Capitolo n. 9 – life
Law gli aprì con un
sorriso, dopo avere controllato dallo spioncino chi avesse suonato, a quell’ora
ormai tarda.
“Rob … Sei tornato”
Aveva bevuto, ma non
era ubriaco; non ancora.
“Ciao, scusa per”
“Vieni, entra, non
rimanere lì, sei fradicio” – e lo tirò dentro, per un polso, facendogli anche
male.
Downey ebbe un
fremito, incrociando le braccia sul petto.
“Ti prendo una
maglia, le bimbe sono rimaste dal nonno” – sembrò confortarlo, dandogli
conferma che mai avrebbe bevuto davanti alle figlie.
“Mi fermo un attimo,
non affannarti Jude … Per favore” – ed inspirò, bloccandosi all’ingresso.
Law chiuse lento la
blindata.
“Sì … Certo … Glam ti
sta aspettando in auto?”
“No”
“Strano, credevo
fossi da lui” – continuò sarcastico, fronteggiandolo.
“Infatti c’ero, ma è
successo un fatto terribile ed io devo chiederti una cosa”
L’inglese inarcò un
sopracciglio, come se subodorasse un tranello.
Il che era assurdo,
trattandosi di Robert.
“Ti ascolto” – bissò
secco, cercando il bicchiere sul davanzale.
“Smettila di”
“Fatti i cazzi tuoi!
Mi molli qui come uno stronzo, torni nel cuore della notte per chissà quale
triste o melensa ambasciata e poi pretendi di dirmi cosa fare della mia fottuta
vita senza di te, eh Rob??!” – gli urlò dal fondo della stanza.
“La mia ambasciata potrebbe non riguardarti, ma,
credimi, lo sto facendo nel tuo interesse Jude” – replicò serio e pacato.
“E nel tuo no?!” –
rise mesto, piombando sul parquet, scoordinato nei movimenti.
L’alcol iniziava ad
avere effetto.
“Certo, anche nel
mio, perché riguarda la nostra salute”
“Che diavolo … I
reni, forse?”
“No Jude … Si tratta
di Colin e di Kirill, ti ricordi di lui?”
“La marchetta,
fuggita a New York con Lux? Quel Kirill?”
“Lui. E’ morto di
Aids, di tipo due, il mese scorso, tra le braccia di Vincent, che lo ha
accudito sino all’ultimo” – rivelò composto, appoggiandosi al muro, sfinito.
Law si prese il viso
tra le mani, ridacchiando.
“Colin più Kirill più
Jared … Oddio non penserai che” – e lo puntò, aspro all’improvviso.
“Colin ha avuto una
debolezza, per via di Jared e Glam, quindi anche tu avresti potuto avere, con
lui, non certo con Kirill, la stessa cosa, visto quanto siete intimi, di che ti
stupisci, adesso?!” – sbottò.
“Colin ed io non
abbiamo mai fatto sesso” – ribatté brusco, rialzandosi a fatica.
Downey gli si
avvicinò.
“Non toccarmi! Torna
da quel bastardo, che è quanto ti meriti! Ma LUI è già corso da Jared, VERO
ROB?!” – e gli rise in faccia, esasperato ed in lacrime.
“Tu e Colin non
avrete fatto sesso, ma ci siete andati molto vicini o la tua mente è troppo
annebbiata dal brandy?!”
“E quindi le tue
deduzioni avrebbero un fondamento di logica, giusto Holmes??!” – ringhiò – “Sei
patetico …” – concluse a mezza voce, afferrandolo poi per un braccio, per farlo
uscire, con estrema veemenza.
Downey non glielo
impedì.
Il colloquio tra Lux
e Farrell fu civile ed anche commovente.
Colin arrivò a
consolare il francese, provando la sua stessa frustrazione, al pensiero di
perdere Jared, anche se la speranza sulla sua guarigione era solida,
trattandosi del virus di tipo uno.
