lunedì 22 settembre 2014

LIFE - CAPITOLO N. 23

Capitolo n. 23 – life



Jared gli spostò il ciuffo di capelli, che gli copriva la fronte spaziosa.
Tim sorrise timido.

Si erano sistemati su uno degli ampi davanzali della mansarda, in legno e seduta imbottita, nei colori scozzesi del rosso, verde e giallo, con tanto di cuscini attorno, a rallegrare quell’angolo dello chalet di Geffen.

“Tesoro, credo che il periodo di crisi per Kevin non sia ancora del tutto superato, ma non devi demoralizzarti, assolutamente, ok?” – esordì dolce il cantante.

Il giovane lo stava fissando, gli opali argentei lucidi – “Non è semplice, ma io lo amo abbastanza per riuscirci, ne sono certo”

“Bene” – Leto sorrise.

“Vorrei poterne parlare anche con Glam, però ho paura di incazzarmi, per Lula, per non avermelo detto di Haiti, della sua” – e si morse le labbra, abbassando la testa.

“Invece dovresti farlo, sai Tim? Glam ha le spalle abbastanza larghe per sentirsi urlare dietro ancora un po’ di improperi” – provò a scherzare, ma sino ad un certo punto.

Jared pensava, infatti, che Tim avesse pieno diritto a sfogarsi, con il responsabile di quell’incredibile, anche se giustificata menzogna.




Kevin si inabissò nel cuscino, la fronte madida.

“Non ti senti bene?” – gli domandò pacato l’ex marito, accarezzandogli i capelli.

“No Glam, ho caldo … Sono gli antidepressivi, quelli che mi ha prescritto Hugh, hanno strani effetti collaterali” – e si alzò, togliendosi gli abiti lentamente, impacciato e confuso – “De devo farmi una doccia” – balbettò, mentre l’altro lo reggeva.

“Ehi calmati, ora provvediamo” – replicò incerto Geffen, accompagnandolo in bagno.

“Ce la faccio …” – ormai era nudo ed in piedi nel box.

Glam aprì i getti, accostando i pannelli scorrevoli – “Io resto qui, ok? Vuoi comunque che cerchi Tim?”

“No, no, faccio in un secondo … Grazie …”

“Laurie non poteva evitare?” – chiese un po’ brusco, riflettendo su quell’affermazione del bassista.

“Non riesco a dormire se non prendo qualcosa … E’ una dose minima, non allarmarti” – sorrise, anche un po’ compiaciuto.

Le premure di Geffen gli erano sempre così pericolosamente care.

“Un buon bicchiere di vino rosso, su di una porzione di spaghetti abbondanti, concilia il sonno meglio di qualunque pasticca del cavolo … Chiedi a Pepe!” – e rise.

“Pepe beve già alla sua età?” – risero insieme.

“Ma no, dai … Va matto per la pasta in compenso ed a volte russa”

“Dorme con te” – Kevin riaprì le ante in acciaio e vetro temprato – “Come faceva soldino?” – domandò lieve, ma con un sorriso, perso nei ricordi.

“Sì Kevin … Sì” – e lo avvolse in un telo, abbracciandolo con dolcezza.

Si guardarono, per poi scivolare in un bacio umido e caldissimo.

Geffen vi si staccò, con un forte ed imbarazzante batticuore.

“Non è …”

“Lo so Glam, mi è capitato anche con Jay”

“Cosa?”

“Quando ero in rotta con Tim, siamo usciti un giorno, mi ha trascinato fuori dal mio antro oscuro …” – e si diresse alla sedia, dove c’erano piegate una tuta ed una t-shirt.

Li indossò.

“E vi siete baciati, Kevin?”

“Infatti” – inspirò – “Con Jay non ho mai smesso davvero di fare stronzate, ma non pensare male ok?”

“Il mio timore, adesso, sarebbe unicamente legato alla sua malattia Kevin” – sbottò teso.

“Dio no, non ci sono più andato a … No, no, io sto bene, ho fatto le analisi il mese scorso, per un checkup e sono a posto daddy.” – prese fiato – “Tu piuttosto?”

“Io cosa?!”

“Hai fatto l’amore con ognuno di noi, durante gli ultimi mesi della tua malattia”

“Jared non mi ha contagiato, se è questo che pensi … Come hai fatto tu, a mia volta sono rimasto sotto controllo sino al mese scorso e mai hanno rilevato infezioni, anzi”

“Sì, stai una favola, non c’è dubbio” – e scosse il capo, tornando in camera.

Geffen lo tallonò.

“Senti per prima Kevin”

“Non dire niente, ok?” – e sbuffò – “Non cresceremo mai daddy, tu ed io, per certe cose … Mai.”




Jude aprì piano la blindata del loft, che aveva condiviso accanto a Downey per anni.

Nel suo attuale appartamento, in un residence nei pressi di Malibu, non c’era praticamente niente, se non mobili dai toni impersonali ed utensili di base, anche se pratici, per una quotidianità incolore, quale era divenuta la sua.

Il mobile bar era tanto fornito, quanto intatto.
I piani di ubriacarsi, fino a stordirsi, erano naufragati dopo un pomeriggio trascorso con le figlie a villa Meliti: per i due mesi estivi, durante le vacanze, Camilla e Diamond sarebbero rimaste lì, in compagnia del nonno, distratti da cugini e zii, attenti alle loro esigenze.

I padri le avrebbero viste con dei turni precisi, portandosele nelle nuove residenze.

Né Law e tanto meno Downey, volevano vivere in quella dimora, dove si erano consumati dolori e gioie.

L’avevano deciso di comune accordo, attraverso i rispettivi avvocati.


L’inglese udì dei rumori provenire dalla cabina armadio.
Avanzò cautamente, dannandosi per non avere avvisato l’ex.

