Capitolo n. 7 – life
Downey chiuse il
fascicolo di Peter, quindi scrutò Glam, seduto all’altro capo della scrivania.
Quell’apparente barriera,
tra loro, sembrava significare una sorta di circospetta analisi reciproca, su
come impostare il rapporto, che li avrebbe uniti da quella sera in poi.
“Un bambino
problematico” – esordì l’attore, compostamente.
Nella sua polo nera a
maniche corte, con il pizzetto curato, i capelli accorciati e tirati indietro
sui lati, Robert era incantevole.
Geffen lo osservava
da diversi minuti, adorando ogni frammento di lui, ogni movenza, anche minima.
“Sì, Miss Gramble era
disperata” – pure accennando un tono scherzoso, l’avvocato era piuttosto teso.
“Glam ti senti bene?”
“Sì amore” – bissò
netto.
Era vero.
Robert era l’amore.
Per lui e non solo.
Downey sorrise,
compiacendosi ad una profondità inattaccabile, su ciò che provava per Geffen.
“Siete così in
armonia, tu e Peter, che quasi non riesco a credere a questi paroloni
sull’incomunicabilità, sull’aggregazione … sull’appetito” – rise gioviale –
“Voleva anche il bis di spaghetti”
“Ci siamo aggrappati
l’uno all’altro, Rob, ci siamo … riconosciuti, credo, però questa cosa …
L’affido, intendo, questa esperienza, in cui mi sono buttato di testa”
“E di cuore” – lo interruppe
amorevole.
Geffen annuì,
commuovendosi – “Forse a me mancava Lula ed il vuoto che mi ritrovo dentro, da
quando se ne è andato via, potrebbe indurmi a sbagliare, ad illudere
quell’angelo, che ora sta dormendo al piano di sopra, sai?” – rivelò turbato.
“TU sei sempre stato
un padre eccezionale, con tutti i tuoi figli, tu sei il papà per eccellenza, con i tuoi sbagli, i tuoi eccessi, di
generosità o di ingenuità non importa, la tua spavalderia … Io sono Glam Geffen e sono tornato! Ho
perso un anno di vita, guardando quel telegiornale, credimi” – e rise più
pacato, totalmente complice.
“Quella era pura
scena” – si schernì, alzandosi per raggiungerlo, sollevarlo e stringerlo sul
cuore, non senza fissare quei pozzi di pece liquida, che lo avevano fatto
innamorare.
Perdutamente.
“Io ti amo, Robert
Downey jr, tu questo devi saperlo, anche adesso, che non so cosa fare davvero
della mia vita” – disse fermo.
Si baciarono.
Intersecandosi in un
groviglio di emozioni, ma anche di incertezze.
Avrebbero dovuto
parlarne ancora e se lo ripromisero, senza dirselo esplicitamente.
Vincent Lux era
appena arrivato e Geffen si disse pronto a riceverlo, staccandosi malvolentieri
dal suo Robert.
“Nessun problema,
salgo da Pepe, che ne pensi?” – mormorò Downey.
“Vi raggiungo appena
ho finito … Vincent non poteva aspettare domani mattina, al mio studio e non me
ne ha spiegato le ragioni, ma al telefono era davvero preoccupato”
“Mi eclisso” – e, con
serenità, Downey imboccò la scala sul fondo del living, vedendo la sagoma di
Lux oltre le vetrate chiuse della veranda, dove Glam raggiunse il francese, con
due bicchieri di vodka ghiacciata.
“Bentornato a Los
Angeles” – lo accolse con un sorriso.
“Glam … Ciao,
bentornato anche a te, sei in forma come non mai” – ed inspirò, prendendo il
bicchiere, dalle mani del legale.
“Tu, invece, mi
sembri uscito da un frullatore, senza offesa eh” – e rise, accomodandosi.
Vincent prese posto
accanto a lui, sopra ad un divanetto, davanti ad un tavolino basso, dove
l’affarista sparse alcune foto e ritagli di giornali, con aria rassegnata.
