si confidava sempre, in passato.
Giá passato, remoto.
“Ok, a posto, sono presentabile.”
Kevin si fiondó sotto al piumone – “Grazie!... Come stai Colin?”
“Insomma…è dura… senza Jared…” – replicó, riportando la camera nella semi oscuritá.
“Sei… sei arrabbiato con Glam, vero?”
“Per cosa? No… cioè … Shannon è andato ad Haiti, con nonno Antonio… Ed a lui, Glam ha detto che aveva chiesto a Jared di tornare da me…”
“Davvero? Daddy ha… ma, non è servito, per ora…” – mormoró rassegnato.
“Credo proprio di no…Oggi dovevamo collegarci, ma il satellite era fuori uso, quindi domani pomeriggio proveró di nuovo…”
“Ok… dormiamo…”
“Buonanotte Kevin, riposati.”
“Notte Colin…” – sussurró, ancora spaventato dalla tempesta, che non sembrava volere smettere.
Farrell scrutó il suo zigomo tremante, quindi lo abbracció, tenendolo vicino a sé fino all’alba.

Quando Geffen entró nell’alloggio di Jared, lo ritrovó immerso in un sonno profondo, con addosso solo una delle sue camicie, dello stesso colore di quella trovata da Kevin nella casa di Los Angeles.
Entrambi volevano sentirselo sempre sulla pelle, il loro uomo rassicurante, forte, che non riuscivano mai ad odiare, per le sue scelte a volte discutibili.
In tutti quegli anni, Glam c’era sempre stato, sia per Kevin che per Jared, anche se in misura minore per quest’ultimo.
Era pronto ad accontentarli ed ad accudirli, in fondo la sostanza di quella lunga storia d’amore, che Glam portava avanti da quando li conosceva, era tutto ció che lui rappresentava ai loro occhi di bambini violati, maltrattati e delusi dagli adulti per tanto, troppo tempo.
In quel preciso momento, Geffen era sconvolto.
Sfioró la schiena di Jared, che si destó lentamente, arridendo alla sua presenza inaspettata – “Amore…ma cosa è successo?”
“Ciao piccolo… io… io non sapevo dove andare, se non qui con te…”
Si svestí e, dopo avergli tolto la casacca, lo invase di baci, di carezze, entrando ed uscendo da lui di continuo, dopo avere usato un gel, racchiuso nel dosatore sulla mensola, che faceva da testata, perché voleva che Jared traesse il meglio da quell’amplesso.
Era estasi pura, ma Glam chiudeva gli occhi, pensando che al posto suo ci fosse Kevin, il ricordo di lui impregnava la sua anima tormentata, gli sembrava di poterlo toccare, affondando la propria lingua tra le sue natiche sode, che le dita avvolgevano, gustavano, acuendo libido e spasmi, di tante immagini impresse nella memoria, quella riemergeva spesso, al solo concepirlo con la fantasia

Colin si sciacquó energicamente la faccia, poi si fece la barba, senza fare casini.
Era fiero di sé, per non averne fatti nemmeno con Kevin: sarebbe stato cosí facile approfittarsi di lui, anche se era convinto che gli avrebbe dato un bel pugno sui denti, se solo ci avesse provato.
Ammirava la sua fedeltá a Geffen, era una costante, che Kevin non avrebbe mai disatteso, Colin ne era convinto.
Lo lasció riposare, uscendo senza fare rumore.



