Capitolo n. 23 – life
Jared gli spostò il
ciuffo di capelli, che gli copriva la fronte spaziosa.
Tim sorrise timido.
Si erano sistemati su
uno degli ampi davanzali della mansarda, in legno e seduta imbottita, nei
colori scozzesi del rosso, verde e giallo, con tanto di cuscini attorno, a
rallegrare quell’angolo dello chalet di Geffen.
“Tesoro, credo che il
periodo di crisi per Kevin non sia ancora del tutto superato, ma non devi
demoralizzarti, assolutamente, ok?” – esordì dolce il cantante.
Il giovane lo stava
fissando, gli opali argentei lucidi – “Non è semplice, ma io lo amo abbastanza
per riuscirci, ne sono certo”
“Bene” – Leto sorrise.
“Vorrei poterne
parlare anche con Glam, però ho paura di incazzarmi, per Lula, per non avermelo
detto di Haiti, della sua” – e si morse le labbra, abbassando la testa.
“Invece dovresti
farlo, sai Tim? Glam ha le spalle abbastanza larghe per sentirsi urlare dietro
ancora un po’ di improperi” – provò a scherzare, ma sino ad un certo punto.
Jared pensava,
infatti, che Tim avesse pieno diritto a sfogarsi, con il responsabile di quell’incredibile,
anche se giustificata menzogna.
Kevin si inabissò nel
cuscino, la fronte madida.
“Non ti senti bene?” –
gli domandò pacato l’ex marito, accarezzandogli i capelli.
“No Glam, ho caldo …
Sono gli antidepressivi, quelli che mi ha prescritto Hugh, hanno strani effetti
collaterali” – e si alzò, togliendosi gli abiti lentamente, impacciato e
confuso – “De devo farmi una doccia” – balbettò, mentre l’altro lo reggeva.
“Ehi calmati, ora
provvediamo” – replicò incerto Geffen, accompagnandolo in bagno.
“Ce la faccio …” –
ormai era nudo ed in piedi nel box.
Glam aprì i getti,
accostando i pannelli scorrevoli – “Io resto qui, ok? Vuoi comunque che cerchi
Tim?”
“No, no, faccio in un
secondo … Grazie …”
“Laurie non poteva
evitare?” – chiese un po’ brusco, riflettendo su quell’affermazione del
bassista.
“Non riesco a dormire
se non prendo qualcosa … E’ una dose minima, non allarmarti” – sorrise, anche
un po’ compiaciuto.
Le premure di Geffen
gli erano sempre così pericolosamente care.
“Un buon bicchiere di
vino rosso, su di una porzione di spaghetti abbondanti, concilia il sonno
meglio di qualunque pasticca del cavolo … Chiedi a Pepe!” – e rise.
“Pepe beve già alla
sua età?” – risero insieme.
“Ma no, dai … Va
matto per la pasta in compenso ed a volte russa”
“Dorme con te” –
Kevin riaprì le ante in acciaio e vetro temprato – “Come faceva soldino?” –
domandò lieve, ma con un sorriso, perso nei ricordi.
“Sì Kevin … Sì” – e lo
avvolse in un telo, abbracciandolo con dolcezza.
Si guardarono, per
poi scivolare in un bacio umido e caldissimo.
Geffen vi si staccò,
con un forte ed imbarazzante batticuore.
“Non è …”
“Lo so Glam, mi è
capitato anche con Jay”
“Cosa?”
“Quando ero in rotta
con Tim, siamo usciti un giorno, mi ha trascinato fuori dal mio antro oscuro …”
– e si diresse alla sedia, dove c’erano piegate una tuta ed una t-shirt.
Li indossò.
“E vi siete baciati,
Kevin?”
“Infatti” – inspirò –
“Con Jay non ho mai smesso davvero di fare stronzate, ma non pensare male ok?”
“Il mio timore,
adesso, sarebbe unicamente legato alla sua malattia Kevin” – sbottò teso.