Scott lo aveva
ampiamente rassicurato, con l’appoggio di Mason, che avrebbe seguito Leto nel
corso di una terapia, molto simile ad un ciclo di chemio.
Era stato infatti
scoperto che, proprio un principio attivo utilizzato nel trattamento di alcune
leucemie, era idoneo a curare e sconfiggere la fonte del contagio originale.
Jared doveva fare
qualche sacrificio in più, come un ricambio di sangue, non rimandabile.
“Come quello che fece
Geffen?” – domandò l’irlandese, di nuovo a colloquio con i due specialisti, in
presenza di Vincent.
Jim annuì – “Sì,
dovrebbe infatti andare in Svizzera, perché è lì che hanno migliorato questo
tipo di trattamento, arricchendolo di elementi, capaci di rendere più semplice
il percorso successivo, con meno effetti collaterali”
“Sì … Sì, ci andremo
subito!” – affermò trepidante l’attore, senza accorgersi di Glam alle sue
spalle.
Appena se ne avvide,
provò un brivido, percorrergli la spina dorsale.
“Ciao … Non sapevo tu fossi qui …”
“Ho portato io Vincent” – gli disse lui asciutto,
senza muoversi.
“Quindi sai cosa ci è
capitato, avrai anche già visto Jay” – proseguì l’irlandese, ugualmente
incolore e teso.
“Sì, ci sono appena
stato e lo accompagnerò alla clinica, di cui stava parlando Jim, con il mio jet
privato: decolliamo tra un’ora”
“Da quando tu hai? …”
– Colin strizzò le palpebre, ossigenandosi, dilatando le narici, per poi
ripuntarlo greve – “Ok, tu hai deciso questo
in base a cosa?”
Sembrava un duello,
senza esclusioni di colpi, dalle conseguenze inattese.
“Ho deciso in base al
semplice fatto che tu gli hai fatto sempre del male ed ora gli hai rovinato la
vita, nel peggiore dei modi, per la tua incapacità di rimanergli fedele!”
Farrell rise stranito
– “Cazzo, tu … Glam, tu non immagini che pochi giorni fa, ho persino provato a
convincere Jared a perdonarti, a fare un passo indietro, nonostante avessimo
entrambi appoggiato Kevin, contro di te”
“La tua generosità mi
spezza il cuore” – e fece un passo avanti.
Mason e Scott lo
imitarono.
“La sfida all’O.K.
Corral andate a farla da un’altra parte” – si intromise duro l’oncologo – “Qui
ci sono persone malate e questioni più urgenti a cui provvedere!”
“Jared è mio marito,
è il padre dei miei figli ed io non mi perdonerò mai di avere avuto una
leggerezza così grave, da mettere in pericolo la sua salute, ma mai permetterò a
TE od ad altri di avere cura di lui, hai capito, razza di stronzo?!!” – e gli
volò addosso, provando a sferrare un pugno, che colpì il vuoto.
Geffen lo cinturò,
strattonandolo contro alla parete, impedendogli di divincolarsi, anche per una
disparità di forze assai notevole.
Lux si mise in mezzo,
imprecando – “Ma siete impazziti??!!” – gridò, aiutato poi dal resto degli
amici a sedare quell’ira incontenibile e reciproca.
“Stai lontano da lui,
non ti permettere Glam, NON FARLO ALTRIMENTI TI AMMAZZO CON QUESTE MANI!!”
Farrell era fuori di
sé, ma Glam non era da meno.
Nessuno dei presenti
riuscì a trattenerli ed appena si riavvicinarono abbastanza, scoppiò una zuffa
piuttosto animata, dapprima da insulti, poi da un rispettivo pianto, così
simile, da confondere i loro ansiti.
Stremati, dal timore
di perdere Jay e non tanto dalle botte superficiali ed inutili, si strinsero
come mai prima di quel momento, che avrebbero cancellato volentieri dalle loro
memorie.
