lunedì 1 agosto 2011

GOLD - CAPITOLO N. 228

Capitolo n. 228 - gold


Chris era seduto su di una poltrona, davanti alla vetrata aperta su di un terrazzo semicircolare, invaso da fiori, che in molti avevano inviato ai futuri sposi.
Rice li guardò sconsolato, appoggiandosi allo stipite.
“Eccomi … sono qui, mi cercavi piccolo?”
“Owen … ciao …” – e gli andò incontro, abbracciandolo, in lacrime.
“Tranquillo … va tutto bene tesoro.” – disse pacato, inspirando per trovare la forza di superare quel momento.
“Non è vero … e ne sono responsabile …” – replicò, tornando a guardarlo, mentre Owen lo staccava dolcemente da sé.
“In fondo mi sono illuso, ma con il mio solito egoismo e … cinismo. Sono così stanco Chris … così stanco.” – e strofinandosi la faccia stravolta, crollò sul divano davanti a lui.
“Sono … mortificato, per la tua famiglia … per gli invitati …”
Rice ridacchiò, liberando un pianto soffocante – “Per una volta che mia madre approvava qualcosa di mio … quando di mio non c’era in fondo niente.”
“Mi sono comportato davvero male Owen, non so cosa mi gira in questa testa di cazzo …”
“Io controllerei il cuore …” – e sorrise, alzandosi e ricomponendosi alla meglio – “Così vai via Chris …?”
Il giovane annuì mestamente.

Rice chiamò la segretaria nel suo studio – “Disponi il cattering, fai servire il pranzo, lascia che si divertano e comunica a quello sciroccato di wedding planner che le nozze sono saltate.”
“Mi … mi dispiace.” – balbettò.
“Lo so. Pazienza, ora cambio aria, ti telefono tra un paio di giorni.” – e se ne andò, da un’uscita secondaria, la stessa che usò Chris, per allontanarsi su di un taxi, senza salutare nessuno.

Geffen scrutò Derado per diversi minuti.
“Fammi capire Phil, tu … tu hai accettato questa … cosa …”
“E’ stata solo un’esperienza del mio cucciolo, ma non credere che io sia superficiale, solo comprensivo, perché lo amo più della mia stessa vita. Ho un figlio anch’io, quindi perché non dovrebbe averne uno anche lui?”
“Ma lo avrai avuto in circostanze differenti, non eri sposato Phil?”
“E’ stato un momento particolare, un giorno te ne parlerò, non l’ho neppure mai fatto con Xavy.” – ribattè serio.
Glam tornò nell’altra stanza, dove qualcuno aveva portato un paio di vassoi con salatini e tartine.
“Daddy la cerimonia è andata a monte, Chris ed Owen si sono dileguati. Anche Shannon direi …” – lo avvisò Kevin.
“Che giornatina … recuperiamo Lula e ce ne torniamo a casa, se sei d’accordo amore …” – disse accarezzandogli la nuca con tenerezza, la stessa che aveva intrappolata nelle sue iridi azzurre.
“Sì … sì andiamo.” – disse lui sorridendo.
“Vado un secondo da Pamela.” – “Va bene daddy, vado a prendere Lula.”

“Ragazze come andiamo?”
“Ciao papi, mangiamo qualcosa …”
“Ehi maldido, sei sopravvissuto?” – disse Pam con un sorriso imbarazzato.
“Certo, sono abituato ai colpi di scena nina … come ti senti?”
“Niente nausee e qualche capogiro, come con le nostre bimbe, ricordi?”
“Sì, mi ricordo.” – e sorridendo le cinse le spalle, baciandola tra i capelli – “Per qualunque cosa, io ci sarò, ok cica?”
“Ok Geffen, ci conto.” – ed ammiccò, facendo un brindisi con tutti, reclamato da Robert e Jude, che erano su di giri ed allegri, insieme a Xavier e Phil che si aggregarono.
Jared e Colin li salutarono: volevano partire subito per Santa Monica.

Il cellulare di Rice vibrò più volte.
Lui neppure controllava chi fosse a cercarlo, ma quando arrivò un suono differente, capì che si trattava di Shannon.
“Dove sei Owen?”
“Nell’unico posto dove sono a mio agio … non stare in pena per me.”
“Alla Rice Tower?”
Il gallerista rimase in silenzio.
“Ok, sto arrivando.” – e riattaccò.
“Shan …”

Quando le porte dell’ascensore si aprirono, Owen vide il suo ex che portava un trasportino.
“July …?”
“Siamo arrivati, permesso …” – disse Leto con un sorriso.
“Avanti … ehi ciao principessa …”
“Saluta Owen patatina …”
Lei aveva degli occhi grandi e scuri, era splendida.
Rice lo strinse sul cuore – “Grazie per non avermi lasciato da solo Shan …”
Il batterista lo fissò, emozionato – “Noi … noi due siamo qui per restarci con te, se ci vuoi Owen.”
Rice tremò.
“Voi … voi due …?”
“Io a casa non ci torno, non dopo quelle foto e non dopo … ci abbiamo provato, Tomo ed io, anche con questa nuova adozione, a salvare il nostro legame, ma siamo stati avventati … Forse July doveva essere la nostra bambina, tua e mia Owen, forse ci siamo negati troppo, per motivi stupidi … L’ho capito soltanto adesso, ma se è tardi … io mi rassegnerò.”
Rice lo fece roteare per la stanza, sprigionando tutta la gioia che aveva invaso il suo cuore, come un’onda improvvisa e liberatoria di quel male assurdo, che lo stava consumando.
Si baciarono profondamente.


