domenica 11 marzo 2012

One shot – Fragili equilibri

One shot – Fragili equilibri



Pov Sherlock Holmes


Insonnia.
Ci combatto da quando John se n’è andato, per sposarsi.
Di sicuro non poteva vivere ancora nella sua stanza, ma forse cedendogli la mia e sfruttando il resto del piano, che nonnina ha affittato ad entrambi, al numero 221 di Backer Street, allora forse …
Che assurdità e poi io mi sarei dovuto accontentare dello sgabuzzino della padrona di casa, un’autentica idiozia, anche se per John …
Ripeto il suo nome, lo scarabocchio su di un foglio consumato e macchiato da qualche lacrima dispettosa, che ho asciugato febbrile, rimescolando la rabbia ai miei battiti, che si indeboliscono, dopo l’ennesima iniezione di morfina.
“John …” – sei talmente ovunque, che quando scivolo dal materasso al tappeto, credendo di volare, quasi mi sembri qui “John …”
Due palmi grandi, caldi, conosciuti, anzi amati, mi risollevano, facendomi stendere.
“La tua stupidità, Sherlock, è pari solo al tuo genio!” – ruggisci ed il profumo del tuo dopo barba mi intossica.
Mi appendo al tuo collo, ma poi le mie falangi, come in un delirio, ti strappano il panciotto e la camicia.
Le tue iridi fiammeggiano tra la sorpresa e l’urgenza di rendermi la pariglia.
La mia bocca collide con il tuo sterno, poi è indecisa tra il capezzolo sinistro ed il destro, così armeggia tra morsi, baci, risucchi osceni: è questa la mia pazzia più grande.
Drogarmi, distruggermi, desiderarti, volerti e … e perderti.
Sempre.
“John …”
Dio quale vergogna, io che non ho vergogna di niente, mi toglie il fiato, le forze, il coraggio di guardarti.
Mi rannicchio in posizione fetale e poi ti respingo, quando la tua bocca si posa gentile sulla mia nuca – “Sherlock calmati … calmati, sono qui adesso.”
Guizzò come una di quelle rane da laboratorio, tormentate anche dopo la morte, perché io lo sono da quando mi hai lasciato sai John?, Dio che patetico, altra vergogna, altro scherno ed autocommiserazione … Cosa sono diventato?
Anzi, come mi sono ridotto …?
Vorrei sfuggirti, quando invece ti appartengo più di prima.
“John … mi perdoni, sono stato …” – mi manca l’aria e quando voglio guadagnare la distanza riprendo a darti del lei.
“Vorrei soltanto chiederti una cosa Sherlock.” – la tua pacatezza è semplicemente irritante, ma il tuo viso, perfetto al mio cuore, come ogni dettaglio di te, mi impongono la massima attenzione.
Annuisco, azzerando quel minimo spazio, che già mi dava angoscia.
Ti abbraccio, lento, ti ascolterò, ma permettimi almeno questo John …
Eppure tu non mi respingeresti mai, lo dimostri avvolgendomi, baciandomi lento nel collo, sul mento gli zigomi, le tempie, infine scendi e le nostre bocche si esplorano, si riconoscono, si divorano.


Albeggia.
Ti ho avuto dentro così a lungo, da non capire quale sia la mia postura nel letto, dove mi stai stringendo, sudato ed ansante.
L’hai fatto ancora ed io ero sospeso in quello che percepivo come un sogno lussurioso, mentre invece eri tu che mi facevi l’amore, ancora e … ancora.
“John … cosa volevi chiedermi?”
Ti sento sorridere tra le mie scapole.
Mi giro con quel cipiglio, che tu adori, me lo dici sempre.
“John!”
Mi accarezzi il fianco e poi mi elargisci il bacio del buongiorno.
Io ti odio.
“Ti amo John.”
La mia mente corre al contrario, è il paradosso, che unicamente l’amore puo’ insegnarti.
“Ti amo anch’io Sherlock.”
Se non fossi così sincero, potrei odiarti sul serio.
Quindi prosegui ed esaudisci la mia curiosità.
“Equilibrio. Vorrei che ci impegnassimo a trovarne uno, perché le nostre strade sono all’apparenza divise, da qualche mese, ma la verità rimane quella che abbiamo scoperto insieme Sherlock.”
Vorrei urlarti che non sei stato capace di combattere per farla prevalere sulle tue paure, vorrei sbraitare fino a farmi sanguinare la gola, corrosa da troppi bocconi amari, da quando quella donna si è frapposta tra di noi John.
Scrollo le spalle, mi irrigidisco, la mia riluttanza trabocca da ogni sguardo, che vorrebbe essere amorevole, su di te, come d’abitudine.
“Non riesco a smettere di tornare da te, Sherlock, mi pare evidente.”
“E’ una battuta? Dovrei ridere?”
Cuore smetti di battere, affliggilo con il senso di colpa, per avermi spezzato ed ucciso, ma questo muscolo preferisce amarti John, anche lui mi tradisce e se ne infischia di ciò che provo.
Ti rialzi, ti rivesti, ti prepari a rientrare nella tua nuova residenza, non saprei con quale scusa, per giustificare una notte lontano dal talamo nuziale, ma i traditori diventano scaltri e la loro fantasia si acuisce in mille rivoli, come quelli che si diramano dalle latrine.
Così io divento fragile, in quell’equilibrio che ora pretendi John.
Mi trasformo nell’ombra di quell’uomo, che ti ha folgorato l’anima, rimodellandola e plasmandola, ma senza volerti cambiare assolutamente.
Sei migliorato semmai.
Nel frattempo, io andavo annullandomi, nell’armarti dapprima con spavalderia, poi con passione, benevolenza, affezione totali: io voglio te John Watson e riuscirei ad urlarlo alla buona società londinese, che ti ha reso schiavo: la prospettiva cambia, si rivolta, in fondo sei tu quello patetico.
“Sei un perdente John.”
La tua occhiata mi lacera, ma il mio orgoglio prevale.
Te ne vai, sbattendo la porta.
Vattene pure.
Vattene e basta, tanto so che tornerai, l’hai ammesso palesemente.
Riparleremo di equilibri?
I tuoi argomenti sono deboli ed inutili: vorrei conoscere il giorno in cui saprò chiuderti fuori, da questa casa, che era la nostra casa, dal mio letto, che era il nostro letto, dalla mia vita … che era l’unica vita capace di renderci felici John.
So che non esiste, quel giorno, che non sarò io a scriverlo, che non sarai tu a rincorrerlo, per nulla al mondo.

THE END




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