“Io … io non ci vivo
senza di lui” – balbettò Farrell, devastato.
Geffen gli diede una
carezza, con la tipica gestualità compassionevole di Lula – “Non accadrà … Te
lo giuro Colin” – poi tirò su dal naso, in maniera infantile – “Ce li hai i passaporti?”
“No … Cioè forse in
macchina, sì ci sono, volevamo fare un viaggio con Jay” – disse smarrito.
“Ok, passiamo alla
End House e recuperiamo il necessario, però prima devo chiamare Robert …
Assolutamente.”
Zayn si accasciò,
sfinito, sul busto di Liam, che lo accolse gemendo quanto lui, per essere
venuti nello stesso momento.
“Anima mia …” –
sussurrò il vulcanologo, ammirandolo con infinita tenerezza.
Scopare in quel modo
lo turbava ancora, lo destabilizzava, lui, che in ogni circostanza si
dimostrava maturo e consapevole.
Per Malik era
diverso.
Esprimere voglie,
fantasie, capricci, a letto o sopra il tavolo della cucina, come appena
arrivati nel loft, che avevano preso in affitto, senza neppure arredarlo completamente,
significava essere accettati dal proprio amico, complice, amante.
Pensare a Payne come
fidanzato, un po’ lo urtava: sapeva di cappio e lui di responsabilità ed
impegni, ne aveva già assunti a sufficienza con la famiglia, il padre e
l’università.
George Malik sarebbe
arrivato presto a Los Angeles e la proposta di una collaborazione ai nuovi
scavi in Egitto, era una prospettiva allettante, ma anche tenuta segreta a
Liam, fuori dai giochi, per altre imprese di monitoraggio, probabilmente in
Asia.
La distanza, forse,
non avrebbe giovato al loro rapporto, però era presto per discuterne: meglio
spiare i biglietti per la crociera in Norvegia ed i suoi splendidi fiordi, dono
dell’archeologo, per i successi di Zayn negli studi e non solo.
Malik senior aveva
dato la benedizione al legame con Payne.
Come se fosse una
cosa seria.
Lux si era sbarbato
ed aveva preparato una cena di mezzanotte, dopo avere salutato la governante,
in partenza per le ferie, come il resto dei suoi collaboratori domestici.
Solitamente a luglio
l’affarista sigillava la residenza californiana, per trascorrere gran parte
dell’estate in Provenza e Costa Azzurra, ma i piani imminenti erano a zero,
così l’appetito.
La bistecca al sangue
e le patate di contorno sembravano chiamarlo idealmente ad accomodarsi, ma il
campanello lo distrasse.
Era Louis.
“Ciao Vincent so che
vorresti stare in pace e che io sono l’ultimo coglione che” – disse d’un fiato,
interrotto dalla morsa dei bicipiti di Lux, che lo catturò solerte.
“Mon petit entra, sta
diluviando!”
E Boo stava
piangendo.
“Scusami … Io non so
cosa … E’ che sbaglio sempre e sono talmente inutile”
“Cosa avete mangiato
tutti a colazione oggi, eh?” – provò a scherzare, tamponandogli la chioma
ribelle, con un asciugamano.
“Ho litigato con
Harry”
“Per Zayn?”
“No, lui non centra
con i miei errori …”
“Ma quali errori
piccolo?” – gli sorrise affettuoso.
“Posso rimanere? Solo
una notte, promesso”
Era bellissimo.
Spettinato, gli occhi
grandi, da cerbiatto impaurito.
Lasciarsi andare
sarebbe stato così facile.
Inevitabile.
Solo che Vincent camminava con la morte dentro: così
aveva pensato, nel momento in cui apprese di essere portatore sano del virus,
che gli aveva ucciso Kirill.
Nemmeno un miracolo
avrebbe salvato chi, malauguratamente, fosse rimasto contagiato da lui.
Nemmeno
un miracolo.
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