lunedì 27 giugno 2011

ONE SHOT - L'ILE DU SOLEIL - UN AN APRES

ONE SHOT - L'île du soleil - un an après

Cape d’Antibes – luglio 1956
Pov Robert Downey Junior


Stai dormendo.
Io mi crogiolo nei ricordi, seduto sul davanzale della camera azzurra, quella che i domestici chiamano « padronale », dandomi quasi fastidio, perchè ho sempre cercato di essere amichevole con chi mi aiuta a gestire questa residenza, che ha assunto i tuoi colori Jude, le abitudini ed il lavoro di fotografo, che ti ha portato un enorme successo negli ultimi mesi.
I tuoi amici inglesi, un tantino snob, dicono che il mio atteggiamento accondiscendente e confidenziale, è dovuto alle mie origini americane : sono soltanto una persona, che ha rispetto del genere umano altrettanto educato.
Così rifletto su alcune sciocchezze formali, mentre i tuoi occhi si schiudono, magnifici su di me.
« Buongiorno Robert … » - e mi tendi la mano sinistra, restando a pancia in giù, avvolto a malapena da un lenzuolo sgualcito di noi.
Dodici mesi di pura gioia, quelli che mi hai regalato Judsie.
Mi accendo una sigaretta – « Buongiorno amore … » - e sorrido.
« Spegnila … » - sussurri, insistendo nel gesto precedente di invito ad unirmi a te.
Getto la vestaglia sulla chaise long in damasco fiorentino e mi getto sul tuo sembiante abbronzato ; scoppi a ridere, soddisfatto per l’ennesima conquista.
Le tue iridi si illuminano : mi trattieni tra le gambe nervose, in un’assordante esortazione a possederti – « Non farmi aspettare Robert … ne morirei. »
Sbagli.
Sarei io a perire se tu mi lasciassi, adesso che sei diventato così irrinunciabile.
Sei caldo e bagnato : scivolo come un rivolo d’acqua, tra ciottoli e felci, di quelli che vedi sui sentieri di montagna : mi sento altrettanto puro insieme a te Jude, mio unico amore terreno.
Abbiamo corso verso Parigi, meno di un mese fa, a cercare due fedi adatte nel quartiere di Marais : appartenevano ad una coppia di sposi stranieri, che avevano scelto la capitale francese per coronare la loro unione, così come abbiamo deciso di fare noi, salendo a Notre dame, in una cerimonia silenziosa, fatta unicamente dai nostri sguardi innamorati.
Gli stessi che invadono anche i nostri respiri più reconditi ora, che raggiungiamo un apice sublime, il mio seme incontenibile, che incontra quella parte pulsante, che ti toglie ogni remora, facendoti gemere così forte da spaventarmi per intensità ed ardore : è come andarsene, in un viaggio spasmodico e colorato da milioni di sensazioni sconvolgenti.
Mi trattieni ancora, mi supplichi con sussulti soffocati nell’incavo del mio collo, stai godendo senza fine : mi esalti e mi confondi.
Sono nuovamente eccitato e riprendo la mia corsa, forse sto soltanto impazzendo o forse assaggio il vento, che taglia innocuo i nostri zigomi, mentre sfrecciamo verso la Costa azzurra, a bordo della nostra cabriolet, dopo avere celebrato il nostro incredibile amore.