“Dio no, non ci sono
più andato a … No, no, io sto bene, ho fatto le analisi il mese scorso, per un
checkup e sono a posto daddy.” – prese fiato – “Tu piuttosto?”
“Io cosa?!”
“Hai fatto l’amore
con ognuno di noi, durante gli ultimi mesi della tua malattia”
“Jared non mi ha
contagiato, se è questo che pensi … Come hai fatto tu, a mia volta sono rimasto
sotto controllo sino al mese scorso e mai hanno rilevato infezioni, anzi”
“Sì, stai una favola,
non c’è dubbio” – e scosse il capo, tornando in camera.
Geffen lo tallonò.
“Senti per prima
Kevin”
“Non dire niente, ok?”
– e sbuffò – “Non cresceremo mai daddy, tu ed io, per certe cose … Mai.”
Jude aprì piano la
blindata del loft, che aveva condiviso accanto a Downey per anni.
Nel suo attuale
appartamento, in un residence nei pressi di Malibu, non c’era praticamente
niente, se non mobili dai toni impersonali ed utensili di base, anche se
pratici, per una quotidianità incolore, quale era divenuta la sua.
Il mobile bar era
tanto fornito, quanto intatto.
I piani di
ubriacarsi, fino a stordirsi, erano naufragati dopo un pomeriggio trascorso con
le figlie a villa Meliti: per i due mesi estivi, durante le vacanze, Camilla e
Diamond sarebbero rimaste lì, in compagnia del nonno, distratti da cugini e
zii, attenti alle loro esigenze.
I padri le avrebbero
viste con dei turni precisi, portandosele nelle nuove residenze.
Né Law e tanto meno
Downey, volevano vivere in quella dimora, dove si erano consumati dolori e
gioie.
L’avevano deciso di
comune accordo, attraverso i rispettivi avvocati.
L’inglese udì dei
rumori provenire dalla cabina armadio.
Avanzò cautamente,
dannandosi per non avere avvisato l’ex.
Robert, infatti,
stava riunendo in un paio di trolley, abiti, scarpe ed accessori vari.
“Scusami”
“Jude …?! Ciao non
sapevo che”
“Nemmeno io, come
vedi … La prossima volta mandiamoci un sms … oppure un fax” – abbozzò un
sorriso, inginocchiandosi per raccogliere una cintura, caduta a Downey, che
avvampò, sfiorandogli le dita, mentre la prendeva dalle sue mani.
“Ti ringrazio” – ed irrigidendosi,
gli voltò la schiena, per chiudere quegli odiosi bagagli.
Law allungò la mano,
toccata da Robert, senza però neppure sfiorarlo.
Ne era terrorizzato e
le sue falangi sottili tremarono.
La fede nuziale, ancora
al proprio posto, luccicò in un riverbero dorato.
Anche Rob l’aveva all’anulare.
Incredibilmente,
pensò Jude.
“Non l’hai ancora
tolta … come me, Robert” – ruppe il silenzio, commosso.
L’americano si ostinò
a non guardarlo.
Per non crollare.
“No, come vedi …” –
inspirò, senza bisogno che l’altro gli spiegasse a cosa si stava riferendo.
Era il loro anello.
La loro eterna promessa.
Ad essa, più di una
volta, Downey si era aggrappato, per salvare il loro matrimonio.
“Lo farai?”
“Prima o poi, sì,
Jude” – e si accostò alla soglia, trascinando quelle valigie, ben più pesanti nell’essenza,
che nella sostanza.
“Ti … ti vedi con
qualcuno, Rob?” – provò a trattenerlo, tirando su dal naso, rimanendo
accartocciato in quella posizione.
“No. Ho chiesto a
Glam di fare un passo indietro, di lasciarmi”
“In pace?” – rise amaro,
ergendosi a fatica, per poi appoggiarsi alla parete in noce massiccio.
