lunedì 1 settembre 2014

LIFE - CAPITOLO N. 7

Capitolo n. 7 – life



Downey chiuse il fascicolo di Peter, quindi scrutò Glam, seduto all’altro capo della scrivania.

Quell’apparente barriera, tra loro, sembrava significare una sorta di circospetta analisi reciproca, su come impostare il rapporto, che li avrebbe uniti da quella sera in poi.

“Un bambino problematico” – esordì l’attore, compostamente.

Nella sua polo nera a maniche corte, con il pizzetto curato, i capelli accorciati e tirati indietro sui lati, Robert era incantevole.

Geffen lo osservava da diversi minuti, adorando ogni frammento di lui, ogni movenza, anche minima.

“Sì, Miss Gramble era disperata” – pure accennando un tono scherzoso, l’avvocato era piuttosto teso.

“Glam ti senti bene?”

“Sì amore” – bissò netto.

Era vero.
Robert era l’amore.
Per lui e non solo.

Downey sorrise, compiacendosi ad una profondità inattaccabile, su ciò che provava per Geffen.

“Siete così in armonia, tu e Peter, che quasi non riesco a credere a questi paroloni sull’incomunicabilità, sull’aggregazione … sull’appetito” – rise gioviale – “Voleva anche il bis di spaghetti”

“Ci siamo aggrappati l’uno all’altro, Rob, ci siamo … riconosciuti, credo, però questa cosa … L’affido, intendo, questa esperienza, in cui mi sono buttato di testa”

“E di cuore” – lo interruppe amorevole.

Geffen annuì, commuovendosi – “Forse a me mancava Lula ed il vuoto che mi ritrovo dentro, da quando se ne è andato via, potrebbe indurmi a sbagliare, ad illudere quell’angelo, che ora sta dormendo al piano di sopra, sai?” – rivelò turbato.

“TU sei sempre stato un padre eccezionale, con tutti i tuoi figli, tu sei il papà per eccellenza, con i tuoi sbagli, i tuoi eccessi, di generosità o di ingenuità non importa, la tua spavalderia … Io sono Glam Geffen e sono tornato! Ho perso un anno di vita, guardando quel telegiornale, credimi” – e rise più pacato, totalmente complice.

“Quella era pura scena” – si schernì, alzandosi per raggiungerlo, sollevarlo e stringerlo sul cuore, non senza fissare quei pozzi di pece liquida, che lo avevano fatto innamorare.

Perdutamente.

“Io ti amo, Robert Downey jr, tu questo devi saperlo, anche adesso, che non so cosa fare davvero della mia vita” – disse fermo.

Si baciarono.

Intersecandosi in un groviglio di emozioni, ma anche di incertezze.
Avrebbero dovuto parlarne ancora e se lo ripromisero, senza dirselo esplicitamente.

Vincent Lux era appena arrivato e Geffen si disse pronto a riceverlo, staccandosi malvolentieri dal suo Robert.

“Nessun problema, salgo da Pepe, che ne pensi?” – mormorò Downey.

“Vi raggiungo appena ho finito … Vincent non poteva aspettare domani mattina, al mio studio e non me ne ha spiegato le ragioni, ma al telefono era davvero preoccupato”

“Mi eclisso” – e, con serenità, Downey imboccò la scala sul fondo del living, vedendo la sagoma di Lux oltre le vetrate chiuse della veranda, dove Glam raggiunse il francese, con due bicchieri di vodka ghiacciata.


“Bentornato a Los Angeles” – lo accolse con un sorriso.

“Glam … Ciao, bentornato anche a te, sei in forma come non mai” – ed inspirò, prendendo il bicchiere, dalle mani del legale.

“Tu, invece, mi sembri uscito da un frullatore, senza offesa eh” – e rise, accomodandosi.

Vincent prese posto accanto a lui, sopra ad un divanetto, davanti ad un tavolino basso, dove l’affarista sparse alcune foto e ritagli di giornali, con aria rassegnata.