La tua mostra ha raccolto parecchi consensi.
« Tesoro scendi con me ? » - chiedi sorridente.
« Faccio una telefonata ed arrivo Jude, scusami. »
« Qualche problema ? »
« Assolutamente. » - sorrido, sei estremamente premuroso.
« Hanno suonato … aspettavi qualcuno Rob ? »
« No … vai a vedere, ti raggiungo subito. »
« Ok, a dopo. »
All’orizzonte scorgo l’arrivo di un temporale.
Deve assomigliare a quello che sta per esplodere in giardino, lo scoprirò tra un attimo.
« Sienna … ? » - mormoro, riconoscendola, vestita Chanel, è bella e sinuosa, ma anche piuttosto nevrotica nei gesti.
Mi avvicino alla balaustra del terrazzo, dal quale posso avvertire lo scambio delle vostre battute.
Jude è agitato, le dita frementi sui gomiti, in un incrocio in segno di chiusura ed ostilità verso la donna, che lo ha ferito più di tutte.
« Cosa diavolo vuoi da me, Sienna ?! »
« Voglio salvarti ! A Londra sei lo zimbello della buona società, con questo tuo ridicolo rapporto con il tuo disgustoso amante americano ! »
« Tu sei pazza … sai cosa mi importa ? Un bel niente !! » - le urli, afferrandola per le spalle, come a scrollarle di dosso quel carico di ipocrisia, dal quale abbiamo preso le distanze da quando stiamo insieme.
Sembra tutto inutile.
« Non posso accettarlo, sai ? Io ti amo ancora Jude ! »
Il tempo sembra fermarsi : tu tremi.
Il tuo sguardo ha un’incertezza visibile al mio cuore.
La ami ancora, vero… ?
Hai dei rimpianti … probabile … o inverosimile dopo tutto quello che tu ed io …
Io non sono più nulla, da tre secondi interminabili ed assurdi.
La lasci, inconsapevole del mio dolore.
« Io amo Robert. Nessun altro. » - dici con la fermezza di un giglio screziato, in balia di quella brezza ormai lontana, che forse hai già dimenticato, di fronte alla dichiarazione di lei, che sembra prepararsi a sferrare il colpo di grazia.
« Ho ... abbiamo un figlio, Jude. Guardalo, è la tua immagine … la tua splendida immagine. » - e sorride, mostrandoti una foto.
« Co … cosa ?! Che stai dicendo … ?! » - la tua voce è un sussurro, i miei battiti una fievole reminescenza.
Il resto lo lascio ai bisbigli della servitù, come vengono apostrofati cameriere ed affini dai tuoi stimati conoscenti britannici.
Mi ritiro nella stanza dove abbiamo fatto l’amore stamattina, probabilmente per l’ultima volta.
Sicuramente, dopo questa verità.
Trascorre un tempo poco definibile in un inizio ed una fine, sulla quale sopraggiungi, con il respiro mozzato.
« Rob … ma sei qui allora. »
Sei confuso, affannato e stanco.
« Sì, mi hai trovato. »
Sono affranto, vinto e precipitato in una rinnovata solitudine.
Bevo un brandy e non siamo neppure all’ora di pranzo, sprofondando nella poltrona, ai piedi della quale spesso ti accovacci, appoggiando la tua testa dorata sulle mie ginocchia, in cerca di carezze, che mai ti ho negato, neppure quando mi narravi dei dissapori con la tua eterna fidanzata, Sienna appunto, lamentandoti di mille dettagli futili.
Quei momenti erano intrappolati nel passato e lì dovevano restare, senza cambiamenti, senza tutto questo, che adesso mi appare dissolto.
« Hai sentito … vero ? »
« L’essenziale Judsie. » - replico mesto.
« Non farlo Rob, non ubriacarti, ti supplico. » - e mi strappi il calice della sconfitta.
« Non è più importante … al momento i tuoi rimproveri sono un tedio insopportabile, come il sentimento che ti porti appresso da quando l’hai abbandonata, per di più incinta … » - il mio tono si va inasprendo, implacabile come soltanto io sapevo essere.
« E’ una farneticazione la tua … Io ne ero all’oscuro ! … Robert dovresti sostenermi ed invece … »
« INVECE COSA ? EH JUDE ?1 » - sono fuori di me, ma posso ancora peggiorare.
Stai tremando, piangendo senza remore.
« Rob … io ti amo, non farmi questo … »
« Questo cosa ? Sei tu a farneticare, annoiandomi a morte con questa capricciosa immaturità. Torna da lei, quello è il tuo posto ! »
Morte adesso prendimi, non mi resta che questo addio, a me stesso ed a Jude, che è pallido come un fantasma e vorrei lo fosse, impalpabile come un’illusione : quella che è stata la nostra storia.
E’ il dovuto sacrificio di fronte ad un innocente, che ti sta aspettando oltre la Manica, non posso agire altrimenti.