“Sappiamo entrambi
che non lo farà mai, Jude, me ne rendo conto, però confido nel suo rispetto
come amico devoto, più che come amante” – sorrise di rimando, con la medesima
espressione ferita del suo interlocutore.
“Ti amo ancora così
tanto Robert”
Di sicuro non era
stato semplice, per Jude, dichiararlo, così aperto e limpido, in piena resa, in
una sorta di supplica tacita ed estrema.
Downey se ne andò,
lentamente, senza raccoglierla.
In alcun modo.
Lux aprì loro con un
sorriso di riconoscenza.
“Mon petit … Petra”
“Ciao zio!”
“Buongiorno Vincent,
siamo in ritardo?”
“No, no, entrate, ho
appena condito le insalate e messo sulla piastra gli hamburger … Ma Harry?”
“E’ in studio, aveva
un monte di cose da archiviare, posta arretrata … Sai da quando Niall ci ha
mollati …”
“Niall?”
“Te lo racconto dopo”
– e gli fece un cenno, sistemando la figlia a tavola.
“Bon, patatine fritte
per tutti?”
“Sì!!” – esultò la
bimba, iniziando a chiazzare il piatto di salse.
“Non esagerare
cucciola, poi ti fanno male, lo sai?” – la rimproverò lieve Tomlinson,
osservato a distanza dal francese.
“Ok papi … Ne
portiamo uno anche a papà Harry?”
“Certo” – puntualizzò
Lux – “Con tanta cipolla” – e rise, passando a Boo i contorni – “Ci pensi tu,
mon petit?”
“Agli ordini” – e sorrise
bellissimo.
“E’ una gioia avervi
qui …” – sospirò l’uomo, tornando ai fornelli.
“Ti abbiamo invitato,
però tu”
“Lo so Louis, ma
ormai vivo come un recluso … Un monaco” – ironizzò accomodandosi.
“E perché, scusa?”
“Lo sai …”
“Certo, ma non sei
mica”
“Un appestato?” –
bissò schietto l’affarista, fissandolo.
“Cos’è un … appe …
petato …?” – Petra rise perplessa.
“Nulla principessa,
adesso mangia tranquilla” – le disse Vincent, affettuoso e gentile.
Come sempre.
Tim si accoccolò sul
petto del consorte, che gli cinse il busto esile e glabro, spargendo baci sulla
sua tempia destra, per poi scendere alle labbra ben disegnate del suo ragazzo.
“Ti adoro Tim …” –
mormorò, guardandolo, ad un centimetro dalla sua bocca.
“Stai meglio, vero?”
“Sì, non preoccuparti
… Ce la farò ad andare avanti, ma mi serve del carburante nuovo, degli stimoli …
Come un bambino, Tim … Dobbiamo deciderci, se sei d’accordo”
Il giovane annuì – “Non
vedo l’ora, Kevin, però credi che supereremo i test?”
Il musicista si
adombrò – “Pensi che io non sia pronto? Che faranno problemi per il mio
esaurimento o per”
“Non incazzarti così,
non ti sto accusando, accidenti!” – ribatté Tim, sollevandosi di scatto.
Qualcuno bussò.
Era Peter.
“Zii posso?”
La coppia si
ammutolì, mentre Pepe faceva capolino.
“Mi tenete nel
lettone con voi, per piacere? Stiamo giocando a nascondino e Vas non deve
trovarmi!” – bisbigliò complice.
“Certo tesoro, vieni”
– Tim gli aprì il proprio abbraccio, emozionato.
Kevin fece spazio – “Non
ti troverà mai” – sussurrò guardando Tim, che gli diede veloce un bacio.
“Ah, ma se sapevo che
vi facevate le coccole, andavo nello sgabuzzino!” – brontolò simpatico.
“No, anzi, è una
benedizione che voi siate qui, con me … A volte io so essere così stupido …” –
sussurrò Kevin.
Tim gli diede una
carezza e non ci fu bisogno d’altro, per riportare la serenità tra loro.
Fortunatamente.
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