Capitolo n. 25 – gold




Syria tolse gli ombrellini colorati dall’enorme coppa di gelato che le avevano appena portato, insieme ad una semplice macedonia per Glam, che la guardava divertito.
“È sufficiente per la tua voglia di gelato?”
“Sí signor Geffen…” – rispose arrossendo.
“Oddio ti conosco da tempo e mi chiami ancora signor Geffen? Glam andrebbe meglio…”
“Ok…” – sorrise – “Ma… che nome è Glam?”
“È un acronimo: i miei due nonni ed i due migliori amici di mio padre… George, Laurence, Andrew e Maurice…Cosí è venuto fuori questo Glam…”
“Interessante… che buono!”
“Sono felice che ti piaccia e di avere accettato l’invito.”
“Mi diceva… che aveva voglia di parlare Glam…”
“Sí e non potevo farlo con Jared…”
“Perché è di Jared che si tratta…?”
“Di lui e di Kevin, il mio… il mio compagno, insomma lo era, lo è e lo sará sempre, anche se non dovesse piú tornare da me o se … se con Jared avessi un futuro, ma su questo ho davvero dei dubbi…”
“Lei è sempre cosí solare… oggi la vedo triste, ha gli occhi preoccupati.”
“Hai ragione Syria, lo sono sia per Kevin che per Jared. Li amo piú della mia stessa vita, credo tu abbia capito come stanno le cose, ma se non ti vanno questi miei discorsi, basta che tu lo dica ed io smetto subito…” – sorrise.
“No, anzi… Non ho alcun pregiudizio e poi sono orgogliosa della sua fiducia.”
“Vero, ho fiducia in te, istintivamente. Anche se questo mio modo di fare a volte porta solo a dei guai.”
“Io credo che Jared ami ancora Colin… Ció nonostante ha un attaccamento a lei, che non saprei descrivere…” – disse con aria riflessiva.
“È questo che mi ha fatto innamorare di lui, questo suo modo di affidarsi a me… che poi è stato lo stesso modo di porsi di Kevin, ovviamente senza saperlo.”
“Loro due sono amici?”
“Sí, lo erano… adesso non lo so… anch’io ero amico con Colin… Lui ed io abbiamo fatto del male a Jared, ancora oggi mi chiedo come abbia fatto a perdonarci.”
“Jared ha un cuore grande… come lei, credo valga anche per Kevin… Glam io penso che lei tema di restare da solo e che viva alla giornata, perché è pronto a lasciare libero chi ama, ma quando succede non puó non soffrirne.”
Geffen si allungó sulla seggiola, sbuffando – “Kevin sta vivendo il suo sogno professionale, ha vent’anni meno di me e lui deve viverseli in libertá, senza doversi riunire a me per forza… Potrebbe anche perdere la testa per un’altra persona ed io ne sarei… stavo per dire felice, ma sarei un bugiardo, ne morirei… il mio cucciolo…”
“Jared è piú adulto, ma vedo che lo considera nello stesso modo…”
“Sí, è cosí fragile… spero solo di non deluderlo ulteriormente o forse… forse sarebbe l’unico modo per fargli riscoprire l’amore che lo lega a Farrell.”

Josh stava a bocca aperta davanti ai cartoni preferiti.
Shan guardava vecchie foto, tenendolo d’occhio, mentre Tomo stava scendendo dal suo studio creativo, ricavato in mansarda.
“Ehi cosa devi farti perdonare Shan?”
Lui ebbe un sussulto nel cuore – “Co… cosa?”
Tomo lo fissó – “Siamo fuori orario di quindici minuti, lo sai che la dose di tv per il bambino è di mezz’ora.” – aggiunse severamente.
Shan spense tutto, prendendo Josh in braccio – “Nostro figlio merita qualche strappo alla regola. È sempre cosí buono…” – replicó dapprima imbarazzato, poi arrabbiandosi.
“Deve fare il suo sonnellino, avanti…”
“Deve, deve, deve?! Non siamo mica in galera!” – sbottó, gli occhi lucidi, come quelli di Josh, che ebbe un leggero tremolio, poi nascose il faccino nel collo di Shan, impaurito.
“Amore non stiamo litigando, non è colpa tua…” – gli mormoró, deducendo le sue sensazioni.
“Ok Shan, hai sempre ragione tu.”
“No, adesso porto il piccolo nel lettone e poi parliamo.”
Lo fece, ma al suo ritorno Tomo era sparito.
Solo un messaggio al cellulare di Shan – “Faccio un giro, poi vado alla galleria Rice. Datti una calmata, a stasera.”
Shan si irritó, poi rispose d’impulso ad una chiamata improvvisa – “Dattela tu una calmata cazzo!!” – esplose.
“Chris… ciao, che ti prende?”
“Owen…scusami non ho guardato il visore…cosa vuoi?”
“Voglio… vorrei vederti…” – disse con voce calma.
“Non posso, sono da solo a casa con Josh e Tomo sta venendo da te.”
“Da me?”
“Sí insomma alla galleria…”
“Strano…non avevamo appuntamenti… forse con il mio staff. Comunque davvero non riesci a liberarti?”
“Porto il bimbo dal cugino a casa Farrell tra due ore, poi se vuoi… ok vediamoci, dimmi dove.”
“Perfetto. Ti mando l’indirizzo con la mappa via sms… è una casa…spero che non cambierai idea. Grazie.”
“Ti avviso, se dovesse accadere… ciao.”

