giovedì 22 settembre 2011

One shot - Eppure, sentire ...

One shot – Eppure, sentire …


Pov Sherlock Holmes


Sto toccando un punto di te, non per respingerti, ma per stabilire un vago contatto, almeno con la stoffa del tuo cappotto.
Pensi già tu, John, a tenere la distanza, tra noi.
“Credevo che lei non volesse più parlarmi Holmes.” – dici, dopo avere deglutito un paio di volte.
“Affatto. Porti i miei saluti alla sua signora … li estenda alla famiglia, alla sua famiglia. Alla vostra …” – sorrido, contemplando un punto preciso, un bottone per l’esattezza, per non dovere sopportare più il peso del tuo sguardo tremolante.
Perché piangi, proprio ora? Anzi, perché sei ad un passo per farlo, John?
Adesso che non serve più a niente.
Credo di avere vomitato tre volte, no quattro, dopo essere rincasato in solitudine a Backer Street.
Il banchetto delle tue nozze è stato sublime, ma non per il mio stomaco e la relativa sopportazione delle risa, dei canti, dei balli, della tua gelida ed imbarazzata forma di circostanza, che davi alle parole, alle occhiate, peraltro rare, al mio indirizzo.
Mi ero isolato, tanto lo so perfettamente che in molti mi trovano antipatico.
Di nessuno mi importa, John, a me importa … importava soltanto di te, lo sai.
Voglio impormi anche un passato remoto, nel verbalizzare il mio disagio, così da rassegnarmi a ciò che è inaccettabile al mio cuore.
E’ trascorso soltanto un mese ed eccoti ricomparire sul pontile, davanti al chip and fish, dove venivamo sempre.
“Sapevo di trovarla qui Holmes … prima o dopo … ci vengo tre volte al giorno.” – e ridi, con quel tuo modo unico di farlo, che mi fa desiderare di compiere una follia.
Afferro un tuo polso e ti trascino via.
“Holmes!!”

Fa freddo in questo posto dimenticato dal mondo e perfetto per noi.
“Il Tamigi … si è mai chiesto Watson cosa ne sarebbe stato di noi se fossimo stati, per esempio, due marinai?”
Ti siedi accanto a me: siamo in una rimessa di barche abbandonata, un luogo squallido e triste, come la mia attuale solitudine.
Polverose casse in legno, ci fanno da sedia, piuttosto scomoda.
“Cosa sta farneticando Holmes …?” – sospiri, fissando l’orizzonte.
“Oppure, che so, pescatori nel sud della Francia …”
“Insomma uomini di mare.”
“Il mare mi ridona serenità Watson … sì, è vero.” – dichiaro convinto, sottolineando la mia affermazione con un gesto di assenso, usando la mia testa pesante, per la carenza di riposo.
“Quella che io ti avrei tolto, Sherlock?”
Ti guardo.
“Non hai colpe John, davvero. Semmai … è dell’amore, la responsabilità di farmi soffrire al limite della sopportazione, ma anche questo serve a crescere, comprendere, assimilare la vita, nella sua durezza, in una disillusione senza scampo, su ciò che non potrò mai avere, stringere, conservare accanto a me …”
Tossisci, alzandoti ed io provo un fremito, nel terrore che tu vada via, annoiato o spaventato dai miei discorsi, non è essenziale la natura della tua reazione emotiva, ormai sono anestetizzato all’incessante bisogno di noi o almeno voglio crederlo fermamente.
“Mi dispiace Sherlock, non di essermi sposato od avere scelto un percorso più tranquillo … mesto, direi, al fianco di Mary, ma di vederti … affogare in questo disagio.”
“Lanciarmi una fune di salvataggio sarebbe quindi disdicevole?” – domando assorto.
“In che modo?” – mormori, poi ti inginocchi e mi afferri per le spalle – “Diventare amanti?? Vederci di nascosto?? Non ti riserverei mai una simile umiliazione … amor mio …” – e … e mi baci, improvviso, scontrandoti con i miei denti, che vorrebbero arridere alla tua iniziativa, poi ti insinui, mi sconvolgi i sensi, come questo calore, che si impadronisce di me ogni qualvolta che tu …
“John … John …”
Se ripeto il tuo nome, ora che sei qui con me, così come accade in tua assenza, nel buio della mia stanza, condannato unicamente a ricordare, a rimpiangere, a lottare con il supplizio per l’averti perduto … per sempre … in questa eco, forse tu rimarrai.
“John …”
I tuoi baci sono irruenti, lascivi, sempre più sporchi, in un anfratto, dove dormiva presumibilmente il custode di questo porcile.
Potremmo andare al Grand Hotel, avere una suite lussuosa, bere champagne, imboccarci di squisite libagioni, noci siriane, acini d’uva, passando poi a due calici di assenzio, succhiando la zolletta di zucchero, a vicenda, prima tu, per onorarti, poi io … lo ricordi il nostro ultimo capodanno John …?
“John …”
Sei dentro di me, che mi avvinghio ai tuoi fianchi, ormai ribelli, convulsi, frementi e caldi, come il tuo movimento forsennato e terribile, sì terribile, per quanto mi inebria, amplificato dalla risacca, sotto le travi su cui un pagliericcio ci accoglie, non fermo le mie preghiere affinchè tutto non si frantumi, scagliandoci nelle gelide acque del fiume, anche se …
Perire durante l’amplesso migliore, che mi stai donando, John …
“John … ti … ti prego … ti p-prego …”
Perdo anche il controllo della parola, perdo ogni seppure microscopico brandello di dignità, quando l’odore del sangue si mescola alla tua essenza, al nettare carnale, che mi invade, mi annienta, mi fa sentire … amato.
“Ti amo Sherlock … ti amo …”
Singhiozzi, ma sorridi, mi baci, mi mordi, confuso dall’orgasmo.
Rimani qui … non smontare questo incastro meraviglioso, che siamo noi, adesso.
Ti trattengo, per quanto possibile.
Ricominci.
E mi accarezzi tra le gambe: il mio sesso poteva anche aspettare oltre, ma ora ne avrai cura, come al solito John.
“John non è … possibile …”
“Cosa …?” – ansimi appiccicato al mio collo, poi alla mia fronte.
“E’ … ingiusto …”
Che siano scrupoli per la tua sposa?
Per il pubblico ludibrio, se a Londra si sapesse che …
Impossibile.
Ti porterei via, al sicuro, posso farlo, custodisco una discreta ricchezza, mentre tu, tesoro adorato, sei sempre stato avventato e poco attento alle tue finanze.
Quando hai scoperto il mio dono, un’autentica dote, ti sei commosso: “Holmes, ma non posso accettare … io …”
“Ne faccia buon uso Watson, questo assegno non è nulla in confronto al suo valore.”
Mary era ancora più incredula di te, ma io, dopo un costoso anello di fidanzamento per accogliere lei, nelle nostre esistenze, volevo completare la mia dimostrazione di affetto, consegnandoti quel denaro, magari per gli studi di un figlio, come se io fossi la tua … la tua famiglia John.

