mercoledì 17 settembre 2014

LIFE - CAPITOLO N. 20

Capitolo n. 20 – life



Le pesche sulla mensola della nursery, Peter sul tappeto musicale, assecondato da Colin e Tomo, mentre Shan mostrava al bimbo, divertito da quegli adulti mai cresciuti, come si usava la batteria in miniatura, a disposizione tra i numerosi giochi.

Geffen guardava la scena, fermo sulla soglia.

Contemplava quel frammento di serenità, come se non fosse successo niente di male.

A nessuno.

Lula non era morto, Jared non era malato, Kirill era ancora vivo a New York, tra le braccia di Vincent.

Sarebbe stato bello.

Invece era tutto il contrario.

Tranne quella scena, ad un paio di metri da lui, il cui cuore galleggiava in un oceano di sensazioni, contrastanti e pure.

Prese il telefono, digitò un numero a memoria e chiuse la porta, spostandosi nel corridoio, verso le finestre.

Là fuori le vette stavano immobili, non potevano fare altro.

Lui, al contrario, poteva tutto.

“Sì, pronto”

La voce di Downey era stupita, perché il nome di Glam, associato ad un suo primo piano sorridente, che risaltava, come i suoi occhi, sulla camicia blu cobalto, dallo schermo del suo portatile, lo avevano fatto sobbalzare, mentre consumava un pasto leggero, nel suo alloggio disadorno.

“Robert io ti amo”

Gli disse solo questo, poi riattaccò, dopo una breve pausa di reciproco silenzio, facendo un respiro profondo.




Fermi in auto, fuori la pioggia.

Mark ripiegò il referto, sereno in volto.

“Una semplice infiammazione muscolare”

“Causata dal vaccino, per le mie allergie primaverili, lo so” – Niall sbuffò – “Se me ne fossi ricordato, c’era anche scritto tra gli effetti collaterali”

Ruffalo lo abbracciò – “Fa niente, ora siamo più tranquilli” – lo rassicurò.

“Dormiremo meglio stanotte” – rise – “Non so dove … Io non ci torno dal mio socio, ormai la sua ragazza si sarà sistemata e vorranno rimanere soli”

“Già … Anch’io non ho molto da offrirti, sto cercando casa: l’università mi ha dato una stanza all’ostello, per cui … Comunque ho visto un paio di posticini interessanti”

“Davvero?” – replicò un po’ teso, giocherellando con un portachiavi.

“Domani ho giusto un appuntamento con il tizio dell’agenzia …” – ed anche Ruffalo scrutò il buio, frammentato dalla pioggia sul parabrezza.

“In università, una stanza, come mai?”

“Mi hanno offerto un lavoro lì”

“Credevo andassi alla Foster”

“Anche in clinica ho un contratto da firmare, però la cattedra di Psichiatria generale mi lusinga un po’ di più … Sì, insomma”

“Potremmo vederci tutti i giorni” – lo interruppe Niall, sorridendo limpido.

“Io speravo anche tutte le notti” – ribatté avvampando l’uomo.

Il ragazzino gli volò tra le braccia, tremando – “Mi vuoi davvero così tanto nella tua vita, Mark?”

Si guardarono, intensi e sul punto di commuoversi entrambi, per quanto erano emozionati.

Ruffalo annuì, spargendo poi baci a scatto, ovunque sul visino di Horan, che gli sembrò ancora più tenero, nella sua disarmante innocenza.

“Vieni a vivere con me Niall … Vieni con me” – gli mormorò nel collo, sulla bocca, sprofondandoci nuovamente, in crisi di ossigeno.

Quel bacio, divenne il migliore, che Mark potesse ambire.




Il dottor Fisher gli passò gli indumenti sterili, con un sorriso.

“La sua ripresa, Mr. Geffen, ha dell’incredibile, sa?”

“Me lo dicono tutti …”

“Sembra persino più giovane, ma come ha fatto?”

“E’ stato un miracolo … Le persone che mi amavano, hanno pregato molto” – rispose distratto dalla visione di Jared, profondamente addormentato.

“Mr. Leto ha quasi terminato il ciclo: il sangue, che ora ha in circolo, è nuovo e sano, nonché arricchito di elementi barriera, contro il virus” – spiegò serio.

“Come lo debellerete?”

“Ci penserà Mason, con il protocollo previsto per l’Aids di tipo uno: finora ha dato ottimi risultati, con una percentuale del novantotto per cento di guarigioni”

“Ed il due per cento, come mai non ce l’ha fatta?” – chiese inquieto.

“Organismi deboli … Compromessi da malattie pregresse, magari curate superficialmente … Ma Mr. Leto”

“Si, lui ce la farà” – bissò secco Geffen fissandolo – “Ora mi scusi, ma devo andare da Jared.




La bocca era come un fiore.
La bocca di Zayn, lo era.