“Ciao Jared…”
“Colin… ciao, tutto bene?”
“Sí, solo che… i bambini non ci sono oggi, per varie ragioni.”
“Vedo… non importa, parliamo un po’ noi, se ti va.”
“Ci speravo. Hai un… cioè… sei bellissimo, ma continui a dimagrire o sbaglio?” – disse timidamente.
“Ti sei tagliato?”- replicó fissandolo.
“Ma come l’hai visto?... Sí, la solita imbranataggine.”
“Ho perso solo tre chili da quando sono arrivato.”
“Solo tre?... Come mai?” – chiese inquieto.
“Il caldo, i turni…Ma sono in forma… Sono stato un po’ in crisi per le vaccinazioni.”
“Quelle sono necessarie…Ti ho mandato un file con le foto dei nostri bambini…Crescono a vista d’occhio…”
“Grazie Colin…” – poi abbassó lo sguardo, tirando sú dal naso.
“Io… io ti amo Jared…vorrei parlare di tutto con te, ma … l’unica cosa che sento è questa…”
“Colin…per il compleanno di Becki ci saró…”
“Non vedo l’ora di riabbracciarti…” – dicendolo, due lacrime precipitarono dai suoi occhi scuri.
“Anch’io ti amo Colin... ma non sono ancora pronto a restare...”
“Rispetteró i tuoi tempi…Non posso fare diversamente…” – rise nervoso, stringendo i pugni sotto alla scrivania, mentre le mani di Jared erano come pezzi di ghiaccio.

La parete era uno strano mosaico, retro illuminato da led rossi e verdi.
I riflessi disegnavano arabeschi sulle spalle di Shannon, premute contro la lastra tiepida al tatto.
La lingua di Owen sembrava scavargli dentro, le sue dita una morsa leggera, l’intenzione di bloccarlo era solo una finzione, come tutto nei loro incontri.
Shan lo afferró a propria volta, scambiandosi la posizione e voltandolo, pronto a penetrarlo con forza.
Owen grugní un insulto, perché non aveva avuto alcuna cura nel prepararlo, lui amava i preliminari – “Voglio…” una spinta –“… solo” – un’altra spinta – “Scoparti!” – la spinta che gli fece urlare l’ennesima imprecazione.
Shan lo buttó sul parquet, a carponi, prendendolo di nuovo, ancorandosi alle spalle di Owen, graffiandolo.
“Rovinami…” – ringhió Rice, un paradosso, quando era proprio lui ad avergli rovinato la vita.
Eppure Shan non era innocente e tanto meno succube.
Infatti era… semplicemente impazzito.
Uscí da lui con altrettanta cattiveria, per venirgli sulla schiena, mentre Owen si appiattiva, stravolto.
Ansimava e piangeva – “Che cazzo hai da frignare adesso?!”
Lui non rispose.
“Ma vaffanculo…!” – sbraitó Shan, cercando un bagno per farsi una doccia, prima di ricominciare.





COLIN FARRELL


JUDE LAW E ROBERT DOWNEY JUNIOR

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