“E’ di questo che ti volevo parlare Glam … E devo farlo subito.”



Jared gli riallacciò la camicia in jeans, vecchia e logora, mentre Colin gli cingeva i fianchi magri, stando appollaiato sulla lettiga dell’ambulatorio radiologico.

“Dio, ma quando la butterai questa …?” – disse flebile il leader dei Mars, sentendo il profumo caldo del marito, dalle tempie al collo, dove Farrell stava posando baci un po’ dispettosi.

L’irlandese si sentiva meglio, dopo alcune fleboclisi, somministrategli a domicilio, dall’equipe di Scott, ancora impegnato in un giro di visite urgenti.

“Penso mai, troppi ricordi Jay … E tutti belli”

Si guardarono.

Leto sorrise, annuendo – “Tutti, tutti? Sicuro?”

“Direi di sì” – e lo abbracciò più forte, cullandolo – “Voglio andare a casa Jay”

“Tra poco, dopo che avremo parlato con Scott”

“Tu come ti senti, cucciolo?” – gli domandò dolce, senza separarsi da lui.

Quel corpo gracile, che Jared si portava in giro dalla nascita, lo faceva sentire più al sicuro di qualsiasi cosa al mondo.

Niente e nessuno era stato in grado di dividerli.
Mai per davvero.

“Ho la testa un po’ leggera … Come ieri, ecco”

“Vuoi mangiare qualcosa? A me andrebbe …”

“Magari più tardi, Cole, ora non mi sento, forse per l’agitazione” – e rise nervoso, portandosi i capelli ai lati: non li aveva più tagliati.

“Andrà tutto bene, vedrai”

“Sì, sì, ovvio, non può essere altrimenti …” – e sospirò, controllando per l’ennesima volta l’orologio sul cellulare, dove la bustina dei messaggi lampeggiava da un pezzo.

Shannon gli aveva inviato più di un messaggio, dopo l’ultima telefonata, dove aveva ritrovato il fratello frustrato da quel continuo malessere e dall’angoscia per la salute di Colin.

In fondo Jared non si era mai perdonato il fatto di avergli procurato un ictus, anni prima, a causa della propria fuga ad Haiti e la conseguente relazione con Geffen, anche se ne parlava raramente insieme a Farrell, che non gli addossava, peraltro, alcuna responsabilità.

Da quel momento, però, l’irlandese aveva accusato spesso emicranie, debolezza, sbalzi di peso e di umore, nonché una serie di problematiche, legate ai farmaci che mai aveva smesso di assumere.

Una specie di condanna a vita.
Una vita che loro avevano esplorato, cadendo in baratri spaventosi e rinascendo, come arabe fenici, il cui splendore non dava segni di decadimento alcuno.



Lux chiuse gli occhi, liberando due lacrime, un istante dopo l’inizio del suo racconto.

“Un agente lo notò in quel ristorante, dove Kirill aveva iniziato a lavorare: fu come una magia, sai Glam, la tipica occasione da prendere al volo e lui non se la lasciò sfuggire, anche su mia esortazione … Lo vedevo così felice, pronto a realizzarsi, con un mestiere pulito …” – e riaprì le palpebre, sui propri specchi azzurri ed intensi.

“Una carriera di modello, quindi …”

“Sì, infatti … Servizi di moda, sfilate, fece persino un provino per la pubblicità, ma lo scartarono, poi lo richiamarono, ma non ci andò mai, su quel set … Era per una bibita, una nuova compagnia araba o cinese, proposero un contratto interessante e richiesero le visite di routine per l’assicurazione … Così le analisi” – e si fermò, fissando il vuoto avanti a sé.

Geffen versò dell’altra vodka, ascoltandolo con attenzione.

