One shot – In febbraio
Premessa dell’autrice.
I personaggi non mi appartengono, questa è una storia di pura fantasia, basata su di una mia ipotesi legata alla gravidanza di Susan Downey ed agli strani accadimenti, che stanno ruotando intorno ad essa.
OSD: non so perché, ma se volete potrete ascoltarla leggendo XD
http://www.youtube.com/watch?v=8wrbTYDZoxA&ob=av2n
Pov Jude Law
Uk, 25.02.2012
Londra, in febbraio, resta grigia e triste, intonata ai miei abiti sgualciti, mai quanto il mio cuore.
Lui continua a chiamarmi.
Ewan sta preparando il tè nella mia cucina.
Abbiamo dormito insieme: il Giappone era così ordinato e pallido, che quella sferzata di rosso e ghiaccio, nel mio ventre, così inadatto, l’ho pensato così, come il resto di me, a …
A …
“Stai meglio Jude?”
La voce di Ewan è gentile, pacata, mi accarezza.
L’ho fatto anch’io, disperatamente, nel letto dove ho amato così tanto Rob, dall’annullarmi nella stupida idea di noi insieme per sempre.
Ewan non ha protestato: mi ha solo stretto sul petto, sussurrandomi un – “Va tutto bene Jude … non pensare a me …”
Aveva aperto le gambe, ma io non volevo così tanto; non dovevo.
L’ho baciato, questo sì.
Mi sono concesso quello che un tempo era qualcosa di nostro.
Nostro per davvero.
Ewan non mi ha mai illuso, semplicemente ci sarebbe stato, se solo avessi voluto, nonostante mogli, compagne, figli, amanti e ragazzi, che puntualmente passavano dalle sue lenzuola.
“Quella tizia mi dice del bambino …” – e parto, per l’ennesima volta, dopo averlo scritto in cento sms, § bastardo, lurido bastardo! §
“Una settimana fa …” – e piango, sono troppo stupido ed inutile.
“Jude ascolta …”
“Non difenderlo!”
“No … io vorrei solo proteggerti, da questo dolore, almeno quanto ha fatto Robert, ma nella maniera meno … appropriata.”
“Lui è … è americano …” – ridacchio, come se potesse avere un senso quella mia battuta.
Un senso di noi, che non esiste più.
L’ho cancellato dall’anima, con l’acido di quella reazione, che ho controllato non so neppure io come … è come una cascata, di chiodi e schegge, non un’esplosione, di quelle che ci facevano persino ridere, sul set di Holmes.
Lo odio.
“No, odio Robert … il film mi ha portato fortuna … un mare di lavoro …”
“Hai ragione Judsie.”
La mia occhiata deve essere torva e spietata.
Ewan sospira, versando altro tè.
“Grazie …”
“Figurati … stanotte posso restare Jude, se vuoi.”
“Io … io voglio Robert …”
Un’altra discesa, dal divano al tappeto, il mio viso vi si spegne sopra, come se io fossi un fantoccio, che nessuno sa dove sistemare o … nascondere.
Siamo di nuovo a letto.
Mi lascio scopare da Ewan.
All’inizio non lo ha preteso, ma incollato alla mia schiena, le sue dita intrecciate alle mie, il suo profumo buono nel mio collo, la bocca in cerca di baci, che io non gli nego: come questo corpo, che sembra sospeso in un tempo senza futuro.
Di nuovo mattina.
Suonano.
Insistono.
Impreco e mi alzo. Ewan è sotto alla doccia, la radio accesa, il disordine nel salotto, poco consono alle mie abitudini.
Qui ci vengono i miei figli, non devono prendere cattive abitudini od equivocare sui miei buoni propositi ritrovati.
E’ Robert.
E’ lì, sul pianerottolo, intirizzito, sbaglia sempre nel vestirsi.
Spalanco e sogghigno acido: “Non sei più l’unico bambino di casa, la mamma non ha tempo per controllare il tuo guardaroba scandaloso.”
Che cazzo sto dicendo …?
Robert mi chiede scusa già con quelle due pozze nere, ma io ho la gola secca, un velo sulle pupille, indosso una t-shirt, che poi è di Ewan, comoda, ma leggera, null’altro.
Mi ritrovo nuovamente su quel tappeto, la sua lingua che per poco non mi soffoca, le sue mani che per poco non mi stritolano la nuca, le sue braccia, che mi raccattano, i suoi fianchi, che mi lacerano, come la sua erezione, senza fatica.
