Capitolo n. 235 - gold
Jared si rintanò nella sala di proiezione della End House insieme a Colin.
Voleva mettere una distanza tra loro ed i problemi di Robert e Jude, appena giunto alla residenza per affrontare il compagno.
Una sequenza di immagini altrettanto innocue, scorreva sul teleschermo: laghi canadesi, foreste, fiori che sbocciavano, una musica new age.
L’atmosfera intorno era come rarefatta, come le sensazioni, che si accendevano nel corpo del cantante.
Era imprigionato sotto a Farrell e non avrebbe voluto nulla di meglio, le loro bocche come saldate, in un groviglio di baci emozionanti, le dita dell’attore, che si intrecciavano ai capelli dell’altro, ansante ed estasiato nel fissarlo, annientando Colin con quegli specchi blu, acuminati di stelle.
“Baciami ancora Cole …”
“Tesoro … io … io potrei baciarti sino all’ultimo giorno di noi …”
“Lo so … lo so …” – e si rannicchiò maggiormente.
“Lascia che questa tempesta non infranga i nostri sogni Jay … dobbiamo … dobbiamo lavorarci, sai?” – e sorridendo gli scoprì l’addome, dove posò baci infuocati.
“E’ ciò che voglio … credimi Colin …” - ed inarcando la schiena, affondò le falangi affusolate tra le chiome corvine del suo sposo.
Lui si aprì la camicia, abbassando i jeans e sfilando velocemente la t-shirt ed i pantaloni della tuta di Jared, lasciandolo nudo.
Fu improvviso e spaventosamente intenso.
Lo penetrò, senza che Jared potesse scegliere o decidere qualcosa, che non fosse il loro congiungimento totale.
Si spingeva in quel canale stretto, con l’urgenza assurda di non potersi neppure spogliare in modo completo, cosa che eccitava Jared fuori misura.
“Sembri … un liceale in calore Cole …”
“Posso essere tutto con te …! Ahhh Jayyy!” – ed aumentò il suo ritmo.
Nel frattempo le note di The kill echeggiarono dalle casse dell’impianto audio, ad un volume crescente, come quell’amplesso.
Colin gli venne dentro quasi subito, ma solo in modo parziale.
Grondante e magnifico, mescolava il proprio sudore a quello di Jared, che restava appeso al suo collo, dove affondava i suoi baci, dove leccava e succhiava.
Ricominciò quella danza – “Ti sento così … tanto!!” e sollevandosi, si offrì ulteriormente a Farrell, che iniziò a godere per una seconda volta, in parte fuori da lui, che sentiva colare gli umori bollenti, come a volerlo segnare più dei morsi, che il moro spargeva sul suo petto.
I rispettivi capezzoli si strofinavano a tratti, facendoli sobbalzare, per quanto erano turgidi e ricettivi.
La melodia era nel mezzo delle strofe più cariche e Colin ebbe come un dejà vu: voltò repentino Jared, che non sapeva neppure più dove fosse il soffitto ed il pavimento, in quell’ambiente intossicato dai loro respiri.
Farrell scalciò via i vestiti, imbrattando poi i fianchi di Jared, con il suo stesso sperma, che copioso traboccava dopo il tocco esperto del suo adorato uomo di Dublino.
“Prendilo! Così … così … mioddioo mioddiooo!”
Erano nel camerino dei Mars, a Stoccarda, tanti anni prima.
Loro si erano salutati litigando all’aeroporto di Londra e Colin pensò di fare una sorpresa al suo ragazzo americano, che con un look diverso, ma quegli zaffiri sempre uguali ed unici, lo aveva perdonato per l’ennesima volta, lasciandosi possedere con foga ed un amore, che non conosceva eguali.
Downey aveva ragione.
La simbiosi perfetta, ecco cos’erano reciprocamente Jared e Colin.
In quell’occasione, dopo un orgasmo sporco ed al limite della cattiveria, per non riuscire a trovare una soluzione nel mare di casini che Farrell aveva sulla coscienza ed i disperati tentativi di Leto, nel non mollare mai in quella che era diventata una sfida con sé stesso, atta a salvare l’unica persona, per cui viveva e sopravviveva, Colin si era allontanato senza lasciare spazio a spiegazioni o recriminazioni.
Adesso, invece, erano crollati, allo stremo delle forze, appagati e storditi, avvolti da quel tappeto di note, ormai solo acustiche, di A modern mith, la loro colonna sonora ufficiale e definitiva.
Si amavano troppo, ma non bastava mai.
Il lieve bussare, sembrava già una supplica all’animo ferito di Robert.
“Sì, avanti …” – disse come rassegnato.
Jude oltrepassò il varco da un corridoio rassicurante, ad una camera dove regnava una calma intrisa di tristezza e rancore.
Li lesse nitidamente nelle sfere macchiate del suo Rob, anche se non esisteva più alcun possesso: sembravano relitti alla deriva.
Tutto faceva male, davvero tutto.
“Ciao … avrei voluto venire prima, ma Colin mi ha …”
“So quello che ha fatto e so … so quello che hai fatto anche tu, per un puro caso.”
