martedì 2 settembre 2014

LIFE - CAPITOLO N. 8

Capitolo n. 8 – life



Louis entrò trafelato in casa, scontrandosi con lo sguardo verde ed accigliato di Harry, in piedi davanti a Niall, che gli aveva appena riportato Petra, da villa Meliti, all’insaputa di Boo, che si inalberò subito.

“Potevi almeno avvisarmi, che avresti mandato lui!” – inveii, senza neppure degnare di uno sguardo, colui il quale era più che un semplice collaboratore, bensì un amico fidato.

Era la prima volta.

“Dovresti ringraziarlo, invece di incazzarti così! La festa è finita in anticipo, per questo temporale del cavolo e tu eri irreperibile!” – sbraitò Styles, fuori controllo.

L’atteggiamento di Louis, negli ultimi tempi, lo stava irritando sempre di più.

Niall taceva, arrossendo e cercando una via di fuga.

“Non dovreste gridare … C’è la bambina …” – accennò, timido ed educato.

“Perdonami, è vero … Sono teso”

“Per il caso Thompson?” – chiese con un sorriso il ragazzino biondo.

“Già” – Haz ricambiò il sorriso, grattandosi la nuca, in un gesto simpatico, ma solo rivolto a Niall, che lo fissava, ora.

Avevano tanto in comune: Boo lo pensò, lacerandosi mente e stomaco.

“Mentre voi tubate, io vado a vedere mia figlia e faccio una doccia!” – sbottò Tomlinson, superandoli, per infilare il corridoio, non senza sbattere la porta, che lo divideva dal salotto, dove l’imbarazzo, ormai, si tagliava con il coltello.

Niall si congedò, sentendosi in qualche modo in colpa, anche se non sapeva per cosa: si sbatteva dal mattino alla sera, quanto Harry, per fare funzionare le cose allo studio, che avrebbe arrancato in mille difficoltà, se non fosse stato per la cospicua donazione natalizia di Geffen.

Così per Petra, che adorava, quasi come se fosse sua, senza contare le commissioni, che sbrigava per sé e per la coppia, senza mai alcuna pretesa.

Eppure quella era la vita di Harry insieme e a Louis e nient’altro.
Purtroppo.



Era un usignolo.
Oppure un pettirosso.

Svolazzava da un ramo all’altro, in quell’enorme gabbia dal colore giallo oro, in completa solitudine.

Leto lo stava fissando da almeno venti minuti.

Un’ombra apparve alle sue spalle, ma lui non si girò.

“Ha … ha un parassita, per questo lo hanno lasciato da solo, così dice l’infermiera al piano, però … Però lo stanno curando e presto guarirà”

“Vattene Colin” – e le palpebre del cantante calarono pesantemente sui suoi zaffiri, cupi ed assorti su quell’esserino piumato, dai colori splendidi, nonostante un problema di salute piuttosto serio e discriminante.

“Scott deve finire di parlarci, ma tu sei scappato via e”

“Cosa avrei fatto io?!!” – Leto esplose, voltandosi di scatto, i pugni chiusi, doloranti, come il suo addome, i suoi reni, che iniziarono ad infastidirlo da metà pomeriggio, senza che lui lo dicesse al marito.

Farrell, immobile, la voce flebile, spaventata, con nella testa e nel cuore, l’unico desiderio di stringerlo a sé, per farsi coraggio a vicenda.

Eppure Jared non ci riusciva; non ancora.

Era stata una coltellata in pieno petto, apprendere della sieropositività del compagno, ma, soprattutto, dell’essere stato contagiato dal virus di tipo uno.

Jared aveva l’Aids, curabile, certo, in base ai protocolli, che da cinque anni avevano debellato la peste del ventunesimo secolo, ma il cammino sarebbe stato irto di ostacoli e con qualche incognita, legata al suo organismo, messo a dura prova da malattie pregresse e dipendenze varie.


