One shot – Le cose che non ti ho detto mai
L’odore del sesso stava intossicando le narici di Holmes da più di tre ore.
Erano trascorsi sei mesi, dall’ultimo incontro con l’amico Watson: era stato in occasione del suo matrimonio, con la bella istitutrice, Mary.
Il viaggio di nozze, poche lettere, anche un telegramma, da parte del dottore, per sapere se il suo ex collega fosse ancora vivo, quasi uno scherzo, per celare i suoi veri sentimenti, di apprensione e rimpianto, per avere fatto scelte, di cui si pentiva ogni giorno.
Ora Watson era di nuovo lì, nel mezzo di una notte, che l’investigatore più spietatamente intelligente e cinico del Regno Unito aveva sognato e vissuto, ancora prima che avvenisse, in torbide fantasie, acuite dall’abuso di stupefacenti, dai quali non riusciva a staccarsi.
Era la quarta volta, almeno, che Holmes lo sentiva defluire, non con amore, ma solo con rabbia e frustrazione: “John … ti p-prego … adesso smettila …”
Un’insana richiesta, così Holmes l’avrebbe classificata, dopo tutta l’angoscia, la malinconia, il rimorso per non avere forse combattuto abbastanza per lui, ma era davvero al limite e non riconosceva in quelle iridi lastricate di ghiaccio, il suo amore più grande.
“Non posso … Sherlock … io non ci riesco … a fermarmi …”
Era come bloccato in lui, non voleva separarsene e glielo disse.
“Se potessi tenervi dentro di me, più di quanto già non accada da quando vi conosco, Watson …” – sospirò amaro, accarezzandogli i capelli e cercando la sua bocca, per un lungo bacio.
Il medico si morse il labbro inferiore, separandosi brusco e facendogli anche male: “Solo voi potete interporre la formalità dei pronomi personali, in momenti come questi!!”
“E tu mi stai ricambiando …” – sbottò nervoso, alzandosi da quel giaciglio consumato ed intriso dei loro umori.
Holmes respirò forte, cercando le parole adatte a non rovinare ulteriormente quel loro appuntamento clandestino: “Io … io ti amo oltre ogni sgradevole circostanza ci abbia allontanati … John ascoltami …” – ed avvolse i polsi dell’altro, nei suoi palmi tremolanti, per spossatezza e sconforto.
“Ascoltatemi voi, Holmes!” – e si allontanò brusco, bloccandosi al centro della stanza.
Si stava rivestendo e probabilmente anche Watson voleva usare dei termini chiari, per spiegare il proprio malessere e cercare una soluzione con l’unica persona, di cui gli importava veramente.
Un pianto copioso, si stava ribellando, precipitando dai suoi occhi al collo, dove Holmes aveva posato baci intensi, succhiando e suggendo anche la sua anima, per colmarsi di lui, prima di vederlo nuovamente sparire per un periodo ignoto.
Watson crollò in ginocchio, come se nella foga di superare il proprio tormento, si fosse svuotato della benché minima energia vitale.
Holmes si precipitò per assisterlo e confortarlo, avvolgendolo dapprima in una coperta morbida e poi nel suo abbraccio, assolutamente migliore di qualsiasi altro confortevole involucro.
“Salvami Sherlock … aiutami a rinascere … perdonami, perdonami …” – non ripeteva altro, in preda ad una febbre nervosa, che si protrasse sino all’alba.
Holmes era interdetto, nel formulare alcune ipotesi su cosa Watson avesse potuto fare credere alla moglie, per lasciarla la sera precedente e recarsi da lui.
Restava seduto al capezzale del suo compagno, altro termine non c’era per definirlo, in attesa che riprendesse il controllo di sé.
“John … John come mi devo comportare con Mary …? Potrebbe venire qui e …”
“Mandala via …” – biascicò, come annebbiato dall’alcol, che non aveva bevuto o stordito dalla morfina, che non aveva assunto.
Holmes non temeva di certo la sposa di Watson, semmai adorava sfidarla, osteggiarla, provocarla, anche se le era affezionato, pur non avendola più incontrata, dopo le nozze.
“Lei non è qui John … non ancora, almeno.” – disse ironico, ma nulla poteva ispirare divertimento in un frangente simile.