“Kirill le faceva sempre, per quel mestiere che … Sì, ok, hai capito, però erano più di sei mesi che non si sottoponeva al controllo di routine, nemmeno ci pensava, ma non sarebbe servito a niente, saperlo prima … Aids, di tipo due, questa fu l’amara scoperta, che ci piombò addosso a fine gennaio” – rivelò triste.

“Di tipo due?”

“In pochi minuti imparai tutto su questo maledetto virus, perché a mia volta non sapevo ne esistessero due: quello nuovo, fu isolato almeno tre anni fa, quando dei medici di Atlanta non riuscirono a guarire un loro paziente”

“Perché il tipo uno è curabile, questo lo sapevo Vincent”

“Purtroppo Kirill risultò positivo a quello letale ed ai primi di giugno se ne è andato, dopo un calvario, che non auguro al mio peggiore nemico” – singhiozzò piano il francese.

Geffen gli cinse le spalle, mortificato.

“Mi dispiace … Potevi … Potevi dirmelo, avrei fatto qualcosa, non so cosa …”

“Gli sono stato vicino sino all’ultimo, Glam, lo tenevo come se fosse un bambino, era diventato così gracile, inerme … Tornammo al nostro loft, quando Kirill capì che non c’era più nulla da fare … Non voleva più essere tormentato, da aghi, siringhe, persino le medicazioni lo infastidivano … E si vergognava, anche con me, che lo lavavo e cambiavo …”

“Immagino quanto sia stato devastante, ci sono passato anch’io ed è un’umiliazione continua Vincent …”

“Lo so, però stringevo i denti, provavo ad infondergli un minimo di coraggio … Gli volevo così bene … Così bene, che neppure riuscivo a spiegarglielo, perché Kirill mi aggrediva, era arrabbiato, la sua bellezza era svanita, ma a me non importava un cazzo, io lo amavo … Lo amavo e basta”

“Non ti devi rimproverare nulla, Vincent”

L’affarista annuì, tamponandosi le lacrime – “Un giorno Kirill mi ha detto delle cose … Le aveva come rimosse, poi d’improvviso riemersero, come un brutto incubo: tu sai come è arrivato nella nostra famiglia?”

“So di lui e Colin”

Appena lo disse, Glam ebbe un sussulto, di lucidità e costernazione.

“Era il periodo critico per te, Jared ti stava accanto, Colin era comprensivo, ma ha avuto un cedimento e si è rivolto a quel bordello, dove Kirill si prostituiva … Era prudente, non aveva mai combinato casini, ciò nonostante durante il loro primo rapporto ci fu un imprevisto”

L’avvocato si prese la faccia tra le mani sudate – “Mio Dio, Vincent, non dirmi che”

“Vorrei non fosse così, ma il preservativo si ruppe e Colin non ebbe l’accortezza di usarne un altro, andando avanti nel … Hai capito, non c’è bisogno di altri dettagli”

“Sì, d’accordo, però non vuole dire per forza che Kirill lo abbia contagiato” – replicò Geffen innervosendosi, al pensiero di Jared, esposto ad un rischio così grave.

“Kirill aveva cancellato quel periodo, non voleva più pensare al suo passato e come biasimarlo? Per quanto mi riguarda, sono risultato portatore sano, ma forse non è accaduto niente di male a Farrell, però devo dirglielo, al più presto”

“Io non li vedo da un pezzo, mi hanno escluso dalle loro esistenze, non so se ne sei a conoscenza”

“Louis mi scrisse una e-mail e rimasi senza parole … Per te, per Lula … Mi si è spezzato il cuore, per tuo figlio, Glam …”

Ormai Geffen sembrava non ascoltarlo più: i suoi pensieri erano rivolti esclusivamente a Jared ed a quella minaccia, che, come una spada di Damocle, pendeva su di lui, orrenda e brutale.

Seppure temesse il peggio, che sarebbe stato irreparabile, Glam doveva agire e doveva farlo subito.

Ad ogni costo.








Nessun commento:

Posta un commento