Il virus due, identificato nel sangue di entrambi, conteneva il virus uno: Scott riuscì a spiegare loro unicamente questo dettaglio, per chiarire come mai Colin fosse sieropositivo, anch’egli del virus uno, mentre Jared aveva contratto l’infezione vera e propria.

Chi avesse contagiato chi, non era chiaro.
Sarebbero servite ulteriori e più approfondite analisi.
Di certo il tutto era avvenuto entro i dodici mesi precedenti, quella terribile scoperta.


“So che hai paura, ma dobbiamo sostenerci Jay” – lo implorò tremante, provando ad abbracciarlo, riuscendoci finalmente.

“Come è potuto succedere?!” – gridò piano, il leader dei Mars, confuso e stordito, per i risultati degli esami.

Frammenti di memoria, si rincorsero nelle rispettive menti, in un silenzio gelido e bagnato, dalle loro lacrime disperate.

Kirill, ma pure Glam, con il quale Jared era stato, anche se al front man sembrò improbabile, che l’avvocato fosse portatore sano di quella maledizione: sarebbe stata un’ecatombe e quasi rise, a quella battuta, grottesca e comica, che magari Robert avrebbe potuto fare.

Era isterico, affranto – “I nostri bimbi Cole … Noi abbiamo delle responsabilità e se non guarissimo, cosa ne sarà di loro …?” – scoppiò a piangere.

“Non dirlo nemmeno per scherzo Jay!” – bissò con rabbia, afferrandolo per le braccia esili.

Poi se ne scusò.



“Se ne è andato?”

Louis lo domandò con aria stanca, ripiegando gli abiti della loro principessa, ormai assopitasi da un paio d’ore.

“Non devi prendertela con Niall e non gli sto tenendo la parte, sia chiaro, voglio solo che tu non lo coinvolga nelle nostre liti coniugali” – replicò serio il consorte, sedendosi sul bordo del letto, facendo cigolare le molle.

I fasti e gli arredi del loft, che Antonio aveva donato loro, erano un ricordo lontano.

Avevano rinunciato a traslocarli lì, perché niente doveva essere come prima ed inquinare il nuovo giorno, che si era acceso sul loro amore.

Un giorno, che adesso, sembrava caduto in una sera senza fine.

Gli impegni reciproci li stavano allontanando, inutile raccontarsi balle: ci stavano riflettendo entrambi, senza dirselo.

“Perché non facciamo le valigie Boo e ce ne andiamo con una settimana di anticipo?”

“E dove, sentiamo? Non abbiamo un grosso budget, già la vacanza alle Hawaii è un lusso” – disse senza voltarsi.

“In Florida, da tuo padre, che ne pensi?” – propose Styles, con un sorriso ritrovato e la voglia di fare pace, che gli stava esplodendo dentro e sotto la cinta dei pantaloni sbiaditi della tuta, che puntualmente rubava a Louis, intento a spiarlo di sottecchi, per vedere se era ancora incazzato con lui.

Si ritrovarono ad un passo e quel passo venne bruciato, incollando i loro busti nudi, le loro bocche succose ed acerbe, arrendendosi a quegli istinti primordiali, che sembravano attrarli da sempre.

E per sempre.



Leto urinò sangue, mentre Colin se ne stava a parlare con Scott, nell’ambulatorio antistante i bagni del reparto, destinato alla sezione infettivi.

Uscì barcollando, per un’improvvisa mancanza di energie, per poi crollare sulla soglia della stanza, dove era arrivato anche Mason, che lo sostenne con prontezza, chiedendo comunque l’aiuto del collega.

Farrell, sconvolto, non smetteva di invocare il nome di Jared, mentre questi sentiva un vocio crepitare nel cervello ed una nausea soffocante.

Si riprese e diede di stomaco, appena riuscirono a farlo stendere.



Harry lo marchiò con un morso nella nuca e Louis schiuse maggiormente le proprie labbra, ancora gonfie e purpuree, per averlo fatto venire una prima volta con la bocca.