Era seduto sul davanzale, lo sguardo girato ormai verso il giardino, rigido e fiero, nella sua camicia bianchissima, i pantaloni grigio scuri, scalzo, ma con l’orologio, che continuava a tormentare, come a controllare il tempo che gli stava concedendo.
“Robert te lo avrei raccontato subito e …”
“A quale scopo? Uccidermi? Era un omicidio premeditato … invece è stato un incidente imprevisto, l’averti … l’avervi scoperto.” – e sorrise amaro.
Jude avanzò di un passo e Robert si alzò, facendogli un cenno, affinchè si bloccasse al centro di quel salotto, dove i mobili erano nuovi, le pareti imbiancate di fresco.
Si ricordò che era lì che Colin si era sentito male, in quella zona dell’abitazione, che Jared aveva fatto preparare per il proprio esilio, dopo il tradimento con Justin perpetrato dal suo irish buddy.
Mai avrebbe immaginato di ritrovarci Robert, in collera con lui, dopo avergli sottratto anche la custodia della figlia, con un arbitrio che Jude poteva solo comprendere e perdonare.
Peccato che fosse lui quello precipitato nella massima colpa.
“Perdonami Rob … io non posso farcela a sopportare questa condizione di lontananza da te e dalla nostra Camilla …”
Le sue braccia si dilatavano come le sue palpebre, liberando ansia e lacrime disperate.
Era come una resa, un porgersi all’esecuzione, che l’altro avrebbe decretato per lui, senza sapere, forse, che sarebbe valsa per tutti quelli coinvolti.
“Tu … tu non puoi sopportare? TU non dovrai sopportare NIENTE!”
“Capisco che tu stia soffrendo, non merito altro che disprezzo Rob, ma …”
Downey inspirò, serrando gli occhi, tremando nello sfilarsi la fede – “Vedi Jude …” – ora stava piangendo – “Non sono io quello che sta facendo questo … questo gesto sai? Sei tu … ecco …” – e la gettò nel cestino.
Law si inginocchiò, come se la vita gli fosse stata rubata e buttata: a carponi, singhiozzando, si avventò su quel gettacarte, dal quale Downey si allontanò bruscamente, come se l’altro fosse un cane rognoso, per recuperare quel piccolo cerchio d’oro.
“Ti … ti prego … Rob …” – il suo balbettio era così palpitante, che le pulsazioni sembravano visibili dalla sua fronte al suo collo, sino alle estremità.
“Vattene!! Da quella puttana o dove diavolo preferisci!!”
A Robert non apparteneva quel vocabolario scurrile, soprattutto verso una donna, che era anche la madre di un figlio di Jude.
“Rob … Rob … io …”
Downey si prese la testa, come a volersi strappare un ricordo, al quale diede voce – “Sai … una volta Jude ti sei tagliato aprendo una scatoletta … una banalità, una stupida cosa, ma io credetti di impazzire, nel vederti in difficoltà …” – stava quasi soffocando – “Eri la mia … la mia essenza globale … un figlio, l’amico fidato, l’amante e poi … tutto ciò che amavo … TUTTO!” – urlò, sentendosi venire meno.
Jude lo sostenne, ma Robert era ancora più arrabbiato a quel punto: “LASCIAMI!! Lasciami, perché in questa eternità ormai sepolta, non ti ho mai sfiorato, ma adesso sono pronto a farti davvero male, HAI CAPITO??!!” – e lo spinse con brutalità sul divano.
Il loro diverbio attirò l’attenzione di Colin, che stava andando a prendere Isotta, su richiesta di Jared.
Volevano coccolarla, guardandosi un film a cartoni.
Due universi paralleli e completamente avulsi l’uno dall’altro.
Spalancò la porta, rimanendo interdetto dai volti sfigurati degli amici.
“Robert … Robert lascia che almeno Jude ti spieghi come sono andate le cose …” – disse con poca convinzione.
Era irreparabile, non avrebbe definito altrimenti la sensazione, che quel loro guardarsi gli trasmetteva.
Downey uscì, in cerca di ossigeno e auto controllo, ritrovandosi in fondo al parco, dove un escavatore stava lavorando il terreno per realizzare un laghetto.
Un disegno troneggiava appeso ad un palo in legno: lo avevano fatto tutti i bimbi, decidendo la disposizione dell’acquitrino, comprese pietre e piante, oltre ad improbabili statuette di elfi, che alla fine Jared acquistò in Marocco.
Quella era la dimensione, dalla quale Robert si sentì estromesso, con cattiveria ed egoismo: avrebbe voluto dirlo, anzi vomitarlo in faccia a Jude, ma era più opprimente l’esigenza di non rivederlo.
“Gli scriverò … torno domani Colin … posso andare da Camilla?”
Il suo tono era distante, le iridi cristallizzate ed assenti.
“Vieni … sì, meglio che tu … Non so come aiutarti Jude.”
“Abbi cura di lui e della piccola … So che in fondo al suo cuore, esiste la forma di questo perdono, che adesso mi nega … ne sono certo. Robert è fatto così, di un qualcosa così speciale ed indescrivibile Colin, migliore di me... da sempre. Sempre.”
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