Capitolo n. 243 - gold
When the tears go down
Colin aveva indossato il camice, i calzari, la mascherina e la cuffia, prima di entrare nella camera sterile di Geffen, che riposava sedato e collegato ai monitor di controllo.
Gli prese la mano sinistra, mentre con la destra gli sfiorava la fronte, con il fastidio del lattice dei guanti.
Colin sorrise.
“Vorrei svegliarti Glam, ma forse è meglio che tu dorma ancora un po’. A me piaceva lo stato di coma, vedevo e sentivo cose incredibili, ho persino incontrato i miei nonni, sai? Eppure io ascoltavo, anche le parole che mi hai detto.”
Si chinò, posando un bacio leggero sulla tempia di Glam, che non cambiò espressione.
“A modo suo, Colin, lo ha sempre amato …” – mormorò Jared, che oltre il vetro, insieme a Kevin, lo stava osservando, con malinconia, verso un tempo, che non sarebbe più tornato.
Ci aveva pensato durante il tragitto verso l’ospedale, al periodo in cui erano loro due soltanto, anche se tra centinaia di persone, con cui interagivano per lavoro o motivi di famiglia, ma senza in fondo lasciare spazio a nessuno, di interferire con la loro dimensione fatta di amore, di lacrime, di urla, di botte, recriminazioni e riconciliazioni.
Jared e Colin: due nomi scritti sul tovagliolo di carta, in un caffè all’aperto di Malibu, dopo l’ennesima litigata, scarabocchiati dal cantante dei Mars, che nelle orecchie aveva ancora nitido il tonfo della porta sbilenca del motel poco distante, dove avevano dormito, lui sobrio ed incazzato, Farrell fatto e stordito da troppe tequila.
Avevano scopato, non poteva definire diversamente quell’atto, che ormai andava ripetendosi senza alcuna partecipazione emozionale e sentimentale, visto che l’irlandese non aveva un solo momento di lucidità da un paio di mesi e Jared aveva esaurito le lacrime, nel vano tentativo di redimerlo.
§ Quando le lacrime scendono, possiamo assaporarne il gusto, scoprendole sempre salate, certo, ma con un piccolo sforzo ne leggeremo le diverse sfumature e non ce n’è una buona in quelle che verso per Colin … §
Era l’ennesimo sms inviato da Leto al fratello Shannon, pronto a fare a pezzi quel bastardo di Farrell, glielo ripeteva ormai sgolandosi inutilmente.
Il ding dell’ascensore, riportò Jared davanti a quella barriera, che li separava da Geffen.
Colin era sparito, Kevin si stava già preparando per entrare e tutto aveva un aspetto sfocato.
“De-devo sedermi …”
“Jay …!” – esclamò Farrell, apparso improvviso e pronto per sorreggere il compagno.
Adesso era buio, ma nella sua mente si rincorrevano vivide le risa lungo la collina, verde smeraldo, animata dal vento d’Irlanda, sul retro della casa di quei nonni che Colin tanto amava.
Quei due signori anziani, avevano però capito quanto fosse importante l’amore che univa il nipote a quello strano ragazzo americano: la prima volta che lo videro, Jared aveva dei pantaloni di pelle così attillati, da sembrare persino volgari, ma su di lui erano un incanto.
Le unghie smaltate di nero e l’eye liner, a sottolineare quei due laghi colmi di sogni: “Ha degli occhi bellissimi il tuo amico …” – disse il nonno, Colin arrossì e l’altro comprese, approvando per giunta, nonostante l’età e le abitudini.
Furono due settimane meravigliose, senza droga, né alcol, neppure sesso, ma solo un’intimità praticamente casta, sul letto a baldacchino incastrato in una mansarda pulita ed in ordine, profumata di lavanda e con grandi vasi di erica sotto al lucernaio.
Da lì i due giovani potevano vedere le stelle, abbracciati e nudi, innamorati e semplici: a Jared mancava quella dualità esclusiva, quel tutto che aveva imparato a conoscere grazie a Colin.
Quando riprese i sensi, da quel lieve svenimento, si aggrappò al suo collo, come un bimbo – “Cole … andiamo … andiamo dai nonni …”
“Tesoro come ti senti? … i nonni? …”
“Il cottage … nel sottotetto …”
“Jay quella casa non esiste più … e neppure loro, purtroppo, l’hai dimenticato …”
Jared scoppiò a piangere, mentre Colin lo cullava – “Mi dispiace piccolo … mi dispiace …” – e prendendolo in braccio, lo portò via.
La suite era invasa dal buio, così il cervello di Jared, che voleva solo sentire le spinte di Colin, dentro di sé, fino a riperdere i sensi, per quanto fosse devastante unirsi a lui.
Farrell lo aveva portato lì, per dargli ciò di cui entrambi avevano bisogno, per disintossicarsi dal dolore e dai rimorsi.
Jared sentì nel proprio collo il pianto di Colin, mentre veniva, sussurrandogli rassicurazioni ed amore, ciò nonostante il senso di paura non si decideva ad abbandonarlo.
Jude stava ancora dormendo.
Robert scrutava le linee del suo volto, l’arcata delle sopracciglia, l’attaccatura dei capelli arruffati, la forma delle labbra, che si schiusero in un meraviglioso sorriso, appena Law si svegliò, illuminando quello che gli stava intorno.
“Rob …” – mormorò, abbracciandolo e spargendo baci dalla sua fronte, all’incavo sotto al mento, per poi risalire dalla parte opposta – “Rob … Rob …”
Era una sequenza lenta e profonda, i corpi tiepidi di sonno, ma poi sempre più bollenti, nell’aderire l’uno all’altro, alla ricerca di qualcosa che sembrava perduto, ma che, in realtà, era come nascosto.