“E’ di questo che ti
volevo parlare Glam … E devo farlo subito.”
Jared gli riallacciò
la camicia in jeans, vecchia e logora, mentre Colin gli cingeva i fianchi
magri, stando appollaiato sulla lettiga dell’ambulatorio radiologico.
“Dio, ma quando la
butterai questa …?” – disse flebile il leader dei Mars, sentendo il profumo
caldo del marito, dalle tempie al collo, dove Farrell stava posando baci un po’
dispettosi.
L’irlandese si
sentiva meglio, dopo alcune fleboclisi, somministrategli a domicilio,
dall’equipe di Scott, ancora impegnato in un giro di visite urgenti.
“Penso mai, troppi
ricordi Jay … E tutti belli”
Si guardarono.
Leto sorrise,
annuendo – “Tutti, tutti? Sicuro?”
“Direi di sì” – e lo
abbracciò più forte, cullandolo – “Voglio andare a casa Jay”
“Tra poco, dopo che
avremo parlato con Scott”
“Tu come ti senti,
cucciolo?” – gli domandò dolce, senza separarsi da lui.
Quel corpo gracile,
che Jared si portava in giro dalla nascita, lo faceva sentire più al sicuro di
qualsiasi cosa al mondo.
Niente e nessuno era
stato in grado di dividerli.
Mai per davvero.
“Ho la testa un po’
leggera … Come ieri, ecco”
“Vuoi mangiare qualcosa?
A me andrebbe …”
“Magari più tardi,
Cole, ora non mi sento, forse per l’agitazione” – e rise nervoso, portandosi i
capelli ai lati: non li aveva più tagliati.
“Andrà tutto bene,
vedrai”
“Sì, sì, ovvio, non
può essere altrimenti …” – e sospirò, controllando per l’ennesima volta
l’orologio sul cellulare, dove la bustina dei messaggi lampeggiava da un pezzo.
Shannon gli aveva
inviato più di un messaggio, dopo l’ultima telefonata, dove aveva ritrovato il
fratello frustrato da quel continuo malessere e dall’angoscia per la salute di
Colin.
In fondo Jared non si
era mai perdonato il fatto di avergli procurato un ictus, anni prima, a causa
della propria fuga ad Haiti e la conseguente relazione con Geffen, anche se ne
parlava raramente insieme a Farrell, che non gli addossava, peraltro, alcuna
responsabilità.
Da quel momento,
però, l’irlandese aveva accusato spesso emicranie, debolezza, sbalzi di peso e
di umore, nonché una serie di problematiche, legate ai farmaci che mai aveva
smesso di assumere.
Una specie di
condanna a vita.
Una vita che loro
avevano esplorato, cadendo in baratri spaventosi e rinascendo, come arabe
fenici, il cui splendore non dava segni di decadimento alcuno.
Lux chiuse gli occhi,
liberando due lacrime, un istante dopo l’inizio del suo racconto.
“Un agente lo notò in
quel ristorante, dove Kirill aveva iniziato a lavorare: fu come una magia, sai
Glam, la tipica occasione da prendere al volo e lui non se la lasciò sfuggire,
anche su mia esortazione … Lo vedevo così felice, pronto a realizzarsi, con un
mestiere pulito …” – e riaprì le palpebre, sui propri specchi azzurri ed
intensi.
“Una carriera di
modello, quindi …”
“Sì, infatti …
Servizi di moda, sfilate, fece persino un provino per la pubblicità, ma lo
scartarono, poi lo richiamarono, ma non ci andò mai, su quel set … Era per una
bibita, una nuova compagnia araba o cinese, proposero un contratto interessante
e richiesero le visite di routine per l’assicurazione … Così le analisi” – e si
fermò, fissando il vuoto avanti a sé.
Geffen versò dell’altra
vodka, ascoltandolo con attenzione.