Mi vergogno, se ne renderà conto, che io ho fatto …
No, non è lo stesso.
Mi fa l’amore, denudandosi scompostamente, ma con un fervore, che lo concentrano su di me, senza accorgersi che Ewan sgattaiola e sparisce, sorridendo, ma lo vedo in uno specchio, come il suo ciao dispettoso, ma complice.
E’ sbagliato, assurdamente bello quanto sbagliato.
Sgretolo, con le lacrime, l’ultima insenatura, di un’isola sprofondata nell’oceano da mesi, da quando ho saputo di Susan.
Rob annaspa tra il tavolino e la poltrona.
Mi rannicchio, come quel cucciolo, che decideva di venire al mondo, senza che io lo sapessi. In realtà lui aspettava, almeno quanto io ho sempre fatto con il suo …
“Non … non ne sono nemmeno il padre Jude …”
“E fa differenza? Lo riconoscerai, avrete un figlio da crescere, lo vuoi deludere da subito?”
Questo discorso, antipatico, con cui sperava di indorare la pillola: un regalo alla moglie, perché era tempo, anche se con l’inseminazione artificiale, che lei concretizzasse il suo desiderio di maternità.
Lecito, palesemente lecito, ma per me insopportabile.
Ci siamo disgregati, Robert ed io, nessuna roccia, a custodire il nostro amore, solo una tasca piena di sassi, dimenticati in un cappotto logorato da reciproche recriminazioni.
“A cosa serve, adesso Rob …?”
“Come potevo lasciarti da solo? Con Ewan poi …” – dice ancora affannato.
Resto in silenzio, ma è come se lui fosse pronto a subire qualsiasi umiliazione, pur di non perdermi: è evidente.
“Avevo bisogno di … parlarne a qualcuno …”
“Jude non mi devi spiegazioni … semmai sono io a …”
“Un sms, dieci secondi di telefonata, una e-mail … Mi hai fatto sentire come un coglione, in mezzo a quegli stronzi … hanno … riso di me.”
Rob annuisce, mortificato – “Lo so Jude. E farò ciò che mi chiederai, per avere il tuo … il tuo perdono.”
“Mi hai portato a dubitare di tutto Robert, anche ora, forse un tentativo per non compromettere i tuoi affari e quelli della tua intraprendente consorte??” – urlo, ma senza voce.
“Come puoi dire una cosa del genere e …” – “Meglio Ewan allora!”
Il mio tono si eleva e ti buca il cervello, lo so.
Ti avventi su di me, stravolto, tremante, stai per esplodere.
Sono in trappola, addossato al muro, ma in realtà non voglio scappare, io neppure ci sono o sbaglio?
E’ il tuo pianto, che precipita, come pioggia, dentro il mio, che ormai va a prosciugarsi, per esasperazione, ad iniettarmi come una scossa di alta tensione.
Ci baciamo.
E’ il sesso migliore, che consumiamo dal principio: i nostri baci, spesso imprevisti, dolci, prolungati e totalizzanti.
Ora non voglio più sapere nulla …
Quando durante quella cena, mi hai parlato del tuo progetto con Susan, riuscii a dire due parole “Tempo scaduto.”
Per noi, senza appello.
“Jude noi potremmo …”
“Cosa?? Cosa Robert …?” – ero svuotato.
Mesi d’inferno, poi ho metabolizzato, ti ho persino riaccolto, non riuscendo a smettere di amarti.
Eri come un cane bastonato ed io randagio.
Cosa potevamo ancora dirci? …
Forse neppure che il piccolo era nato … ecco vedi …
Forse non te la sei sentita e poi per cosa?
Paradossalmente, l’innocenza di lui, diveniva l’arma oscura che feriva a morte il nostro rapporto.
Tale sarebbe rimasto, in febbraio o prima, cosa cambiava?
Ti sto ancora baciando, non voglio altro.
Ieri volevo detestarti, in un esercizio inutile.
Forse tu … non mancherai mai, quando non potrò più fare a meno di cercarti Robert …
Proverò a resistere.
Sarà più dolce ricadere in questa malattia, che tu hai definito “vero amore”, quando nessuno ci avrebbe fermati.
“Torna da tuo figlio …” – mi stai cullando e lo sto derubando di te.
“Solo se verrai con me Jude.”
Cedo.
Inesorabilmente.
Eppure …
Sono così felice.
THE END
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