Sto fuggendo sulla nostra cadillac Deville : questa corsa non ha nulla di frizzante e spensierato, come il precedente.
Mi manchi.
Le tue risate argentine, le battute sul paesaggio, gli abitanti incuriositi di fronte alla nostra felicità Jude.
Dovrei scegliere un platano in questo viale, lungo il quale non smettevi di baciarmi, tanto da costringermi a fermare questo bolide, per non andare a sbattere, cosa che dovrei fare, per chiudere con questa esistenza inutile.
L’Oz è un club per soli uomini, non un bordello, ma un luogo proibito, che credevo di avere dimenticato.
Ci sono arrivato per inerzia, come al campanello in ottone dorato, che suono, come un automa.
« Mr Downey … ?! Che onore rivederla. »
« Armand … buonasera. »
« E’ solo ? »
« Sì come un cane. » - ridacchio, come inebetito dalla circostanza.
« Si accomodi. Vuole un massaggio ? »
« Sì … penso di sì. »
« Serge puo’ andare bene ? »
« Certo … Serge andrà alla perfezione. »

Il suo nome non era di sicuro quello.
Era magrebino, muscoloso, ma longilineo.
Aveva un sorriso candido, falangi sicure ed esperte.
La mia schiena era a pezzi, come tutto il resto di me.
L’ovvietà di certi tramonti sentimentali, penose agonie che avevo rifuggito sino ad incontrare Jude, era insopportabile quanto il mio umore.
« Io … io lo amo … »
Cosa potrebbe farci Serge ?, che viene distratto dalla mia rivelazione.
« Prego … ? » - accenna timoroso.
« No, non importa Serge, non smettere. »
Riprende con i suoi arabeschi sul mio dorso afflitto, ma viene interrotto per la seconda volta, dal vocio proveniente dal corridoio.
Come Jude si fosse ricordato di quel posto, sarebbe rimasto fuori dalla mia comprensione per l’eternità.
Irruppe in quel budoire di lusso, stravolto ed arrossato.
Era arrivato sino a lì in moto.
Era notte ormai, ma mai quanto dentro di noi.
« Jude … »
« Eccoti ! Perfetto … » - sibili, infilando la mano nella tasca del giubbotto.
« Jude vattene ! » - e mi sollevo, greve e dilaniato dai rimorsi.
« No … NOOO !!! » - estrai un revolver a me conosciuto.
« La mia Mauser … dove l’hai presa !? » - chiedo, mentre Serge si allontana di poco.
Hai chiuso a chiave, fermando l’uscio anche con una seggiola : « Non … non hai avuto alcuna pietà con me Rob … ora è il mio turno. »
« Jude cosa pretendevi ?! »
« Saluteremo questa vita insieme … » - singhiozzi, mentre il tuo indice freme sul grilletto.
« Non farlo … non serve … vuoi renderlo orfano ancora prima di conoscerlo ? » - mi sento inadeguato, nel fare un accenno di battuta sarcastica.
« Tu davvero non capisci Rob … »
« Hai ragione Judsie … ma non rovinare tutto … » - e provo a fare qualche passo verso di te, che dimostri arrendevolezza e stupore.
Imbriglio la canna dell’arma nel mio palmo sudato, te la tolgo e ti stringo forte.
« Ti amo Jude … ti amo da impazzire. »
Riesco solo a dirti questo, mentre Armand sfonda la porta, furente.
Serge fugge ed io cerco di rimediare – « Vorrei rimanere qui, è una questione di famiglia Armand, compenserò la tua comprensione, credimi. »
« Solo perchè è lei mr Downey. »
Gli sono grato, specialmente quando se ne va.
Sei in piedi davanti alla finestra, in accappatoio, dopo una doccia solitaria.
Il silenzio che ci divide è opprimente.
« Avevi ragione. Non avevo smesso di amarla, in un certo senso. »
« In quale senso Jude ? » - domando pervaso di incertezza.