“Kirill le faceva
sempre, per quel mestiere che … Sì, ok, hai capito, però erano più di sei mesi
che non si sottoponeva al controllo di routine, nemmeno ci pensava, ma non
sarebbe servito a niente, saperlo prima … Aids, di tipo due, questa fu l’amara
scoperta, che ci piombò addosso a fine gennaio” – rivelò triste.
“Di tipo due?”
“In pochi minuti
imparai tutto su questo maledetto virus, perché a mia volta non sapevo ne
esistessero due: quello nuovo, fu
isolato almeno tre anni fa, quando dei medici di Atlanta non riuscirono a
guarire un loro paziente”
“Perché il tipo uno è
curabile, questo lo sapevo Vincent”
“Purtroppo Kirill
risultò positivo a quello letale ed ai primi di giugno se ne è andato, dopo un
calvario, che non auguro al mio peggiore nemico” – singhiozzò piano il
francese.
Geffen gli cinse le
spalle, mortificato.
“Mi dispiace … Potevi
… Potevi dirmelo, avrei fatto qualcosa, non so cosa …”
“Gli sono stato
vicino sino all’ultimo, Glam, lo tenevo come se fosse un bambino, era diventato
così gracile, inerme … Tornammo al nostro loft, quando Kirill capì che non c’era
più nulla da fare … Non voleva più essere tormentato, da aghi, siringhe,
persino le medicazioni lo infastidivano … E si vergognava, anche con me, che lo
lavavo e cambiavo …”
“Immagino quanto sia
stato devastante, ci sono passato anch’io ed è un’umiliazione continua Vincent …”
“Lo so, però stringevo
i denti, provavo ad infondergli un minimo di coraggio … Gli volevo così bene …
Così bene, che neppure riuscivo a spiegarglielo, perché Kirill mi aggrediva,
era arrabbiato, la sua bellezza era svanita, ma a me non importava un cazzo, io
lo amavo … Lo amavo e basta”
“Non ti devi
rimproverare nulla, Vincent”
L’affarista annuì,
tamponandosi le lacrime – “Un giorno Kirill mi ha detto delle cose … Le aveva
come rimosse, poi d’improvviso riemersero, come un brutto incubo: tu sai come è
arrivato nella nostra famiglia?”
“So di lui e Colin”
Appena lo disse, Glam
ebbe un sussulto, di lucidità e costernazione.
“Era il periodo
critico per te, Jared ti stava accanto, Colin era comprensivo, ma ha avuto un
cedimento e si è rivolto a quel bordello, dove Kirill si prostituiva … Era
prudente, non aveva mai combinato casini, ciò nonostante durante il loro primo
rapporto ci fu un imprevisto”
L’avvocato si prese
la faccia tra le mani sudate – “Mio Dio, Vincent, non dirmi che”
“Vorrei non fosse
così, ma il preservativo si ruppe e Colin non ebbe l’accortezza di usarne un
altro, andando avanti nel … Hai capito, non c’è bisogno di altri dettagli”
“Sì, d’accordo, però
non vuole dire per forza che Kirill lo abbia contagiato” – replicò Geffen
innervosendosi, al pensiero di Jared, esposto ad un rischio così grave.
“Kirill aveva
cancellato quel periodo, non voleva più pensare al suo passato e come
biasimarlo? Per quanto mi riguarda, sono risultato portatore sano, ma forse non
è accaduto niente di male a Farrell, però devo dirglielo, al più presto”
“Io non li vedo da un
pezzo, mi hanno escluso dalle loro esistenze, non so se ne sei a conoscenza”
“Louis mi scrisse una
e-mail e rimasi senza parole … Per te, per Lula … Mi si è spezzato il cuore,
per tuo figlio, Glam …”
Ormai Geffen sembrava
non ascoltarlo più: i suoi pensieri erano rivolti esclusivamente a Jared ed a
quella minaccia, che, come una spada di Damocle, pendeva su di lui, orrenda e
brutale.
Seppure temesse il
peggio, che sarebbe stato irreparabile, Glam doveva agire e doveva farlo subito.
Ad ogni costo.
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