“Jude … perché stai piangendo …?”
“E tu perché sei così triste …? Perché non ridi più come prima …?” – stava singhiozzando, nel mentre gli poneva quei semplici quesiti.
Downey si sentì spezzare – “Non … non riesco a perdonarti davvero … io non ci riesco Judsie, mi dispiace …”
Jude fuggì via, dopo essersi vestito velocemente, senza che Robert muovesse un muscolo per fermarlo.
Era incapace di reagire, schiacciato da quella disperazione, che gli stava urlando parole indecifrabili.
“Papà sta riposando?”
“Sì Lula … ma presto tornerà da noi, te lo prometto cucciolo …” – e lo fece scendere, per accompagnarlo fuori dal reparto.
Lula aveva voluto vederlo a tutti i costi e Kevin non poteva rimandare oltre, soprattutto dietro alle lacrime del figlio, che iniziava a pensare “ … papà è in cielo? Come zia Syria …?”
I suoi pozzi di cioccolato si inondavano di lacrimoni, quindi doveva controllare che Kevin gli stava dicendo la verità, per tranquillizzarsi.
Jared stava arrivando con un mazzo di fiori.
Kevin gli sorrise, mentre Lula gli correva incontro – “Zio Jared lo sai che papà tra poco si sveglia?? L’ho sognato stanotte!”
Il cantante dei Mars si mise in ginocchio, accogliendolo sul proprio cuore: “Lo spero davvero angelo mio …” – e senza sapere come si ritrovò le dita intrecciate a quelle di Kevin, nello sfiorare i capelli di Lula.
“Grazie per essere qui … vai da lui e parlagli un po’, vuoi?”
“D’accordo Kevin … d’accordo.” – ed inspirò a fondo, prima di rialzarsi.
Una chiamata lo distrasse: era Shan.
“Jay sei in ospedale?”
“Ciao … sì, ma non ci sono novità …”
“Se hai il tablet, connettilo sul canale 12 … o se c’è una tv nella saletta accendila e guarda cosa stanno trasmettendo.”
“Aspetta, ci stiamo andando con Kevin e Lula … ma che succede?”
“Lo scoprirai da solo, a presto.”
Kevin ebbe un attimo di stupore – “Ma è Jude … cosa sta facendo, una conferenza stampa?”
“Alza un po’ il volume … sembrerebbe di sì.”
Elegantissimo, in un completo grigio chiaro, Law era circondato da giornalisti e dai collaboratori del suo ufficio stampa.
Gli stessi avevano avvisato Robert, che si era accomodato in poltrona, con Camilla tra le braccia.
“Buongiorno a tutti. Mi chiamo Jude, Jude Law, credo che molti di voi mi conoscano per il mio lavoro di attore ed altri per un mare di pettegolezzi, che circolano su di me da tanti anni. E credo peraltro che ad alcuni sembrerà un deja vu, anche se questa mia dichiarazione pubblica, la volta scorsa, era rivolta ad una donna, che amavo, con la quale ho avuto un figlio, che adoro.
Io la tradii, con la baby sitter dei miei primi tre figli: fu un atto deplorevole ed anche ripetuto, così che dopo averlo scoperto, lei mi lasciò.
All’epoca decisi di fare ammenda, esponendomi al giudizio della collettività e lei mi diede un’ulteriore chance, per proseguire il nostro rapporto.
Lottavo, anche contro me stesso, per sostenere l’immagine che piaceva alla mia famiglia, ai media, ai fan, al monto intero, tranne che a me.
Ero frastornato dal successo e turbato dalle critiche, spesso mi rifugiavo nell’alcol, frantumando l’autostima e mandando all’aria quel briciolo di decenza e dignità acquisite.
Un giorno, però, conobbi una persona e mi innamorai sul serio e per la prima e definitiva volta, nella mia esistenza sgangherata.
Ebbi davvero paura, perché non ero minimamente alla sua altezza, per le qualità del suo animo, per la bontà che traspariva da ogni gesto.
Nonostante mi desse continue conferme, ho temuto di perdere il suo amore in parecchie occasioni e sostanzialmente avevo ragione su di una cosa: non l’ho mai meritato abbastanza.
Il suo nome è Robert Downey Junior, ma è solo un nome, visto che non esistono abbastanza termini per descriverlo.
Se l’amore ha un nome, per me resta Rob e gioisco nel pronunciarlo, nel pensarlo, nel ripeterlo … Rob adesso starà ridendo o piangendo, per la situazione paradossale, per me, per noi, per questo mio atto, visto che oggi io chiedo scusa a lui.
Ho tradito il mio uomo, l’ho tradito una sola volta e proprio con la donna di cui parlavo prima, Sienna Miller.
Vorrei spiegare anche a me stesso il motivo di questo sbaglio, vorrei potere trovare un senso, ma non mi resta altro che chiedergli scusa e dirgli che mi sento un bastardo, quel bastardo che non ha mai meritato il suo amore …
Ho materializzato tutte le mie insicurezze, le ho buttate fuori e Robert ha saputo darmi comprensione, seppure distrutto da questo errore imperdonabile …
Rivoglio la mia vita con te Robert, con la nostra bambina e gli altri figli che abbiamo … Dimostrerai nuovamente quanto tu sia grande ed io immensamente piccolo, ma almeno potrò rannicchiarmi nel cuore immenso che hai saputo donarmi, quando ci siamo sposati … Accidenti, che sto dicendo, da quando … da quando ci siamo innamorati … E come ho sempre sostenuto, da molto prima di incontrarci, lo sai … Ci vediamo tra poco, ti bacio. Grazie per avermi ascoltato.” – e salutando gli astanti, se ne andò con calma, seguito da due assistenti.
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