Il suo profilo si affossò nel cuscino stropicciato dal suo sudore, mentre Styles lo montava da dietro, con una foga animalesca.

Si stavano facendo del bene e del male, in quella guerra di nervi, durante la quale il giovane e promettente legale, dimostrava al compagno che si poteva emergere e farsi valere, anche senza appoggi e compromessi degradanti.

Ogni vittoria in aula, diventava una conquista, mentre il traguardo della laurea, per Tomlinson, rimaneva dietro l’angolo, rimandato alla successiva sessione invernale.

Malik era già in sella, di un master assicuratogli dal rettore, con largo anticipo, cosa che gli aveva assicurato parecchie inimicizie ed invidie.

Zayn, appoggiato da un Liam sempre più innamorato, non se ne curava affatto, procedendo come un caterpillar, verso una carriera ricca di soddisfazioni.

Niall si era iscritto a Medicina, superando i test di ammissione brillantemente ed Harry già si lamentava che a settembre, non lo avrebbero più avuto adorabilmente tra i piedi.

Tutti correvano ed arrivavano, da qualche parte, sconosciuta impietosamente a Boo, che sapeva solo essere una puttana, per ottenere qualcosa, perché era questo, che lui leggeva negli altrui sguardi, perché tutti lo pensavano e nessuno lo diceva esplicitamente; non più, almeno.

Si sentì morire, mentre Harry veniva ed ansimava, tra le sue scapole, bloccandolo sul materasso, senza via di scampo.



Lui, quei passi e quel profumo, li avrebbe riconosciuti tra mille rumori ed aromi.

L’immagine riflessa nel vetro, che Jared guardò a fatica, dando la schiena all’ingresso della camera deserta, gli confermò il suo arrivo.

“Glam …” – mormorò, deglutendo e tremando.

“Tesoro mio” – gli sorrise, paterno e, nello stesso modo, Geffen andò ad abbracciarlo, caldo e rassicurante – “Ora calmati Jay, andrà tutto bene”

Leto percepì ogni centimetro di quel corpo rinato, ritrovandosi aggrappato ad un busto massiccio, a quelle braccia forti e grandi, come ogni cosa in Glam Geffen.

“Sei tornato … Tu sei tornato da me …” – disse quasi sognante, stordito dai farmaci.

“Jared ora devi riposarti e recuperare le forze … Tu e Colin uscirete da questo incubo, te lo prometto”

La sua voce era ferma, ma, nel proprio intimo Glam non credeva a ciò che stava dicendo.

Eppure era stato così bravo a nascondere le proprie emozioni ed afflizioni, per Lula: ora non doveva fare altro che indossare l’ennesima maschera, per proteggere Jared.

Il suo Jared.

“Non ti merito Glam” – e, in un sussurro, Leto si riaddormentò.

L’uomo gli sistemò i capelli, baciandogli la fronte fresca, ma imperlata di sudore.

“Che Dio ci aiuti” – sospirò l’avvocato.
Senza andarsene.

Geffen aveva lasciato Pepe con Vas, Peter e Robert, ai quali Glam non celò nulla, su quanto stava accadendo.

Ognuno di loro doveva prepararsi a combattere e soffrire, perché era così che ci si comportava in una vera famiglia: Geffen lo disse di getto e Downey aveva abbassato lo sguardo, colpito e affondato, non solo da quelle tragiche rivelazioni.

Glam lo avvolse con tenerezza, appena soli, prima di lasciare Palm Springs insieme a Lux, uscito a prendere una boccata d’aria, sulla spiaggia, investito dalla brezza oceanica, dopo quell’acquazzone improvviso.

Robert si sentì mancare il terreno da sotto i piedi, nonostante quel gesto premuroso ed amorevole: il destino aveva messo sul tavolo le sue carte, con un ghigno beffardo.

Ancora una volta.













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