Andremmo in Italia od in Provenza, forse in Normandia, fosse un poco vero …

Ci rivestiamo, ormai è buio.
Siamo ladri del tempo altrui ed io mi sento come se Mary mi avesse fatto una cortesia, nel lasciarti libero quel pomeriggio, come di certo accadeva in ogni occasione, in cui mi eri venuto a cercare.
Sono imbarazzato ed ho la schiena a pezzi.
Sembri capirlo, da una mia smorfia, che mi affretto a nascondere, ma con te non serve.
“Vieni, sediamoci ancora un attimo …”
Mi accarezzi la schiena, creando un tepore confortevole.
“Ti voglio così bene Sherlock …” – il mio nome viene strappato da un rantolo in un vortice di pagliuzze, che esplodono dal tuo fiato, la temperatura si è abbassata ulteriormente.
“Torniamo a casa John … a … sì, ognuno a casa propria …” – strizzo le palpebre, vorrei ridere, come un pagliaccio, con la faccia disegnata di lacrime rivelatrici.
“Non finirà mai tra noi Sherlock … mai.”
Mi baci ancora.
Eppure, sentire che questa è l’unica verità accettabile, l’unica strada percorribile, per non impazzire senza di te, è come una condanna ai lavori forzati: potrei non sopravvivere.


La ricchezza del mio cuore è infinita come il mare,
così profondo il mio amore: più te ne do, più ne ho,
perché entrambi sono infiniti.

Richiudo il mio libro, William Shakespeare, un ottimo compagno di viaggio, su questo treno verso il nord.
Domani ti rivedrò John; non so con quale strategia hai convinto tua moglie a permetterti di raggiungermi per una consulenza medica, ad un caso intricato, dove realmente sono diretto, su incarico di sua maestà.
Quando c’è di mezzo la corona, il prestigio del tuo lavoro ammalia le ambizioni di chi ti tiene in ostaggio, mi pare di intendere.
Il cinismo acido non si addice alla trepidazione, quindi il primo si arrende, la seconda prevale, allo stesso modo il mio cuore, sul buon senso, troppo irragionevole, per dargli spazio nei giorni che verranno, insieme a te.


THE END


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