Robert, infatti, stava riunendo in un paio di trolley, abiti, scarpe ed accessori vari.

“Scusami”

“Jude …?! Ciao non sapevo che”

“Nemmeno io, come vedi … La prossima volta mandiamoci un sms … oppure un fax” – abbozzò un sorriso, inginocchiandosi per raccogliere una cintura, caduta a Downey, che avvampò, sfiorandogli le dita, mentre la prendeva dalle sue mani.

“Ti ringrazio” – ed irrigidendosi, gli voltò la schiena, per chiudere quegli odiosi bagagli.

Law allungò la mano, toccata da Robert, senza però neppure sfiorarlo.
Ne era terrorizzato e le sue falangi sottili tremarono.

La fede nuziale, ancora al proprio posto, luccicò in un riverbero dorato.

Anche Rob l’aveva all’anulare.
Incredibilmente, pensò Jude.


“Non l’hai ancora tolta … come me, Robert” – ruppe il silenzio, commosso.

L’americano si ostinò a non guardarlo.
Per non crollare.

“No, come vedi …” – inspirò, senza bisogno che l’altro gli spiegasse a cosa si stava riferendo.

Era il loro anello.
La loro eterna promessa.

Ad essa, più di una volta, Downey si era aggrappato, per salvare il loro matrimonio.

“Lo farai?”

“Prima o poi, sì, Jude” – e si accostò alla soglia, trascinando quelle valigie, ben più pesanti nell’essenza, che nella sostanza.

“Ti … ti vedi con qualcuno, Rob?” – provò a trattenerlo, tirando su dal naso, rimanendo accartocciato in quella posizione.

“No. Ho chiesto a Glam di fare un passo indietro, di lasciarmi”

“In pace?” – rise amaro, ergendosi a fatica, per poi appoggiarsi alla parete in noce massiccio.

“Sappiamo entrambi che non lo farà mai, Jude, me ne rendo conto, però confido nel suo rispetto come amico devoto, più che come amante” – sorrise di rimando, con la medesima espressione ferita del suo interlocutore.

“Ti amo ancora così tanto Robert”

Di sicuro non era stato semplice, per Jude, dichiararlo, così aperto e limpido, in piena resa, in una sorta di supplica tacita ed estrema.

Downey se ne andò, lentamente, senza raccoglierla.
In alcun modo.




Lux aprì loro con un sorriso di riconoscenza.

“Mon petit … Petra”

“Ciao zio!”

“Buongiorno Vincent, siamo in ritardo?”

“No, no, entrate, ho appena condito le insalate e messo sulla piastra gli hamburger … Ma Harry?”

“E’ in studio, aveva un monte di cose da archiviare, posta arretrata … Sai da quando Niall ci ha mollati …”

“Niall?”

“Te lo racconto dopo” – e gli fece un cenno, sistemando la figlia a tavola.

“Bon, patatine fritte per tutti?”

“Sì!!” – esultò la bimba, iniziando a chiazzare il piatto di salse.

“Non esagerare cucciola, poi ti fanno male, lo sai?” – la rimproverò lieve Tomlinson, osservato a distanza dal francese.

“Ok papi … Ne portiamo uno anche a papà Harry?”

“Certo” – puntualizzò Lux – “Con tanta cipolla” – e rise, passando a Boo i contorni – “Ci pensi tu, mon petit?”

“Agli ordini” – e sorrise bellissimo.

“E’ una gioia avervi qui …” – sospirò l’uomo, tornando ai fornelli.

“Ti abbiamo invitato, però tu”

“Lo so Louis, ma ormai vivo come un recluso … Un monaco” – ironizzò accomodandosi.

“E perché, scusa?”

“Lo sai …”

“Certo, ma non sei mica”

“Un appestato?” – bissò schietto l’affarista, fissandolo.

“Cos’è un … appe … petato …?” – Petra rise perplessa.

“Nulla principessa, adesso mangia tranquilla” – le disse Vincent, affettuoso e gentile.

Come sempre.




Tim si accoccolò sul petto del consorte, che gli cinse il busto esile e glabro, spargendo baci sulla sua tempia destra, per poi scendere alle labbra ben disegnate del suo ragazzo.

“Ti adoro Tim …” – mormorò, guardandolo, ad un centimetro dalla sua bocca.

“Stai meglio, vero?”

“Sì, non preoccuparti … Ce la farò ad andare avanti, ma mi serve del carburante nuovo, degli stimoli … Come un bambino, Tim … Dobbiamo deciderci, se sei d’accordo”

Il giovane annuì – “Non vedo l’ora, Kevin, però credi che supereremo i test?”

Il musicista si adombrò – “Pensi che io non sia pronto? Che faranno problemi per il mio esaurimento o per”

“Non incazzarti così, non ti sto accusando, accidenti!” – ribatté Tim, sollevandosi di scatto.

Qualcuno bussò.

Era Peter.

“Zii posso?”

La coppia si ammutolì, mentre Pepe faceva capolino.

“Mi tenete nel lettone con voi, per piacere? Stiamo giocando a nascondino e Vas non deve trovarmi!” – bisbigliò complice.

“Certo tesoro, vieni” – Tim gli aprì il proprio abbraccio, emozionato.

Kevin fece spazio – “Non ti troverà mai” – sussurrò guardando Tim, che gli diede veloce un bacio.

“Ah, ma se sapevo che vi facevate le coccole, andavo nello sgabuzzino!” – brontolò simpatico.

“No, anzi, è una benedizione che voi siate qui, con me … A volte io so essere così stupido …” – sussurrò Kevin.

Tim gli diede una carezza e non ci fu bisogno d’altro, per riportare la serenità tra loro.

Fortunatamente.












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