“Non … non l’ho più toccata … dal viaggio a Venezia …”
“La vostra luna di miele?!” – domandò Holmes stupito e Watson annuì, proseguendo in quella sorta di confessione – “Mary vuole un figlio … chi si sposa lo desidera … vero, amico mio?”
“Capita … è buona norma … va bene, la smetto con le buffonate! Certo che è una richiesta lecita, cosa vi aspettavate?”
“Nulla … nulla … cosa ci si puo’ aspettare da un baratro? Mentre si cade, sappiamo come andrà a finire Sherlock.”
“E questo non attutisce l’impatto, amore mio …” – si colmava i sensi di quei due semplici termini, che Holmes pensava creati apposta per loro.
“Ho sete …”
“Sì, certo, ho fatto portare del tè dalla nonnina.”
“Lei sa che sono qui?”
“Assolutamente … infatti ne ha preparato davvero poco, ma te lo lascio volentieri, mi sazierò nel vedertelo bere …” – e con la mano sollevò Watson per la nuca, aiutandolo nell’operazione – “E’ freddo, vero? Ma andrà benissimo, John …”
“Tutto mi è congeniale, quando siamo insieme Sherlock, anche le scomodità più assurde, i dilemmi intricati, il sonno arretrato …”
“Allora perché non hai sposato me?” – chiese con una durezza quasi in decodificabile, persino per Watson.
“Ma io l’ho fatto … appena ci siamo conosciuti …” - replicò, con un’innocenza nello sguardo e nel tono, disarmante.
“John …”
“E’ con te che ho fatto l’amore, per la prima autentica volta, Sherlock … le altre occasioni erano banali avventure, con ragazze, che davano sollievo a noi soldati, delusi ed affranti da guerre stupide … E’ in te che ho trovato un piacere sconosciuto, che rimane a darmi conforto, ogni volta che mi sento solo, dalla nostra separazione … E’ di te, che ho parlato a mio padre, descrivendoti come la persona migliore di questa terra, l’unico capace di darmi la gioia di vivere e … destinatario di ogni mio sentimento amorevole e passionale.”
“Co-cosa hai fatto John?!”
“Ciò che ti ho appena raccontato.” – e si erse su quell’affermazione decisa.
“Tuo padre …?”
“Sì, proprio lui!”
“John, la tua famiglia sa di noi?!”
“Non la mia famiglia, solo mio padre! Da uomo a uomo, quando l’ho affrontato, discernendo il mio passo verso il matrimonio, da quello che avrei voluto davvero compiere e cioè scegliere te! Eppure il quieto vivere imponeva un’unica strada ed io mi rimettevo all’infelicità più assurda, pure di mettere a tacere le loro lamentele, sul mio celibato, sulla mancanza di nipoti e tutte quelle … Oscene! Sì oscene aspettative, che avevano su di me, loro unico erede!”
La veemenza di quella confessione a cuore aperto, destabilizzò Holmes, ma mai quanto le lacrime, grevi e scintillanti, che gli apparivano come un ornamento estremo al volto di Watson, affascinante più che mai.
Appoggiò delicatamente le sue dita sulle clavicole di John, che si sfilò la vestaglia dell’amico, restando nudo e facendo lo stesso con lui, che era ormai scivolato alle costole dell’altro, con l’indice ed il medio, incerti e curiosi, nel segnarle, come ad imprimere su di esse tutto il suo compiacimento.
“Non mi accontento, sai? Ti pretendo Sherlock …” – e lo baciò irruente, portandoselo, con altrettanta veemenza tra le gambe, spingendo la propria fessura umida, verso il suo sesso turgido e bagnato, al solo pensiero di quanto sarebbe stato devastante possederlo, nel mezzo di una tensione emotiva ed erotica allo spasimo.
Un’energica spinta, suggellò il passaggio, tra un ieri ed un nuovo giorno.
Holmes fece presa persino sul bordo del materasso, per consumarsi al limite di ogni battito, nell’atto estremo di frantumarsi, colpendolo con virile bramosia, sollevandosi e permettendo a John di ingabbiarlo con le gambe solide, carpendo di contro il suo busto massiccio, che pareva debole in confronto al proprio, spasmodico nel contrarsi ad ogni affondo progressivo.