Robert mise nella culla Camilla, aspettando che si addormentasse.
Nel frattempo Jude preparava un bagno caldo.
L’atmosfera era seducente, candele accese ed una bottiglia di champagne nel secchiello del ghiaccio, accanto alla vasca.
“Quella l’ho fregata alla festa ahahahh”
“Judsie … sei già a mollo?”
“Ti stavo aspettando mio splendido uomo …” – e gli tese le mani.
Downey ne baciò i palmi, che veloci gli cinsero gli zigomi, attirandolo alla bocca di Jude, che si schiuse progressivamente, sotto le lievi spinte del moro, che sentì il corpo pervadersi di un desiderio, che gli toglieva il respiro.
“Spogliati adesso …”
“Aiutami Jude …”
Quando si immerse, rimase sulle gambe del biondo, che lo sosteneva per i fianchi – “Lo sai che con il tempo migliori Rob?” – ansimò, mordendolo sul petto, scivolando ai capezzoli, che turgidi finirono tra le sue labbra, così come le sue dita nella fessura di Downey, che si inarcava ad ogni spinta dell’altro.
“Ti appartengo Jude … e ti voglio dentro di me … fino all’ultimo giorno di noi.”


Brian stava compilando dei moduli per l’assicurazione.
Justin aveva condito due insalate gigantesche e le appoggiò sulla penisola della cucina – “Pista! Non hai fame?”
“Non molta, sto impazzendo con questi fogli …”
“Posso aiutarti Brian? Di cosa si tratta?”
“Ho deciso di vendere il pub … Ci sono un sacco di pratiche da smaltire.”
“Sul serio?”
“Sì … ho contattato Kevin per dividere la somma che mi hanno offerto, ma lui non ne vuole sapere, anzi mi ha detto che lo studio Geffen seguirà la transazione gratis.”
“E’ generoso … Sei convinto del passo che stai facendo Brian?” – chiese assorto.
“Quando prendo una decisione solitamente non torno indietro.” – e sorrise, posandogli un bacio sulla fronte spaziosa.
Justin si sentì rassicurato – “Ne aprirai uno qui?”
“Forse …”
“Ai quadri ci penso io …” – e rise.
“Ed alle sculture Tomo? A proposito, Kevin mi ha detto che Owen e Chris non sono arrivati all’altare.”
“Cosa?”
“Ognuno per la sua strada, a quanto ne sa lui … ci siamo sentiti prima, quando facevi la doccia.”
“Mi sei mancato …” – e gli leccò lentamente il volto, mentre la sua mano sinistra frugava nei boxer di Brian, che non indossava altro, così come Justin era coperto solo da una spugna intorno alla vita.
“Dimostramelo Justin …” – e lo accompagnò per la nuca sino al suo inguine.
Il ragazzi iniziò a succhiare il suo sesso, dopo averlo liberato da quell’indumento ormai superfluo: la mano sinistra di Brian correva sulla schiena di Justin, piegato su di lui, che stava impazzendo su quello sgabello alto.
La posizione del grafico era eccitante, ma mai come quando l’asciugamano volò sul pavimento.
Brian lo sollevò con vigore, posizionandolo sul ripiano, dopo avere spostato quelle carte noiose.
“Scopami con la lingua …” – gli chiese Justin, ansante e febbrile.
Le sue cosce si aprirono in modo osceno, per accogliere Brian, che era capace ed attento ad ogni sua esigenza.
Finirono ben presto nel box di cristallo azzurro, ancora imperlato di gocce e vapore, dove Brian lo penetrò più volte, provocando a Justin orgasmi continui e spasmodici, che gli fecero quasi perdere ogni possibile ragione.


“Te l’avevo detto che vi avrei rapito …” – disse Rice ridendo.
“Dove stiamo volando?” - gli chiese Shan sistemandosi meglio sul suo petto.
“Portiamo July a Disneyland … a Parigi.”
“Guardala, sembra d’accordo …” – e le baciò le manine, sporgendosi da quel giaciglio a diecimila metri di quota, sul jet privato di Owen, che li ammirava estasiato ed incredulo di averli lì con lui.
Se anche fosse durato un attimo, quel sogno valeva la pena di essere vissuto.




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