« Ti ho offeso Robert, ti ho mentito forse … e tu mi hai voltato le spalle, nel momento in cui avevo più bisogno di te. »
« Hai ragione a rimproverarmi, ma … Jude questa situazione ha demolito le mie sicurezze, ciò che abbiamo costruito … »
« Ed io pensavo fosse intoccabile. » - dici con sottile severità.
Stento a comprendere cosa sarà di noi.
La distanza materiale, che ci separa, svanisce.
Baci il mio petto : « Tu credi nel perdono, Rob ? »
Potrei credere a qualsiasi cosa, se sei tu a chiederlo Jude : « Con te, sì. » - ribatto convinto.
Ti distacchi lento, andando verso la tua casacca in pelle, colore cuoio : peschi qualcosa e me lo passi.
« Ma questo è … tuo figlio … »
« Leggi sul retro, per favore Rob. »
Londra, 29 maggio 1956.
« E’ la sua data di nascita, Jude ? »
« Infatti. Lei è uscita dai miei giorni sul finire di giugno del 1955, l’hai dimenticato Robert ? »
In te non c’è astio, ma una complice constatazione di una rassicurante scoperta, peraltro immediata, emersa durante un secondo breve incontro con Sienna al suo albergo, dove l’avevi cercata, per dirle che non mi avresti mai lasciato per lei, anche se c’era di mezzo un bambino.
« Non esiste qualcuno o qualcosa, che potrebbe portarmi via da te Robert. » - sorridi ed io crollo, fortunatamente sul lascivo giaciglio, al quale mi ero appoggiato.
«Il padre si chiama Ewan … Mcgregor, un attore, un vecchio amico di infanzia, che non vedo da secoli, ma che era innamorato di Sienna dai tempi della scuola materna, suppongo.» - parli con serenità, come se quell’azzardo da parte di Sienna non fosse poi tanto grave ed hai ragione Jude, quando si ama si è pronti a combattere usando qualsiasi strategia.
«Te lo ha confessato lei?»
«Sì Robert.»
Ti siedi accanto a me, cingendomi le spalle, baciando i miei capelli.
«Il vero assassino qui resto io, sai Judsie …? Voi due avete combattuto con onore, provando delle emozioni pure, al contrario di me che …»
«Tu agivi per il mio bene e di questo bimbo.» - mi interrompi, con incantevole fermezza.
«Come … come si chiama?»
«Oliver. Come il cane di madame Axel!» - scoppi a ridere.
«No Dio … Jude, per favore!»
Ti appropri delle mie guance rigate di lacrime, assaggi la mia bocca, la divori.
Appoggiando la tua fronte alla mia, mi riveli il tuo pensiero: «Sei ancora il benefattore della Casa del fanciullo di Lione?»
«L’orfanotrofio …? Sì Jude, certo.»


Suzette.
Ha le mie ciocche scure, che scompigliamo divertiti dai suoi gorgheggi a bordo piscina, impaziente di farsi un bagno con te, che sembri averle donato le gemme celesti, con cui guardi il nostro mondo, anticonformista e solido.
Due anni e mezzo, rannicchiata in un angolo della mensa dell’istituto, dove siamo stati accolti con salamelecchi snervanti.
Sono unicamente lo «zio» milionario di questi angeli, che adulti incoscienti hanno gettato via.
Per lei, che ci ha scelto, noi siamo diventati due genitori inconsueti, ma partecipi ed attenti.


Vi immergete, mentre osservo ogni espressione, che colora i volti che più amo: «Guarda Suzette, papà non ha abbastanza caldo …» - e strofinate i vostri nasi.
Siete … Dio cosa siete, illuminati dal sole e da ciò che provo.
«Arrivo … noi siamo una cosa sola, giusto cucciola?»
«Sì papà.» - e ci unisci con queste piccole ed esili ali, più forti di qualunque avversità, alla quale non mi piegherò più, senza lottare.
Sino alla fine.

THE END


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