I gemiti reciproci, si rincorrevano nelle loro gole, incapaci di essere nitidi, per via di un bacio prolungato e caldo.
Al sopraggiungere dell’orgasmo, John si finì con una masturbazione compulsiva, facendosi spazio tra i loro ventri tesi e scolpiti, urlando al godimento di Sherlock, che sfogò qualsiasi parola, nel leccarlo e morderlo, sul mento, nel collo, sui capezzoli sporgenti.
“Mioddioooo JOHNNN JOHNNNN!!!” – riuscì unicamente a dire questo, singhiozzando per la gioia.
Fu consapevole, che solo la morte, avrebbe sedato il dolore, nel vederlo andare via: sarebbe di certo accaduto, era un epilogo noto al suo riluttante cuore, che aveva da sempre respinto ogni coinvolgimento terreno, ritenendolo persino debole e stupido, se paragonato al suo immane genio.
John aveva ridimensionato quella bruttura della sua anima, Holmes ne era convinto e gli era immensamente grato, per avergli insegnato ad amare, così come lo detestava, per non essere rimasto, per consentirgli di essere il suo tutto, completando un idillio, con il fascino del mistero, delle indagini, finanche del soprannaturale.
Watson non si mosse.
Lo stringeva sul petto, continuando a sfiorargli la schiena, baciandolo tra le ciocche corvine, rilassandosi in diversi accenni di sonno, che non riuscivano ad avere il sopravvento.
Stavano forse aspettando qualcosa, Holmes ne ebbe l’impressione o forse qualcuno.
La voce lungo le scale gli era nota: “Mary …”
“Sì Sherlock è lei. Non muoverti.”
“John, ma … ?!”
Pur essendo abituato agli imprevisti ed alle decisioni rapide, Holmes non si sottrasse a quelle ali sicure e determinate, neppure quando la donna spalancò la porta, trafiggendoli con il suo sguardo carico di disprezzo.
“Sapevo che ti avrei trovato qui …”
“Ed è qui che voglio rimanere, mia … cara.” – e l’ultimo vocabolo, suonò stonato e provocatorio ai presenti.
Mary inclinò la testa, non aveva mai smesso di puntare il suo rivale: Holmes preferì tacere, un miracolo, pensò Watson.
“Sapevo di uomini che giacevano contro natura e …” – “Smettila di fare la maestrina!” – tuonò il suo consorte.
“John …” – disse come straziata dalla verità, che non voleva ascoltare.
“Le cose che non ti ho detto mai, credo si siano rivelate in queste lunghe e penose settimane, Mary. Eppure so che non potevano essere sufficienti, se non completate da ciò che tu stai vedendo e da un mio discorso definitivo.”
“E’ quindi la tua … inclinazione depravata, questa!?”
“Sherlock non è un vizioso passatempo, anch’io ho incontrato uomini che per il gusto di provare sensazioni proibite, si dilettavano in rapporti omosessuali sotto le armi o nell’alta società … Sherlock è l’uomo che amo, capace di farmi stare bene con un semplice sorriso, di darmi la voglia di vivere con un bacio leggero su di una tempia, a tutti i nostri risvegli, prima che tu arrivassi nella mia vita … prima che io cadessi, convincendomi che per non perdere la stima di chi diceva di volermi bene, l’unica strada percorribile eri tu … Ed accorgermi, che di tutti questi cuori a metà, non mi importava nulla, visto che io per primo non importavo a loro, che non ambivano alla mia vera felicità, ma solo a colmare gli egoismi in cui stavano marcendo da troppo tempo.”
“Hai il mio biasimo … la mia pietà!!”
“Non so cosa farmene Mary. Sherlock mi ha donato il suo mondo, fatto di tanti e tali elementi, da risultare incomprensibile a chiunque, tranne che a me, che lo completo, nel sentirmi così amato da lui.”
Lei se ne andò.
Veloce e schiva, scomparendo nella nebbia, che calò improvvisa su Londra.
Il crepuscolo riportò la camera di Holmes nella tenue oscurità, addolcita da alcune candele, rimaste accese dal mattino.
Si erano assopiti, senza aggiungere altro, solo baciandosi, quando il loro guardarsi diventata una piccola parte di quel momento agognato e meraviglioso, che erano pronti a condividere, per sempre.
THE END
Nessun commento:
Posta un commento