Schiusa e umida di rugiada.
Quella che stillò dal corpo di Liam, dal suo sesso turgido e vibrante nel suo palmo, tra le sue dita madide.

Confinati in un angolo, poco distante dal letto, il sembiante di Malik, seduto ed addossato alla tappezzeria da rimuovere e quello di Payne, inginocchiato e proteso verso il compagno, ansante ed avido di ulteriori attenzioni.

Liam ansimò qualche parola, che Zayn non comprese bene.

Il primo si alzò, dirigendosi verso il bagno – “Dammi un secondo … Mi … mi stai distruggendo Zee”

Malik ridacchiò, anche per quel nomignolo, che Liam aveva preso ad usare da qualche giorno.

Liam che frugò velocemente in un sacchetto, una custodia per rasoi, praticamente nascosta tra la biancheria, nello scomparto più alto, dell’armadio a muro.

Ne estrasse una boccetta di polverina bianca.

Gli bastò una pista, per riprendere forze e grinta.

Quella che gli era sempre mancata, nella vita.




Le sue mani si posarono sul suo braccio sinistro, con delicatezza.

“Glam …”

Anche ad occhi chiusi, Jared era in grado di riconoscere quel tocco.

Era ampio, caldo, confortevole.

Era il padre, che lui voleva ancora.

“Ciao piccolo, non stancarti”

Cinquant’anni, ma, per Geffen, era sempre un bambino, quel Jared Joseph Leto, capace di spezzargli il cuore.

Un cuore di carta.

Il cantante inclinò il capo, verso di lui, così lo sguardo.

“Sei ancora arrabbiato con me?” – e gli sorrise lieve.

“No, tesoro, solo con me stesso e tu questo lo sai” – inspirò – “E’ difficile ingannarti”

“Tu non l’hai mai fatto Glam …” – respirava a fatica.

“Ora devi rilassarti e”

“No, no, devo dirti una cosa … Ci pensavo all’alba … Ho capito che era di nuovo giorno” – esitò, volgendosi verso le vetrate, per guardare la splendida giornata di sole all’esterno della clinica.

Quindi tornò ad osservare Geffen.

“Noi vedi, commettiamo un errore fondamentale … Noi deboli, intendo, ma non voglio essere commiserato …”

“Non sono qui per questo, Jay” – sorrise triste.

“Dicevo che … io con Colin ho … ho fatto tanti sbagli e lui mi ha ricambiato procurandomi spesso un dolore ingestibile, finché non veniva metabolizzato da … da questo idiota, a cui tu, ora, tieni la mano”

“Tu lo ami, non serve altro ad ognuno di noi, per accettare chi si desidera veramente e tu vuoi Colin, lo vuoi da tutta una vita … E non è un errore Jared, non pensarlo nemmeno”

“Voglio chi mi fa male, come se avesse lasciato un segno ed è … come un’ossessione Glam … Chi mi ha fatto del bene, invece, è come se non esistesse, come se … fosse dato per scontato …”

“E quando se ne va, allora te ne accorgi” – rise malinconico – “Oh sì, conosco questa storia, l’ho vissuta con Kevin, se ho capito il tuo discorso … Il tuo dilemma” – sospirò pacato.

“Ti amo Glam”

“Lo so”

“Allora come mai non riesco a” – tossì.

“Stai un po’ zitto” – Geffen sorrise – “Stai un po’ zitto …” – volle ripeterlo, quasi impercettibile, scendendo a baciargli il polso, da dietro la mascherina sterile.

Jared si era assopito di nuovo.

Un ticchettio attirò l’attenzione di Glam.

Era Pepe, oltre il vetro, che stava bussando leggero, in braccio a Colin, che gli stava sorridendo con gratitudine.

Di lì a poco sopraggiunsero Kevin e Tim, che accolsero immediati Peter tra le loro braccia, portandogli dei doni a sorpresa.

Geffen si unì a loro, salutandoli con gioia.

Shannon e Tomo rientrarono da Jared, lasciando gli altri nella saletta per i visitatori, insieme a Pepe, entusiasta per i regali ed i sorrisi di quei nuovi zii.


“Venite, vi porto a pranzo, così parliamo un po’” – propose l’avvocato – “Colin ti aggreghi, vero?”

“Sì … Ok Glam, non ho nemmeno fatto colazione … Jay si è persino arrabbiato”

“E’ incredibile quanto si preoccupi del prossimo, quando è lui ad essere in difficoltà, ma, diversamente, non sarebbe Jared” – replicò calmo.

“Già … Allora andiamo?”

Kevin e Tim presero le manine di Peter, sollevandolo, come se fosse su di un altalena.

“Papi guarda, so volare!!” – esclamò solare il bimbo, prima di salire in ascensore.

Sì, lui sapeva volare.









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